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Autore: Laylath    19/04/2017    4 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 22. Le regole del gioco.

 


 
 
“Oh, santo cielo, ma che cosa sarebbe quella cosa!?”
“Una diavoleria della città!”
“Senti che rumore! E che odore schifoso! Benzina!”
“Ma sta scherzando a volerla portare qui?”
Quei richiami, uniti ad un insolito e forte rombo di motore, fecero immediatamente serrare le labbra del capitano Falman in una linea sottile. Sentendo una familiare vena che iniziava a pulsare proprio sulla tempia, posò la penna con mosse esageratamente lente sulla relazione che stava compilando e si preparò ad affrontare la battaglia che lo attendeva.
“E così alla fine hai portato qui la tua moto – mormorò, alzandosi in piedi – ma non pensare di poter fare i comodi tuoi, Roy Mustang. Questo è un paese tranquillo e deve continuare ad esserlo”.
“Signore! – uno dei suoi uomini aprì la porta dell’ufficio e lo fissò con aria imbarazzata – credo che lei dovrebbe venire a vedere. È arrivato…”
“So benissimo di chi si tratta – annuì Vincent, sistemandosi meglio la giacca – e ti assicuro che adesso vado a spiegargli bene le regole del gioco, dannazione a lui!”
 
Roy aveva parcheggiato la moto davanti al locale di sua zia, ovvero nella strada principale del paese.
Era stato un gesto accuratamente studiato, in modo che tutti quanti potessero vedere il suo potente mezzo. E adesso se ne stava lì, con gli occhiali calati al collo, godendosi ogni singola occhiata stranita che gli veniva lanciata: gli sembrava di essere un dio sceso in terra con lo scopo di insegnare la modernità al suo popolo ancora imprigionato nell’era primitiva.
“Accidenti come sta bene con la divisa… non mi dispiacerebbe fare un giro su quella cosa”.
“Su una motocicletta? Se i tuoi ti sentissero dire una cosa simile ti butterebbero fuori di casa. Però, hai proprio ragione: sta divinamente con la divisa! Ma è sempre stato bello”.
“Peccato per quella sua zia, altrimenti non ci avrei pensato due volte a mettere gli occhi su di lui sin dalle scuole”.
“Con l’indipendente Roy Mustang? Ma per favore, non ne avresti mai avuto il coraggio. E poi sai benissimo che è sempre stato impegnato con la protetta dei Fury: avresti perso in partenza”.
Sentendo quei commenti da parte di due ragazze dall’altra parte della strada, il soldato dovette trattenere un sorrisino di soddisfazione. Sapeva di esercitare un particolare fascino sul gentil sesso e questo gli procurava un particolare e piacevole brivido. Essere cresciuto in un locale dove l’arte della seduzione la faceva da padrone gli aveva fatto acquisire determinati modi di fare e a questo si aggiungeva il suo aspetto decisamente avvenente. A volte si trovava a pensare che non gli sarebbe dispiaciuto fare un po’ il dongiovanni, almeno in città, dove l’ambiente era decisamente più favorevole, ma ormai era un uomo impegnato ed era giusto mantenere un atteggiamento rispettoso nei confronti della sua fidanzata.
“E così alla fine l’hai portata – esclamò Vato, raggiungendolo con un sorriso – ti aspettavamo dopodomani”.
“Ho deciso di fare una sorpresa – sogghignò Roy, stringendo la mano all’amico – ecco qua la mia meraviglia, con tanto di due taniche di benzina messe già al sicuro nel magazzino di mia zia. Pronta a correre per queste polverose strade di campagna”.
“Pronta a sfidare le ire di mio padre, vorrai dire – commentò caustico il giovane studioso, accennando con la testa ad una ben nota figura che si avvicinava – ma scommetto che eri pronto a questo scontro, vero?”
“Ovviamente – strizzò l’occhio Roy – ammirami. Capitano Falman! Sono commosso che abbia lasciato il suo estenuante lavoro per venire a salutarmi”.
“Ti sbagli, è parte del mio lavoro essere qui in questo momento – sbuffò Vincent, posando una mano sul manubrio della motocicletta e squadrando con aria torva il giovane soldato – mi voglio assicurare che tu capisca bene entro quali limiti ti puoi muovere con questa diavoleria”.
“Suvvia, spaventa solo perché è più rumorosa rispetto alla bici”.
“E anche dieci volte più pericolosa dato che se investi qualcuno con questa lo mandi all’altro mondo. Qui non sei in città, ragazzino, sei in paese… il mio paese. Combina qualche guaio e questo aggeggio ti viene sequestrato seduta stante, senza possibilità di reclamo”.
“Lo userò solo per muovermi e non per fare crimini – promise Roy con un sorriso spavaldo, facendosi una croce sul cuore – glielo assicuro. Vato, vuoi fare un giro?”
“Proprio di questo bisogna parlare – lo bloccò Vincent, lanciando un’occhiataccia al figlio, quasi a sfidarlo a fare un’imprudenza simile – gradirei che viaggiassi da solo con questa motocicletta, senza coinvolgere i tuoi amici in gare e simili, va bene? Non so per quale miracolo per tutti gli anni in cui ti ho visto in bici non è successo niente di grave e vorrei che si continuasse su questa strada”.
“Guardi che guiderei sempre io – questa volta Roy fece un broncio contrariato – si può andare benissimo in due: non vede che il sellino è abbastanza grande per…”
Non mi interessa! – sbottò il capitano, battendo una mano sulla parte interessata – Tu con questo arnese ci vai da solo, hai capito bene? E di certo non lo usi in orari poco consoni come il dopo pranzo o la sera, quando la gente riposa. E ricorda bene, Roy Mustang, ti tengo d’occhio!”
“Certo, certo… come no. Vato, sai se Riza è in paese o a casa?”
“Non mi ignorare così!”
“Stamane dovrebbe essere a casa – spiegò Vato – penso che scenda in paese solo questo pomeriggio. Ci sono alcune novità di cui dovrai essere messo al corrente circa Jean e Rebecca”.
“La situazione si è smossa? – Roy salì sulla motocicletta con mossa disinvolta – Beh, prima o poi doveva succedere. Sai che faccio? Vado a trovarla e a farle vedere la moto”.
“Ragazzino! – Vincent gli levò le mani dal manubrio – non fare l’arrogante con me, non puoi permettertelo! Altrimenti, divisa da soldato o meno, te la faccio pagare! Stavamo facendo un discorso sull’uso di questo aggeggio o sbaglio?”
“Certo – sorrise Roy – e lei è stato chiarissimo come sempre, signore. Stasera, se volete, vengo a cena da voi: ho portato una bottiglia di vino davvero pregiato dalla città”.
“Tentativo di corruzione?” sbuffò Vincent mollando la presa e mettendosi a braccia conserte. Faceva davvero impressione vederlo accanto al figlio, il quale aveva la medesima posa, sebbene il viso fosse rilassato in un sorriso.
“Con lei non funzionerebbe mai, signore. Vato, ci vediamo questo pomeriggio?”
“Finisco di lavorare alle cinque e mezza, ma poi mi vedo con Elisa”.
“Ah, l’amore! Allora ci vediamo direttamente a cena – con un abile colpo al pedale accese la moto che subito emise un rumoroso rombo che fece girare tutti i passanti – buona giornata!”
 
Per fortuna di Roy, Ellie non era in casa quando si presentò dai Fury e dunque vennero evitate nuove raccomandazioni su quello da non fare con quella diavoleria cittadina. Al contrario il signor Fury si dimostrò parecchio interessato alla nuova tecnologia ed il giovane fu ben lieto di spiegargli il funzionamento e fargli vedere il piccolo ma potente motore, mentre un curioso Hayate gironzolava attorno a quella novità, odorandone con aria perplessa le ruote.
Dopo un po’ il soldato si ritrovò in cucina con la fidanzata, seduto a bere una tazza di the caldo e mangiare dei biscotti fatti quella stessa mattina. Venne messo al corrente degli ultimi fatti del paese, in particolare delle vicende che avevano portato al riavvicinamento di Rebecca e Jean.
“Se lei fosse stata davvero incinta ne avremmo visto delle belle – commentò infine, scuotendo il capo con leggero disappunto – quei due proprio non si sanno regolare. A dire il vero mi ero chiesto diverse volte come mai non ci fossero ancora cascati”.
“Sapevi che lo facevano?” chiese Riza sorpresa.
“Da quando lei aveva sedici anni e lui diciassette? Beh, mi è sempre sembrato palese… e poi è sempre stato chiaro che quei due l’avrebbero fatto prima di tutti, anche di Vato ed Elisa”.
“… e di noi…” Riza quasi bisbigliò quella frase e subito arrossì, quasi si fosse pentita di averla detta.
Roy stava per ribattere, ma si trovò ad arrossire a sua volta. Sentire Riza che tirava fuori un argomento così delicato che riguardava loro due era quasi inverosimile. In tutti quegli anni non aveva fatto nessuna mossa in quel senso, rendendosi conto che la sua fidanzata aveva delle tempistiche molto particolari. Da un lato la cosa avrebbe dovuto dargli fastidio, del resto aveva pure lui passato i classici momenti di impazienza maschile, in cui il desiderio si faceva sentire, ma poi si era trovato a trasportare tutto in una sorta di piedistallo. L’amore con Riza non era banale e scontato come quello delle altre coppie e dunque aveva bisogno di tempo per poter maturare e arrivare all’atto fisico. Insomma, quella fantomatica verginità che per molti sarebbe stata una vergogna, per lui era diventata una sorta di sfida la cui difficoltà non faceva che rendere il premio ancora più bello.
Certo Riza era bella e aveva delle forme molto morbide che invitavano a fare l’amore. Abbracciandola Roy era spesso tentato ad osare più del consentito con le mani e solo con grande forza di volontà non era scivolato nelle zone proibite.
Che c’è, ragazzina? Qualcosa si è smosso? – se lo chiese con interesse mentre la osservava contorcersi nella sedia, tormentandosi le mani.
“Ciascuno ha i suoi tempi” osservò infine, quasi a darle un incoraggiamento a continuare.
“Già, i suoi tempi – annuì lei, alzandosi in piedi e andando verso la porta che dava sul cortile laterale. La aprì e rimase a prendere aria, le ciocche di capelli biondi che venivano mossi dal vento di inizio febbraio – del resto ogni coppia è differente”.
“Vogliamo parlare di noi?” Roy la raggiunse, le mani in tasca, poggiando la schiena contro l’altro stipite della porta.
Riza lo guardò negli occhi, risultando estremamente adorabile con quell’espressione imbarazzata. Rimase qualche secondo a cercare le parole giuste e poi alla fine si decise a parlare.
“Mi stavo chiedendo se ti desse fastidio il fatto che noi due non l’abbiamo ancora…uhm… fatto”.
“Non è che ti voglia imporre una cosa che tu non vuoi” la rassicurò subito Roy.
“È che non me l’hai mai chiesto – spiegò Riza – e mi stavo domandando se ti stessi ponendo problemi per me… e che a lungo andare la cosa ti desse noia”.
Roy si passò le mani tra i corti capelli scuri, non sapendo se scoppiare a ridere o abbracciare la sua fidanzata per la tenerezza che gli stava facendo in quel momento. Adorava Riza: così forte e decisa e allo stesso tempo così timida ed insicura, in parte ancora una fanciulla inesperta del mondo.
“Darmi noia! – disse alla fine, con aria leggermente offesa – Rispettare la mia fidanzata non mi dà nessuna noia, che paranoie ti fai? Se tu non vuoi ancora farlo si aspetta”.
“Ma tu vorresti farlo?”
“Beh – questa volta Roy si trovò ad arrossire con violenza – non dico che mi dispiacerebbe”.
“Mh…” Riza abbassò lo sguardo a terra, come se stesse riflettendo bene sulla questione.
Dannazione – pensò il soldato – non pensavo che per fare l’amore ci volesse tutta questa strana trafila burocratica. Va bene che è Riza, ma qui si sta un po’ esagerando…
“Insomma, se va bene anche a te si può fare – disse d’impulso – ma non ti devi porre dei problemi. È una cosa che deve venire spontanea, non è che ti devi forzare per compiacermi”.
“Quanto resti in paese?” chiese Riza d’impulso.
“Una decina di giorni… ma… ehi, Riza Hawkeye! Non metterti strani grilli per la testa – cercò di fermarla – torna ad essere la razionale e cara ragazza che conosco. Non c’è una scadenza per fare l’amore, va bene? Per me una settimana o dei mesi non fanno la differenza, va bene?”
“Mi sento una sciocca…” mormorò lei. E sicuramente avrebbe voluto aggiungere altro, ma chiaramente non riusciva ad esprimere tutto quello che stava provando. Roy intuì che, in un simile frangente, se avesse voluto, avrebbe fatto l’amore con lei nei successivi cinque minuti.
Certo, con suo padre qualche stanza più in là e lei più confusa che mai… non mi pare proprio il caso.
“Il capitano Falman mi ha espressamente proibito di portare gente in moto… ma penso che questa regola valga solo per quando sono nelle strade di paese – disse – Se chiediamo a tuo padre, credi che otterremo il permesso per andare a trovare Jean all’emporio? E poi ti riporto a casa per pranzo”.
La solita Riza Hawkeye avrebbe mosso diecimila obiezioni, prima tra tutte quella del disobbedire alle regole del capitano Falman. Tuttavia quella nuova e strana versione della ragazza non vedeva l’ora di tirarsi fuori dalla discussione imbarazzante che era stata intavolata sino a poco prima.
“Credo che se prometti di andare piano non ci saranno problemi – sorrise con entusiasmo – andiamo a chiederglielo!”
 
Con tutta probabilità Roy aveva indovinato che qualcosa si era smosso in Riza.
La vicenda di Rebecca aveva infatti fatto riflettere profondamente le ragazze del gruppo, come se si fossero rese conto che alla loro età dovevano iniziare a pensare all’amore fisico in una maniera più matura. Come se all’improvviso la possibilità di restare incinta fosse diventata incredibilmente reale. Certo era un ragionamento oltremodo sciocco, ma il fatto che una di loro avesse rischiato di scottarsi davvero, aveva reso quest’eventualità molto più vicina del previsto.
E così se per Riza tutto questo si era concretizzato in una strana e nuova consapevolezza che, tutto sommato, era il caso di iniziare a pensare seriamente a crescere anche in quel senso, sebbene non avesse la minima idea di come iniziare, dall’altra anche Elisa aveva iniziato a rivedere il suo rapporto con Vato.
Ovviamente il giovane studioso non aveva avuto modo di notare la cosa, considerato anche il poco tempo passato, e così quel pomeriggio andò a prendere la fidanzata come se tutto fosse nella norma. Anzi, a dire il vero era particolarmente lieto perché aveva ricevuto una lettera dall’Università in cui veniva pagato per la relazione che aveva spedito due settimane prima: a dire il vero non si trattava di una grossa somma, tutt’altro, ma era andata ad ingrossare la piccola fortuna che stava mettendo da parte per il suo matrimonio.
In quel periodo aveva iniziato a guardarsi attorno per risolvere uno dei problemi fondamentali: la casa. In genere era una questione che veniva risolta abbastanza facilmente in un paese come quello: una delle famiglie quasi sempre aveva una casa in più, magari di qualche parente defunto, da donare ai futuri sposi. Tuttavia né lui né Elisa avevano questa fortuna: la famiglia di lei aveva già dato una vecchia casa di proprietà al fratello maggiore e alla sua sposa tre anni prima, mentre i Falman, provenendo da New Optain, non avevano altra dimora se non quella dove stavano.
Una spesa notevole – pensò, mentre attendeva che lei uscisse dall’ambulatorio – e una bella rogna dato che non ci sono molte case disponibili in paese.
Avrebbe potuto chiedere a suo padre se sapeva di qualche casa che faceva al caso loro, ma per una strana forma d’orgoglio aveva deciso di risolvere la questione da solo. Senza contare che il ritorno di Roy con la moto aveva leggermente indisposto il capitano di polizia e non era il caso di preoccuparlo con altre vicende.
Ed inoltre non mi sembra nemmeno troppo entusiasta del matrimonio…
Questa era un’intuizione a cui era arrivato da parecchio tempo, ma ancora non aveva affrontato l’argomento con il diretto interessato. Forse per i canoni di suo padre stava correndo troppo, però non riusciva a capire il motivo di tanta preoccupazione. Infatti, sebbene diverse volte non parlassero direttamente dei problemi, Vato e suo padre erano diventati molto empatici l’uno nei confronti dell’altro. Intuivano quando qualcosa turbava l’altro e si adoperavano per risolvere quella crepa nel meccanismo rodato del loro rapporto.
Tuttavia in questo caso c’era una nuova forma di imbarazzo: come se Vincent non volesse turbare i progetti del figlio con le sue preoccupazioni. Ma d’altra parte era chiaro che Vato si era reso conto che qualcosa non andava e che dunque ne risentisse.
A conti fatti per il giovane era diventata una questione d’onore riuscire ad organizzare il matrimonio con Elisa con le sue sole forze, in modo da dimostrare al genitore che era in grado di affrontare queste situazioni del mondo adulto.
“Ehilà, studioso – lo salutò Elisa, uscendo dall’ambulatorio – ti ho fatto attendere molto?”
“Solo pochi minuti – rispose lui, rimandando ad un altro momento quei pensieri – è andata bene la giornata?”
“Tranquilla come al solito – sorrise la giovane – è passata Rebecca e pare che le tisane che le ho dato stiano facendo effetto. La vedo già meno pallida della settimana scorsa: sono sicura che nell’arco di una quindicina di giorni si sarà ripresa del tutto”.
“Ieri l’ho vista in giro con Riza. Pare che la crisi sia totalmente risolta”.
“È tornata tra quelli che ben pensano, direi che era ora. Oh, ma basta parlare di loro… parliamo di noi, suvvia. Mi hai detto che c’erano delle questioni di cui volevi discutere” Elisa sorrise nel prenderlo a braccetto, segno che la giornata lavorativa non era andata così male. Evidentemente il dottor Lewis le aveva assegnato qualche compito particolare che l’aveva fatta uscire dalla monotonia; o semplicemente era la risoluzione della questione di Rebecca che l’aveva resa d’umore lieto.
“Sì, delle questioni – annuì Vato, mentre iniziavano a passeggiare per le vie del paese – sai che oggi mi hanno pagato per la relazione che ho scritto in questo mese? E nella lettera c’erano anche i complimenti del docente”.
“Accidenti, Vato Falman, sei sempre al centro delle attenzioni all’Università – lo prese bonariamente in giro lei, facendolo arrossire – e sei incredibilmente affascinante quando arrossisci. Lo sai bene che sono fierissima di te, sebbene non ci capisca niente di quello che studi”.
“Eppure hai fatto chimica nel tuo corso di studi… la nomenclatura non è dissimile a…”
“No, fermati: so benissimo che il discorso degenererebbe e finirei col sentirti parlare di termini assurdi e di lemmi antichi. Mentre questo pomeriggio voglio solo godermi la compagnia del mio fidanzato Vato Falman e non del filologo, grazie!”
Vato arrossì ancora di più come sentì la stretta sul suo braccio farsi ancora più accentuata e si accorse che effettivamente pure lui aveva voglia di godersi la compagnia della sua fidanzata. Negli ultimi tempi non avevano avuto molte occasioni per stare assieme in senso stretto: con l’inverno non si poteva certo godere dei campi isolati e della discreta erba alta. E la bella stagione era ancora lontana. Con un sospiro di rammarico pensò ai begli anni dell’Università, quando avevano maggiore libertà e bastava la cameretta di una piccola pensione per fornire loro l’intimità necessaria.
“Allora, di che volevi parlare?” chiese Elisa.
“Della casa – rispose lui – nel senso… direi che dobbiamo iniziare a pensare a una casa da comprare per andare a viverci dopo il matrimonio. Pensavo di andare dal sindaco, domani, e chiedergli se ci sono delle case in vendita in paese”.
“Una casa, eh? – la dottoressa arricciò il naso con aria pensosa, cercando di far mente locale – sai che non me ne viene in mente nessuna? C’era una vecchia casa verso l’uscita del paese, ma l’hanno demolita quest’estate perché era troppo pericolante e buona parte del tetto era crollata”.
“Sì, mi ricordo. Perché pensavo… costruirla da zero sarebbe troppo costoso, vero?”
“Bisognerebbe avere il terreno in primis e poi bisognerebbe chiedere all’ingegner Fury… anche se lui ci farebbe un prezzo di favore se si pensa agli operai e ai materiali… no, decisamente troppo dispendioso”.
“Allora speriamo che il sindaco, domani, mi dia buone notizie” sospirò Vato.
“A meno che – Elisa lo fermò in mezzo alla strada – vieni, forse mi è venuta in mente una casa che potrebbe essere in vendita. Da anni l’ho vista con le imposte chiuse: non si vede molto perché ci sono state costruite attorno altre case”.
Con entusiasmo lo fece tornare indietro per poi farlo deviare in una delle vie laterali. Era una zona che Vato conosceva poco dato che non ci abitava nessuno dei loro amici. Sicuramente qualche volta c’era passato, ma non aveva mai fatto caso alle case e men che meno a quella con le imposte chiuse.
“Eccola – disse Elisa, quando arrivarono a destinazione, cinque minuti dopo – guarda le assi che chiudono le finestre: si vede che sono qui da anni ed anni. Sicuramente i proprietari sono morti e nessun erede è venuto a reclamare la casa… chissà, magari sono andati a vivere in città e non sono tornati in paese”.
“Caspita – Vato guardò l’edificio che, effettivamente, risultava in parte nascosto dalle case che erano state costruite attorno, quasi a nasconderlo – mi pare una bella casa. Penso sia ad un solo piano: questi scalini indicano solo una specie di soppalco. Evidentemente sotto c’è una specie di scantinato”.
“Probabile… che te ne pare? Potrebbe essere la casa ideale per noi? Se effettivamente nessuno la reclama ed è passata sotto la giurisdizione del sindaco potremmo averla ad un prezzo buono”.
“Magari! Domani andrò a chiedere al sindaco”.
Elisa batté le mani guantate con entusiasmo e Vato sorrise, trovandola incredibilmente bella e scoprendo di avere una voglia matta di fare l’amore con lei.
Papà e a lavoro e mamma doveva andare a trovare la signora Laura – rifletté, facendo un rapido calcolo dell’ora.
“Questione risolta! – annunciò, prendendo per mano la fidanzata – non mi pare il caso di stare qui. Forza, andiamo!”
“Vato! – esclamò Elisa, sorpresa da quella reazione – Ma dai! Non dovevamo parlare di altro?”
Ma il giovane scosse il capo con un sorriso e con tutta la velocità di cui era capace la condusse a casa sua.
Aprì la porta con entusiasmo e immediatamente si rese conto che il campo era libero. Fece entrare Elisa e chiuse l’uscio alle sue spalle, imprigionandola tra il legno della porta e la sua persona.
“Vato!” mormorò lei, quando le venne baciato il collo.
“I miei non ci sono – spiegò il giovane, sciogliendole il nodo della sciarpa e poi abbracciandola – che ne dici? Dai… sono mesi che non abbiamo possibilità di farlo…”
Elisa ridacchiò mentre le veniva levato il capotto, ma poi scosse il capo.
“No, amore, oggi no – cercò di placarlo, prendendo il soprabito e sistemandolo nell’attaccapanni – è un giorno fertile e potrei restare incinta”.
Quella frase ebbe il potere di far allontanare Vato di qualche passo. Ecco che una tremenda barriera si era messa tra loro e la possibilità di fare l’amore. Ovviamente Elisa era una ragazza molto cauta e con le sue competenze mediche era riuscita fino ad adesso ad evitare gravidanze indesiderate. Senza mezzi termini aveva spiegato al fidanzato che cercava di basarsi sul riconoscimento del periodo fertile del suo corpo e sembrava che il sistema funzionasse.
“Come non detto…” sospirò Vato, andando a sedersi nel divano.
“Un bambino adesso non sarebbe proprio il caso” Elisa lo raggiunse e posò la testa sulla sua spalla, facendosi abbracciare.
“Proprio no – scosse il capo il ragazzo – senza contare che dopo quanto è successo a Jean e Rebecca sarebbe proprio il colmo. Va bene che ci dobbiamo sposare a breve, ma questo vorrebbe dire correre davvero troppo”.
“Lo vuoi subito dopo il matrimonio un figlio?” Elisa fece questa domanda a bruciapelo.
Vato arrossì, non sapendo cosa rispondere. Lui aveva sempre pensato che una volta sposati le cose sarebbero proseguite in maniera naturale: se il bambino doveva arrivare subito non ci vedeva nessun problema. Ma quella domanda di Elisa gli fece drizzare le orecchie in maniera quasi allarmante.
È una cosa che va programmata?
“In che senso?” chiese con aria stranita.
“Non è che io non voglia figli – si affrettò a dire Elisa – al contrario! Però… sarà il caso di averli subito appena sposati? Se ben ci pensi io sono in un momento difficile della mia carriera e potrei aver bisogno di tempo per farmi accettare dal paese… più passano i mesi e più mi rendo conto che l’iter non sarà così breve come pensavo”.
“Dici che una gravidanza ti bloccherebbe?” Vato si sentì strano nel fare una domanda simile: gli sembrava quasi di sovvertire uno strano ordine naturale delle cose.
“Forse manderebbe a monte tutto il lavoro fatto in questo tempo – ammise la dottoressa con un sospiro, passandosi una mano tra i bei capelli castani – dovrei fermarmi e il paese mi vedrebbe solo come tua moglie e non più come medico”.
“La cosa ti darebbe tanto fastidio? Essere considerata mia moglie, dico…”
I due fidanzati si guardarono in faccia, accorgendosi per la prima volta di quell’enorme barriera che si era creata tra di loro in quei mesi. Ancora non l’avevano percepito, ma l’ambiente del paese aveva influito sulle loro giovani vite più di quanto credessero possibile. Quello che ad East City era sembrato un progetto perfetto, adesso presentava delle crepe che rischiavano di far cedere tutto quello che avevano intenzione di costruire.
E se Elisa aveva in qualche modo accettato queste difficoltà, sin da quando si era confrontata per la prima volta con il dottor Lewis, Vato non aveva avuto modo di fare la medesima esperienza. Certo aveva sentito che attorno a lui e la fidanzata ronzavano dei pettegolezzi, ma non aveva dato loro alcuna importanza. Ma adesso capiva che costituivano una strana componente fondamentale.
“Darmi fastidio? Certo che no – rispose Elisa, giocando con l’anello di fidanzamento – sai benissimo che ti voglio sposare sin da quando eravamo ragazzi. Ma sono una dottoressa, Vato, non voglio veder sminuito quello per cui sto lavorando tanto… non voglio che una cosa vada a discapito dell’altro”.
“Carriera contro amore?” chiese con acidità.
“Cosa? Santo cielo, come ti possono venire in mente delle idee simili… ehi, che fine ha fatto tutto l’incoraggiamento che mi hai dato fino a ieri?”
“Scusa… scusa – mormorò Vato, posando la testa contro la spalliera del divano – è che… non pensavo che l’avere figli rientrasse nel discorso di farti accettare o meno dal paese. Pensavo che fosse una cosa che riguardasse solo noi due”.
“Riguarda solo noi due, infatti!”
“Dici? – fece una smorfia – Pare che dobbiamo chiedere il permesso anche per questo”.
Elisa fece un verso di disappunto e fece per alzarsi dal divano. Tuttavia Vato la afferrò per un braccio e la guardò con desolazione.
“Vuoi ancora che domani passi dal sindaco?”
“Non lo so – sospirò lei, liberandosi da quella presa ed andando all’ingresso per prendere il cappotto – come preferisci”.
 
Quella discussione fece aprire gli occhi a Vato sulla strana realtà che stava vivendo in paese.
Solo adesso si rendeva conto di quanto quella piccola e chiusa società fosse realmente in grado di condizionare il suo rapporto con Elisa. Da ingenuo che era, aveva sempre pensato che tutto dipendesse da lui e dalla fidanzata, ma a quanto sembrava aveva fatto i conti senza l’oste.
D’improvviso capì per quale motivo suo padre si era sempre mostrato restio a quel matrimonio così frettoloso. Con tutta probabilità aveva già intuito le difficoltà che avrebbe creato a livello sociale. Del resto non si stava parlando della stessa gente che aveva messo alla gogna Heymans e la sua famiglia per una vicenda in cui loro era stati le vittime e non i colpevoli?
Certo non mi aspettavo che io ed Elisa entrassimo a far parte di questo strano processo antropologico.
Perché di processo antropologico si trattava: era un esempio fin troppo palese di condizionamento della società. Un pessimo condizionamento se doveva esser sincero, specie se si andava a confrontare con la maggior libertà di cui si godeva ad East City, dove lavorare ed essere sposati non erano fattori che entravano in contrasto tra loro.
“Ehi, ragazzo di pensiero, guarda che ti escono i fumi dalla testa…”
Vato si riscosse e si girò a guardare Roy.
Come c’era d’aspettarsi la maggior parte della cena era stata un battibecco continuo tra lui e suo padre per via della moto. In un’altra occasione Vato si sarebbe goduto un simile scontro, salvo poi cercare di rabbonire gli animi fin troppo bollenti,ma il ricordo di quella strana lite con Elisa l’aveva tenuto distratto per la maggior parte del tempo. E ovviamente la cosa non doveva essere sfuggita al soldato.
Adesso, mentre passeggiavano per la via principale del paese, per riaccompagnare Roy a casa, si rese conto che il suo miglior amico gli era mancato parecchio in questi mesi. Nonostante le differenze caratteriali Roy rimaneva la persona che spesso lo aiutava maggiormente ad uscire dai suoi circoli viziosi di pensiero, proprio come quando erano ragazzi.
“Si nota così tanto?”
“Da quando ci siamo seduti a tavola. Che è successo? Stamane eri di tutt’altro umore… non mi dire che hai litigato con Elisa, mi pare impossibile”.
“Litigato… insomma. Diciamo che abbiamo scoperto di avere delle divergenze di pensiero su alcuni argomenti – cercò di spiegarsi – e la cosa ci ha colti un po’ di sorpresa”.
“Oh poveri noi, se la coppia perfetta litiga il mondo davvero si rovescia!” sogghignò Roy, battendogli tuttavia alcune pacche sulle spalle sottili in un gesto d’amicizia che invitava a confidarsi.
“Con Riza tutto bene invece?”
“Sì,tutto bene. L’ho trovata un po’ cambiata, è come se la storia di Rebecca un po’ abbia smosso qualcosa”.
“Anche ad Elisa – si sorprese Vato – forse è proprio questo il problema. Però mi sono trovato a pensare che tutto questo in città non sarebbe successo e che io ed Elisa non ci staremmo facendo così tanti problemi. È tutta colpa di questo paese che ci tiene gli occhi addosso!”
“Per la solita storia del lavoro di lei?”
“Per il fatto che pare che debba scegliere tra matrimonio o carriera… ma ti pare?”
Roy si fermò per fissarlo con attenzione.
Erano arrivati davanti al locale di Madame Christmas e le luci provenienti dalle finestre e dalla porta a vetri illuminavano il volto magro di Vato. Era teso e triste, come non si vedeva da tempo: era come se le sue certezze fossero tutte crollate all’improvviso.
“Che discorso drastico – mormorò Roy, scuotendo il capo – sono certo che non è davvero così”.
“Elisa è una dottoressa fantastica – rispose Vato con voce mesta – e io sarei il primo ad affidarmi alle sue cure se ne avessi bisogno. Se fossimo in città non ci sarebbe alcun problema, ma…”
“Ma…?”
“Roy, devo dire che mi sento uno stupido, non diverso da questi nostri compaesani. Per diverso tempo, dopo che abbiamo discusso, mi sono chiesto che male ci sarebbe nell’essere vista solo come mia moglie e non come dottoressa”.
E si sentiva davvero un mostro retrogrado, come se tutto quello che gli avevano insegnato i suoi genitori e quello che aveva vissuto nella sua giovane vita non fosse servito a niente. Un mostro retrogrado ed egoista.





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Eccomi qua, 
scusate il grande ritardo, ma dopo il Romics sono tornata e mi sono beccata le placche alla gola, un fatto che ha annullato totalmente la mia voglia di scrivere dato che deglutire era una sofferenza. Ma finalmente questo capitolo è riuscito a venire alla luce.
Per la gioia di Vincent arriva la moto in paese: ovviamente questo è solo l'inizio di una lotta senza quartiere tra il nostro rigido capitano ed il nostro irruento soldato Mustang. La sfida stile spaghetti western (tanto per citare Mary) è iniziata.
E poi andiamo a questioni più serie. Come avevo già detto ad alcuni di voi nelle recensioni, mi sono voluta dedicare un po' a Vato dato che era rimasto in disparte: sono riuscita ad introdurre una tematica che stava in sottofondo da tempo, ossia come il clima non proprio facile del paese stia in qualche modo influendo nella relazione consolidata tra lui ed Elisa.
Spero che il prossimo capitolo, proseguo di questo filone, non abbia tempi di attesa così lunghi xD
A presto :)

 
  
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