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Autore: Naki    14/04/2005    3 recensioni
Vediamo un po' se vi piacerà questa storia...è la prima che pubblico, ma di certo non è la prima che non ha senso! Almeno, non per me... Commentate e se potete spiegatemela!
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piove

Piove. Non finirà mai di piovere.

Il cielo è scuro, minaccioso, nuvole gravide d’acqua si scontrano generando elettricità. Le gocce che si infrangono contro i vetri della finestra sono grosse, e lasciano una lunga scia prima di unirsi alle altre compagne. Il vento scuote le mura, ulteriore manifestazione del temporale che sta imperversando sulla città.

Ma solo sopra il suo cielo le nuvole hanno deciso di svuotarsi. Tutto intorno alla città non vi sono tracce di pioggia, di vento, di tristezza. Sono solo in questa.

Perché solo in un palazzo di questa vi sono io.

Una ragazzina, una giovane donna, con in mano un coltello. Una singola candela è posata sul parquet, ricco di tappeti come in tutte le altre stanze dell’hotel. Solo che, mentre in tutte le altre le luci sono accese per sconfiggere con la tecnologia i bisogni della natura, nella mia tutto è spento, persino quel piccolo mozzicone destinato a morire dopo essere stato usato sino allo stremo. Ogni tanto vi è una piccola fiammella che lascia intravedere per qualche secondo i tratti del mio viso, ma dura poco. Il mio indice si brucia e soffro ogni volta nel vedere la luce. Eppure, lo devo fare.

Per l’ennesima volta, fissò attentamente le mie mani, in particolare i polpastrelli. Li guardò, attentamente, vedendo in essi altri milioni di mani. Ma questi, per magia, si accendono al mio solo volere. Ed ecco di nuovo una fiamma, distruttrice di utopie.

Adesso, con la luce, si vede chiaramente. L’entrata di una grotta, lì dove dovrebbe esserci la fine della stanza, nel punto dove fino a pochi secondi fa intravedevo i contorni del letto. Lo scintillio di qualcosa all’interno della grotta, nelle sue profondità. Dei rilievi sui bordi dell’entrata, antichi simboli geometrici la cui astratta bellezza è resa ancor più vivida dall’azzurro che li riempie. I mobili scomparsi, tutti, sostituiti dalla presenza di due uomini, posti ai margini della bocca di quel buco nero.

Faccio estinguere la fiammella, non mi serve in questo momento. Avverto chiaramente dietro di me, la presenza di un uomo.

Non lo vedo, riesco solo a percepirlo, sia attraverso i miei sensi, acuti come possono esserlo solo in una situazione di pericolo, sia attraverso il mio corpo, riscaldato dal suo. Non porta niente addosso, nessun vestito, nessun misero straccetto per poter nascondere la gioia che prova nel toccarmi. Niente. Ha solo la pelle, il sangue, i muscoli, che pian piano si avvicinano a me fino a trattenermi in una morsa.

Il suo intento è chiaro, e va contro i miei desideri, ma è del tutto inutile protestare con le sole forze del mio misero corpo. D’altronde il suo è già formato, esperto su come forzare una donna e anche su come non far sembrare il suo atto una costrizione, sapiente dei suoi desideri e dei mezzi per ottenerli.

Ed io, misera ragazzina, non posso far altro che rilassare tutti i muscoli del mio corpo e tenderli a sferrare un unico attacco, l’unico a me concesso.

Un solo colpo, alla vita.

Il coltello taglia l’aria vicino il mio fianco sinistro, deciso ad affondare in quello del mio avversario. Quello si sposta, più verso destra, un po’ più lontano dal mio coltello. Eppure, questo riesce nel suo compito.

Una sottile striscia di sangue rosso vivo scivola da un involontario taglio, che spicca sul mio fianco nudo. Un piccolo ritardo nella mia reazione, sufficiente però a risvegliarmi da quell’illusione.

Attorno a me, vi è solo aria. In fondo alla parete, vi sono solo i classici elementi degli arredamenti di un hotel. Il coltello è ancora stretto nel palmo della mia mano sinistra, il taglio si sta già rimarginando, andandosi ad aggiungere agli altri presenti a decine sulla superficie di quella pelle candida.

Controllo inconsciamente la mia ferita, non sporcherà la mia maglietta, il cui orlo sfiora la mia pelle appena un centimetro sopra quella striscia. Pulisco il coltello sul cotone della mia T-shirt, fino a rendere nuovamente continuo il riflesso della luna sul suo acciaio. Prendo il mozzicone della candela in mano, mi avvicino alla porta. Scorgo per un attimo il mio ritratto in uno specchio: insensibile a tutto. Adesso posso andare, anche oggi ciò che andava fatto l’ho fatto.

  
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