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Autore: Machaira    21/04/2017    2 recensioni
Dal secondo capitolo.
Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
[…] “Che cosa volete?” chiese secco.
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
(sempre) dal secondo capitolo.
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno, uno qualunque di voi, facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. […] Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Michonne, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: dato che lo scorso capitolo era piuttosto breve e questo ce l'avevo pronto, ho deciso di fare due aggiornamenti questa settimana - contrariamente a quanto faccio di solito - quindi se non avete visto il settimo capitolo correte a leggerlo, ci vediamo in fondo nell'angolo dell'autrice!
 
Capitolo 8
 
Rick era seduto su uno degli sgabelli della cucina e, impaziente, aspettava il trillo del campanello. Sentiva il vociare ovattato di un cartone animato arrivare dal salotto; Judith aveva costretto Carl a guardare un film con lei. Amava i suoi figli e gli faceva piacere vederli andare così d'accordo nonostante la grande differenza d'età. Judith era una bimba dolcissima ma allo stesso tempo vivace e sveglia, e Carl la assecondava quasi in tutto. Non sapeva dire se fosse dovuto dal fatto che erano rimasti solo loro due a prendersi cura della piccola, ma aveva preso molto seriamente la faccenda del fratello maggiore.
 
Dopo qualche minuto finalmente, suonarono al campanello. Quando aprì la porta si trovò davanti Beth che gli sorrideva e Daryl dietro di lei che si guardava la punta delle scarpe con le mani in tasca.
 
“Ciao, entrate!” li accolse, facendosi da parte per farli passare.
 
“Però, come siamo in tiro.” sorrise maliziosa la ragazza. In effetti si era vestito piuttosto elegante. Non che di solito andasse in giro come un barbone, ma quella sera aveva optato per un completo scuro e camicia bianca. Però niente cravatta, troppo formale.
 
“Già, per caso stai andando a fare un colloquio di lavoro come becchino?” esordì Daryl. Rick rispose con un sorriso finto e sarcastico, ma sotto sotto sembrava avere qualche dubbio.
 
“Tranquillo, stai benissimo.” lo rassicurò Beth “Ma ora vai; se arrivi in ritardo dovremo chiamare davvero le pompe funebri.” gli sorrise.
 
Sentirono uno scalpiccio di piedini sul pavimento e Judith si precipitò come una furia  nell'ingresso. “Beth!” la salutò saltandole in braccio.
 
“Judith!” sorrise alla bambina, stampandole un bacio sulla guancia.
 
“Papà sta uscendo, rimani con noi vero?” chiese la piccola guardando negli occhi la ragazza. Lei per tutta risposta annuì e la bimba si lasciò scivolare fino a terra. Si girò per salutare Rick quando si scontrò contro le gambe di Daryl. Un po' sorpresa alzò la testa e la inclinò da un lato. “E tu chi sei?” domandò curiosa.
 
“Lui è un nostro amico, Daryl.” rispose Rick. “Stasera rimarrà a farvi compagnia, d'accordo?”
 
“Vedremo.” disse con un sorrisino furbo.
 
Qualche istante dopo Rick li salutò. “Bene, è il caso che vada davvero. Se avete bisogno chiamatemi.” disse mentre si piegava sui talloni per baciare Judith. Scompigliò i capelli di Carl che nel frattempo li aveva raggiunti, e li salutò richiudendosi la porta alle spalle.
 
“Allora, avete già mangiato?” chiese Beth.
 
“Non ancora, ma papà ha fatto il sugo per la pasta!” rispose Judith correndo nella stanza affianco. Si diressero tutti quanti in cucina e cominciarono a preparare la cena.
 
§§§
 
Era arrivato sotto casa di Michonne con cinque minuti d'anticipo; aveva atteso in macchina impaziente fino alle sette e mezzo e poi aveva suonato al campanello. L'aveva sentita urlare “Arrivo!” da qualche parte dentro la casa e dopo pochi secondi era apparsa sulla porta. “Ciao.”
 
“Ciao.” aveva risposto lui, incantato dallo spettacolo che aveva davanti. Quella sera aveva optato per un paio di pantaloni neri che le fasciavano le gambe magre come una seconda pelle e una camicetta bianca piuttosto morbida. Era semplice ma... bellissima.
 
Dopo aver preso la borsa e il cappotto, erano saliti in macchina e si erano diretti al ristorante. Durante il tragitto avevano scambiato qualche parola sul traffico e poi erano rimasti in silenzio finché non erano arrivati a destinazione. Non era stato un silenzio imbarazzante; si conoscevano da tanto tempo ed erano sempre andati d'accordo. Ma, nonostante fosse un momento che aspettava da mesi, non era abituato a pensarsi in questi termini, ad averla affianco a sé, entrambi vestiti eleganti e non con la solita divisa monotona.
 
Da vero gentiluomo scese ad aprirle la portiera e quando entrarono al ristorante le tenne la porta aperta. Lei non disse nulla, ma gli riservò un sorriso leggero per ringraziarlo. Il cameriere li condusse al tavolo che aveva espressamente richiesto. Non era così sfacciato da portarla in un posto isolato da tutto e da tutti, ma non voleva stare nel centro della sala dove chiunque avrebbe potuto disturbarli.
 
“Allora, sai già cosa prendere?” le chiese.
 
“Ho sentito dire che la fiorentina è molto buona. Ma pensandoci bene anche il riso non deve essere male...” rispose facendo scorrere lo sguardo sul menù. “Tu?”
 
“Assolutamente il riso.” le sorrise “È uno dei miei piatti preferiti.”
 
“Allora io prenderò la bistecca.” gli disse in tono furbo ma con una nota di dolcezza che non era abituato a sentire.
 
Dopo qualche momento di imbarazzo si erano sbloccati e la cena era proseguita a gonfie vele. Complici il buon cibo, il vino, le luci calde e leggermente soffuse, e non di meno la buona compagnia, avevano chiacchierato di tutto e di nulla per ore. Era una donna intelligente e forte; la ammirava per questo. Man mano che avevano parlato aveva scoperto che era anche sagace, pronta alla battuta, decisa sulle sue idee, spiritosa e indubbiamente così... donna. Una donna con la D maiuscola. Aveva qualcosa nel modo di parlare che lo faceva sentire come non gli capitava da troppo tempo.
 
Ma ancora più di tutto, la cosa che lo aveva incantato era il sorriso. In ufficio non era abituato a vederlo; di solito stirava le labbra in una smorfia gentile, ma non le arrivava mai fino agli occhi. Quando invece avevano parlato di qualcosa che nemmeno ricordava ed era scoppiato a ridere, lei lo aveva seguito mostrando un sorriso a trentadue denti che le aveva illuminato il viso. Rick era rimasto talmente ammaliato e si era dimenticato di quello che gli stava attorno. Aveva dimenticato persino di ridere; era rimasto a fissarla con gli occhi incatenati nei suoi e una strana sensazione nel petto.
 
§§§
 
“Fine!” urlò Judith quando tutto lo schermo si fece scuro e partirono i titoli di coda.
 
“Bene signorina, adesso a nanna.” disse Beth alzandosi dal divano e spegnendo il televisore.
 
“No, Beth... non ho sonno.” rispose la piccola, smentendosi immediatamente sbadigliando e stropicciandosi gli occhi.
 
“Sono già le nove e mezza, chi lo sente papà? Se vuoi ti racconto una storia, ma solo un po'.” le sorrise.
 
Nel frattempo stavano già andando su per le scale e Carl e Daryl sentirono le due parlare in lontananza finché non si chiusero la porta della cameretta di Judith alle spalle.
 
“Sei il suo ragazzo?” chiese Carl a bruciapelo dopo qualche minuto di silenzio. Daryl era talmente sorpreso che per un momento non riuscì a fare nulla se non fissarlo pietrificato.
 
“No.” rispose alla fine incolore “Perché?”
 
“Be, non ha mai portato nessuno e quando papà ha detto che sei un amico pensavo quel tipo di amico.” disse con tono ovvio.
 
“No, non sono un amico.” ribatté deciso.
 
“E quindi che ci fai qui?” chiese curioso “Non fraintendermi, non ti sto cacciando. Mi stavo solo chiedendo quale fosse il tuo scopo stasera.”
 
“Il mio scopo?” ghignò Daryl “Chiedilo alla tata, è lei che mi ha trascinato qui per lavorare. E intendo davvero lavorare.” specificò.
 
“Quindi è lei ad avere uno scopo.” sorrise furbo di rimando; lui ci rimase di sasso, ma non rispose nella speranza che non riprendesse a parlare. Restarono in silenzio per una decina di minuti finché non tornò Beth.
 
“Eccomi, dovrebbe essersi addormentata.” sussurrò.
 
“Io vado in camera allora, ciao.” li salutò Carl salendo a sua volta le scale, diretto al piano di sopra.
 
Beth si sedette accanto a Daryl sul divano, rivolta verso di lui con le gambe incrociate. Lo studiò per un attimo, con attenzione.
 
“Non sai che è maleducazione fissare le persone?” le chiese lui lanciandole un rapido sguardo.
 
“Tutto bene?” domandò, cambiando argomento.
 
“Mh-m.” borbottò in assenso.
 
“Carl ti ha detto qualcosa?” gli chiese e quando non rispose, spiegò. “Ho visto che ti ha lanciato qualche occhiata... guardinga durante la serata. Niente di male, ma...”
 
“No, non ha detto niente.” mentì.
 
“Ok.”
 
Rimasero per un po' in silenzio, lei presa a guardarlo e lui con lo sguardo fisso sul pavimento. Si sentiva osservato, ed era una cosa che gli dava fastidio. Solitamente non capitava mai per esaltare le sue qualità e ogni volta che accadeva si sentiva formicolare la nuca nervosamente. Si schiarì la gola e attirò la sua attenzione. “Non siamo qui per lavorare?”
 
“Uh? Sì... sì, giusto. Vado a prendere il cartellone.” rispose lei scattando in piedi.
 
Non avevano iniziato nemmeno da dieci minuti che uno scalpiccio li avvertì dell'arrivo di Judith.
 
“Beth?” chiese con una vocina “Ho fatto un brutto sogno...”
 
Andò avanti così per una mezz'ora: prima aveva fatto un brutto sogno, poi le scappava la pipì e infine le era venuta sete. E proprio quando Judith era in cucina a bere, Beth si era affacciata nel salotto ed aveva sussurrato a Daryl “Questa è tutta colpa tua!”
 
Lui l'aveva guardata stranito e le aveva chiesto “E io cosa c'entro?”
 
“Lo sai. O vuoi che dica a Rick di come sei riuscito a sedurre anche una bambina di tre anni?” Lei sparì di nuovo in cucina, mentre Daryl rimase pietrificato sul posto. Cosa voleva dire esattamente quell'anche?! Anche?! Come anche?! A chi cazzo si riferiva?! Di certo non poteva parlare di sé! Giusto?
 
I suoi pensieri furono interrotti dalle due, che tornarono in salotto. Beth si sedette sul divano accanto a lui e, con in braccio Judith, iniziò a cullarla. Ad un certo punto, forse anche inconsciamente, aveva iniziato a cantare una melodia senza nemmeno prestare attenzione alle parole. Dopo pochi istanti le diede una leggera gomitata e quando si girò verso di lui, le sussurrò: “Che fai?”
 
“Non vuole addormentarsi, vediamo se stando qui ce la faccio.” gli rispose avvicinandosi al suo orecchio e parlando a voce bassa.
 
Tutto quello che riuscì a pensare in quel momento non era che aveva sprecato la serata, dato che non stavano lavorando (non che gli dispiacesse) e nemmeno che, per giunta era intrappolato in casa di un dannatissimo sbirro con la prole di questo.
 
Quando si era avvicinata a lui in un gesto così intimo lo aveva pietrificato, ed era rimasto semplicemente immobile ad osservarla. Le note della canzone accompagnarono i suoi pensieri per qualche minuto. Esattamente, da quanto non si sentiva come in quel momento? Guardando Beth e la piccola tra le sue braccia riusciva solo a pensare che fossero la cosa più bella che avesse mai visto. Poi, come un fulmine a ciel sereno, quell' “anche” lo aveva colpito di nuovo. Doveva allontanarsi da lì.
 
“Vado al cesso.” disse scappando su per le scale.
 
“Daryl, la bambina!” lo sgridò.
 
Al piano di sopra intanto, in una delle stanze più piccole, un ragazzino di diciassette anni si era comodamente sdraiato in boxer sul letto con il computer sulle gambe e i fazzoletti alla mano. Era tutto pronto: aveva puntato la sveglia e aveva già fatto lo zaino; poteva rilassarsi tranquillamente. Si mise gli auricolari e fece partire il video.
 
Dopo quaranta minuti il letto era pieno di fazzoletti usati e lui stava tremando mentre osservava lo schermo con gli occhi sbarrati. Era proprio alla fine quando la porta si spalancò ed entrò Daryl.
 
“Ehi. A quanto pare l'unico che aveva uno scopo stasera eri tu.” gli disse sorridendo malizioso.
 
Carl aveva capito esattamente quello che intendeva Daryl, e si sbagliava di grosso. Solo che il suo orgoglio di uomo non poteva ammettere che stava guardando l'episodio di Grey's Anatomy in cui moriva il Dottor Shepherd e che tutti quei fazzoletti erano sparsi sul letto perché aveva pianto come una fontana. Così senza rispondere niente chiuse il computer e si mise una maglietta che aveva lasciato ai piedi del letto. Che credesse quello che voleva.
 
“Come mai non sei giù con Beth?” domandò, sviando il discorso.
 
“Ti sto sulle palle, ragazzino?” chiese un po' bruscamente Daryl tirandogli un'occhiataccia alla quale Carl scoppiò a ridere.
 
“No, ma se io fossi in te e avessi una ragazza carina come Beth al piano di sotto non starei... be, con me.” sorrise furbescamente.
 
“Tua sorella non vuole dormire.” Fece vagare lo sguardo per la stanza e vide una bomboletta di vernice tra il letto e il comodino. “E quella? Sei un vandalo?” lo sfotté.
 
Carl seguì con lo sguardo quello che aveva puntato l'uomo di fronte a lui e fece una smorfia. “No... come faccio con papà? Il figlio di un vicecapitano che imbratta i muri? Non sono un vandalo, ma mi piace fare graffiti. Solo che... raramente trovo su dove disegnare.” rispose mesto.
 
“Ah sì? Quante ne hai?” domandò incuriosito Daryl indicando lo spray.
 
“Non lo dirai a papà, vero?”
 
“Sono una tomba.” si avvicinò sedendosi accanto a lui, mentre il ragazzo tirava fuori da sotto al letto una scatola di legno che una volta aperta si rivelò piena di bombolette, barattoli di vernice e pennelli. “Forse ho un'idea.”
 
Al piano di sotto intanto, Beth si chiedeva dove fosse Daryl; “Ma è andato in Nebraska?!” pensò tra sé e sé. Intanto Judith non voleva proprio addormentarsi. Era come un bambino con un giocattolo nuovo. E lo era davvero, ma pensare a Daryl come il suo giocattolo...
 
Meglio allontanare certi pensieri. La casa era immersa nel silenzio e se fossero andati avanti così si sarebbe addormentata prima lei della piccola. All'improvviso sentì il rumore di un mobile trascinato che grattava sul pavimento. Ma che cosa stava combinando Carl?
 
Dopo qualche istante sentirono le porte che continuavano ad aprirsi e chiudersi, clangore di oggetti sbattuti tra loro. Ma che stavano facendo?! Prese Judith in braccio, che tanto era sveglia, e si diresse su per le scale. Arrivata sul pianerottolo vide Carl che, inutilmente, camminava piano piano diretto verso la camera di Rick.
 
“Ma cosa sta succedendo qui?” chiese aprendo la porta della stanza. La cassettiera appoggiata al muro di fronte al letto era stata addossata sotto la finestra, la parete era delimitata da strisce di scotch di carta e il pavimento era coperto da un telo di plastica che arrivava fino ai piedi del letto. Quasi le venne un infarto quando guardò la parete e vide che Daryl stava passando un rullo su tutto il muro, colorandolo di azzurrino.
 
“Cosa. State. Facendo?!” urlò mentre Judith si faceva scivolare a terra.
 
“Una sorpresa per papà.” rispose prontamente Carl “Judith, ci aiuti?” la bambina esultò entusiasta “Però devi promettere di non dire nulla, sennò non è più una sorpresa!” chiarì lui.
 
“Promesso!” disse allungando il mignolo verso di lui. Carl sorrise, lo strinse e la accompagnò in cameretta a cambiarsi.
 
“Daryl ma sei impazzito?” lui si voltò e lei quasi non poté credere ai suoi occhi. Anche lui si era cambiato e probabilmente Carl doveva avergli dato qualcosa di Rick. La camicia infatti, nonostante cadesse giusta in vita, era un po' stretta sulle spalle e aveva lasciato aperti i primi tre bottoni in modo che non tirasse. Indossava anche un paio di jeans, mentre le scarpe e i calzini erano accanto al letto. Era troppo bello per essere vero.
 
“Piccola vendetta.” le strizzò l'occhio tornando a dipingere; poi, sempre dandole le spalle, aggiunse “Perché non ti cambi anche tu?”
 
Beth sapeva che le stava semplicemente chiedendo di dipingere con loro, qualunque cosa stessero per fare, ma posta così non aveva potuto evitare di arrossire leggermente.
 
“Sì, cerco qualcosa.” rispose.
 
Per fortuna poco dopo tornò Carl e lasciò a lui il compito. “Puoi mettere questa.” le disse porgendole una salopette bianca con qualche macchia di vernice qua e là. “È di papà, ti starà un po' larga ma lui non ha voluto metterla. "Troppo da fighetto"” fece il verso a Daryl.
 
“Va benissimo.” sorrise lei prendendola.
 
Quando era uscita dal bagno indossava la canottiera che aveva sotto il maglione e la salopette, che le stava inevitabilmente lunga sulle gambe e larga sul petto. Sembrava Cucciolo dei sette nani; come una bambina che per sentirsi grande mette i vestiti della mamma. Infatti l'avevano presa in giro per un po', ma poi presi dall'euforia per quel mare di colori, pennelli e bombolette se ne erano dimenticati e avevano iniziato a dipingere.
 
§§§
 
La cena si era conclusa. Verso mezzanotte erano usciti e avevano passeggiato un po' per il quartiere, continuando a chiacchierare. Poi, oltre che per la stanchezza e il freddo, Rick non aveva potuto evitare di pensare a dove sarebbero potuti andare. Non poteva portarla a casa sua perché c'erano i bambini e dato che lei non aveva menzionato casa sua, lui non si era sognato di chiederglielo.
 
Così alla fine avevano optato per un "territorio neutrale": la centrale. A quell'ora c'erano i ragazzi del turno di notte, ma tranne chi aveva già qualche lavoro da fare, di solito se ne stavano tutti a sfondarsi di patatine e serie tv. Così erano risaliti in macchina, lasciandosi cullare dal tepore del riscaldamento e dal dondolio dell'auto che andava per le strade.
 
Arrivati alla centrale Rick lasciò andare avanti Michonne e dopo una decina di minuti la seguì. Bastò un saluto all'agente al bancone d'ingresso e quello gli fece un cenno con la mano senza nemmeno alzare la testa. Andarono in sala relax; solo quando si chiusero la porta alle spalle accesero la luce e si diressero verso il frigorifero.
 
“Qui Abraham tiene la sua scorta di birre, non ci ammazzerà se gliene rubiamo un paio.” le disse Rick. Sapeva che le piaceva la birra, e dopo un quarto d'ora passato a cercare il cavatappi gliene passò una, sedendosi sul divano sfondato che qualcuno doveva aver trovato a un mercatino e gentilmente regalato al distretto.
 
“Chi ti tiene i bambini?” gli chiese lei ad un certo punto.
 
“Beth. E Daryl, solo per stasera.” rispose.
 
“Mi sorge spontanea una domanda a questo punto: saranno loro a badare ai tuoi figli, o i tuoi figli che baderanno loro?” sorrise.
 
“Hai ragione!” rise “Probabilmente la più coscienziosa di tutti è Judith. E in ogni caso ha davvero un bel caratterino; li farà rigare dritti.”
 
Erano rilassati sul divano quando sentirono un rumore provenire dal piano di sotto. Entrambi si tesero come corde di violino e si guardarono negli occhi. Che fossero agenti? Ma tutte le luci erano rimaste spente. Doveva essere qualcuno a cui interessava qualcosa in archivio; magari una spia o gli uomini di un boss. Annuirono e spensero la luce. Non avevano le pistole, ma non c'era molto che potessero usare come arma lì dentro. Così Rick prese una padella appoggiata al piccolo piano cottura e Michonne una mazza da baseball.
 
Lentamente scesero di sotto e controllarono il secondo piano. Passando accanto all'archivio sentirono lo stesso rumore di poco prima. Aspettarono pochi secondi e poi Rick spalancò la porta, mentre Michonne accendeva la luce, sempre con la mazza brandita davanti a sé.
 
Quando videro il loro intruso abbassarono lentamente le loro 'armi' e dopo essersi fissati basiti per un momento, scoppiarono a ridere. Davanti a loro c'era un gattone rossiccio che, oltre ad aver fatto cadere un paio di raccoglitori, stava annusando in lungo e in largo alla ricerca di qualcosa.
 
Gli si avvicinarono e dopo qualche minuto di diffidenza, quello si lasciò prendere da Michonne che a quel punto poté metterlo sul davanzale e richiudere la finestra che qualche sbadato doveva aver lasciato aperta.
 
Uscirono dall'archivio e dopo un sospiro di sollievo, si guardarono negli occhi e scoppiarono di nuovo a ridere. Rick si sentiva bene; aveva la testa leggera probabilmente a causa dell'alcool - non lo reggeva proprio, non c'era nulla da fare -, era con una donna bellissima e aveva tremendamente voglia di baciarla. Ancora ridendo si avvicinò a lei e quando vide i suoi occhi spalancarsi si fece serio per un momento. Si avvicinò lentamente, e le lasciò il tempo di tirarsi indietro. Non voleva costringerla o metterle fretta. Se avesse voluto avrebbe potuto spostarsi, fermarlo o anche mollargli uno schiaffo. Ma non fece niente di tutto ciò.
 
Quasi con timore rispose al bacio che le stava dando. Le posò le mani suoi fianchi e la avvicinò un po' più a sé. Dopo un momento anche lei alzò le braccia, mettendo le mani dietro al collo e accarezzandogli i piccoli ricci alla base della nuca. Rick mugugnò soddisfatto e in quel momento si allontanarono un po', guardandosi negli occhi. Era stato un bacio dolce, lento; un leggero sfiorarsi di labbra.
 
Abbassando la testa, posò la fronte sulla sua e, dopo un sospiro, tornò a guardarla negli occhi. Non seppe per quanto rimasero così, ma ad un certo punto entrambi si riavvicinarono e, stringendosi più forte, ripresero a baciarsi con più trasporto.
 
Intanto Rick iniziò a dondolare all'indietro finché non sentì il pomello di una porta puntellargli la schiena. Dalla stanza alle sue spalle non proveniva alcuna luce, segno che di chiunque agente fosse, non era di turno al momento. Allontanò una mano dalla schiena della donna e aprì la porta dietro di sé, trascinandola con sé nella stanza e richiudendosi la porta alle spalle. Dopo essersi tolti in malo modo i giubbotti, barcollarono verso la scrivania e lui la sollevò facendola sedere sul piano.
 
Senza smettere di baciarsi, Michonne portò le mani sul petto di Rick e cominciò a slacciargli i bottoni della camicia, che poi gli tolse, facendola scivolare a terra. A sua volta lui cominciò a sbottonarle la camicetta e si allontanò quel tanto che bastava per sfilargliela dalla testa. Così come i cappotti, finì da qualche parte lì attorno.
 
Quando sentirono la mancanza d'ossigeno, si separarono con il fiato corto e Rick scese sul collo eburneo di lei, lasciandole piccoli baci fino alla spalla. Di riflesso, si trovarono più stretti di quanto non fossero stati prima, e a lui quasi mancò il respiro quando la sentì così vicina.
 
Tornò a guardarla. Voleva lasciarla decidere. Non le disse nulla, ma la domanda era ben chiara nei suoi occhi. Lei lo guardò a sua volta con quello sguardo così intenso e profondo, gli posò le mani ai lati del viso e lo attirò a sé.
 
§§§
 
Dovevano fare solo qualche ritocco alla loro opera, intanto Judith aveva finito la casetta che aveva disegnato in uno degli angoli e si annoiava. Camminando qua e là era finita su un pennello pieno di pittura verde, appoggiato a terra e aveva lasciato la sua impronta colorata per tutto il telo. Visto quello che aveva creato si era esaltata e dopo aver intinto i piedini nella vernice corse nella parte di muro libera tra la porta e l'armadio e, sdraiatasi a terra, iniziò a stampare le sue impronte per tutta la base del muro.
 
“Guardate!” aveva urlato ridendo, richiamando l'attenzione di tutti. Quando l'avevano vista Daryl aveva sorriso sotto i baffi, Carl si era precipitato a intingere anche i suoi piedi nella vernice e preso il posto della sorellina aveva fatto una colonna che andavano verso l'altro. In tutto ciò, Beth stava per collassare al suolo.
 
“No, ragazzi! Già una parete è tanto, ma così vostro padre ci ammazza! Mi ammazza!” cercò di fermarli, invano.
 
“Beth, guarda che bello! Sembra quasi un albero! Tu e Daryl che siete alti potete fare le foglie!” saltellò entusiasta la piccola, guardandola con gli occhi dolci. Nessuno resisteva a quella smorfia che faceva, mettendo il labbro in fuori e spalancando gli occhi grandi.
 
“Sì Beth, ha ragione lei; ormai è fatta.” concordò Carl. Ormai si era arresa.
 
“Dai Daryl! Vieni anche tu!” disse la bambina, afferrandogli le mani e trascinandolo di fronte alla nuova creazione. “Fai le foglie con Beth?” gli chiese riproducendo perfettamente la stessa espressione con cui aveva convinto Beth.
 
Dopo pochi secondi entrambi avevano i palmi pieni di vernice e stavano tappezzando di mani la parte alta della parete. Lo spazio a disposizione non era molto, anche perché poco più in là finiva il telo di protezione che avevano steso a terra, così si videro costretti a stare uno dietro l'altra. In men che non si dica Beth si trovò bloccata tra Daryl e il muro. Si sentiva pizzicare la nuca e i brividi correre giù per la schiena. Lo sentiva sfiorarle le braccia, e i fianchi quando lasciava qualche impronta più in basso rispetto alle altre.
 
Per un momento pensò di averlo infastidito perché entrambi avevano posato la mano quasi nello stesso posto ed era uscita un'impronta che sembrava unica, non fosse che si distinguevano i colori. La piccola mano rossa di Beth era affiancata da metà mano azzurra di Daryl. L'altra metà era rimasta impressa sul dorso di quella della ragazza. Purtroppo o per fortuna, quel momento non durò più di una decina di minuti e quando la parete fu piena di mani colorate si allontanarono.
 
Beth immobilizzò sul posto i bambini e schizzò fuori dalla stanza per tornare con una spugna e un paio di asciugamani. Li costrinse a pulirsi e solo allora li lasciò liberi di andare dove volessero. Lei e Daryl intanto si erano messi a rifinire qualche dettaglio del dipinto sulla parete grande. Più che altro era stato un dipingersi fra loro. Quando erano arrivati quasi alla fine lei aveva fatto ondeggiare con noncuranza il pennello verso di lui e gli aveva sporcato la camicia. Lui si era girato per un attimo, ma poi aveva nascosto tutto quello che gli passava per la testa voltandosi di nuovo verso il muro. Solo la terza volta che Beth chiese “Penso sia finito, no?”, macchiandolo di nuovo, aveva reagito.
 
Si era girato verso di lei e l'aveva sporcata di vernice blu sulla punta del naso e aveva risposto “Adesso sì.” con un sorrisino soddisfatto.
 
Lei l'aveva guardato fintamente offesa, trattenendo a mala pena un sorriso. “Come hai potuto?” gli chiese puntandogli contro il suo pennello.
 
“Hai iniziato tu.” ribatté lui, con un lampo di divertimento negli occhi.
 
“Non so di cosa tu stia parlando.” e dicendolo aveva ondeggiato il pennello esattamente come aveva fatto prima, sporcandolo di nuovo.
 
“Sì, eh?” domandò retorico lui. Senza il minimo preavviso le prese il polso, che lei aveva allontanato per non lasciargli la sua unica arma. A quel punto tutti i movimenti per tentare di liberarsi erano stati inutili, anche perché l'altezza giocava a suo sfavore. Ma nonostante fosse evidentemente molto forte, non le stava facendo male. Così, tentò il tutto e per tutto, e in una mossa azzardata ruotò su sé stessa, dandogli le spalle e abbassandosi sui talloni.
 
Aveva ragione, non le aveva fatto male. Quando si era voltata, lui aveva lasciato che il suo polso girasse libero nella sua mano e quando si era abbassata, lui l'aveva seguita, tentando solo di sbilanciarla.
 
Erano chinati da qualche minuto, e cominciava a sentire i muscoli in tensione. Le sembrava di giocare a twist. Per tutto il tempo lei aveva riso; lui invece no, ma poteva percepirlo stranamente rilassato e avrebbe giurato di avere visto un sorrisino spuntagli sulle labbra quando si era girata.
 
“Daryl, non è il caso di lasciare?” chiese lei voltando il viso verso il suo.
 
“Molla tu se vuoi, io ho tutto il tempo.” rispose, e le sembrò quasi di sentirlo sorridere.
 
“Mai.” ribatté lei. Ma non andò esattamente così, anche perché dopo due secondi persero l'equilibrio e crollarono entrambi sul pavimento. Beth cacciò un urletto di sorpresa e poi scoppiò a ridere di nuovo.
 
“Be menomale.” disse “Non te l'avrei data vinta, ma non so per quanto avrei resistito.”
 
Si rialzarono e notarono qualcosa di strano. C'era molto silenzio. Troppo silenzio. Si voltarono verso il lettone e solo a quel punto videro i bambini sdraiati. Carl era a pancia in su, con i piedi a penzoloni dal letto, e teneva una mano sullo stomaco, su cui era appoggiata Judith, tutta rannicchiata. Sembravano due angeli. Sembravano.
 
“Li portiamo a letto?” le domandò Daryl a bassa voce. Si era stupita della sua attitudine con i bambini. Non pensava che se li sarebbe mangiati, ma nemmeno che ci andasse così d'accordo, che fosse così portato. Anche durante la cena, Judith aveva fatto qualche capriccio per finire di mangiare e senza che nessuno chiedesse nulla, lui aveva preso la forchettina della bimba e l'aveva imboccata. Si era sentita una strana sensazione allo stomaco che non era riuscita a spiegarsi, e ora era tornata.
 
“No, sono le... le due! Lasciamoli dormire ora che sono calmi.” rispose, cominciando a ordinare i barattoli di vernice. In poco tempo misero a posto, tolsero lo scotch dal muro e rimossero il telo, appallottolandolo per non far uscire le gocce di pittura che erano cadute durante la loro sessione estrema di arte. Portarono la vernice e le bombolette in camera di Carl e buttarono il resto. Presero vestiti e scarpe, e tornarono al piano di sotto.
 
Avevano deciso che Carl e Judith avrebbero fatto la doccia il mattino dopo, ma per ottimizzare i tempi, loro si cambiarono e si diedero una ripulita subito, nonostante la stanchezza.
 
Verso le tre si trovarono entrambi seduti sul divano, con le teste che ciondolavano dal sonno. Beth aveva il gomito appoggiato al bracciolo e si reggeva la testa con una mano, mentre Daryl era affianco a lei, con il capo all'indietro. 
 
“Grazie per avermi dato una mano stasera.” gli disse ad un certo punto, con lo sguardo fisso in avanti. Lui si voltò verso di lei, non sollevando comunque la testa dal cuscino. Per tutta risposta annuì e poi chiuse gli occhi.
 
“Sai, sei bravo. Non pensavo fossi così, e invece ti adorano. Dovresti soffiarmi il posto e diventare tu il babysitter dei Grimes. Anche se probabilmente Rick si troverebbe la casa ridotta come la stazione dei treni nel giro di due settimane.” sorrise leggermente, impigrita dal sonno che incombeva sugli occhi. Dopo qualche istante sentì accanto a lei un respiro profondo e regolare, e cullata da quella ninna nanna si addormentò.
 

Angolo autrice:
Eccoci alla fine dell'ottavo capitolo! Spero di essermi fatta perdonare per la brevità di quello scorso e anche per la "calma" che ne costituiva il leitmotiv. Finalmente la famosa cena tra Rick e Michonne ha avuto luogo e cosa non è successo a quei due! D'altra parte anche in casa Grimes si respira un certo... je ne sais quoi. Ringrazio come sempre chi recensisce e chi ha aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate. Fatemi sapere che ne pensate, a settimana prossima!
·Machaira·
   
 
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