Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: _Pulse_    23/04/2017    2 recensioni
Levi si fermò con le spalle addossate contro il legno massiccio della porta e guardò Eren riposare sotto le lenzuola candide, con delle bende avvolte intorno alla testa e ciocche dei suoi disordinati capelli castani sparse sul cuscino. Era un'immagine così serena e pacifica, tanto bella da stringergli il cuore nel petto.
Com'era arrivato a quel punto? Come aveva potuto permettersi di affezionarsi, addirittura di innamorarsi di un moccioso come quello?
[ErenxLevi - Post Season 1]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
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Ok, no, prima che iniziate a farmi la predica... lo so. Lo so! Non posso fare questa vita - passare da un fandom all'altro, ossessionarmi in questo modo e scrivere... cose - ma che posso farci?
Beh, se siete giunti fin qui, avrete ormai capito che la nuova fissa è L'Attacco dei Giganti o, ad essere del tutto onesti, Levi. Lo adoro troppo (specie quando è con Eren) e quindi vi avviso già che maggior parte di questa storia è sotto il suo pov.
Che altro dire? E' molto introspettiva e ci sono un sacco di punti interrogativi, fin troppi, ma è uscita così. Spero che piaccia tanto quanto piace a me, ma liberissimi di dirmi che è una schifezza e che non ho capito nulla dei personaggi. D'altronde ho finito di vedere la serie l'altro giorno e non ho avuto modo di elaborare molto: questo è il risultato della foga e della depressione post season 1. 
Aspetto di sapere che ne pensate! ;)
Buona lettura!

Vostra,
_Pulse_


Disclaimer: il manga e l'anime non mi appartengono e questo scritto non ha alcuno scopo di lucro.


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PURPOSE


Mikasa uscì dalla stanza del castello assegnata ad Eren, in via del tutto eccezionale, perché si riprendesse dal suo ultimo estenuante combattimento sotto forma di gigante. Ne era felice, ma il fatto che non fosse stato segregato nei sotterranei, come d'abitudine, l'aveva stupita e messa in allerta. Chi l'aveva permesso? E perché?
Tra le mani teneva il vassoio su cui solo dieci minuti prima c'era la colazione del ragazzo, adesso completamente vuoto. Se avesse potuto, probabilmente Eren avrebbe mangiato pure la scodella della zuppa.  

Una volta chiusasi con delicatezza la porta alle spalle, un movimento impercettibile agli occhi dei più catturò la sua attenzione. Si fermò in mezzo al corridoio dal soffitto a volta e senza girarsi rimase in ascolto. A quel punto non aveva più senso nascondersi e il Capitano Levi si staccò dalla parete dietro l'angolo per avanzare fino a lasciarsi illuminare le scarpe tirate a lucido dal sole dell'alba.
Mikasa non era una sua fan sfegatata, ma non poteva fare a meno di notare quanto i loro caratteri si somigliassero: entrambi composti e distaccati, quasi freddi; entrambi disposti a tutto per proteggere le persone a cui tenevano, disposti anche a rinunciare a se stessi.
L'uomo che aveva alle spalle era la rappresentazione di ciò che la attendeva se avesse fatto carriera, se avesse continuato a guardare i suoi compagni - i suoi amici - morire nei modi più strazianti. Un uomo dedito alla causa, capace di estraniarsi completamente da ciò che era nel momento del bisogno, di diventare una vera e propria macchina assassina.
Mikasa sapeva che era inevitabile, eppure ne era spaventata. Non voleva diventare così, non voleva pestare brutalmente un ragazzo diverso e al contempo innocente perché a rigor di logica era il modo migliore per assicurarsene la custodia; non voleva rinunciare alla poca umanità che le era rimasta - requisito fondamentale per porre fine alla cattività del genere umano, secondo Armin - e non provare più l'unico sentimento che la faceva sentire viva, viva davvero: l'amore.
Fissò il Capitano Levi con la coda dell'occhio, domandandosi perché fosse lì. Non aveva altro a cui pensare? Con il Comandante Erwin ancora sotto interrogatorio, le sorti del Corpo di Ricerca in bilico ed Annie rinchiusa nel suo bozzolo di diamante... perché si era spinto fino alla stanza di Eren?
La risposta fu come un fulmine a ciel sereno e Mikasa impiegò qualche secondo di troppo a convincersi che no, non c'erano altre spiegazioni.
Il Capitano Levi provava ancora dei sentimenti, sotto quella sua facciata di stoica impassibilità e cinismo. Nasconderli, fingere di non essere legato a niente e nessuno, era l'unico modo per sopravvivere in quel mondo crudele e ciononostante bellissimo. E la bellezza, Mikasa lo sapeva bene, non poteva essere ignorata a lungo.
Ricordò le volte in cui il Capitano Levi aveva salvato la vita di Eren. Alcune le erano state raccontate, mentre ad altre aveva assistito in prima persona, come quando da solo aveva abbattuto due giganti poco prima che li schiacciassero nei pressi della breccia richiusa dal ragazzo-titano; oppure quando il gigante dalle fattezze femminili era riuscito a tenerlo per un po' in ostaggio tra le sue fauci. (In quell'occasione aveva salvato anche lei, ferendosi oltretutto, ma dubitava che l'avesse fatto per simpatia). O ancora, la più recente, quando aveva estratto Eren dal suo corpo da gigante prima che inghiottisse Annie.
Ora che aveva finalmente collegato i puntini non poté fare a meno di chiedersi se in realtà non fosse intervenuto per paura che il castano si perdesse in quella specie di fusione di corpi a cui avevano assistito.

È stato lui a far sì che non venisse rinchiuso in quella cella buia e sporca. Lui lo ama, ammise finalmente a se stessa, e ciò che provò non fu rabbia, né gelosia. Provò qualcosa di ben diverso, qualcosa di quasi impensabile: sollievo. Se Eren non poteva essere suo - erano cresciuti come fratello e sorella, anche se lei era sempre sul punto di oltrepassare quel confine sottile - allora il Capitano Levi era la persona giusta: era l'unico che poteva proteggerlo come avrebbe fatto lei, l'unico che con la sua forza sarebbe stato in grado di sostenerlo nei momenti più difficili.
Mikasa si voltò di tre quarti per guardarlo meglio negli occhi e non ci fu bisogno di parole: gli rivolse un rispettoso cenno d'assenso, dandogli la propria benedizione. Non si aspettava che il Caporale capisse, ma come al solito l'aveva sottovalutato. Ricambiò il suo gesto, chiudendo persino gli occhi, e poi sotto lo sguardo della ragazza avanzò a passo sicuro, zoppicando solo leggermente nonostante il dolore alla caviglia rotta dovesse essere insopportabile, ed entrò nella stanza di Eren.

***

Levi si fermò con le spalle addossate contro il legno massiccio della porta e guardò Eren riposare sotto le lenzuola candide, con delle bende avvolte intorno alla testa e ciocche dei suoi disordinati capelli castani sparse sul cuscino. Era un'immagine così serena e pacifica, tanto bella da stringergli il cuore nel petto.
Com'era arrivato a quel punto? Come aveva potuto permettersi di affezionarsi, addirittura di innamorarsi di un moccioso come quello?
Si allontanò dalla porta per avanzare ancora, silenzioso come un'ombra, fino a sedersi sulla panchina posta accanto al letto. Diede le spalle ad Eren e con le mani afferrò il bordo della panca, gettando la testa all'indietro e lasciandosi illuminare il volto dal sole del mattino che filtrava dalle tende trasparenti, mosse da un vento leggero.
Avrebbe dovuto prestare molta più attenzione, d'ora in avanti. Mikasa non aveva l'acume di Armin, bensì un istinto molto più primordiale, simile al proprio, che le aveva permesso di capire immediatamente il motivo della sua presenza in quell'ala del castello. Negare non avrebbe avuto senso, Levi lo sapeva, e nonostante non la reputasse una spia non poteva permettere che qualcun altro scoprisse i suoi reali sentimenti per Eren. Specialmente lui, il ragazzo-titano.
Voltò il capo per guardare il suo petto alzarsi ed abbassarsi regolarmente e le sue mani abbronzate, prive di qualsiasi cicatrice, abbandonate lungo i fianchi.
Le aveva morse così tante volte, per loro... e Levi era consapevole che era necessario e che sarebbero tornate come nuove, ma ogni volta non aveva potuto fare a meno di sentirsi male per lui, sotto sotto.
Quelle mani che avrebbe voluto stringere tra le proprie, accarezzarne ogni linea sui palmi e baciarle fino a quando non avesse imparato a riconoscerle ad occhi chiusi...
Una folata di vento più forte delle altre portò all'interno della stanza il profumo dolce dei fiori posati sul davanzale e Levi strinse le labbra in una linea sottile, chiedendosi chi li avesse portati. Mikasa non sembrava il tipo. Arlert, forse? Ad ogni modo non ne vedeva il senso. Come potevano aiutare Eren a sentirsi meglio?
O magari la sua irritazione era dovuta al pensiero che lui non sarebbe mai stato in grado di fare un gesto del genere. Non era nel suo DNA, essere carino. Oppure lo era stato, in un passato a cui cercava di pensare il meno possibile, e quella parte di lui era stata schiacciata fino a scomparire del tutto.
Così credeva, almeno.
Pensava di non essere più in grado di farsi coinvolgere, di lasciarsi conquistare da qualcuno, di provare emozioni come la gelosia o l'amore... ma Eren aveva mandato alle ortiche anche quella certezza, ricordandogli che cosa volesse dire vivere e non sopravvivere: sentire il cuore battere forte nel petto e i brividi sulla pelle, avere uno scopo e lottare per esso.
Per troppi anni si era limitato a seguire ciecamente Erwin, l'uomo senza il quale non sarebbe mai riuscito a superare il dolore della perdita. Aveva fatto propria la missione del Comandante, ma averne una tutta sua, per quanto folle, era una sensazione ben diversa, capace di dargli una forza inimmaginabile e di spingerlo a fare l'impossibile.
Doveva proteggere Eren, ad ogni costo.
Levi non aveva mai avuto paura di morire, eppure quel ragazzino e i sentimenti che aveva risvegliato dentro di lui gli stavano mostrando tutto sotto una nuova prospettiva.
Chi l'avrebbe protetto, se fosse morto? Quali braccia lo avrebbero stretto? Quali mani gli avrebbero asciugato le lacrime? Quali labbra avrebbero baciato le sue? Mai come allora aveva desiderato vivere.
Era questo che voleva dire amare una persona? Dedicarsi a lei completamente? Vivere per lei?
Levi percorse ancora con lo sguardo il suo volto, notando l'impercettibile movimento degli occhi sotto le palpebre chiuse. Stava sognando o avendo un incubo? Avrebbe tanto voluto svegliarlo e dirgli che andava tutto bene, ma non poteva farlo.
Si alzò allora dalla panca e si avvicinò al davanzale della finestra. Sfiorò con la punta delle dita uno dei boccioli viola, delicato.
Perché quel moccioso? Perché proprio lui? Avrebbe potuto innamorarsi di chiunque altro, invece dell'arma segreta del Corpo di Ricerca e dell'umanità intera, una mina vagante che lui aveva promesso di far saltare nel caso in cui non fossero riusciti a controllarla a loro vantaggio.
Quanto era stato stupido... Era proprio vero che le peggiori decisioni erano quelle prese col cuore. Era così determinato ad averlo al suo fianco che si era scavato da solo la propria fossa. Avrebbe mai avuto il coraggio di ucciderlo, se se ne fosse presentata la necessità?
Quel ragazzino racchiudeva in sé tutto ciò che aveva amato e aveva perso: lo spirito di sacrificio di sua madre, la lealtà e la generosità di Furlan, l'esuberanza e la forza di Isabel, l'amore gentile di Petra. Come poteva non innamorarsene?
Levi venne quasi sopraffatto dal dolore, perciò cercò una scappatoia procurandosene un altro: spostò il peso sulla caviglia rotta e le fitte che gli percorsero la gamba intera gli annebbiarono la vista, ma ne valse la pena.
Quindi tornò a sedersi sulla panca, quella volta rivolto verso il corpo di Eren, e fissò intensamente il suo viso, quasi a volerselo imprimere nella mente più di quanto già non fosse.
Non perderò anche te, Eren Jaeger.
Avrebbe fatto di tutto per lui, qualsiasi cosa purché vivesse. Ma c'era una cosa che non poteva assolutamente fare: amarlo come avrebbe voluto. Non perché non aveva idea se Eren avrebbe ricambiato, non perché aveva il doppio dei suoi anni, non perché era il suo Capitano e sarebbe risultato inappropriato, non perché con l'umanità a rischio d'estinzione le relazioni omosessuali non fossero viste di buon occhio. Non poteva amarlo perché avrebbe provato della felicità e questa avrebbe ostacolato il suo giudizio, come un granello di sabbia dentro un meccanismo sensibile. Come pensava di mantenere la promessa che aveva fatto, se avesse reso concreto il sentimento che provava per Eren? Non avrebbe mai avuto la forza di ucciderlo, mai.
A quel punto Levi non sapeva nemmeno perché era andato a trovarlo. Se era davvero convinto di dover sopprimere qualsiasi sentimento provasse per lui, stargli vicino era proprio ciò che avrebbe dovuto evitare. Ma non aveva avuto scelta: quando si era reso conto di dove si trovasse era troppo tardi e Mikasa l'aveva già visto. A quel punto tanto valeva andare fino in fondo, così che il rischio che aveva corso esponendosi con la ragazza non risultasse vano.
Mikasa... Il suo attaccamento quasi morboso nei confronti di Eren era un'arma a doppio taglio: poteva trasformarla in una sua alleta, uniti per raggiungere lo stesso scopo, oppure una nemica temibile nel caso in cui avesse fatto soffrire il ragazzo-titano.
A quel pensiero le sopracciglia di Levi si aggrottarono lievemente. Mikasa temeva davvero che lui potesse fare del male ad Eren? Non l'aveva più toccato dopo il pestaggio in tribunale e non l'avrebbe più fatto, per una serie di motivi. Allora perché...?
I suoi ragionamenti vennero interrotti da un fremito delle palpebre di Eren. Si stava svegliando, forse. O forse quel moccioso aveva solo finto di dormire, per tutto quel tempo.
Rabbia ed eccitazione lo colsero di sorpresa, tanto che venne meno a tutti i suoi buoni propositi.
Si alzò di scatto, ignorando il dolore alla caviglia, poi prese il volto di Eren con una mano, il pollice sulla guancia sinistra e le altre dita premute su quella destra, e chinandosi posò le labbra sulle sue.

Erano così morbide e calde... Erano cento volte meglio di come le aveva immaginate.
Al diavolo, si disse. Questa vita è troppo breve per rinunciare a ciò che si vuole. Inoltre... il moccioso ha già provato più volte che non è una minaccia per il genere umano.
Levi provò una fitta di delusione quando Eren aprì gli occhi - quelle grandi gemme di smeraldo - per fissare i suoi, altrettanto spalancati, e posò le mani sulle sue spalle per allontanarlo da sé.
Il Caporale si sollevò e guardò di lato, verso i fiori mossi dal vento, dandosi dell'idiota.
Come aveva potuto solo pensare che quel moccioso ricambiasse i suoi sentimenti? Probabilmente non aveva mai pensato all'amore o all'attrazione fisica, visto e considerato che sterminare tutti i giganti sembrava essere l'unico scopo della sua vita.

Fece per scavalcare la panca ed andarsene senza più guardarsi indietro, quando vide Eren scattare su seduto ed allungare una mano per afferrare il lembo del suo mantello verde. Avrebbe potuto fermarlo, ma non lo fece. Il Capitano Levi si lasciò strattonare verso il ragazzo e lasciò che questo posasse di nuovo le labbra sulle sue, in un bacio più frettoloso e disordinato, dettato dall'impazienza.
Eren ricambiava, ricambiava eccome. Levi avrebbe abbozzato un sorriso, se non fosse stato tanto impegnato a baciarlo a sua volta e a dettare un ritmo più lento.
Posò una mano sulla sua guancia, scese ad accarezzargli il collo e poi salì di nuovo per intrecciare le dita tra quei capelli castani che profumavano di sole e vento, di libertà.
Lo stesso ragazzo, con una mano ancora artigliata sul suo mantello, osò accarezzargli la nuca rasata, tremando quasi.
Fu allora, sentendo il suo tocco incerto, che il Capitano Levi si chiese se fosse solo agitato per la sua prima esperienza o lo stesse assecondando per non passare dei guai. Temeva per caso che lo avrebbe rigettato nei sotterranei o peggio, se lo avesse respinto? Se le sue supposizioni si fossero rivelate esatte, il moccioso si sarebbe rivelato ancora più idiota di quello che era, dato che l'unico dei due che rischiava di finire nei guai era Levi. Se non si fosse fermato subito...

Come se gli avesse appena letto nel pensiero, Eren si allontanò dalle sue labbra e lo guardò negli occhi con le lacrime che minacciavano di rigargli il volto.
«Capitano Levi», sussurrò. «Mi sta facendo male».
E tu no, sciocco ragazzino? berciò dentro di sé, prima di rendersi conto che stava parlando di dolore fisico. Rilassò le mani, liberandolo dalla stretta ferrea sui suoi capelli e sul suo polso sinistro, quello vicino al proprio petto.
Nonostante volesse lasciarlo andare, fare la cosa giusta per tutti, Levi aveva finito per aggrapparsi a lui con tanta forza da farlo lamentare, lui che era ammirato ed invidiato da tutti per la sua soglia del dolore incredibilmente alta.
Il Caporale si alzò dal letto, dove aveva finito per sedersi durante quel bacio travolgente, e dandogli le spalle raggiunse la porta.
«Aspetti!», gridò Eren, la voce resa più stridula dall'ansia. «Non vada via! Mi spieghi almeno che cosa...».
«Non essere ridicolo», lo interruppe, monocorde.
«Ridicolo? Io...».
«Non mi abbasserò a spiegarti quello che è appena successo. E non mi interessa che cosa penserai di me d'ora in avanti. Non bisogna mai perdere di vista...».
Fu Eren quella volta ad interromperlo, facendolo irrigidire sul posto.
«Non penso nulla di diverso rispetto a prima. Lei è l'uomo migliore che io abbia mai conosciuto, Capitano Levi».
A quelle parole la diga che tanto aveva faticato a costruire intorno al suo passato venne distrutta, lasciandolo libero di travolgerlo. A fatica Levi rimase lucido, abbastanza per voltarsi a guardarlo, livido in volto.
«Mi domando quali siano le tue conoscenze, allora».
Ed Eren sorrise, in quel modo ampio e sincero che faceva brillare quei suoi occhi grandi e bellissimi. Era impressionante quanto sembrassero allegri nonostante tutta la morte e la distruzione a cui avevano assistito sin dalla più tenera età.
«A me invece interessa molto ciò che pensa di me. In effetti, il suo giudizio è l'unico che mi interessa davvero», ribatté tranquillo, prima di portarsi il pugno sul petto nel saluto militare. Fu quello che fece dopo, però, a lasciare Levi completamente di stucco: scostò la mano dal cuore e chinando il capo la allungò verso di lui, quasi a volerglielo consegnare.
«Può fare di me quello che vuole, Capitano Levi. Non mi opporrò alla sua volontà».
La mia... volontà?
Avere uno scopo, un obiettivo, un desiderio... Volontà faceva rima con libertà e Levi colse tutto un altro significato nelle ali che aveva dipinte sul retro del suo mantello. Lui lottava da anni per la libertà del genere umano, ma l'aveva fatto quasi come se lui non ne facesse parte. Aveva sempre eseguito gli ordini e agito per il bene comune, chiedendosi raramente se fosse quello che anche lui desiderava. Mai aveva pensato alla sua, di libertà.
Privo delle catene che senza neanche accorgersene l'avevano appesantito fino a portarlo ad un passo dal baratro, Levi ritornò da Eren e lo strinse tra le braccia, lasciandosi accogliere e sostenere da quel corpo giovane e al contempo saldo, sicuro. Col viso immerso tra i suoi capelli, realizzò che non si era mai affidato così tanto a qualcuno.
«Devi farmi una promessa», sussurrò.
Eren strinse i pugni sulla sua schiena ed annuì.
«Promettimi di non morire».
Il ragazzo-titano rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi rispose malinconico: «Prometto che non le darò motivo di uccidermi, signore».
Levi si scostò e puntò i propri occhi metallici in quelli verdi di Eren. Quindi si alzò, esclamando: «Bene, ci siamo capiti».
Gli diede ancora le spalle, aggiungendo imperativo: «Adesso riposa. Domani mattina, se il Corpo di Ricerca esisterà ancora, ti voglio pronto e puntuale agli allenamenti. E non ti aspettare trattamenti speciali, moccioso».  
«Sissignore!».
Quella volta Levi riuscì a raggiungere la porta senza che il ragazzino lo fermasse. Così fu lui a girarsi, riservandogli un'occhiata più che infastidita.
«Guarda in che condizioni hai ridotto il mio mantello», lo rimproverò, indicando i punti in cui era stato stropicciato.
Eren arrossì, aprendo la bocca per iniziare a scusarsi. Levi non gliene diede il tempo.
«La prossima volta farò bene a toglierlo», esclamò prima di chiudersi la porta alle spalle. 
   
 
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