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Autore: arangirl    24/04/2017    3 recensioni
Fan fiction partecipante al contest History!AU del gruppo CLEXA/ELYCIA/LEXARK Gruppo di SUPPORTO italiano
Pur di ricevere un'istruzione e diventare guaritrice, Clarke ha rinunciato al suo titolo nobiliare ed è entrata in convento, prendendo i voti. Pensava di essere pronta ad iniziare una nuova vita, ma nulla avrebbe potuto prepararla ad essere rapita dai vichinghi, pronti a tutto pur di salvare il loro Jarl, gravemente ferito. Catapultata in una cultura completamente diversa dalla sua, divisa tra curiosità e timore, Clarke si troverà presto affascinata da questo misterioso popolo e dal loro altrettanto misterioso Comandante.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Clarke Griffin, Lexa, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Clarke aveva impiegato quasi tre giorni per superare il suo orgoglio e la sua rabbia e decidersi a parlare di nuovo con Lexa, che nel frattempo si era mantenuta saggiamente in disparte. Era stata Anya, infatti, a mostrarle la piccola casa vicino alla baia in cui sarebbe vissuta in quei mesi, lasciandole cibo a sufficienza per alcuni giorni. Lei era rimasta immobile per ore a osservare i fiocchi della prima neve cadere sullo specchio d’acqua davanti a lei.

 
 
Un milione di domande le avevano attraversato la mente, sentendosi sola e disperata così lontana da casa, senza riuscire a pensare ad un futuro per lei in quella terra. Certo, nessuno le aveva creato problemi fino a quel momento, nonostante l’evidente fastidio che molti provavano nello scoprire le sue origini inglesi, ma era solo perché Lexa aveva ordinato loro di non farlo. E se lo Jarl avesse cambiato idea? Non era riuscita a leggere Lexa in nessun modo nonostante il tempo passato insieme, e temeva che la sua situazione potesse cambiare da un momento all’altro.
 
 

Improvvisamente sentì la mancanza di sua madre, nonostante loro due non fossero mai andate molto d’accordo, il carattere troppo simile per risultare compatibile. Si chiese se Abby fosse stata informata della sua sorte, se la stesse piangendo adesso, credendola morta o venduta come schiava; Clarke si ritrovò a pensare che forse sarebbe stata comunque quella la sua sorte.
 
 

Stanca di trascinarsi quegli oscuri pensieri addosso, si presentò in quella che le era stata indicata come la casa di Lexa, visibilmente più grande rispetto agli altri edifici, e trovò la donna che ultimamente aveva disturbato le sue notti e i suoi giorni nel cortile davanti alla casa, intenta a fare qualcosa che non si sarebbe mai aspettata: Lexa stava allattando una capretta.
 
 

Clarke rimase allibita per qualche secondo, e prima che potesse dire qualcosa, la voce di Lexa ruppe il silenzio, anche se i suoi occhi non lasciarono mai il piccolo animale tra le sue braccia “Clarke, mi fa piacere vedere che sei ancora con noi.”
 
 

“Come…” Lexa alzò lo sguardo e le sorrise “Nessun altro mi si avvicina con così tanta esitazione.” Clarke si avvicinò piano al punto in cui Lexa era seduta a terra e Lexa immerse il piccolo telo che aveva in mano nella tinozza del latte accanto a lei, posandolo delicatamente sul piccolo muso del capretto, che cominciò a succhiare avidamente “Sua madre è morta durante il parto, il piccolo era prematuro… Sto aspettando che un’altra capra partorisca per vedere se si può prendere cura anche di questo piccolino.”
 
 

“Così… la stai sfamando tu?” Gli occhi di Lexa brillarono divertiti nel vedere l’espressione sorpresa di Clarke “E chi altri? Tutti i miei uomini stanno riparando i danni che abbiamo riportato durante la battaglia ed io… io sono inutile con la mia ferita.”  Clarke alzò gli occhi al cielo, mordendosi la lingua per non iniziare nuovamente un discorso inutile “Vuoi aiutarmi?”
 
 

Clarke rise “Io? Non so… non so come fare.” Lexa le sorrise e si alzò, passandole con un gesto veloce il piccolo capretto in braccio, e Clarke si ritrovò a ridere mentre la piccola bestiola cercava di succhiarle avidamente le dita. Lexa le mise la stoffa in mano, guidandola delicatamente sul musetto dell’animale. La mano di Lexa era incredibilmente calda sulla sua, il suo sguardo luminoso mentre la guardava sfamare il capretto come se stesse facendo qualcosa di unico al mondo.
 
 

“Voglio che m’insegni” disse improvvisamente, e Lexa sembrò come svegliarsi dall’incantesimo che l’aveva intrappolata “Insegnarti… a badare alle capre?” Clarke cercò di non ridere, di ricordarsi che doveva essere arrabbiata con Lexa, che avrebbe dovuto odiarla per tutto quello che stava succedendo “Se davvero devo stare qui per i prossimi quattro mesi, vorrei imparare la vostra lingua, così almeno capirò quando qualcuno mi insulta.”
 
 

“Nessuno t’insulta Clarke…” “Anya m’insulta” “Anya insulta tutti!” Lexa le sorrise ma Clarke riprese il discorso “Lexa, sono seria… Vorrei saperne di più sulla vostra lingua, la vostra società… Non voglio risultare un’estranea per tutto il tempo.”
 
 

“Va bene Clarke, possiamo iniziare quando vuoi.” Clarke pensò di iniziare subito, ma il capretto stava ancora succhiando avidamente il piccolo pezzo di stoffa che aveva in mano, il sole pallido di mezzogiorno rendeva piacevole il clima nonostante la neve dei giorni precedenti, il cielo era limpido e Clarke non si sentiva ancora pronta a interrompere quel momento.
 
 

Lexa rimase accanto a lei a osservarla, l’ombra di un sorriso in volto.
 
 
*
 
 

Clarke bussò timidamente alla porta di legno davanti a lei, sentendo dei passi decisi avvicinarsi in fretta. La porta si aprì lentamente, e Anya la squadrò dalla testa ai piedi con curiosità “Cosa ti porta nella mia casa suora?”
 
 

Clarke cercò di trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo, per Anya sembrava quasi impossibile rivolgersi a lei con il suo nome “Heya Anya…Ha yu?” Il volto di Anya si aprì in un’espressione piena di stupore “Heya a te Clarke. Mi fa piacere che tu ti sia decisa a imparare la lingua dei civili” Clarke scosse la testa “Purtroppo ho imparato solo qualche frase… Non è semplice.”
 
 

“Non è una lingua per stolti come quella di voi inglesi… Cosa ti porta qui Clarke?” “In realtà volevo vedere Raven… Lexa mi ha detto che la sua gamba le fa ancora male, le ho portato una pomata.” Anya sembrò ancora più sorpresa della sua affermazione “Entra pure”.
 
 

Raven era seduta vicino al focolare centrale della casa, intenta a scolpire con precisione un pezzo di legno “Clarke… è davvero gentile da parte tua, ma non devi preoccuparti, è solo un graffio.” Raven appoggiò il piccolo pezzo di legno e le fece spazio sulla panca accanto a lei, e Clarke si sedette volentieri. Nonostante quello che aveva appena detto, Clarke aveva capito anche senza l’aiuto di Lexa che Raven doveva ancora provare molto dolore al ginocchio, semplicemente osservandola camminare nel villaggio.
 
 

“Sei davvero brava” Clarke indicò la piccola statuina, che stava lentamente assumendo le sembianze di un lupo e Raven sorrise “Mi piace costruire oggetti… Di solito preferisco fare le cose più in grande ma Anya mi tiene bloccata qui…” Anya sbuffò leggermente “Non salirai su nessuna nave finché non sarò sicura che stai bene, e la tua gamba non è ancora pronta.”
 
 

“Salire sulle navi?” Clarke guardò Raven con curiosità; dall’aspetto non le era sembrata una guerriera “Faccio il carpentiere, aiuto a costruire le navi del villaggio.” “In realtà Raven avrebbe dovuto solo aiutare a decorare le navi… Ma ha deciso che la nostra cultura arretrata non poteva rinunciare al suo genio, e si è messa a progettare delle nuove navi.”
 
 

Raven alzò gli occhi al cielo e prese la stampella che aveva appoggiato accanto alla panca facendo cenno a Clarke di seguirla fuori dalla porta “Andiamo Clarke, meglio che muova un pochino questa gamba finché c’è ancora il sole… E ho bisogno di una pausa dalla mia balia.” Clarke rise nel vedere l’espressione offesa di Anya, che però non disse nulla, lasciandole uscire. Nonostante avesse nevicato la notte precedente il sole era alto in cielo e si stava bene all’aperto, mentre un lieve vento soffiava da sud.
 
 

“Quindi… tu ed Anya?” Clarke sapeva che probabilmente doveva sembrare una domanda invadente, ma era curiosa di saperne di più sul rapporto tra lei e la guerriera vichinga. Raven la guardò con un piccolo sorriso in volto “Io e Anya… scommetto che non si vedono molte cose del genere dalle tue parti.”
 
 

“Diciamo pure nessuna… Ho sentito delle voci, in convento… Ma sono cose proibite.” Raven annuì continuando a camminare verso la spiaggia “Diciamo che… i vichinghi hanno una mentalità più aperta per certe cose.” Clarke scosse la testa “Sembra che le donne qui siano libere di fare quello che vogliono.”
 
 

Raven si fermò per un attimo, osservando il mare che si apriva davanti a loro “Attenzione Clarke, le donne come Lexa e Anya sono libere di fare quello che vogliono, di prendersi quello che vogliono… Loro si sono conquistate la loro posizione, e il diritto di sfruttarla, ma per tutte le altre la storia non cambia rispetto al tuo mondo. Lexa ha bandito la schiavitù nel suo villaggio, ma è una delle poche… ed io lo so bene, sono arrivata qua come schiava.”
 
 

Clarke rimase per un attimo zitta, ponderando le parole di Raven con attenzione “Quindi Anya… Anya ti ha comprato?” Per quanto potesse trovare minacciosa ed indisponente la guerriera vichinga, Clarke non riusciva ad immaginarla compiere un atto del genere, e fu lieta di sentire Raven ridere e scuotere la testa “No, Anya non lo farebbe mai. Sono figlia di una prostituta, e sono stata venduta e comprata più volte nel corso della mia vita… Ti risparmio la storia delle mie vicissitudini, farebbero deprimere l’uomo più felice della terra.” Raven rise, ma Clarke vide benissimo la tristezza nei suoi occhi; le era sembrata così giovane, non doveva essere molto più vecchia di lei, ma i ricordi che portava con sé in quel momento sembravano invecchiarla di cento anni.
 

 
“Alla fine sono arrivata qui … sono stata comprata da uno dei guerrieri del vecchio Jarl, uno dei padroni tra i più terribili che io abbia mai avuto. Non era un grande guerriero, e sfogava le sue umiliazioni su di me… certe volte mi ha picchiata così tanto che pensavo di morire. Un giorno Anya lo vide colpirmi con un bastone, e decise di intervenire a modo suo…”
 
 

“Che cosa fece?” Per quel poco che conosceva Anya, Clarke aveva già intuito la risposta; gli occhi di Raven brillarono al ricordo “Si avvicinò a noi e gli conficcò la sua ascia da guerra nel cranio. Poi mi guardò con quel suo dannato sorrisino e mi disse che ero diventata di sua proprietà.”
 
 

Raven riprese a camminare, e Clarke la seguì con interesse crescente “Ma non diceva sul serio. Finì nei guai per aver ucciso il mio vecchio padrone, ma visto che era una delle migliori guerriere del villaggio se la cavò con poco. Lo Jarl la mandò a combattere da qualche parte al nord, e lei mi chiese di prendermi cura della sua casa mentre era via… e mi trovò un lavoro, come assistente del carpentiere. L’uomo ci mise poco a capire che ero portata per il lavoro, e diventai la sua apprendista.”
 
 

Raven si sedette stancamente sulla sabbia, poco distante dalle onde che scivolavano dolcemente verso di loro, e Clarke si mise accanto a lei, chiudendo gli occhi per un attimo, godendosi il rumore del mare “Quando Anya tornò dalla guerra pensai che mi rivolesse come sua schiava e ne ero terrorizzata. Non mi ero mai sentita così felice, così libera come in quei mesi passati a costruire navi. Ma lei mi disse che ero una donna libera, e che potevo fare quello che più mi rendeva felice… In quel momento compresi due cose: volevo continuare a costruire navi, e volevo Anya. Il caso volle che lei la pensasse allo stesso modo.”
 
 

Clarke sorrise al pensiero di Anya innamorata, eppure l’aveva vista con i suoi occhi, l’emozione inequivocabile nel suo volto quando aveva visto Raven sana e salva nell’accampamento, qualche settimana prima “Quindi Anya è…” Raven la guardò e scosse la testa “Non dirlo, non dire niente. Se scopre che ti ho raccontato questa storia mi uccide.”
 
 

Le due risero insieme e Clarke sentì qualcosa nel suo animo sbloccarsi, come se per la prima volta da quando era arrivata in quel villaggio potesse veramente sentirsi a suo agio, parlare con un’amica “Grazie Raven, io… è dura per me, non conosco nessuno qui e Lexa… Lexa è incredibile, ma mi sento sempre in soggezione di fronte a lei. E’ stato bello parlare con te.”
 
 

Raven le sorrise e le strinse la mano “Clarke, noi straniere dobbiamo fare fronte comune in questo paese di vichinghi. E poi mi sei simpatica, mi è piaciuto come hai tenuto testa a Lexa prima della battaglia; non l’avevo mai vista così frustrata.” Clarke rise di nuovo, non prima di notare un’espressione maliziosa negli occhi di Raven “Quindi… Lexa è incredibile eh?”
 
 

Clarke cercò invano di non arrossire, sfuggendo allo sguardo di Raven, cercando di concentrarsi sulle sfumature del cielo terso di fronte a loro.
 
 
*
 
 

“Battuta di caccia?” Clarke guardò allibita Lexa, che le stava porgendo un arco dall’aspetto rudimentale “Non capisco… a cosa posso servirvi io?” Anya spuntò da dietro Lexa con espressione divertita “Sono giorni che mangi a nostre spese, è ora che tu contribuisca in qualche modo, ti useremo come esca.”
 
 

Lexa scosse la testa “Non ascoltare Anya… Purtroppo prima di andarsene Nia ha bruciato una parte delle nostre scorte… Ho mandato alcuni dei miei uomini nei villaggi vicini a comprare del cibo, ma ci vorranno giorni prima del loro ritorno, quindi… andiamo a caccia. Ho pensato che potesse interessarti imparare questa parte della nostra cultura.”
 
 

Lexa sorrise in un modo che insospettì Clarke, era evidente che lo Jarl si stava divertendo a sue spese, e Clarke non aveva nessuna intenzione di darle questa soddisfazione; prese l’arco dalle mani di Lexa e si incamminò con gli altri uomini, raggiungendo Lincoln, che camminava a passo spedito verso la foresta.
 
 

“Ciao Clarke!” Lincoln le sorrise in modo cordiale, e Clarke notò con sorpresa che aveva un taglio piuttosto evidente sulla fronte “Lincoln… cosa ti è successo?” Lincoln alzò le spalle “Octavia non l’ha presa molto bene quando le ho detto che non poteva partecipare alla caccia. Mi ha tirato una delle nostre sedie addosso.”
 
 

Clarke impallidì al pensiero di Octavia, l’aveva vista di rado dopo la battaglia, e ne era stata contenta “Oh non farti una brutta idea su di lei Clarke, è una splendida persona, ma sono mesi che non la lasciamo più fare nulla di pericoloso a causa della gravidanza, e visto che le cose pericolose sono le sue preferite, è diventata un pochino nervosa.”
 

 
Clarke annuì “Dovrebbe mancarle poco ormai…” Lincoln annuì “Qualche settimana, un mese al massimo. Non vediamo l’ora.” Lincoln sorrise e a Clarke si scaldò il cuore nel vederlo così felice; da quando era arrivata, lui era sempre stato gentile con lei, l’aveva aiutata a trovare tutte le cose che le servivano nei primi giorni, mostrandole il mercato.
 
 

“Quindi devo attribuire il suo odio verso di me alla gravidanza, oppure ci sono altri motivi?” Lincoln evitò il suo sguardo per un attimo, fissandolo sul sentiero davanti a lui. La neve aveva iniziato a ricoprire qualsiasi cosa, bianca e lucente, e Lexa le aveva detto che quelli erano gli ultimi giorni disponibili per andare a cacciare; molto presto non avrebbero più potuto avventurarsi al di fuori del villaggio.
 
 

“Non è che odia te in particolare Clarke… Octavia prova odio e risentimento verso tutti gli inglesi.” “E perché mai?” Lincoln strinse le labbra per un momento prima di ricominciare a parlare “Octavia aveva un fratello, Bellamy. La loro madre morì quando Octavia era ancora piccola ed è stato Bellamy a occuparsi di lei, a insegnarle a combattere… Quando Lexa organizzò il primo raid in Inghilterra Bellamy fu il primo a proporsi, era uno dei nostri guerrieri più forti. Ma era anche incauto e spesso si faceva guidare dal suo istinto più che dalla ragione.”
 
 

Clarke ascoltava attentamente, iniziando a farsi un quadro più chiaro della situazione “Un giorno decise di andare da solo in avanguardia per cercare un villaggio, e venne catturato… Trovammo il suo cadavere giorni dopo, crocefisso e martoriato, e Octavia… Octavia impazzì di dolore. Non l’ho mai vista così furiosa in tutta la mia vita.”
 
 

Clarke chiuse gli occhi, inorridita al pensiero che la sua stessa gente fosse stata capace di un atto del genere. Per anni avevano chiamato i vichinghi barbari, ma come potevano considerarsi migliori se poi compivano atti del genere, così lontani dal messaggio d’amore che Gesù Cristo aveva insegnato loro? “Da quel momento Octavia non può sopportare la vista di nessun inglese… era furiosa quando Lexa gli ha detto della sua tregua. Penso che la sua parte razionale comprenda che è la cosa migliore da fare, ma nel suo cuore… non può perdonare chi gli ha strappato il fratello.”
 
 

Clarke scosse la testa “Mi dispiace...” Lincoln le sorrise di nuovo “Non è colpa tua Clarke. Volevo solo che tu sapessi che non hai fatto niente di male. Sono sicuro che con il tempo anche Octavia imparerà ad apprezzarti. Nel villaggio non hanno parlato d’altro per giorni dopo che hai messo Lexa al suo posto durante la battaglia.”
 
 

Clarke arrossì, leggermente sorpresa “Non ho fatto niente” Lincoln rise “Credimi, conosco Lexa da quando sono nato, e a lei piace avere l’ultima parola su tutto. Ma tu, tu l’hai battuta… mi aspettavo che fosse furiosa con te, invece mi è sembrata piuttosto intrigata.”
 
 

Clarke fece per chiedergli che cosa intendeva, quando il soggetto della loro discussione spuntò accanto a loro con una faretra in mano “Clarke, eri così pronta a cacciare che ti sei dimenticata le tue frecce.” Le aveva parlato nella sua lingua, e Clarke realizzò con soddisfazione di averla capita “Mochof Lexa. Contavo sul fatto che me le portassi tu.”
 
 

Lexa arrossì leggermente e Lincoln rise mentre insieme s’incamminavano verso l’entroterra.
 
 
 
 


“Adesso Clarke, prendi la mira e ascolta il vento. Ricordati di respirare.” Clarke pensava che fosse un’impresa quasi impossibile mentre sentiva il respiro di Lexa solleticarle i capelli, le labbra così vicine al suo orecchio che per poco non si sfioravano, le sue mani sulle spalle, indicandole la postura da tenere mentre scoccava il colpo.
 
 

Avevano passato tutta la giornata immersi nel bosco, in un silenzio quasi assoluto, mentre i cacciatori facevano il loro lavoro. Avevano preso tre grossi cervi, cinque lepri e persino un paio di cinghiali che Anya era riuscita a stanare e ammazzare, facendosi quasi portare via una mano.
 
 

Lexa l’aveva raggiunta alla fine della giornata, portandola in disparte e cercando di insegnarle come prendere la mira, come lanciare la freccia più dritta possibile, cercando di non scoppiare a ridere ai primi vani tentativi di Clarke di lanciare, conclusi con la freccia a pochi centimetri da lei.
 
 

Ora, dopo quelli che le erano sembrati infiniti tentativi, nei quali Clarke era costantemente migliorata, erano fianco a fianco, immerse nel silenzio della radura, e Clarke cercava di concentrarsi il più possibile sul cervo davanti a lei, mentre la sua mente tornava costantemente al respiro lento e regolare di Lexa, al suo profumo di cuoio e pioggia che sembrava avvolgere completamente i suoi sensi.
 
 

Si stava facendo buio, ma Clarke riusciva ancora a vedere chiaramente gli occhi dell’animale davanti a lei, intento a cibarsi di qualche germoglio, ignaro del pericolo che incombeva su di lui, e lei per un attimo esitò.
 
 

“Adesso Clarke” persino il suo nome le sembrava migliore se era Lexa a pronunciarlo, e lei provò un brivido a quell’ennesimo sussurro, e al pensiero dell’effetto che Lexa stava avendo su di lei. Lasciò andare la freccia, che scivolò veloce come una serpe dalle sue dita, penetrando senza rumore nel punto esatto in cui Lexa le aveva detto di mirare, il collo dell’animale.
 
 

Il cervo emise un lamento sordo prima di muovere qualche passo barcollante nella direzione opposta alla loro, ma Clarke riusciva già a vedere sul suo manto chiaro il sangue sgorgare dalla ferita che lei gli aveva inferto, scuro e inarrestabile. L’animale mosse un ultimo passo prima di accasciarsi a terra, e Lexa si staccò da lei, camminando velocemente verso la loro preda.
 
 

“E’ morto… Sei stata brava Clarke, un colpo preciso, non ha sofferto.” Lexa sembrò capire le sue preoccupazioni, perché quello era stato il suo primo pensiero. Guardò il corpo ormai immobile dell’animale, provando una fitta di rimorso “E’così bello… Io… non avevo mai fatto una cosa del genere. Mi dispiace…” Accarezzò il pelo morbido dell’animale, sentendo su di lei lo sguardo di Lexa.
 
 

“Avevo dieci anni quando mio padre m’insegnò a cacciare. Uccisi una lepre il mio primo giorno… Era così piccola e morbida… piansi in silenzio per mezz’ora cercando di non farmi vedere da lui, pensando che non mi avrebbe mai più portato a cacciare.”  Lexa sorrise al ricordo, un sorriso dolce che Clarke non le aveva mai visto in volto “Ma lui mi disse che era normale… Che l’animale che avevo ucciso non era una vita che mi apparteneva, che io l’avevo presa per sopravvivere, ma che non dovevo mai dimenticarne l’importanza. Non uccidiamo per divertimento, lo facciamo perché è necessario per vivere e allo stesso tempo dobbiamo onorare l’animale che uccidiamo, perché con la sua morte ci dona la vita. E faremo in modo che questo dono non sia sprecato. Ogni parte di questo cervo avrà uno scopo Clarke.”
 
 

I loro sguardi s’incrociarono e Clarke riuscì a leggere la sincerità nel volto di Lexa, così disarmante che per poco non la lasciò senza fiato. “Vuoi pregare con me Lexa?” Lexa la guardò stupita “Pregare? Il tuo Dio?” Clarke si sentì stupida per averle fatto una proposta del genere, e si morse il labbro prima di continuare “Lo faccio sempre quando sono triste, mi aiuta a calmarmi, mi dà sicurezza. E’ una cosa stupida, mi dispiace…”
 
 

Fece per alzarsi e andarsene, ma Lexa le strinse la mano, facendola voltare “No, perdonami Clarke, voglio farlo. Ma non conosco nessuna delle vostre preghiere.” Clarke s’inginocchiò nuovamente accanto a Lexa, cercando di evitare di pensare a come la facevano sentire gli sguardi di lei, che continuava a fissarla con un misto di meraviglia e stupore, congiungendo le mani in preghiera “Allora ripeti dopo di me…”
 
 

 
 

Lexa osservò il fuoco davanti a lei a lungo, osservando le fiamme danzare davanti a lei, cercando di rimettere in ordine i suoi pensieri. L’inverno era sempre un periodo di tranquillità nel suo villaggio, ma era consapevole che quella stagione sarebbe stata diversa. Aveva mille cose a cui pensare, le provviste per il villaggio, la ricostruzione dopo la battaglia, Nia che proiettava l’ombra della sua minaccia su di loro, pronta ad attaccarli. Eppure erano giorni,settimane, che l’unico pensiero che sembrava restarle in mente era Clarke.
 
 

La ragazza inglese era entrata nella sua vita con delicatezza, come una pioggia leggera, eppure stava causando un caos nella sua mente degno di una tempesta creata da Thor. A Lexa risultava impossibile non sentirsi affascinata da lei, incline a concederle qualsiasi cosa volesse come non si era mai sentita con nessun altro. Aveva acconsentito a insegnarle la loro lingua, la loro cultura, aveva messo da parte il suo orgoglio per lei, aveva persino pregato un dio che le era stato insegnato a disprezzare, e come se non bastasse, Lexa l’avrebbe fatto ancora.
 
 

Sembrava essere l’unica cosa a interessarle, passare del tempo con Clarke, vederla sorridere nonostante la precaria situazione in cui si trovava. Aveva espressamente detto ai suoi uomini di trattarla con assoluto rispetto, ma Lexa sapeva benissimo che Clarke doveva ancora sentirsi persa in quel mondo tanto diverso dal suo.
 
 

Si ricordava benissimo di uno dei primi giorni di Clarke nel villaggio, quando aveva assistito ad una delle zuffe tra i suoi uomini, al modo in cui era rimasta sconvolta quando lei le aveva detto che era così che loro risolvevano i problemi; i due uomini alla fine erano ridotti abbastanza male, e Clarke si era messa a curare le loro ferite esasperata, come se non riuscisse a capire come potessero essere così incivili. Forse lo erano davvero, pensò Lexa, ma quello era sempre stato il modo di vivere della sua gente, e non era mai stato un problema per lei, almeno fino a quel momento, finché non aveva visto negli occhi di Clarke quello sguardo che le ricordava tanto lo sguardo con cui re Wallace e la sua corte l’avevano guardata quando si era presentata da loro.
 
 

Poteva sopportare di essere vista come una creatura barbara e inferiore da loro, della loro opinione non si curava, ma di quella di Clarke, cominciava a pensare che le importasse di quella più che di qualsiasi altra. L’oggetto dei suoi pensieri decise che era quello il momento giusto per interromperli,  sedendosi accanto a lei davanti al fuoco con un sospiro pieno di stanchezza “Ho medicato la mano di Anya e un altro paio di ferite di altri uomini, ma non ho tutte le mie erbe con me. Domani al villaggio dovrò finire il lavoro.”
 
 

Lexa annuì, evitando il suo sguardo “Era troppo buio per tornare indietro… e poi non fa ancora così freddo da non poterci permettere una notte all’aperto.” Clarke sbuffò, formando una nuvola nella cristallina aria invernale “Parla per te.”
 
 

Lexa la guardò meglio a quelle parole, notando il viso pallido e le unghie che cominciavano ad apparire di un insano colore bluastro. Si tolse il mantello di pelliccia che aveva addosso e lo appoggiò sulle spalle di Clarke, che sospirò con sollievo “Non aspettarti che te la ridia indietro”
 
 

Lexa sorrise e il suo cuore perse un battito nel vedere Clarke ridere a sua volta: era un suono meraviglioso “Una volta tornati al villaggio dirò al conciatore di farti un vestito con la pelle del tuo cervo, ti terrà più al caldo che la semplice stoffa.” Clarke rabbrividì per un attimo al pensiero “E questa pelliccia? E’ un tuo trofeo di caccia?”
 
 

Le labbra di Lexa si sollevarono in un sorriso malizioso “Apparteneva a uno degli orsi più grossi che io abbia mai visto, ma non aveva scampo contro di me.” Clarke la guardò negli occhi, scettica, e Lexa rise di nuovo “Mi ha quasi ucciso, ma ne è valsa la pena per quella pelliccia… che oggi temo di aver perso per sempre.”
 
 

Clarke annuì “Hai davvero un talento nel rischiare la morte Lexa…”  il tono di Clarke voleva essere scherzoso, ma a Lexa non sfuggì la nota di preoccupazione nella sua voce “Se dovessi morire Clarke, saresti la prima a saperlo.” Lexa non poteva negare che il pensiero della sua morte l’avesse sfiorata più di qualche volta, ma lei era una vichinga, la morte faceva parte della sua vita da sempre.
 
 

“E perché mai?” non c’era più nessun sorriso sul volto di Clarke, come se temesse davvero per sua vita, e questo le scaldò per un attimo il cuore. Sapeva che Clarke era una straniera, una suora, che non si trovava lì per sua volontà, eppure nel suo cuore c’era ancora la speranza che lei potesse considerarla qualcosa di più che lo Jarl colpevole di averla trascinata in quel luogo “Perché saresti accanto al mio cadavere per sgridarmi di aver fatto l’ennesima stupidaggine.”
 
 

Clarke rise e la tensione che si era creata attorno a loro si spezzò, solo per essere sostituita da un lungo silenzio. Dopo qualche minuto Lexa pensò di dire qualcosa, ma sentì la voce di Clarke nuovamente, nonostante fosse poco più che un sussurro “Mochof  Lexa, grazie… per oggi, per avermi parlato di te e di tuo padre. Mi ha aiutato molto, e so quanto deve essere dura parlare di lui.” “Perché dici questo?”
 
 

“Perché è morto… perché qualcuno te l’ha portato via prima del tempo. Com’è successo a mio padre.” Lexa riuscì a intravedere una lacrima nel volto di Clarke, splendente davanti al riflesso del fuoco. “Tuo padre?” Lexa sapeva che Clarke aveva un patrigno, ma di suo padre non aveva mai parlato.
 
 

“Era un uomo incredibile… Mi ha sempre permesso di inseguire i miei sogni, le mie speranze… Avevo dieci anni quando gli dissi che volevo imparare a dipingere come i monaci facevano nei libri… Amavo i colori, nonostante non capissi nulla delle lettere scritte. E’ proibito per una donna anche solo toccare quei libri, ma a lui non importava… mi regalò delle polveri colorate per il mio compleanno, di quelle che vengono dall’oriente e si pagano a peso d’oro. E’ stato il giorno più bello della mia vita.”
 
 

Lexa aspettò che il racconto continuasse, ma era come se un’ombra cupa fosse calata su Clarke, togliendole il sorriso che tanto aveva ammirato qualche minuto prima. Forse avrebbe dovuto lasciar correre, ma capiva, sentiva il bisogno di Clarke di continuare a parlare “Che cosa successe a tuo padre?”
 
 

“Morì in battaglia. Avevo solo dieci anni... ma mi ricordo ancora quando riportarono il suo corpo a casa, anche se non sembrava più lui. Non poteva essere lui, capisci?” Clarke scosse la testa, mentre un sorriso amaro le passava sul viso “Per anni ho pensato che sarebbe tornato, tornato a prendermi per portarmi via dal grigiore e dalla monotonia  delle mie giornate. Mia madre… lei mi ha sempre voluto bene, ma non ha mai compreso il mio desiderio di scoperta,di conoscenza. Per lei il massimo a cui potevo aspirare era un buon matrimonio. Così ho aspettato per anni che mio padre tornasse a salvarmi, che mi portasse lontano, a vivere mille avventure con lui… poi sono cresciuta, e ho capito che dovevo salvarmi da sola.”
 
 

Lexa alzò la mano, desiderando più di ogni cosa di poter stringere quella di Clarke, ma si bloccò a mezz’aria, attanagliata dal dubbio che non fosse ciò che Clarke voleva “Mi dispiace davvero tanto Clarke. Ma penso che lui sarebbe stato fiero di te per le decisioni che hai preso.”
 
 

A Clarke non era passato inosservato il gesto di Lexa, perché alzò lentamente la mano e strinse quella di Lexa, intrecciando le loro dita, prima di asciugarsi il volto “Lo spero Lexa, lo spero tanto.”





Note: Ciao a tutti! Volevo fare una piccola precisazione su questo capitolo, perché purtroppo non sono riuscita completamente nel mio intento, ovvero quello di far passare gradualmente Clarke dalla lingua sassone a quella vichinga (in questo caso la lingua Triku, quella che parlano in The 100). Per un problema di tempo più che altro non sono riuscita a cercare tutte le parole che mi servivano (sono poche quelle che si trovano, nonostante ci siano dei siti molto belli!) quindi in questo capitolo trovate qualche vocabolo, ma nel prossimo con un altro salto temporale sarà Clarke comincerà a parlare solo la loro lingua, e quindi non ci saranno più differenze! Lo so che è poco realistico e mi dispiace un sacco, però sono già in super ritardo e altrimenti non avrei finito la storia in tempo! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate! Un abbraccio, alla prossima! 
  
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