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Autore: PrettySnowflake    24/04/2017    0 recensioni
[Big Four]
Jack e Hiccup si trovano in una terra lontana; hanno lasciato casa e viaggiato insieme, rafforzando così la loro amicizia.
I due sono pronti a voltare pagina, anche se nei loro cuori annidano sentimenti contrastanti: Jack è spensierato e vuole godersi la vita, mentre Hiccup è perseguitato dalla disapprovazione che il padre gli ha espresso in passato e per questo non riesce a darsi pace.
Rapunzel è stata adottata da una famigliola felice ed affettuosa. Senza conoscere la triste verità che si cela dietro alla fredda torre in cui ha vissuto per oltre otto anni, la ragazza continua a pensare alla madre defunta e incolpa se stessa di non essere riuscita a salvarla.
Alla ricerca dell'amore e successivamente del conforto, Rapunzel precipiterà inconsapevolmente tra gli angoli di due cuori, segnando così un'amicizia che una volta si pensava indistruttibile...
Fanfiction ispirata a "Le Cinque Leggende", "Dragon Trainer", "Rapunzel" e altre.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Secondo : la Pecora e il Pastore
"Anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro." 
J.R.R. Tolkien

«Mi stai dicendo che dovrei coprirti le spalle per tre giorni mentre vai a fare l'esploratore? Sei uscito di senno, per caso?» rispose Skaracchio all'insolita richiesta di Hiccup che, poco prima, gli aveva raccontato tutto l'accaduto.
«Per favore Skaracchio, devo dar prova di essere abbastanza in gamba. Devo anche dimostrare che Moccicoso è una testa vuota!» si giustificò il giovane vichingo, gesticolando alla rinfusa.
«Non se ne parla nemmeno, ragazzino» asserì l'uomo, puntandogli contro l'uncino che aveva al posto della mano «E comunque non c'è bisogno di trovare una prova schiacciante per Moccicoso, lo sappiamo tutti che ha dell'aria fritta al posto del cervello.»
«Non è solo per questo che voglio farlo...» mormorò il ragazzo che distolse lo sguardo da Skaracchio, con l'obbiettivo di riporre dei pezzi di ferro che si trovavano sul grande tavolo da lavoro, quello all'interno dell'armeria. 
Il barbuto berkiano che gli stava di fronte cominciò a meditare, finché gli si illuminarono gli occhi: «Lasciami indovinare, Astrid era presente alla vicenda?»
Hiccup deglutì e, dopo qualche secondo, annuì per rispondere affermativamente. Skaracchio, conscio dei sentimenti che il ragazzino provava nei confronti della giovane Hofferson, abbozzò un'espressione intenerita e divertita, ma poi si ricompose:
«Hiccup, quello che mi stai chiedendo è veramente stupido. Là fuori puoi incrociare il pericolo in ogni angolo: ci sono le piante velenose, gli animali feroci... E se incontrassi un drago? Sapresti come comportarti?»
Il giovane rabbrividì al pensiero di incontrare una di quelle bestie feroci e dalle fauci fumanti. Rimase in silenzio.
«Te lo dico io. No, non sapresti come comportarti. Per questo motivo devi rimanere qui, al sicuro.» proseguì Skaracchio «A tuo padre verrebbe un infarto se sapesse che ti trovi solo e lontano da Berk.»
Il vichingo non aveva tutti i torti, Hiccup ne era consapevole. Ma dentro di sé sentiva che era arrivato il momento di fare qualcosa che andasse fuori dagli schemi, nonostante le piante velenose e gli animali feroci che continuavano a spaventarlo. Desiderava prepotentemente mettersi in gioco, testare le sue abilità e comprovare a se stesso di essere intelligente e coraggioso. Voleva appurarlo al padre, ai gemelli, al cugino, a Gambedipesce, ad Astrid e, in generale, a tutta Berk che non faceva altro che sottovalutarlo. Iniziava a reputarlo un bisogno fisiologico.
Hiccup assentì a capo chino, rendendosi conto che non avrebbe potuto contare su Skaracchio.
«Adesso devo riprendere a lavorare sull'ascia di Stoick» ruppe il silenzio il biondo vichingo «Anche tu hai del lavoro da fare, se non sbaglio.»
«Sì è così.» affermò il ragazzo che, in poco tempo, cominciò a darsi da fare, maneggiando gli utensili bisognosi di manodopera, ma senza abbandonare quell'espressione pensierosa e meditativa. Doveva trovare un modo per lasciare il villaggio senza farsi scoprire dal padre e dallo stesso Skaracchio. Ma come?
«Non farti venire in mente strane idee.» gli suggerì l'uomo, come se gli avesse letto nella mente ma, allo stesso tempo, non volesse costringerlo a restare.
Dopo qualche ora di dura fatica arrivò quel momento della giornata dove si aveva l'abitudine di consegnare a domicilio gli arnesi riparati e rammendati ai legittimi proprietari. 
Qualche giorno addietro a Skaracchio gli si spezzò il bastone di legno che utilizzava come protesi, quando rimase incastrato in una buca ed alcuni vichinghi cercarono di tirarlo fuori, provocando l'incidente. Per questo fu costretto a dare a Hiccup il compito di recapitare tutte le armi ai padroni, nonostante fosse comunque in grado di camminare, proprio perché non riuscì a trovare un buon sostituto e la saggia Gothi aveva precisato che, per poter riprendersi, aveva bisogno di non fare troppi passi.
Il giovane, uscito dall'armeria con gli oggetti affidatigli, si rese conto che quello fosse il momento ideale per darsela a gambe. Nascose la carriola con al suo interno la ferraglia in un vecchio deposito. Fece una breve sosta a casa sua, dove caricò con sé quello che reputava essenziale per la sopravvivenza e, infine, si incamminò in direzione della pallida boscaglia.
Il suo cuore e le sue tempie battevano all'impazzata. Non avvertiva altro, in quello spazio pervaso dal silenzio e dalla quiete, se non il ritmo e il rumore frastornante del suo respiro che si affannava. I suoi occhi verdi si dissipavano nel bianco della neve glaciale.
L'aria congelata che respirava gli diede l'opportunità di rimembrare un momento felice della sua infanzia, quando suo padre lo accompagnava fuori da Berk e gli mostrava quanto fosse bella la natura nordica. Dilatò le narici per afferrare quel ricordo, annusando il dolce odore dei pini, ma poi ricordò di ritrovarsi solo ed indifeso, e di avere un terribile freddo.
I minuti passarono, poi le ore: Hiccup sembrava l'unico essere vivente presente in quel posto.
«Cavolo, tutto qui?» osservò stupito a voce alta, mirando i dintorni deserti. «E io che pensavo d'incontrare bestie feroci e piante velenose. Ah! Appena Moccicoso e gli altri verranno a sapere di come sia riuscito a resistere per tre lunghi ed estenuanti giorni qui fuori e tutto solo, cominceranno a portarmi un po' di rispetto!»
Improvvisamente un rumore sembrò provenire da dietro una coppia di arbusti che stava alla destra di Hiccup.
Il giovane drizzò la schiena, spalancando i grandi occhi. Afferrò il primo oggetto che trovò a terra, un ramoscello, e lo strinse come arma difensiva.
«Chi va là?» provò a chiedere. Le mani gli tremavano.
Sentì la voce di un ragazzino che chiamava qualcuno, ma l'immagine di quest'ultimo non era ancora visibile.
Almeno non si tratta di un drago, pensò il giovane vichingo.
I richiami del personaggio misterioso continuavano a rimbombare nella testa del ragazzo che non riusciva a trovarlo, nonostante scrutasse ogni angolo circostante.
Dalla voce sembrava un bambino che, presumibilmente, si era perso e stava cercando i genitori.
Una volta anche Hiccup perdette la strada, aveva sette anni quando accadde. Era una notte talmente buia che il piccolo non riusciva neanche a vedersi la punta del naso e la temperatura era così bassa che ogni parte di lui si era quasi assiderata. 
In quel periodo dell'anno Berk era incredibilmente fredda a causa dell'elevata latitudine che la esponeva ai venti gelidi del polo ed era molto raro vedere la luce del giorno, poiché il villaggio era, per la maggior parte del tempo, inghiottito dalle nuvole e dalle tenebre. Era severamente vietato uscire di casa, soprattutto per un bambino come lui, perché la morte per ipotermia era più che certa. 
Hiccup dal canto suo uscì comunque, ignaro di quello che gli sarebbe potuto accadere. 
Era alla ricerca dei Troll, creature leggendarie provenienti dai boschi; Skaracchio parlava ogni giorno di loro, sostenendo che quelle entità potessero guarire i malati ed esaudire qualsiasi desiderio, ma che fossero anche difficili da scovare. Il bambino, in questo modo, finì per appassionarsi a quel mito, così tanto che iniziò a reputare i Troll degli esseri reali e bisognosi di essere trovati. 
Ma il gelo, pungente quanto lame taglienti, aveva risucchiato tutto il calore corporeo del bambino e con tanta avidità lo aveva lasciato a terra e senza forze. Fortunatamente venne soccorso dal padre che, dopo un po' di tempo passato a cercarlo, era riuscito a trovare il figlio privo di sensi in mezzo alla neve. 
Hiccup, dopo quell'episodio, si rifiutò di uscire durante i successivi mesi invernali, ma la cosa non durò molto.
Finalmente Hiccup ebbe occasione di guardare il bambino in faccia, dopo che quest'ultimo sbucò da dietro un albero. Era più alto di come il giovane se lo era immaginato tempestivamente qualche secondo addietro. Lo guardò, un po' disorientato e confuso.
Anche il ragazzino misterioso pareva spaesato quanto lui. 
«Scusami, hai per caso visto quattro bambine passare di qui?» domandò educatamente il giovane, ma Hicc non lo stava neanche ascoltando.
Non sembra di Berk, osservò il vichingo. D'altronde indossa un abbigliamento inusuale per i suoi costumi. 
Hiccup poté giurare di non aver mai avuto occasione di vedere un mantello tanto strano quanto quello che il fanciullo portava intorno al collo.
Da dove saltava fuori?

~ ~ ~

Erano passate due abbondanti ore da quando Jack aveva perso di vista le quattro bambine. Trovare qualcuno in quei boschi deserti gli diede un gran sospiro di sollievo, almeno finché non si accorse che questa persona, probabilmente suo coetanea, lo stesse squadrando dalla testa ai piedi con stupore e confusione. 
Jackson cominciò a sentirsi a disagio ma non aveva paura, forse perché il ragazzo di fronte a lui non sembrava pericoloso. Di fatto era leggermente più basso di lui ed era abbastanza minuto, ma aveva un'espressione notevolmente arguta. 
Immaginò di essersi allontanato considerevolmente da casa, poiché non aveva mai visto quel giovane prima di allora.
Dopo qualche secondo di silenzio il ragazzino si decise a rispondere alla domanda che poco prima Jack formulò:
«No, non ho visto nessuno. Mi dispiace.» 
Aveva le guance tempestate di lentiggini, e una piccola cicatrice alla sinistra del mento,  appena sotto le labbra sottili. Gli occhi, grandi e verdi, erano luminosi a motivo dei raggi solari che soffocavano la nebbia. 
«Oh» sospirò il ragazzo, deluso da quelle parole «Non fa niente.»
«Ti sei perso?» fece improvvisamente l'altro.
«Immagino di sì.» Jack fu sorpreso dall'interessamento del ragazzo che gli stava difronte. Il piccolo imbarazzo provato svanì del tutto, e anche la timidezza.
«Anche tu?» chiese Jackson al suo nuovo conoscente.
«No, direi di no.»
«Allora perché sei qui solo nei boschi?»
Il giovane parve infastidito: «Ma perché tutte queste domande?»
«Quando due persone fanno amicizia è inevitabile farsi domande!»
«Amicizia? Ascolta, ragazzino: io non ho tempo da perdere. C'è una ragione per cui sono qui e non sei di certo tenuto a saperla. Ora ti suggerisco di riprendere la tua ricerca. Quelle bambine non devono essere andate molto lontano.»
Che caratterino.
«Mi chiamo Jackson.» lo corresse. Non era più di buonumore.
«Va bene, Jackson. Adesso, se vuoi scusarmi...» si congedò l'altro, incamminandosi chissà dove.
«Ma per gli amici Jack.» 
Il ragazzo si voltò, scrutando Jack appena, probabilmente per afferrare maggiormente quelle parole alquanto spavalde. Rimase qualche secondo immobile, ma non ci volle molto per fargli riprendere il passo, e lasciare il bambino in balia di se stesso.
Jackson continuò a girovagare, speranzoso di trovare Peppa o, perlomeno, qualcuno di socievole e desideroso di aiutarlo. Il senso di smarrimento lo stava logorando e per un attimo confutò l'idea di essersi perso per sempre. Il freddo gli aveva congelato le mani, facendole gonfiare e arrossare. I denti sbattevano involontariamente.
Perfino una ventata di aria gelida sul viso era diventata una tortura insopportabile.
Improvvisamente cedette alle lacrime, accasciandosi accanto al tronco di un albero. Tutto quel silenzio lo stava facendo impazzire. 
Dove sono finiti tutti? Mamma, papà? Peppa?
Voglio andare a casa.
Trascorsero altre due lunghe ore. 
Il sole aveva cominciato a calare per far posto alla luna e Jack era ancora da solo, in mezzo al nulla.
Tentò di accendere un focolare, affidandosi agli insegnamenti di suo padre che una volta gli mostrò come dar vita alle fiamme con l'aiuto di due pietre focaie. Purtroppo non ottenne altro che un debolissimo accenno di fumo.
Rimase seduto sul ceppo abbattuto, raggomitolandosi su se stesso per ricevere un po' di calore. Aveva fame.
In quel momento gli venne in mente un pomeriggio in particolare, quando suo nonno aveva l'abitudine di osservare fuori dalla finestra appannata mentre era seduto sulla poltrona color petrolio. Lo stesso Jack, di qualche anno più giovane, gli stava sulle ginocchia. Ricordò, in particolare, di non aver potuto fare a meno di osservarlo con molta cura, notando come le sue guance si fossero fatte ancora più scavate e come avessero dato spazio alla barba incolta e bianca quasi quanto la coltre che quel dì adagiava di fuori.
«Questo inverno sarà uno dei più freddi di sempre, ne sono certo.» aveva detto il nonno.
«Io amo il freddo» era intervenuto lui «Posso dormire con le coperte pesanti e giocare con la neve!»
Ma il vecchio aveva sospirato, senza distogliere l'attenzione da quella finestra. Come se, tramite essa, avesse potuto rammentare il passato con più chiarezza.
«Il freddo non è sempre bello, Jack: a volte diventa così pungente da farti smettere di respirare. È capace di martellarti nella testa come un rullo di tamburi e non uscirvi più. Credimi, lo so.»
Mi manchi nonno. E solo adesso capisco quanto tu abbia ragione. Ho freddo. Dove sei?
Le speranze scomparvero insieme al sole. 
Il freddo, proprio come disse il nonno, gli stava martellando nella testa. Il respiro stava venendo meno.
Socchiuse gli occhi. Uno, due, tre.
Gli parve di sentire il suono sordo di passi nella neve. Sette, otto, nove.
Dieci. Trenta. Sessanta.
Sto arrivando...
Silenzio.

Aprì gli occhi e il giovane lentigginoso a cui aveva fatto domande spavalde gli comparve di fronte. Stava in piedi, a qualche passo lontano da lui, e lo guardava. Ma Jack era troppo stordito per reagire, cosicché chiuse nuovamente gli occhi.
E come la pecora perdutasi dal gregge viene stretta tra le braccia del suo Pastore, così il ragazzo circondò Jack con una grande coperta, la quale fu estratta dalla sacca di pelliccia che portava con sé. 
Animò un focolare ed accostò il piccolo in prossimità di esso. 
In tutto quel viavai Jack era cosciente ma debole, e mormorò un flebile grazie. Il suo salvatore rimase in silenzio, continuando ad alimentare il fuoco.
«Come ti chiami?» gli chiese improvvisamente il giovane, che provò grande sollievo nell'avvertire il calore di quelle fiamme.
«Hiccup.» rispose l'altro che, nel frattempo, si era procurato un'altra coperta per proteggersi dal gelo.
«Niente male.»
Hiccup sorrise, a sguardo chino.
«Non scoraggiarti, troveremo un modo per farti tornare a casa.»
Intanto Jack osservava il legname che lentamente veniva carbonizzato e ne ascoltava il rumore.
«Non mi hai ancora detto perché ti trovi qui nei boschi.» lo interruppe.
Hiccup sospirò e, in poco tempo, gli raccontò di quel villaggio chiamato Berk e del suo continuo ed implacabile stato di inadeguatezza, nonché del padre, di Astrid e tutti i personaggi che gli vennero in mente. Fece accenno anche alla scommessa.
Dall'altra parte Jack lo accorava con grande interesse e curiosità: aveva sentito parlare dei vichinghi. Conoscerne uno in carne ed ossa fu davvero emozionante per lui.
«E tu, cosa mi dici? Chi sono le quattro bambine che stai cercando?»
E così parlarono della loro storia, riconoscendo di essere straordinariamente simili benché venissero da contesti diversi. 
Mentre il fuoco moriva i due giovani vivevano grazie alla reciproca compagnia, nonostante il freddo che purtroppo non si era dissolto del tutto.
Il cielo scuro diede il benvenuto alle stelle nitide e lucenti. I due non poterono che ammirarle in tutto il loro splendore, in silenzio.
Inaspettatamente archi e brillanti raggi di luce dipinsero il firmamento: era l'aurora boreale che, in tutta la sua delizia, sprigionò i colori del blu e del verde fulgente.
Non proferirono parola, poiché le bande luminose parlarono al posto loro, rendendo quel momento ancora più indimenticabile. 
La luce del falò si era eclissata e Jack non poté fare a meno di tremare. I suoi spasmi furono notati da Hiccup, il quale era assorto dalla contemplazione di quell'idilliaco fenomeno; ma poi prontamente si separò dalla coperta che portava sulle spalle per circondare il ragazzo che gratamente gli sorrise.
Com'è piccolo, pensò Hiccup mentre osservava i cieli. So cosa si prova ad avere freddo. Non posso privarti del calore.
Rivolsero nuovamente lo sguardo all'aurora boreale, avvertendone il sibilo inusuale, finché Jackson non si addormentò. 
Non temere quando avrai freddo, giovane vichingo.
Perché io sarò lì, ti coprirò e ti salverò dall'inverno eterno.

   
 
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