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Autore: ___Page    25/04/2017    5 recensioni
Con l’estate alle porte, le speranze del ragazzo si rafforzavano di giorno in giorno. Certo era pazzesco pensare che, fino a quello che gli sembrava ancora ieri, erano solo due sconosciuti in punizione e lunedì sarebbero andati a scuola insieme per l’inizio degli esami.
*Fanfiction partecipante alla challenge "This would be love" indetta dal forum FairyPiece - fanfiction&images*
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Starring: Charlotte Pudding, Ishley, Izou, Jewellry Bonney, Kayme, Koala, Marco, Nefertari Bibi, Perona, Portuguese D. Ace, Sabo, Satch, Trafalgar Law.
Seguito di "Otto in condotta".
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Koala, Nefertari Bibi, Portuguese D. Ace, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Raftel High School - Le Cronache'
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Giovedì 15 giugno
Ore 00.15 ca.

 
«Wow! È stato… pazzesco!»
L’esclamazione di Ace risuonò nello spazio antistante al cinema, vibrando attraverso l’aria tiepida e gli altri spettatori che uscivano spediti dal cinema o si stavano attardando sul patio con gli amici e il proprio partner.
Nessuno stupore che il cinema fosse tanto pieno anche se era un giorno feriale, quel film era l’evento dell’anno, tanto da suscitare persino l’interesse di una ragazza selettiva e particolare come Perona. Ora il problema era che forse non aveva soddisfatto le sue attese, visto come si era fatta silenziosa a partire più o meno da dopo l’intervallo e a come continuava a perdurare in quello stato d’animo.
Ace lanciò un’occhiata alla propria sinistra nel non ricevere risposta, solo per scoprire che Perona non solo non spiccicava mezza parola ma aveva anche smesso di camminare, restando indietro di un paio di metri. Un po’ stranito ma sempre con il sorriso sul volto, Ace tornò quasi correndo verso di lei, per niente preoccupato dal suo taciturno atteggiamento.
Aveva già una mezza idea di quale fosse il problema e gli dispiaceva molto ma, in fondo, era stata lei ad insistere di andare al cinema lo stesso e scegliere un giorno infrasettimanale all’ultimo spettacolo era il massimo che Ace avesse potuto, per ridurre il più possibile la quantità di gente in mezzo a cui si sarebbero visti costretti a stare per centoventisette minuti, escluso l’ingresso e l’uscita. I biglietti era andato a prenderli nel pomeriggio, per evitare a Perona la tortura di dover stare troppo a contatto con altri esseri umani anche in fila alla biglietteria.  
Erano passati più tre mesi  dal pomeriggio in aula punizione e da allora, tra cioccolate da Pudding, ripetizioni di storia dell’arte e di informatica, Ace era entrato lentamente ma inesorabilmente nella vita di Perona, riuscendo a imbucarsi al di là del suo muro, diventando un amico prezioso e l’ancora che le dava il coraggio di affrontare il mondo e vivere di più all’esterno delle rassicuranti mura della sua camera.
Perona aveva fatto incredibili progressi in poche settimane e ora Ace cominciava a sperare che avrebbero cominciato a fare progressi anche loro. In fondo, era già come se si frequentassero. Ci erano scappati anche un paio di baci, sempre casti e mai sulle labbra e, per essere refrattaria al contatto, Perona era molto fisica con lui e accettava volentieri la sua vicinanza, i suoi abbracci, il suo accarezzarla con il naso sul collo o tra i capelli.
Con l’estate alle porte, le speranze del ragazzo si rafforzavano di giorno in giorno. Certo era pazzesco pensare che, fino a quello che gli sembrava ancora ieri, erano solo due sconosciuti in punizione e lunedì sarebbero andati a scuola insieme per l’inizio degli esami. Gli faceva strano, ma uno strano bello.
Tutto con Perona era strano e bello.
«Ehi!» la chiamò con un luccichio negli occhi. Si fermò a due passi da lei e chinò appena il busto, per sopperire alla differenza di statura tra loro, neanche così eccessiva ma che, comunque, c’era.
Perona non rispose, non sembrava nemmeno essersi accorta di lui. I suoi grandi occhi neri e languidi erano incantati verso il suolo e la sua espressione in generale lasciava trasparire un profondo disagio e, forse, una punta di sofferenza.
E anche questo era strano ma non era uno strano per niente bello. Era strano non perché fosse strano per Perona sentirsi a disagio di tanto in tanto. Era strano perché di solito la voce di Ace, o addirittura la sua sola presenza, bastavano per calmarla e rasserenarla e in quel momento invece Perona non sembrava nemmeno consapevole che lui fosse lì con lei.
Ignorando lo spasmo allo stomaco, perdendo un po’ della sua naturale luce, Ace sollevò la mano e la agitò davanti agli occhi della ragazza. «Terra chiama Perona!»
Perona sbatté le palpebre, colta alla sprovvista, ma, anziché illuminarsi come accadeva sempre quando un brutto pensiero la coglieva e Ace arrivava in suo soccorso, la sua espressione si fece ancora più tesa, nonostante il timido sorriso che gli regalò. E, per la prima volta da che la conosceva, vederla sorridere gli fece sprofondare il cuore nello stomaco.
«Stai bene?» le chiese, serio e preoccupato ,avvicinandosi cauto di un altro passo. Le scostò una ciocca di capelli dal viso, un gesto diventato ormai abituale. «C’era tanta gente, lo so. Speravo fosse più tranquillo ma…»
«Non è quello!» lo interruppe Perona, scattando quasi indietro.
Ace si pietrificò, la mano a mezz’aria tra loro, improvvisamente in allarme. C’era qualcosa di assolutamente fuori posto e non era che Perona fosse scontenta o a disagio perché in mezzo alla folla.
No, Perona non era affatto a disagio per via della folla.
La postura rigida, il respiro irregolare, il sorriso finto. Tutto parlava chiaro.
Perona era a disagio con lui.
Cercò di non farsi sopraffare dal panico e allontanò la mano dal suo viso, infilandola in tasca con nonchalance. L’ultima cosa che voleva era che si sentisse ancora più a disagio.
«Sì hai ragione, la trama era un po’ debole in alcuni passaggi ma devi ammettere che il ritmo è rimasto sempre coinvolgente.» commentò come se nulla fosse, passandosi una mano tra i capelli scuri, un modo discreto per scaricare la tensione.
«Non… non mi è sembrata debole, la trama…» Perona negò anche con il capo.
Ace deglutì a vuoto, sempre più preoccupato. Era strana, veramente strana. Non era in lei e Ace non capiva e se non capiva non poteva aiutarla a stare meglio e non poterla aiutare a stare meglio lo agitava da morire.
«Non ti è piaciuta la serata?» provò ancora, spostandosi da un piede all’altro, lasciando trasparire per un attimo la propria tensione. Tanto Perona manco lo stava guardando.
E anche quello era strano in effetti.
Perché non è che semplicemente Perona stava guardando altrove in quel momento. Perona stava proprio evitando il suo sguardo.
Forse…
Il dubbio lo colse e gli bloccò per un attimo il respiro in gola.
Forse era colpa sua.
«Perona ho fatto qualcosa che non dovevo?» chiese, diretto e un po’ agitato. S’impose di mantenere la calma. Qualunque cosa fosse non era certo irreparabile e avrebbe trovato il modo di aggiustare tutto, non appena Perona gli avesse spiegato dove stava il problema.
Ma tutta la sua sicurezza svanì quando Perona sollevò finalmente su di lui i propri occhi colmi di lacrime.
«Perona?!»
«Così non possiamo continuare Ace.» disse la ragazza, la voce un po’ incrinata. «Questo… questo non funziona per me.» proseguì, indicando se stessa e lui un paio di volte.
«C… cosa?!» domandò Ace, incredulo.
Sì, non riusciva davvero a credere alle proprie orecchie eppure il suo corpo non sembrava avere gli stessi problemi del suo cervello a giudicare dal sollievo improvviso che stava provando. Non riusciva a credere che Perona stesse facendo una mossa per passare al livello successivo.
Perché nemmeno per lui funzionava così anche se ovviamente era meglio di niente, anzi era molto più che niente, significava starle accanto ed essere una persona speciale nella sua vita e a Ace bastava. Ma il fatto che gli bastasse non gli impediva di desiderare di più e si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere di felicità ed euforia quando capì che, sì, Perona si stava per dichiarare.
Non rise perché Perona aveva le lacrime agli occhi e anche se Ace sapeva che di lì a poco avrebbe riso felice anche lei, anche se lui aveva la soluzione al suo problema e non vedeva l’ora di fornirgliela, non avrebbe mai riso della sua sofferenza, per quanto effimera e infondata.
Sapeva fin troppo bene che Perona aveva il terrore di restare sola e perdere le persone a cui teneva e sapeva di essere ormai una di quelle persone. Sapeva che Perona era terrorizzata all’idea di ricevere un suo rifiuto e per quello era tanto agitata e tesa.
Come se avesse mai potuto rifiutarla.  
«Mi spiace…» scosse la testa Perona.
«Piccola, è tutto a posto.» la interruppe lui, lasciandosi sfuggire l’epiteto con cui si era azzardato a chiamarla solo in un altro paio di occasioni, una volta in dormiveglia le altre due ubriaco.
Non sopportava di vederla così e comunque non avrebbe permesso che facesse lei tutta la fatica. Già solo quel primo passo era stato un enorme sforzo.
«Anche io penso che…»
«Non possiamo più vederci, Ace!»
Se Ace pensava di sapere cosa si prova quando ti cade il mondo addosso, quando si era infortunato e non aveva potuto giocare per un intero semestre, si rese conto in quel momento che non aveva mai saputo di cosa stava parlando. Una mazzata di Satch sulla nuca, avrebbe fatto meno male. Izou poteva più o meno confermarlo.
Non poteva essere reale. Non stava accadendo  per davvero.
Faceva troppo male per essere vero. Le ginocchia mozzate, lo stomaco annodato, il cuore stretto in una morsa, le corde vocali così tese da tirare nella gola.
«Come?» chiese a fior di labbra, sbattendo rapido gli occhi che già pizzicavano agli angoli.
Doveva aver sentito male, per forza. Non esisteva una lingua, umana o aliena, in cui le parole di Perona, pronunciate in quell’ordine, avessero un qualche senso compiuto.
«Non possiamo più vederci.» ripeté Perona, la voce più ferma e determinata nonostante le lacrime che le rigavano le guance. «Come amici o come… qualsiasi altra cosa.»
No, non aveva alcun senso.
«E puoi stare tranquillo, comunque per… per s-storia dell’arte...» la voce la abbandonò per un attimo. Perona deglutì pesantemente e prese un  profondo respiro prima di proseguire. «Sei pronto, se dovesse uscire allo scritto farai fav…»
«Storia dell’arte?!» la interruppe Ace con un’amara e incredula risata. «Chi… chi se ne importa di storia dell’arte?! Chi se ne importa dell’esame! Perona, cosa succede?!»
Voleva capire. Aveva un disperato bisogno di capire e quel disperato bisogno era così chiaramente scritto su tutto il suo viso spruzzato di lentiggini che Perona non riuscì a mantenere il contatto visivo per più di un paio di secondi. Puntò gli occhi al suolo e si morse il labbro inferiore mentre cercava la voce e la calma per rispondere.
«Non succede niente, Ace. Solo che non possiamo più vederci.»
«Perché?!» ruggì ferito Ace, avanzando di un passo e afferrandola per le spalle per obbligarla a guardarlo.
Per un istante tutto ciò a cui Perona riuscì a pensare fu che non erano mai stati così vicini prima. Sì, lei gli permetteva di abbracciarla quando guardavano un film a casa, si era abituata a tenerlo sottobraccio quando uscivano insieme, che fossero solo loro due o tutti e sei, e le veniva naturale persino incastrare il capo tra il suo collo e la sua spalla quando sedevano uno accanto all’altra. Ma così vicini, non lo erano stati mai.
Con le punte dei nasi che si sfioravano, la sua frangetta di che solleticava la fronte a Ace. Che ironia che non fossero mai stati nemmeno così lontani prima. Da quella distanza, poteva quasi contare le sue ciglia e vedeva fin troppo bene le lacrime che si stavano ammassando nei suoi occhi nocciola.
Perona non aveva mai visto niente di così bello e così brutto al tempo stesso.
Perona non si era mai sentita così male in vita sua e per un attimo rischiò di cedere all’impulso di aggrapparsi a lui, le gambe instabili e tremanti.
«Non c’è un perc…»
«Perona!» Ace la scosse, supplice e spaventato.
Voleva solo capire, capire cosa non andasse per poter rimediare. Voleva solo un problema a cui trovare una soluzione. E invece gli stava scivolando via dalle mani, come sabbia tra le dite.
«Ace…» un singhiozzo sfuggì alle labbra carnose e tinte di rosso di Perona. «Lasciami per favore.»
 Svuotato di ogni energia, Ace allentò la presa sulle sue spalle, fino a lasciar cadere le braccia lungo i fianchi impotente.
Perona vacillò per un attimo, instabile senza più le mani di Ace a stringerla, ma tornò subito in sé e si sentì morire quando vide l’espressione vacua di Ace. Schiuse le labbra per parlare, dire qualcosa, chiamare il suo nome ma non sarebbe servito a nulla. Non c’era altro da aggiungere. 
La gola chiusa e la vista ormai completamente appannata, Perona si voltò e scappò via, scartando tra la folla, mentre sbatteva le palpebre per liberarle dalle lacrime. No, non c’era niente da aggiungere e niente da fare e lo aveva capito anche lui.
La guardò andare via, impotente e indifeso.
Per la prima volta in vita sua, Portuguese D. Ace non riusciva a immaginare cos’avrebbe fatto da quel giorno in poi.
 

 
§

  
Venerdì 16 giugno.
Ore 14.30 ca.
 

«Ehi ragazzi!» Bibi corse loro incontro a metà del vialetto. «Allora?» chiese preoccupata.
«Sta bene. Cioè…» esitò Law ripensando per un attimo all’espressione tesa dell’amica, almeno dal poco che erano riusciti a intravedere dallo spiraglio che Perona aveva aperto.
«È viva e in salute.» venne in suo soccorso Koala. «Stare bene è un’altra cosa ma comunque non siamo riusciti a parlarle. Non ci ha nemmeno fatto entrare in camera.» spiegò, prima di accennare con il capo verso casa Portuguese. «Lui come va?»
Bibi si girò per un attimo verso la villetta, gli occhi grandi e scuri carichi di preoccupazione. «Siamo saliti per convincerlo ad uscire dalla camera e cinque minuti fa Sabo mi ha chiesto di scendere, non so esattamente che cos’avesse in mente di fare.» si strinse nelle spalle.
Law e Koala si scambiarono una breve occhiata prima di proseguire lungo il vialetto insieme a Bibi, uno accanto all’altro. Non era ancora chiaro chi avesse lanciato l’allarme quella mattina ma, dopo più di ventiquattr’ore senza ricevere nemmeno una proposta di andare al parchetto – e chi se ne frega degli esami – né un messaggio idiota da parte sua, Sabo, Satch e Marco erano stati d’accordo nel constatare che qualcosa con Ace non andava.
Il giro di telefonate e messaggi che ne era seguito era stato tra i più frenetici che tutti loro ricordassero, persino più di quella volta che Kyros-san si era lasciato sfuggire del compito in classe a sorpresa programmato da Scarlett-san e tutte le classi del quarto anno erano state avvisate grazie al passaparola avviato da un tutt’ora anonimo benefattore.
Bibi si era precipitata nonostante Sabo avesse insistito che restasse tranquilla a casa a studiare, Koala era a metà strada verso casa Portuguese quando Law l’aveva raggiunta in macchina, comunicandole che loro dovevano andare a controllare che con Perona fosse tutto a posto, e Izou aveva rinunciato al suo impacco ai capelli.
E ora erano tutti lì al secondo piano della casa, nella zona delle camere da letto.
Koala e Law si fermarono di fronte a Satch e Izou, appoggiati alla parete di destra. Bibi si sbrigò ad avvicinarsi a Sabo che, un braccio piegato al petto e l’altro piegato a novanta gradi, si stava passando una mano sul volto sospirando, mentre Marco era attaccato alla porta della camera di Ace, il pugno sollevato a fracassare il legno dipinto di giallo.
«Guarda che la butto giù se non apri! E non sto scherzando!» minacciò il capitano dei Moby Dick. E proprio perché capitano dei Moby Dick, sapevano tutti che non era una minaccia a vuoto.
«Attento a non farti male!» lo ammonì immediatamente Izou prima di girarsi verso Satch con espressione cospiratrice. «Pronto con il video?»
«Il video?!» chiuse subito Koala, tra il perplesso e l’indignato.
«Sta suonando e cantando con la vecchia chitarra di Roger apposta per non stare a sentirci. Se lo conosco bene, e lo conosco bene, sarà in giro solo con boxer e calzini e probabilmente della salsa di pomodoro della pizza nei capelli. Non posso non documentare questo momento!» affermò Satch, lo sguardo quasi sadico. «Farò milioni di visualizzazioni su YouTube.»
«Tu sei sempre così altruista ed empatico, eh, Satch?» commentò Koala, senza provocargli alcuna reazione.
A risponderle, un profondo e melodrammatico sospiro di Izou. «Non posso credere che stiamo assistendo alla fine degli Acerona prima ancora che fosse iniziata.»
«Gli… Acerona?» fu il turno di Law di domandare perplesso. «Cosa sono gli Acerona?»
Izou gli lanciò un’occhiata, difficile da interpretare, perché ogni volta che Izou guardava un compagno di scuola che trovasse anche solo lontanamente appetibile sulla sua faccia si riusciva a leggere solo malizia. Come Marco riuscisse a non essere geloso era un mistero per tutti. «Sono Ace e Perona, Law-kun. Ace più Perona diventa Acerona. Così come io e Marco-chan siamo i Maizo e tu e Koala siete i Lawala.» spiegò soddisfatto, prima di lanciare un’occhiata scocciata verso Sabo e Bibi. «Il loro nome viene una schifezza quindi loro sono solo Sabo e Bibi.» aggiunse con voce piatta e infastidita.
Law lo fissò a occhi sgranati un paio di secondi, poi sbatté vistosamente le palpebre e si voltò a cercare Koala chiedendole aiuto con lo sguardo ma la castana sollevò immediatamente le mani ai lati del viso. «Non lo so, non chiedere.»
«Okay, lo hai voluto tu.» sibilò Marco, allontanandosi dalla porta per prendere la rincorsa, mentre Sabo si scostava e trascinava Bibi dietro le proprie spalle. «Uno…»
«Marco non sono sicuro che…» provò a fermarlo Sabo.
«..due…»
«Veloce Satch, veloce e pronto con il cellulare!» lo incitò Izou, mentre il castano si spostava rapido accanto a Marco.
«Ma poi la porta chi la sistema?» chiese Law, sempre calmo e impassibile.
«…tre!»
Fu un attimo. Marco si lanciò sull’uscio, che si aprì senza opporre resistenza, e si schiantò sul pavimento della camera di Ace che, non era ben chiaro come, in due giorni scarsi era già diventata simile al rifugio di un eremita disordinato e con una pessima dieta.
«Marco!» lo chiamò Izou, precipitandosi verso il proprio ragazzo per aiutarlo a tirarsi su, dopo aver disincastrato la faccia dal parquet.
«Era aperta?» domandò cauta Bibi, incerta come tutti di ciò a cui aveva appena assistito.
«Era ragionevole credere che non lo fosse.» rispose Sabo con gli occhi ancora puntati su Marco, come anche Satch.
Law si girò verso di lui, lievemente basito. «E nessuno ha pensato di controllare?»
Ace, dal canto suo, si era immobilizzato con le dita sulla corda della chitarra ma non aveva fatto un plissé. Seduto a terra, nelle condizioni descritte da Satch ma senza salsa di pomodoro tra i capelli, osservava senza emozione Marco che si stava rimettendo in piedi con Izou che gli spazzolava i pantaloni, dopo essersi accertato che stesse bene. Li fissò alcuni istanti, come se non riuscisse a capire bene chi fossero e cosa ci facessero lì per poi riportare lo sguardo di fronte a sé e rimettersi a strimpellare, incespicando con la voce una nota su due.
«Sai dovrei decidermi e dimenticarti, okay/Ma come e dove…»
In un attimo la sua camera era piena di gente che si stava adoperando per raccogliere cartacce, torsoli di mela, due confezioni di succo di frutta vuote, una scatola di chocovo.
«Siamo sicuri che sia rimasto qui dentro solo due giorni?» chiese Law.
«…percezione novanta, sento che avanza/la fine lentamente…»
«Scusate che canzone dovrebbe essere?» domandò Izou mentre gettava via un fazzolettino di carta usato che era finito, non si sa come, dentro la boccia di vetro della lampada del comodino.
«…bluffare/poi basta litigare sempre/che non rimane niente...»
«Se continui a cantare non rimane niente neanche di te, Ace!» lo minacciò Sabo senza successo.
«…’nte, niente, nien*… umpf! Ehi!» protestò ce quando Koala gli versò in testa un bicchiere d’acqua trovato sulla scrivania prima di gettargli una maglietta in grembo.
«Rivestiti.» lo ammonì, mentre chiudeva il sacchetto della spazzatura.
Ace esitò qualche secondo e poi posò la chitarra accanto a sé. Sabo si gettò prontamente sul letto per sottargliela mentre lui si infilava la maglia e Satch si accovacciò di fronte a Ace, aspettando che la sua testa riemergesse dalla stoffa.
«Ace, vuoi dire qualcosa a tutti i tuoi ascoltatori?!» lo invitò il castano, con fare e sorriso da deejay.
Ace fissò atono la telecamerina del cellulare prima di rispondere: «Ti odio.»
«Satch se ci tieni a giocare l’ultima partita dei Moby Dick, falla finita.»
«Koala ma guarda che è un reperto archeologico questo! E lo potremo ricattare per anni!»
«Satch…» lo chiamò Marco, esasperato. «Fa come dice. Anzi, io, te e Izou adesso andiamo giù a preparare un po’ di the.» decise il capitano e dovettero aspettare solo un altro paio di proteste del centravanti della squadra per riuscire a liberarsi finalmente di lui.
Izou, manco a dirlo, pendeva talmente tanto dalle sue labbra che avrebbe fatto qualsiasi cosa che non riguardasse i capelli su richiesta di Marco.
Non sentirono il bisogno di richiudere la porta, la casa era immersa nel silenzio a parte gli urletti ormai lontani di Izou. Sabo e Bibi si sedettero rapidi sul letto, ai cui piedi Ace era appoggiato con la schiena, mentre Law prendeva posto alla sedia della scrivania e Koala si inginocchiava accanto a lui.
Ace prese un paio di respiri profondi e provò a mandare giù il groppo che aveva in gola, consapevole di cosa stava per arrivare.
«Cos’è successo?» domandò Sabo dopo un po’.
Gli occhi di Ace presero a pizzicare all’istante e il moro si strinse nelle spalle, lo sguardo puntato sul muro di fronte a sé.
«Mi ha lasciato.»
Sabo cercò subito con gli occhi Bibi, che gli posò quasi in automatico una carezza sul volto, per confortarlo.
«Tecnicamente non stavate insieme.» fece notare Law, il busto piegato in avanti, le dita intrecciate e le braccia posate sulle cosce. Koala gli lanciò un’occhiata di fuoco a cui Law rispose con un cenno che voleva dire “Ma che ho detto?”.
«Ti ha dato un motivo?» proseguì con le domande Bibi.
Ace scosse il capo, sempre più vicino alle lacrime e Koala gli posò una mano sulla spalla, stringendo appena. «Ace, vedrai che è stato tutto un malinteso. Si sistemerà tutto.» gli disse, preoccupata.
Avrebbe voluto crederci almeno lei a quelle parole ma la verità era che nessuno capiva. Sì Perona era difficile e volubile ma se avevano avuto una certezza fino a quel giorno era che Ace per Perona fosse come la carne per Rufy.
Ace abbandonò il capo all’indietro, sul m aterasso, e una lacrima sfuggì al suo controllo.
Koala cercò speranzosa gli occhi di Law che però non sapeva cosa dire più di quanto avesse già detto lei e rimase in silenzio, come anche Sabo e Bibi, solo i rumori del piano di sotto  a riempire un po’ quel vuoto e per questo bene accetti, nonostante facessero presagire un’imminente esplosione della cucina di casa Portuguese.
L’assenza della loro amica dai capelli rosa non era mai stata così pregnante.
 




Meno tre giorni all’inizio degli esami.  










 
  
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