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Autore: niun68    28/04/2017    0 recensioni
[Le inchieste del Commissario Maigret]
Il corpulento ex commissario Maigret, in pensione da qualche anno, viene coinvolto dal suo ex direttore in una indagine ufficiosa sul suolo italiano.
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il forte vento di maestrale accolse Maigret non appena il traghetto si affacciò nel Golfo degli Angeli. Era la prima volta che si recava in Sardegna, non aveva idea di cosa lo aspettasse. Era stato il Direttore in persona ad andare a Meung-sur-Loire, lo aveva accolto con la camicia aperta, la paglietta in testa e gli stivali di gomma, perché stava lavorando al piccolo orto che avevano in quella casetta di campagna. Alla richiesta del Direttore aveva obiettato che era in pensione e che non conosceva quella parte d’Italia. All’ennesima protesta di Maigret, che per abitudine continuava a chiamarlo “signor Direttore”, il suo ex capo giocò la carta della lettera. Era una lettera del Presidente in persona, che chiedeva a Maigret, in via ufficiosa, di seguire quel caso di morte di un diplomatico francese in terra sarda. La signora Maigret nel frattempo gli aveva già preparato la valigia, ordinate le pipe in modo che potesse scegliere quali portarsi, e controllato le scorte di tabacco, certa che nonostante le proteste lui sarebbe andato. – Mi raccomando, non fumare troppo, e non essere troppo scontroso. – gli disse.

 

Maigret sbuffò come un mantice, mostrandosi contrariato ma in fondo era contento. Non riusciva ad abituarsi alla routine della campagna, alle partite a carte la sera, la pesca sul fiume. Gli mancava il suo ufficio, ora l’ufficio di Lucas, la brasserie Dauphine e persino i delinquenti abituali che conosceva per nome, che di quando in quando, a intervalli più o meno regolari, transitavano nell’acquario, la sala con le grandi vetrate dove facevano accomodare malviventi e visitatori al Quai des Orfevres.

Mentre Maigret faceva una doccia e si preparava il Direttore lo aspettava in auto, per accelerare i tempi, disse. E ora era là, in quella terra sconosciuta, dove gli abitanti non si consideravano italiani ma sardi. Un parente di Louise, la signora Maigret, era di origine italiana e Maigret lo aveva chiamato al telefono per avere qualche informazione, per capire come muoversi. – Pensi, caro Maigret, ai corsi. I sardi sono più o meno della stessa pasta. Sono diffidenti, ostinati ma se si entra in casa loro con il giusto passo sanno essere molto cordiali e ospitali. Cagliari è una cittadina quasi moderna, non credo si troverà male. – gli era stato detto. Sapeva che stava fumando molto, ma quasi venti ore di traversata in mare lo avevano messo di cattivo umore. E lui era ben deciso a tenerselo, a essere scontroso, a camminare con il passo pesante. Il Direttore lo aveva informato che al suo arrivo qualcuno della procura di Cagliari lo avrebbe accolto come rappresentante della procura parigina, in visita solo per seguire gli sviluppi del caso e nulla più. Questo in via ufficiale, in via ufficiosa gli si chiedeva di indagare senza scandali e senza mettere in imbarazzo il governo francese. Rimase sul ponte ad osservare la manovre di attracco, le cime che venivano lanciate a terra e poi legate alle bitte sul molo.

Una volta a terra, Maigret pestò un piede, come a sincerarsi della stabilità del pavé. Un uomo gli andò incontro, non molto alto, robusto, folti capelli neri. – Il commissario Maigret? – chiese, parlando in francese. – Signor Maigret va bene, sono in pensione, il mio è solo un incarico come osservatore. – disse con un tono che denotava tutto il suo cattivo umore. – Io sono il brigadiere Angelo Putzu. Preferirei chiamarla Commissario, sarà più facile per tutti, se per lei va bene. – Maigret sbuffò, è penso che era iniziata così questa faccenda, sbuffando. Annuì con un cenno del capo.

Maigret osservò distratto il panorama che scorreva di fronte ai suoi occhi, il porto da una parte i portici di via Roma dall’altra, la statua di Carlo Felice, nella piazza, il terrapieno medievale. Una pioggia insistente aveva cominciato a cadere riempiendo ben presto la ripida salita di via Santa Margherita di rigagnoli d’acqua scura. Mentre procedevano, il brigadiere faceva da cicerone, indicando ora quella piazza, ora quell’edificio. – Questa è Porta Cristina, così chiamata in onore della moglie di Carlo Felice. – Maigret seguiva il corso dei suoi pensieri, pensava che avrebbe trovato il sole ad accoglierlo, invece di questo tempo grigio. Maigret chiese di poter parlare subito con l’incaricato dell’inchiesta, voleva sbrigare quelle formalità in fretta, vedere gli atti e poi tornarsene a Meung-sur-Loire, ai suoi ravanelli e ai fagiolini. E aveva fame, si chiese dove avrebbe pranzato, e con chi. Col brigadiere tanto ansioso e deferente, o con il magistrato, o il commissario. Oppure da solo, opzione questa che avrebbe preferito. – Dove posso comprare del tabacco grigio? – chiese al brigadiere. -Mi dica cosa le serve, ci penserò io appena saremo arrivati al palazzo di giustizia -. Maigret, scontento, disse al brigadiere di procurargli tabacco e fiammiferi.

Nelle vicinanze del palazzo di giustizia Maigret vide un tram, e un lieve sorriso si dipinse sul suo volto massiccio. Voleva salire sulla pedana del tram e fumare la pipa, con lo sferragliare delle ruote in sottofondo.

Maigret si fece indicare l’ingresso del palazzo di giustizia poi congedò il brigadiere. – Le porterò tabacco e fiammiferi più tardi, commissario. – disse Angelo salutando con la mano. Il commissario in pensione salì sul primo tram di passaggio, trovò un angolo sulla pedana e si accese la pipa, lasciando che la pioggia, ora diventata una fine acquerugiola, gli bagnasse il soprabito e la bombetta. Non rimase a lungo sul tram. Dopo un paio di fermate decise di scendere e tornare a piedi verso il palazzo di giustizia. Non aveva più fretta, stava assaporando la città, i suoi odori, il traffico lento, le poche auto in circolazione. Entrò nel primo bar sulla strada e ordinò una birra nel poco italiano che conosceva, sentì subito su di sé gli occhi degli avventori, uno in particolare lo guardava con insistenza, aggrottando la fronte. Maigret lo notò dallo specchio dietro il bancone e gli venne in mente Fecamp, senza una ragione. Ricordava di essere stato a Fecamp l’ultima volta parecchi anni prima, per un caso di furto di gioielli conclusosi con due omicidi. Alzò di nuovo gli occhi allo specchio, lo vide avvicinarsi. – Mi sbaglio – cominciò, e dall’accento Maigret capì che era bretone, o giù di lì, – o lei è il commissario Maigret? – . Non rispose subito, si girò lentamente verso il suo interlocutore e lo osservò meglio. – Ducasse! – disse ridendo, aveva riconosciuto il non più giovane ispettore, che all’epoca dell’inchiesta a Fecamp, lavorava presso la procura di Caen. – Cosa è venuto a fare qui, capo? Si tratta del segretario dell’ambasciata? – chiese Ducasse. – Si è no, sono qui solo come osservatore e non chiamarmi capo, sono in pensione da quasi cinque anni ormai. E tu? Come sei finito in questo posto?- Maigret si sentiva sollevato, un punto d’appoggio insperato. -Lavoro all’ambasciata da qualche anno, mio suocero è un diplomatico e ha preteso che lo seguissi qui in Italia con moglie e figli. Tutto sommato non si sta male. Si mangia bene, il vino è buono e la gente è un pò scorbutica, ma solo all’apparenza.-

Maigret pagò la birra e anche le consumazioni di Ducasse, poi gli chiese se poteva fargli da guida in questa inchiesta. – Scherza, capo? Mi metterò a sua completa disposizione. Ho imparato l’italiano e anche un pò di cose del dialetto locale. Ho capito che il suo incarico non è solo come osservatore. Non avrebbero scomodato uno come lei. – Maigret sorrise, il cattivo umore era sparito insieme alle nuvole e ora un bel sole invernale illuminava le strade bagnate. – Senti, Ducasse, ora accompagnami dal magistrato che si occupa del caso, mi sta aspettando da un pò, dopo se hai tempo, pranzeremo e mi racconterai la tua versione dell’accaduto. Non sei più ispettore, quindi. Cosa fai in ambasciata? – chiese Maigret. – Sono il capo della sicurezza. Ho il grado di capitano. –

Il commissario annuì, rifiutò la sigaretta offertagli da Ducasse mostrando la pipa e si avviarono verso il palazzo di giustizia.

L’incontro col magistrato si svolse senza intoppi, Maigret non fece troppe domande. Un segretario dell’ambasciata era stato trovato morto in un vicolo del rione Marina, probabilmente con un’arma da taglio. Maigret chiese a Ducasse di fargli da traduttore. – Mi dica, signor giudice, che tempo faceva il giorno in cui è morto?- chiese. – Un tempo da lupi, a quanto mi hanno detto. Pioggia e vento.- rispose il giudice.

– Quindi i vestiti saranno stati fradici e sporchi, immagino. – disse Maigret con noncuranza.

– No, erano bagnati, ma abbastanza puliti. Riteniamo sia opera di qualche protettore, o di un ladro. Un tentativo di furto andato male. Non ci metteremo molto a trovare un colpevole. –

– Non ne dubito, signor giudice – Maigret rimase sornione, con la pipa in mano dalla quale un esile filo di fumo si innalzava verso il soffitto. Non si stupì di trovare la stessa boria dei nuovi giudici istruttori di Parigi, questa capacità di saltare subito alle conclusioni, indirizzare le indagini.

Lui non avrebbe agito così. Per Maigret come prima cosa bisognava conoscere la vittima, le sue abitudini, le sue manie, i suoi tic. Poi il suo ambiente, respirare a fondo la stessa aria, sedersi sulla sua sedia, alla sua scrivania. Maigret sapeva che si sarebbe recato all’ambasciata, avrebbe fatto domande e immaginava che per Parigi la soluzione prospettata dal giudice italiano fosse preferibile. Ma lui non voleva un colpevole, ma il colpevole. – Dimmi, Ducasse, dove porteresti a pranzo il tuo vecchio capo? – chiese una volta usciti dal palazzo di giustizia. – Conosco un posto favoloso vicino al porto, niente lusso, sulla pulizia del locale non giurerei ma servono degli spaghetti alle vongole ottimi, da annaffiare col bianco della casa, il vermentino, un prodotto locale.

– Perfetto. Lungo strada indicami anche dove posso telefonare in Francia. – chiese ancora.

– La farò chiamare dall’ambasciata dopo pranzo. Non è facile fare chiamate internazionali qui.-

Maigret sollevò il bavero del soprabito, caricò la pipa col tabacco che il brigadiere gli aveva procurato e la accese. – Avanti, Ducasse, fammi conoscere questi spaghetti. –

Il pranzo procurò a Maigret un intimo piacere, quasi una soddisfazione. Si concesse il lusso di un’espresso all’italiana, ben diverso dal caffè francese. – Pensavo molto peggio – disse a se stesso.

L’ambasciata si trovava in una delle vie nobili di Cagliari, in via Vittorio Veneto 14, una villa del tardo ‘800. I gendarmi si misero sull’attenti al suo ingresso, Maigret ne fu sorpreso. – Hai avvisato che non sono più in servizio e che questa è un’inchiesta informale? – chiese a Ducasse. – Naturalmente, capo. Ah, ecco l’ambasciatore Fournier e signora, la stanno aspettando. –

Maigret non era abituato a tutte quelle formalità, si sentiva un pò in imbarazzo. Fu introdotto in un salotto arredato in stile vittoriano, quasi sicuramente tutti pezzi originali. La signora Fournier lo guardava con occhi supplichevoli, Maigret si convinse che doveva parlarle in privato. Fournier si prodigò in spiegazioni sulla vita del segretario, persona perbene, una fidanzata in Francia ancora studentessa, alla Sorbona, una delle famiglie più in vista della capitale, insomma non c’erano ragioni per cui si trovasse in quel luogo a quell’ora. – Eppure è lì che è morto, signor ambasciatore, è un fatto innegabile. – disse Maigret studiando la reazione del suo interlocutore, il quale si mosse appena sulla sedia, un movimento impercettibile, come quando si ha prurito. – Bene, commissario, la lascio al suo lavoro, mi raccomando alla sua discrezione: uno scandalo non sarebbe opportuno, gradirei sapere in prima persona quale indirizzo prenderanno le sue indagini.- disse Fournier alzandosi in piedi. – Non dubiti, signor ambasciatore. – rispose Maigret, sorridendo. Ducasse lo condusse in un ufficio, adiacente a quello dell’ambasciatore. – L’ufficio del segretario, Emile Marceau, il morto. – Ducasse gli indicò la scivania. Maigret si sedette nell’ampia poltrona di fronte alla scrivania, si accese la pipa e osservò a lungo quel piccolo locale. Dopo qualche minuto andò a sedersi alla scrivania del morto e, con noncuranza, cominciò a frugare tra le sue cose, aprì i cassetti, spostò delle carte. Vide il telefono e, dopo un cenno d’intesa con Ducasse, chiamò Parigi, il suo vecchio ufficio. – Sei tu, Lucas? Come va, vecchio mio? Potresti farmi una cortesia, mi serve sapere tutto su un certo Emile Marceau, segretario all’ambasciata francese in Sardegna. Dov’è nato, dove ha studiato, e anche sui suoi genitori. Sì, mi serve qualche informazione sulla sua fidanzata, si sta laureando alla Sorbonne, Lucille Viguier. Sicuro che non disturbo? Puoi far avere tutto a Jean Ducasse, capitano della sicurezza qui in ambasciata. No, non mi hanno richiamato in servizio, sono qui come osservatore. A presto. – fu un respiro pesante quello di Maigret. – E questa è fatta – disse. Poi chiamò Meung-sur-Loire, alla taverna, la signora Maigret? Certo, se poteva attendere in linea l’avrebbero fatta chiamare. Sbrigate queste formalità, Maigret guardò Ducasse senza parlare, poi disse: – Pensi che sarebbe possibile parlare con la signora Fournier? –

La signora Fournier lo accolse nella sua stanza, era una donna assai più giovane dell’ambasciatore, il quale andava per sessantacinque, Maigret non le avrebbe dato più di quaranta anni, aveva indosso una corta vestaglia che lasciava in evidenza le gambe, lunghe e sinuose, da ballerina, e l’incavo dei seni, e non sembrava provare alcun imbarazzo. Maigret, invece si sentiva fuori luogo, gli sembrava di essere oggetto di studio da parte della donna, quasi un tentativo di sedurlo. – Posso sedermi? – chiese, la signora Fournier gli indicò una poltrona, molto civettuola per la figura corpulenta del commissario. – Mi dica, signora ambasciatrice, come ha conosciuto suo marito? -. La donna lo osservò con stupore e un certo imbarazzo. – Ma sì, tanto lo verrebbe a sapere comunque se volesse. Prima di quest’incarico Edmond era un professore universitario, ho preparato la mia tesi con lui e sono diventata la sua amante prima e sua moglie dopo, quando è rimasto vedovo. – Maigret prese la pipa e un chiese con uno sguardo se poteva accenderla, la donna sorrise e disse: – Naturalmente, mi sono sempre chiesta che effetto facesse vederla fumare la pipa. Sono una sospettata? – Maigret non rispose subito. – Pensa di doverlo essere? Se si, perché? – Si era accomodato sulla poltrona color rosa pallido, quasi sprofondato. La donna si mosse leggermente, scoprendo una parte del seno, Maigret girò lo sguardo verso la finestra, aspettò che la signora Fournier chiudesse la vestaglia. – Potrei essere sospettata perché Emile è stato il mio fidanzato, ci siamo lasciati quando scoprì la mia tresca con Edmond. E questo mette in cattiva luce anche mio marito immagino. – Il commissario si alzò e andò verso la finestra. Una fine pioggerella bagnava i vetri. – Io non sono qui in veste ufficiale, signora, terrò in debito conto ciò che mi ha detto e agirò con discrezione. Mi dica ancora una cosa, conosce qualcuno che volesse fare del male a Marceau? Aveva dei nemici? – La signora Fournier ci pensò un attimo. – No, non credo. C’era un tale all’epoca che mi faceva il filo, ma molto discretamente. Non ne ricordo il nome. – disse. – Eppure il suo viso mi dice qualcosa, signora. Ma molto più giovane. – il commissario cercava di riportare a galla un ricordo, un vago sentore. – Mi meraviglia che lei se ne ricordi. Ero scappata di casa, avevo diciassette anni, e lei venne a prendermi in un bistrot piuttosto losco in Rue de Calaincourt. Ho pure cercato di sedurla pur di non tornare a casa. Poi mi diede la notizia che mio padre si era ucciso. Lei sapeva cosa aveva fatto, e glielo disse, e lui non volle affrontare lo scandalo.- non c’era astio nelle sue parole, ma solo gratitudine. – La piccola Henriette Madeau, la figlia del deputato. Non ce l’ha più con me?- disse Maigret. – No, signor commissario. E come potrei? La mia vita è questa grazie a lei. Può darmi del tu, come faceva allora. – gli disse ridendo la signora Fournier. Era una risata bella, cristallina e sincera. – Non mi permetterei mai, signora ambasciatrice. È meglio così, mi creda. Va bene, per ora non le farò altre domande. -.- Non vuole sapere se ho degli amanti? – gli disse. – Li ha? -.- No, ma ne ho avuti. Edmond lo sa comunque. Lui dice che non può soddisfare una donna così focosa e quindi mi lascia un pò di briglia sciolta. – Mentre parlava si era avvicinata a Maigret, aprendo la vestaglia e lasciando intravedere il bel corpo nudo sotto di essa. – Si rivesta, signora. Non sbiadisca il bel ricordo che ho di lei. – Maigret le aveva chiuso i lembi della vestaglia, posandole le sue grosse mani sulle spalle la costrinse a sedersi sul letto, poi le disse mentre usciva dalla stanza: – Si riposi, e pensi solo che un’uomo è morto, e lei potrebbe esserne la causa. – E forse non è il primo, pensava Maigret fermo nel lungo corridoio.

Lucas ebbe il suo bel daffare per trovare le informazioni richieste da Maigret. Incontrò non pochi ostacoli nel raccogliere informazioni su Emile e la sua fidanzata Lucille. Emile Marceau era di estrazione popolare ma grazie al breve fidanzamento con la signora Fournier, all’epoca Henriette Madeau era entrato in contatto con l’alta borghesia parigina e si era fatto valere. Era apprezzato per la sua integrità e il suo attaccamento al lavoro. Lucille Viguier era una bella ragazza, molto riservata, non cercava di farsi notare, quasi l’opposto della giovane Madeau. Dai genitori della ragazza Lucas venne a sapere che un vicino di casa era ossessionato da Lucille, ma si trattava di un ragazzo ritardato e per nulla pericoloso. Comunicò le notizie a Maigret in tarda serata.

– Si è già fatto un’idea, capo? Cosa ne pensa? -. Ducasse era appoggiato allo stipite della porta, nella biblioteca dell’ambasciata. – Io non penso niente, amico mio. -, Maigret aveva di nuovo un tono burbero, quasi scontroso. La testa sembrava più incassata nelle spalle, il passo si faceva più pesante, lento. Eppure era proprio in questi casi che si poteva ammirare il miglior Maigret. Ducasse conosceva abbastanza il suo ex capo per sapere che qualcosa bolliva in pentola. -Ha già capito, capo? -. Maigret lo guardò, con la pipa stretta tra i denti, e poi disse: – Non sarà facile, Ducasse. Mi gioco la pipa che questo Emile ne sapesse una più del diavolo. -. In quel momento l’ambasciatore entrò nella biblioteca. – Vedo che la sua fama non è imperita, commissario. Emile ci teneva in pugno. Me e altri a Parigi. Poteva rovinarci e non sono sicuro che non possa comunque accadere. La sua morte non allontana il pericolo. – disse lasciandosi cadere su una delle poltrone.

Maigret guardava fuori dalla finestra. – Aveva dei complici nei suoi ricatti? – chiese. – Non ne ho idea. Accennava sempre al fatto che la sua morte non ci avrebbe tolto dai guai. -. -L’ha ucciso lei, signor ambasciatore? -. Lo sguardo di Maigret era impenetrabile. – No, non ne sarei capace. Spero che mi creda. -. Ducasse era vigile, aveva sentito un fruscio, lieve. Fece un cenno al commissario.

Maigret annuì. La signora Fournier entrò e guardò il marito, poi il commissario. – Metta via quel coltello, signora. – Ho subito per anni quell’uomo, all’apparenza onesto, integerrimo. Sapeva vendersi molto bene. Intende arrestarmi? -.

Maigret salutò Ducasse prima di salire sul traghetto. – Arrivederci, vecchio mio. Quindi tornerai a Parigi con l’ambasciatore. – gli disse. – Si, la moglie ha bisogno di cure e riposo. Dopo essere stata per anni succube di quell’Emile, tanto da sposare Fornier perché lui potesse portare avanti i suoi ricatti. Voleva diventare ambasciatore, lo sapeva? A proposito con le autorità italiane come ci regoliamo? –

– Emile Marceau è caduto vittima di un furto andato male. Non troveranno mai il colpevole. O forse sbatteranno dentro qualche disperato, come capita da noi. Il Primo Ministro sarà contento. –

Maigret pensò alla piccola Henriette, allora diciassettenne, e alla donna che era stata costretta a diventare. Costretta a sedurre uomini importanti perché il suo amante potesse trarne un delittuoso beneficio.

Trovò la signora Maigret indaffarata come al solito. Erano quasi le cinque del pomeriggio e si senti la voce di Turneau, il postino : – Commissario, l’aspettano per la partita. -. Maigret accese la pipa, prese il soprabito, il cappello e sbuffando uscì sbattendo leggermente la porta.

   
 
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