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Autore: Laylath    28/04/2017    5 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 23. Le persone giuste con cui confrontarsi.

 


 
 
Per molto tempo uno dei grandi limiti di Vato Falman era stato quello di avere una certa rigidità di pensiero: le cose per lui erano nere o bianche, dai confini ben definiti, senza alcuna sfumatura che lo facesse uscire fuori dal sentiero che vedeva davanti a sé. In parte per carattere, in parte per influenza paterna, questa sua peculiarità non gli aveva creato problemi fino a quando non si era trovato a fare i conti con l’amicizia con Roy che, al contrario, di queste famose sfumature ci viveva. A onor del vero era stato un trauma che aveva fatto più che bene alla sua personalità troppo compassata, e le successive relazioni con il resto del gruppo l’avevano aiutato ad aprirsi sempre di più e a completare il suo processo di crescita.
Di conseguenza il giovane che si era laureato ad East City, con somma lode dei suoi docenti, si riteneva ormai libero da determinate ristrettezze mentali, se così si potevano definire. Così come molti suoi coetanei, tra cui la stessa Elisa, Vato si riteneva uno dei giovani del nuovo secolo, pronti alle novità e alle rivoluzioni sociali che si stavano piano piano facendo spazio ad Amestris.
Invece non sono troppo diverso dalle persone di questo paese che io stesso ritenevo per la maggior parte bigotte e chiuse.
Vato lo pensò con amarezza la mattina successiva, quando si svegliò e rimase diversi minuti a fissare il lieve fascio di luce che penetrava dalle tende tirate. Aveva fatto fatica ad addormentarsi e anche il suo sonno era stato tormentato e per nulla riposante: come succedeva in simili casi, la sua mente era rimasta a rimuginare per diverso tempo, lasciandolo carico di cupi pensieri e di dubbi su se stesso. La sua propensione all’autocritica si era presentata puntuale, pronta a punzecchiarlo nell’intimo della sua persona, ed il fatto che l’argomento fosse il suo rapporto con Elisa non faceva che rendere più velenosa ogni singola puntura di quello strano insetto che albergava dentro di lui e non lo lasciava mai del tutto.
“Vato, tesoro, la colazione è pronta!”
La voce di sua madre gli fece capire che non poteva più restare a letto. Per quanto quel giorno avesse la mattinata libera non era il caso di passarla sdraiato come se fosse malato. Tuttavia aveva anche una certa apprensione nell’affrontare i suoi genitori: dalla sua faccia avrebbero intuito che qualcosa non andava, sempre che non l’avessero già capito ieri sera, nonostante la presenza di Roy a distrarli.
Ma non era più un ragazzino e non poteva evitare simili confronti.
Dopo essersi preparato si recò in cucina e cercò di dimostrarsi il più disinvolto possibile. In apparenza anche i suoi genitori si comportavano normalmente: sua madre stava finendo di riscaldare il caffè, mentre suo padre era seduto al suo posto di capotavola, spalmando una fetta di pane con il burro.
“Buongiorno a tutti, scusate il ritardo”.
“Nessun problema, caro – sorrise Rosie – stamane, se non sbaglio, non devi andare in libreria. Devi lavorare a qualcosa qui a casa?”
“No, non ho nessuna scadenza per questa settimana. Ho la mattinata libera, penso che andrò…”
Dal sindaco a chiedere della casa – almeno questo è quello che avrebbe voluto dire.
“… a trovare Roy e a fare quattro chiacchiere con lui”.
Tuttavia l’esitazione fu recepita e subito venne gratificato di uno sguardo penetrante da parte di suo padre. Sua madre non disse niente, ma per rapida intuizione Vato capì che la sua mano aveva esitato un secondo a sollevare il coperchio della caffettiera per controllare a che punto fosse il caffè.
Eccoti qua, Vato, siamo alle solite. Non riesci proprio a nascondere nulla, nemmeno per una giornata.
A dire il vero un confronto con i suoi non gli sarebbe dispiaciuto. A ben pensarci era tramite loro che aveva recepito determinati valori, gli stessi che in parte erano stati messi in dubbio il giorno prima: forse parlare con loro gli avrebbe schiarito le idee.
Però no! – si disse, trattenendosi dal scuotere la testa – papà penserebbe che non sono assolutamente pronto per il matrimonio e anche mamma si farebbe un sacco di problemi. Non voglio farla entrare in paranoia… e non voglio nemmeno che pensino male di Elisa.
Quel pensiero lo fece confondere ancora di più: davvero i suoi avrebbero pensato male di Elisa? Gli sembrava inverosimile eppure buona parte del paese provava diffidenza nei confronti della sua fidanzata. Cosa avrebbero pensato i suoi alla notizia che lei, per il momento, non voleva figli e che non voleva esser vista solo come sua moglie?
Troppe emozioni in una volta sola – rifletté, mangiando un biscotto e ringraziando sua madre che gli versava il caffè – già per papà è difficile accettare la modernità della moto di Roy, figuriamoci dei pensieri così… progressisti.
Preferì dunque terminare la colazione in relativo silenzio, congedandosi il più in fretta che poteva per poter uscire da casa e riflettere sul da farsi. Tuttavia, proprio quando stava andando a prendere il cappotto, suo padre lo bloccò.
“Aspetta, figliolo, usciamo assieme”.
A quelle parole Vato si irrigidì, ma cercò di apparire il più neutrale possibile mentre aspettava che Vincent lo raggiungesse. Uscirono assieme e si misero a camminare verso la via principale: sicuramente il capitano si aspettava che il figlio dicesse qualcosa a proposito della sua visita a Roy, ma il locale dove abitava il giovane soldato venne superato senza che se ne rendesse conto.
“Non dovevi andare dal tuo amico?” chiese infine l’uomo, mentre si avvicinavano al piccolo commissariato.
Vato sussultò, rendendosi conto del suo errore.
“A dire il vero era un’idea nata così per caso – cercò di giustificarsi – non ci siamo dati un vero appuntamento e mi è passato di mente. Vado a vedere se c’è, ci vediamo a pranzo…”
“Capisco che a volte si preferisca parlare con un amico piuttosto che col proprio genitore – Vincent gli mise una mano sulla spalla, quasi a bloccarlo – ma è da ieri sera che qualcosa non va, sia io che tua madre ce ne siamo accorti. So che hai ventidue anni e che oramai sei un uomo, ma vorrei che ti fosse chiaro che noi ci siamo sempre, qualunque sia il problema… non è una vergogna confidarsi coi propri genitori, a prescindere dall’età”.
A quelle parole Vato annuì in maniera quasi impercettibile e fu seriamente tentato di dire qualcosa per iniziare in qualche modo il discorso. Ma proprio in quel momento, con la coda dell’occhio, vide Elisa che si dirigeva verso l’ambulatorio, lottando per sistemarsi meglio la sciarpa.
No, non posso dire quanto è successo…
Suo padre seguì la direzione del suo sguardo.
“Ehi, ragazzo – gli disse – capita a tutti di litigare con la propria fidanzata. È successo anche a me e tua madre, non è niente di grave”.
“Non è proprio un litigio…” ammise Vato.
È mettere in discussione tutto quello che si è sempre ritenuto giusto… che poi è quello che mi hai insegnato tu con il tuo esempio.
“No? A maggior ragione non è niente di grave – continuò il capitano con un lieve sorriso – Intuisco che non ne vuoi ancora parlare ed io non voglio forzarti. Ma sappi che quando deciderai di farlo io e tua madre siamo sempre disponibili, intesi?”
“Intesi, papà”.
I due Falman si scambiarono un cenno d’intesa e si congedarono. Tuttavia, guardando il padre dirigersi verso il commissariato, Vato prese la decisione di continuare nel suo silenzio: era una questione che doveva risolvere da solo con Elisa.
Adesso ho solo voglia di camminare e riflettere – si disse, avviandosi verso l’uscita del paese.
 
Probabilmente Vato avrebbe cambiato idea se avesse saputo quello che stava per accadere. Volendo risolvere la cosa di persona non rientrava nei suoi piani che Roy si mettesse in mezzo, decidendo di andare a parlare con Elisa.
Sebbene con gli anni il moro avesse in parte smussato la parte più irruenta del suo carattere, il suo proverbiale spirito d’iniziativa non era venuto meno. A maggior ragione se si trattava di problemi dei suoi amici non esitava ad intervenire, specie se si trattava di Vato. Nonostante lo ritenesse molto maturato da quando l’aveva conosciuto, aveva ancora la convinzione che in determinati casi ci fosse bisogno del classico sprone esterno per aiutarlo a risolvere i suoi guai. E così, se più di cinque anni prima, alla festa del primo dicembre, non aveva esitato ad invitare Elisa a ballare pur di far ingelosire l’indeciso figlio del capitano, adesso non ci aveva pensato due volte nell’andare a parlare con la diretta interessata.
Come minimo Vato ha esagerato come al solito – si disse, mentre entrava nell’ambulatorio che ormai era quasi metà mattina – o comunque non ha visto le cose nella giusta prospettiva. Scegliere tra carriera e matrimonio mi pare un’estremizzazione davvero grossa e mi pare strano che Elisa l’abbia messo davanti ad una simile scelta.
“Buongiorno, stimati medici del paese – salutò con il suo più affabile sorriso, quando vide che nella stanza c’erano sia Elisa che il dottor Lewis – oggi nessun caso grave?”
“Ciao, Roy – si sorprese la giovane, accogliendolo comunque con un sorriso – come mai da queste parti? Non mi dire che stai male”.
“Lui? – sbuffò con aria bonaria il dottore – Questo ha la pellaccia più dura persino di quello scalmanato di mio nipote Jean. L’ho sempre visto in giro con il suo sorriso sfacciato alla faccia di occhi neri o altri residui di risse, me lo sono trovato qui con il braccio rotto per una caduta dall’albero, ma si rimette sempre in piedi. Stare male non rientra nelle sue prerogative”.
“Lo prendo come un complimento alla mia resistenza fisica – annuì il soldato, stringendo con calore la mano all’uomo: aveva una grande stima di lui sin da quando aveva curato Kain dopo il disastroso incidente alla vecchia miniera – ed infatti sto benissimo. Passavo di qua e mi sono detto che non avevo ancora salutato la mia giovane amica dottoressa. Anzi, dato che non vi vedo impegnati, le volevo anche proporre di fare un giretto”.
Elisa lo guardò stranita, chiedendosi che cosa ci fosse dietro quella particolare richiesta. Ma prima che potesse obiettare, dato che era in pieno orario di lavoro, il dottor Lewis le diede una lieve pacca sul braccio.
“Mi pare una buona idea, signorina – annuì – stamane non devo fare il giro di visite e posso badare tranquillamente all’ambulatorio per un’oretta. Mi pare che sia uscito il sole e una passeggiata non può che essere piacevole”.
Roy non perse tempo e con fare galante prese il cappotto di Elisa dall’attaccapanni che stava in un angolo e glielo porse con un gran sorriso. Alla giovane non restò che accettare quello strano invito e seguirlo fuori.
“Allora, si può sapere che succede?” gli chiese quando furono in strada.
“Come? Non posso godere della compagnia di una mia cara amica che non vedo da più di un mese?” commentò Roy con aria rammaricata, offrendole il braccio.
“Andiamo, Roy – ridacchiò lei – simili recite non funzionano con me, lo sai. Se vieni in ambulatorio in pieno orario di lavoro e mi chiedi di fare una passeggiata vuol dire che mi devi parlare di qualcosa. In tutti questi anni che ci conosciamo ti avrò visto decine di volte ricorrere a simili sotterfugi”.
“Sono diventato così prevedibile?”
“Diciamo che le dinamiche del gruppo sono abbastanza collaudate” sorrise la ragazza, passandosi una mano tra i capelli castani, spettinandoseli leggermente e apparendo subito molto simile alla giovane studentessa delle scuole superiori che era stata.
“Se sono così collaudate potrai immaginare di cosa ti voglio parlare. E prima che tu me lo chieda, non ha la minima idea che io abbia preso quest’iniziativa”.
A quelle dichiarazioni il bel viso di Elisa si fece serio: le sue labbra si serrarono in una linea sottile e per qualche secondo parve che fosse intenzionata a sbottare, non si sapeva se contro il fidanzato, contro Roy o entrambi.
“Mi pare chiaro che lui non sappia niente delle tue iniziative, anche se doveva prevederlo nel momento in cui ti ha parlato del nostro disguido – disse infine con voce seria – Certo speravo che restasse solo tra me e lui, ma immagino che non abbia resistito all’idea di confidarsi con te. Posso sapere quanto è entrato nei dettagli?”
“Ha detto solo un qualcosa come pare che debba scegliere tra matrimonio e carriera – dopo quell’affermazione anche lui si fece particolarmente serio – so che Vato spesso tende ad esagerare, ma so anche che spesso queste sue affermazioni hanno un buon fondo di verità. E collegando questa frase alle difficoltà che stai incontrando con i tuoi pazienti…”
Lasciò quella frase in sospeso, ma Elisa non rispose. Guardando il suo viso, tuttavia, il soldato ebbe molte più risposte di quanto gliene potesse dare qualsiasi cosa detta.
C’è più di un fondo di verità allora… dannazione.
Si trovò sinceramente dispiaciuto: Vato ed Elisa gli erano sempre parsi come la coppia stabile, quella da guardare con sincera ammirazione per l’affiatamento che erano riusciti ad ottenere. Si rendeva perfettamente conto che nemmeno lui e Riza potevano vantare di essere così complementari. Scoprire che c’erano crepe anche in questa testata d’angolo del gruppo era in qualche modo destabilizzante.
“Lui è il fidanzato più dolce del mondo – sospirò infine Elisa, mentre arrivavano alla fine del paese e iniziava il breve sentiero che portava verso l’edificio scolastico – ed è sempre stato un sostegno fantastico in questi difficili mesi. E mi sento così fiera di lui ogni volta che deve fare qualche nuovo studio per l’Università: l’ho sempre saputo che il suo futuro era nei libri…”
“… ma?” la incitò Roy dopo qualche secondo di silenzio.
“Non è lui il problema, sono io: in questo momento non mi sento ancora pronta per il matrimonio. Non fraintendermi, non è l’amore che manca… solo che non credo di avere ancora la stabilità giusta per poter fare un passo così importante. E mi sento un mostro, perché invece lui si sta prodigando tanto per riuscire a sposarci entro l’anno”.
“Stabilità lavorativa dici?”
“Tu chiederesti a Riza di sposarti in questo momento? Quando sei ancora fresco d’Accademia e ancora non ti sei affermato nell’esercito? – gli occhi verdi di lei lo scrutarono con attenzione – Sono sicura che riesci a capire di che tipo di stabilità sto parlando e sai bene che non è di tipo economico”.
Roy si passò una mano tra i capelli scuri, scoprendo di capire fin troppo bene cosa volesse dire la giovane dottoressa. Tuttavia non riusciva a concepire che quei due fossero arrivati ad una scelta drastica come quella tra matrimonio e carriera.
“Essere la moglie di Vato Falman – Elisa proseguì, allungando la mano dove portava l’anello di fidanzamento – certo che lo voglio, l’ho sempre desiderato. Ma vorrei anche essere la dottoressa Elisa Meril, quella di cui il paese sa che si può fidare… ma se mi sposo e magari arriva subito un figlio, tutto questo rischia di andare a rotoli. E questo mi fa sentire la persona peggiore sulla faccia della terra, una fidanzata tremendamente egoista che…”
“Ossignore, lo sai che tu e Vato avete usato i medesimi termini per definirvi? Mostro, egoista… non c’è dubbio che siete fatti l’uno per l’altra”.
“E qual è il tuo suggerimento in merito, soldato Mustang? – lo interrogò Elisa con un lieve sorriso – Sono sicura che tu…”
Interruppe la frase perché dal cortile della scuola era arrivato uno strillo che aveva superato tutto l’allegro vociare dei ragazzi che facevano ricreazione.
Fu un gesto istintivo, ma i due giovani accorsero per vedere cosa stava accadendo e oltre il basso muretto che delimitava il cortile, notarono subito un gruppetto di bambini delle elementari che si era stretto a cerchio attorno ad un compagnetto e alla maestra inginocchiata accanto a lui.
“Dammi una mano!” ordinò Elisa a Roy, iniziando a sollevarsi la gonna per poter superare il muretto.
Immediatamente il soldato scavalcò agilmente l’ostacolo e poi sollevò per la vita la dottoressa che non perse tempo per correre verso il piccolo e la maestra.
“Che è successo? – chiese, mentre anche altri ragazzi e altri insegnanti si avvicinavano – Fai vedere, caro”.
Il bambino doveva avere sugli otto anni ed era seduto a terra, sostenuto dalla maestra. Indossava il cappotto, ma questo non bastava a nascondere come il braccio destro avesse preso una strana angolazione all’altezza della spalla.
“È caduto – spiegò la maestra, una giovane più o meno dell’età di Elisa – forse ha il braccio fratturato: dobbiamo portarlo all’ambulatorio”.
“Non è frattura, è lussato – disse Elisa, toccando con delicatezza il braccio del bambino che subito strillò – aiutami a levargli il cappotto, devo rimettere l’omero in sede”.
“Sei in grado di farlo, Elisa? – le chiese la ragazza – Non so se…”
“È una manovra che ci insegnano al corso base di pronto soccorso, Clara, fidati di me. Forza, aiutami a levargli il cappotto… cercando di non dare scossoni al braccio”.
La giovane, una vecchia compagna di scuola della dottoressa, annuì e iniziò a sbottonare il cappotto del bambino che continuava a strillare. Elisa iniziò a parlargli con dolcezza, chiedendogli il nome, accarezzandogli i capelli arruffati, facendolo infine sdraiare a terra con la testa posata sul cappotto piegato.
“Posso fare qualcosa?” chiese Roy che nel frattempo era rimasto a guardare.
“No, va tutto bene… allora, Robert, adesso devi stare tranquillo. Durerà solo un paio di secondi e poi…”
“Non farmi male! – supplicò il bimbo tra le lacrime – Non voglio, ti prego!”
“Ti faccio passare il dolore, fidati – sorrise Elisa, rassicurante, prendendo il braccio – puoi contare fino a dieci con me? Uno… due…”
“Tre… q…quattro…” continuò balbettando il bambino.
Al cinque Elisa spinse con decisione il braccino verso la spalla del bambino: fu una manovra rapida e precisa che provocò un grido spaventato del piccolo paziente. Ma come era iniziato quel grido finì quasi subito, per essere sostituito da un balbettio sorpreso.
“Non… non fa più male…”
“Emergenza finita, Robert – sorrise Elisa, massaggiandogli la spalla e facendolo sedere – tutto sistemato e dolore finito, vero? E non sei dovuto arrivare nemmeno a dieci!”
“Meno male – sospirò di sollievo la maestra – temevo chissà che disastro!”
“La lussazione si risolve in fretta – spiegò la dottoressa – dato che sono intervenuta subito non dovrebbe nemmeno sentire indolenzimento. Ma comunque è meglio portarlo in ambulatorio, così posso controllare”.
“Ma certo – sorrise la donna, mentre si rialzava in piedi insieme ad Elisa – grazie mille, davvero!”
“Visto? – esclamava intanto Robert, mentre i compagnetti si attorniavano a lui con meraviglia – è il medico delle braccia! Ora lo muovo di nuovo!”
“Che brava!”
Mentre Elisa sembrava rifiorire di fronte a tutti quei complimenti, Roy non poté fare a meno di sorridere.
Gli venne spontaneo pensare che la dottoressa avesse tutto il diritto di potersi realizzare professionalmente: curare le persone era quello per cui era chiaramente nata e non poteva negare a se stessa questa sua vocazione. Alla luce di questo tutti i suoi timori sul futuro più prossimo erano fondati, sebbene ci stesse andando di mezzo il suo matrimonio con Vato.
Però non è giusto che ci debba essere questa scelta – pensò con cocciutaggine – stupida gente bigotta. Non capiscono la fortuna che hanno nel ritrovarsi Elisa come medico.
 
Ignaro di quanto era successo, Vato si era fatto una lunga passeggiata per i campi, superando persino la stazione ferroviaria. Alla fine, quando era arrivato in un posto a lui sconosciuto, si era fermato per qualche minuto a riordinare le idee e aveva preso la via del ritorno.
Quella passeggiata gli aveva fatto schiarire le idee e ora si sentiva più deciso che mai a risolvere la questione da solo, senza l’aiuto di suo padre o di altri. Amava Elisa e l’avrebbe sposata, anche se questo voleva dire andare contro tutte le dicerie che c’erano in paese. E per quanto concerneva quella famosa scelta tra matrimonio e famiglia era sicuro che non avesse motivo d’esistere: i paesani pettegoli non meritavano tanta considerazione, né tantomeno che un matrimonio venisse rimandato per causa loro. A ben pensarci non era per niente giusto che Elisa dovesse sottostare ai loro vezzi: dovevano apprezzarla per la sua bravura medica, non per il marito o chissà che altra sciocchezza.
E quella è la casa perfetta per noi – si disse deciso, mentre tornava in paese e si dirigeva verso il piccolo municipio – non ce la faremo fregare da nessuno.
Fortunatamente venne subito ammesso nell’ufficio del sindaco ed espose la sua richiesta. Mentre lo osservava frugare tra gli archivi, aiutato da un vecchio segretario, Vato sperò di non incontrare troppi problemi per quanto concerneva il prezzo e gli eventuali proprietari.
“Ah ecco, mi sembrava di non sbagliarmi – annuì il sindaco, tornando alla scrivania con una piccola cartelletta – avevo già capito di che casa stavi parlando. A quanto pare i vecchi proprietari si trasferirono una ventina d’anni fa e diedero il compito al mio predecessore di venderla. Tuttavia le persone che la presero, andarono solo in affitto… e una volta che sono morte e la casa…”
“… è di nuovo sotto la giurisdizione dell’amministrazione cittadina?”
“No, non proprio. Adesso, a quanto pare è tornata ai primi proprietari o ai loro eredi… e, ironicamente, penso che la persona in questione non ne sia nemmeno consapevole. Non essendo stata effettivamente venduta è stata lasciata aperta la questione del ritorno di proprietà, specie perché non c’è nessuno che potrebbe reclamare l’usucapione. Quindi direi che dovresti rivolgerti alla persona interessata e chiedere a lei se va di vendertela”.
“Beh, del resto è una casa chiusa da anni – mormorò Vato con sollievo – non dovrebbero esserci problemi. Posso sapere chi è il proprietario”.
“Certo, tu eri troppo piccolo per ricordare, anzi forse non ti eri ancora trasferito qui a ben pensarci. La proprietaria la conosci bene dato che è la madre di uno dei tuoi grandi amici: quella è la vecchia casa dei genitori di Laura Hevans”.
 
Quella rivelazione colse totalmente impreparato il giovane Falman.
La questione si complicava perché, in teoria, quella casa era eredità di Heymans ed Henry e, con molta probabilità, una volta venuta a conoscenza di questa proprietà, la signora Laura avrebbe preferito tenerla per i suoi figli. Tuttavia decise di fare comunque un tentativo, sentendosi comunque in dovere di avvisare la donna di questa situazione a lei probabilmente sconosciuta.
Venne accolto da Laura con cortesia e si ritrovò seduto nella cucina mentre gli veniva servita una tazza di caffè caldo. La donna sembrava serena e sorridente, parlò persino della lettera che aveva ricevuto da Erin, la quale la ringraziava per averle spedito le foto di suo padre.
“Non vedo l’ora che venga qui quest’estate, ci sarà davvero da divertirsi. Sono sicura che voi ragazzi sarete entusiasti di lei”.
“Immagino di sì”.
“Ma veniamo a noi, Vato – Laura si sedette accanto a lui e lo fissò con aria maliziosa – non mi dire che devo già prenderti le misure per l’abito da sposo. O forse sì? Con la tua altezza bisogna lavorarci attentamente”.
“Abito da sposo? – il ragazzo arrossì violentemente – no no no! Non sono qui per questo… o per lo meno, non per questo particolare dettaglio!”
“E per che cosa può servire una sarta se non per gli abiti da cerimonia?” lo prese in giro Laura.
“A… a dire il vero – spiegò Vato, cercando le parole giuste per toccare quel punto delicato di una storia che lui conosceva a sommi capi – sono venuto qui per parlarle di una casa…”
“Casa?”
“A qualche isolato da qui, ecco… il sindaco mi ha detto che è sua, anche se forse lei non ne è a conoscenza. Era dei suoi genitori ed a quanto pare è di sua proprietà”.
Vato non aveva mai visto Laura in versione gelida e quindi rimase sorpreso nel vedere il rapido cambiamento nel suo viso morbido e sereno: fu come se un’altra persona si impossessasse di lei, stravolgendo in qualche modo i lineamenti, rendendoli più duri, la mascella irrigidita, mentre gli occhi grigi si facevano inespressivi.
“Non avevo idea…”
“A quanto pare i suoi genitori diedero disposizioni di venderla, ma venne data solo in affitto. E dato che anche gli affittuari sono deceduti da tempo, adesso è tornata a lei”.
Laura annuì a quella spiegazione e si mise a braccia conserte: il suo viso aveva recuperato un minimo d’espressività e si era fatto più pacato, come se si fosse resa conto che ambasciator non porta pena e dunque non era il caso di prendersela con Vato.
“Come mai sei venuto a parlarmi di quella casa?” gli chiese con curiosità.
“A dire il vero avrei voluto chiederle se le andava di venderla… per me ed Elisa una volta che ci saremo sposati. Però mi rendo conto che, ora che sa di possederla, vorrà tenerla per Heymans ed Henry”.
“I miei figli in quella casa? – la donna scosse il capo con decisione – No, proprio no: non potrei metterci piede dopo quello che ho vissuto lì anni prima”.
“Però loro avrebbero il diritto se decidere o meno, non crede?”
“In altre circostanze direi di sì – annuì Laura – ma… ti giuro, Vato, in quella casa ho sofferto troppo e non voglio che abbia a che fare ancora con la mia famiglia. Sono sicura che i ragazzi capiranno questa mia scelta se e quando deciderò di dirglielo”.
“Come… non vuole parlarne con loro?”
“Del resto fino a qualche minuto fa nemmeno io sapevo di esserne la proprietaria. E se quella casa può costituire un nuovo inizio per te ed Elisa sarò più che felice di vendervela: sono sicuro che sarete una splendida famiglia, al contrario di quello che è stata la mia”.
“Voglio che Elisa si affermi come medico – disse Vato con decisione – voglio che sia soddisfatta della sua carriera, voglio che sia fiera di essere mia moglie. E non voglio che la gente di questo paese possa condizionare la nostra vita”.
“Ehi, che dichiarazioni di guerra – si sorprese Laura – ancora problemi coi pazienti di Elisa?”
“Qualcosa che non ci deve obbligare a scegliere tra matrimonio e carriera”.
“Ti va di raccontarmi?”
Vato esitò per qualche secondo, ma poi il ricordo di quanto aveva passato quella donna, di tutti i pregiudizi che aveva dovuto sopportare, gli fece capire che era la persona giusta con cui confrontarsi. E così iniziò a parlare.
 
“Beh, Robert, mi pare tutto in ordine – sorrise Elisa, mentre faceva fare delle rotazioni al braccio del suo piccolo paziente, comodamente seduto nel lettino dell’ambulatorio – non senti nemmeno un po’ di dolore, vero? Possiamo rimettere il maglione”.
“Proprio no! – rispose il bambino con orgoglio – Nessun dolore!”
“Bene, allora possiamo aspettare che tua madre arrivi a prenderti: la maestra Clara dovrebbe averla già avvisata. Nel frattempo la vuoi una caramella?”
“Certamente!” esclamò il piccolo, saltando giù dal lettino con agilità.
“Roy, ne prendi una dal barattolo? – chiese la dottoressa, mentre sistemava meglio la copertura del lettino messa a dura prova da Robert – è quello giallo sopra la mensola, lì in alto”.
Robert si stava gustando il suo premio, quando entrò sua madre con fare trafelato.
“Cielo, Robert! Piccolo mio, come ti senti? – chiese affannosamente, accostandosi al bambino ed abbracciandolo – La tua maestra mi ha detto della caduta!”
“Sto benone, mamma – rispose il bimbo con un sorriso, muovendo il braccio – la dottoressa Elisa l’ha sistemato… e non ho dovuto contare nemmeno fino a dieci!”
“Va tutto bene, signora – si affrettò ad intervenire Elisa – la lussazione è stata sistemata subito. Magari nei prossimi giorni è meglio che il bambino non faccia giochi troppo esuberanti, ma per il resto…”
“… e il dottor Lewis l’ha visto?” chiese la donna, prendendo in braccio il figlio.
A quell’affermazione un lieve rossore apparve sulle guance di Elisa.
“Beh no, ma ci ho pensato io e le assicuro che…”
“Vorrei che lo vedesse lui, se non le dispiace” la interruppe con fare deciso.
“Eh? – si sorprese il bambino – Ma io sto bene, mamma”.
“Non lo sappiamo ancora, tesoro”.
“La dottoressa Meril è stata veramente professionale – intervenne Roy con voce pacata – e suo figlio ha ricevuto le migliori cure che potesse avere, signora”.
“Ritengo sia mio diritto voler chiedere l’opinione del dottor Lewis – ribatté piccata la donna – del resto è il medico di Robert si da quando è nato. E la signorina è…”
“… è un eccellente dottoressa per quanto ne so – intervenne il dottor Lewis, entrando dalla porta che collegava l’ambulatorio alla casa – allora, dove sta il problema?”
“Dottore! – sospirò di sollievo la donna – potrebbe controllare il bambino?”
“L’ha già fatto la dottoressa – scrollò le spalle l’uomo – mi ha raccontato la dinamica dei fatti e ha eseguito la stessa manovra che avrei fatto io e che insegnano al corso base di pronto soccorso. Dimmi, Robert, ti fa male il braccio?”
“Proprio no!”
“Se non sente dolore vuol dire che la manovra per rimettere in sede l’osso è stata eseguita nel modo corretto. Non c’è prova migliore del fatto che il bimbo non senta alcun male”.
“Però la fiducia che ripongo in lei…”
“Se ripone fiducia in me, allora si fidi del mio parere: la dottoressa Meril ha fatto un lavoro egregio ed io stesso non avrei saputo fare di meglio. Adesso direi che dovrebbe ringraziarla e poi tornare a casa: è quasi ora di pranzo e Robert avrà di certo fame”.
“… ma… ma certo – la donna arrossì colpevolmente, sebbene fosse chiara la sua insoddisfazione per non aver ottenuto quanto voleva – grazie per aver soccorso il mio bambino, dottoressa. Auguro a tutti una buona giornata”.
“Grazie ancora, dottoressa Elisa!” salutò con un sorriso Robert, mentre usciva assieme alla madre.
“Ipocrita…” sibilò Roy non appena la porta si chiuse.
“Benvenuto nella mia quotidianità. Almeno questa volta c’era un bambino più che soddisfatto” commentò Elisa con un sospiro.
Era chiara la sua delusione: era intervenuta in maniera egregia solo per vedere il suo lavoro sminuito dai pregiudizi di una donna che avrebbe dovuto solo ringraziarla. A Roy fece male vederla in un simile stato d’animo, non se lo meritava: ancora di più capì perché si poneva tutti quei problemi per il suo matrimonio con Vato.
Sul serio devono essere condizionati in una simile maniera? Dannazione, non è giusto che affronti un simile trattamento ogni giorno!





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La questione della casa dei genitori di Laura se la ricorderanno (forse) quelli che hanno letto Walks of life, ma in ogni caso qui è spiegata nei dettagli (anzi, molto più dettagliatamente rispetto allo spin off).
Oggettivamente stava venendo davvero un capitolo lungo e così ho deciso di spezzate ^^'




 
  
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