Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Jo_The Ripper    28/04/2017    1 recensioni
«E sai perché morirai? Perché mi devi una morte, Molly Hooper. Mi devi la morte di Sherlock Holmes.»
La caratteristica più profonda e universale di tutti gli psicopatici è l’assenza di rimorsi. Non hanno il concetto di colpa. Non hanno coscienza morale. Uno psicopatico intenzionato a uccidere si serve di qualsiasi mezzo per ingannare la vittima al fine di toglierle la vita.
E quando arrivi al livello finale del Grande Gioco non puoi tirarti indietro. Tutto quello che puoi fare è continuare la partita, ponendo sul piatto della bilancia sentimenti nascosti nell’angolo più buio di un Palazzo Mentale, un fantasma riemerso dalle profondità di un passato perduto nel tempo e l’ombra di una nemesi a lungo creduta sconfitta.
«Il grande Sherlock Holmes, che ha la capacità di esaminare il mondo sotto la potente lente del suo microscopio cerebrale, che individua schemi e tracce laddove gli altri vedono solo trame abbozzate, ora sta facendo i conti con gli effetti dell’essere umano.»
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eurus Holmes, Jim Moriarty, John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 4

Il bosco si estendeva davanti a lui minaccioso e incombente. John camminava, i sensi allerta mentre con la torcia studiava il terreno davanti a sé, calpestando con circospezione il tappeto di erba tenera e foglie cadute impregnate di brina notturna. Udì un fruscio che lo fece fermare di colpo. Rimase immobile con i nervi tesi al massimo fino a quando una civetta emise un verso stridulo, planando sulle sue ali silenti da un ramo ad un altro. Non riusciva a scacciare la sensazione di sentirsi osservato. Il rapace non era l’unico animale a caccia quella notte.
Il freddo pungente lo costrinse a stringersi di più nella giacca. Piccoli sbuffi bianchi di respiro si condensavano a pochi centimetri dal suo naso. L’impresa che stavano affrontando era decisamente disperata e si sentiva parecchio scoraggiato. Il tempo stava finendo e se Sherlock non fosse riuscito in qualsiasi sfida sua sorella lo stesse sottoponendo, per Molly non ci sarebbe stato più nulla da fare.
Tutti gli eventi sembravano condurre verso un esito inesorabile.
John continuò a procedere cauto fino a quando, aguzzando la vista, notò un cumulo di terra smossa. Il suo cuore prese a battere ad un ritmo frenetico nella gabbia toracica, acceso da una fiamma di speranza. Cominciò a correre ma inciampò in una radice sporgente e il terreno cedette sotto di lui. John riuscì ad aggrapparsi al ceppo mentre con i piedi cercava un punto di stabilità. La torcia cadde con un tonfo pesante in quella che sembrava acqua. Guardò sotto di lui e constatò che si trovava sul bordo di un pozzo. Non poteva sapere quanto fosse profondo il livello all’interno della cisterna, ma se fosse caduto si sarebbe sicuramente ferito. Provò a tirarsi su e la radice cedette, staccandosi man mano dal terreno.
«No, no!»
Le dita persero la presa e si trovò ad annaspare agitando le braccia nel vuoto.

Lo scontro con il muro d’acqua fu violento, tanto da piegarlo sulle ginocchia. Un dolore lancinante alla caviglia sinistra gli mozzò il fiato. Doveva essersela slogata se non addirittura rotta. Si rimise in piedi, non senza difficoltà, e notò che l’acqua gli arrivava fino a metà coscia.
Estrasse il cellulare dalla tasca interna e vide che non aveva riportato danni.
«Sherlock?» Chiamò ma non ebbe alcuna risposta. La linea sembrava disturbata da una qualche interferenza.
Sollevò lo sguardo, accorgendosi di essere precipitato da una notevole altezza. Era un miracolo che non avesse riportato lesioni serie, avrebbe potuto fracassarsi la testa nell’impatto.
Il pozzo era abbastanza largo di diametro, tanto da permettergli di muoversi con una certa libertà. Purtroppo non vi era abbastanza luce proveniente dall’alto, il che rendeva studiare una strategia in quel cupo spazio ancora più difficile. Poteva scorgere solo qualche radice fuoriuscire dalle pietre, in sommità. Le acque erano torbide, cosparse di foglie morte e rametti secchi.
Tentò una scalata lungo la parete ma l’interno era troppo viscido e la caviglia non sostenne il suo peso, facendolo finire nuovamente nell’acqua gelida.
John si terse il viso, un freddo lancinante gli penetrò fin nelle ossa. Se fosse rimasto troppo tempo lì dentro avrebbe rischiato l’ipotermia. Cominciò a setacciare il fondo del pozzo immergendo le mani fino ai gomiti, alla ricerca di qualcosa che potesse fornirgli un appiglio valido. Avvertì sotto le dita la consistenza di un oggetto metallico e pesante; quando lo sollevò dall’acqua, vide che si trattava di una catena. Ne seguì il percorso fino a tirare fuori il bracciale chiuso che stava alla fine.
«Ma cosa…» Mormorò. Quella scoperta non prometteva nulla di buono. Allungò di nuovo la mano nell’acqua e ne tirò fuori un ossicino. Un brivido freddo gli torse lo stomaco e il respiro accelerò in preda all’angoscia. Più cercava, più venivano fuori altri resti. Il panico aumentò fino a quando, con un’ultima immersione, non trovò qualcosa che lo paralizzò completamente.
«Mio Dio…»
Doveva assolutamente parlare con Sherlock.

***

Molly spalancò gli occhi e si trovò immersa nella completa oscurità. Sentì dietro di lei qualcosa aprirsi, uno sprazzo di luce fendere il buio e il rumore di un carrello sotto la sua schiena. La luce bianca dei neon le fece bruciare gli occhi. Quando il dolore scemò, realizzò di essere stata appena estratta da una cella frigorifera dell’obitorio del Barts, il corpo coperto solo da un telo bianco.
Mike Stamford e Bill Wiggins la osservavano dall’alto. Bill teneva il capo leggermente inclinato, le labbra strette e i grandi occhi azzurri pieni di malinconia. Mike emise un sospiro affranto.
«È un peccato che non siano arrivati in tempo.» Disse tenendo una mano accanto alla sua spalla.
«Una come lei non meritava di fare questa fine. Di sicuro mancherà a tutti.» Continuò Wiggins.
Il dottor Stamford le prese la mano e la strinse nella sua in un gesto affettuoso. Molly poté avvertirne chiaramente il calore sulla sua pelle. Provò a parlare, ma nessun suono uscì dalla sua bocca sigillata. Come potevano non notare che li fissava con occhi sgranati dalla paura? Stava vivendo una paralisi del sonno, era evidente. E la cosa peggiore era che, per quanto ci provasse, non riusciva a svegliarsi. Grazie all’aiuto di Wiggins, Mike la pose sul tavolo operatorio, aggiustando le luci delle lampade scialitiche per illuminarle meglio il corpo.
«Vedi, mio caro, si può capire molto da un cadavere. Come ha vissuto la sua vita, quali erano i suoi dolori, le sue sofferenze, le sue esperienze, persino se è stato amato.»
Il ragazzo le lanciò una lunga occhiata indagatrice. «Pensi che lei abbia sofferto?» Domandò infine.
«Sì. Decisamente.» Affermò Mike addolorato. «D’accordo.» Fece sfregandosi le mani coperte dai guanti sterili. «Ti andrebbe di darmi una mano e procedere con l’incisione a ipsilon?»
Gli occhi di Bill brillarono di felicità.
«Certo, amico! Non aspettavo altro!»
Il medico gli passò una mannaia con la quale Billy, un’espressione di sadico godimento sul viso, affondò nella sua pelle. Stamford sorrise compiaciuto. Molly assisteva alla scena senza provare nulla e, se all’inizio era spaventata, adesso viveva la situazione come se si fosse estraniata dal proprio corpo. Le sembrava di trovarsi in un film. Bill le praticò il taglio e poi le asportarono la gabbia toracica per avere accesso agli organi interni.
All’improvviso la porta della sala autopsie si aprì ed entrarono anche tutti gli altri.
Mike Stamford si fece scrocchiare le dita, contento alla stregua di un bambino la mattina di Natale.
«Allora signori, ecco qui un bel… polmone! Lestrade, questo è sicuramente per te, con tutte le sigarette che hai fumato hai bisogno di un bel ricambio!» Tutti risero e l’ispettore lo accettò con gratitudine.
«Obbligato, Molly!»
«Poi vediamo… ah, un magnifico fegato!» Mike era entusiasta come un banditore d’asta che ha appena venduto un quadro per svariate migliaia di sterline. «Questo va a John, per tutte le volte in cui Sherlock gliel’ha fatto marcire con il suo comportamento un po’ birichino…»
Watson fece un risolino e fissò il consulente fermo in un angolo con aria oltraggiata.
«Esco a fumare, con permesso.» Disse asciutto e tutti sghignazzarono.
Poi fu il turno di sua madre. La donna incrociò le mani dietro la schiena in atteggiamento irriverente.
«Allora dottore, com’è morta mia figlia?» Chiese con lo stesso tono noncurante utilizzato per le conversazioni frivole o per la lista della spesa.
«La causa del decesso è stata l’asfissia. Quando l’ossigeno nel sangue scende al di sotto del 16% e l’anidride carbonica aumenta, si perde conoscenza.»
Sua madre annuì interessata e il medico continuò. «La morte arriva in pochissimi minuti, senza risultati fisici deturpanti.»
Lei sorrise soddisfatta.
«Ottimo, farà un figurone al funerale!»
«Oh sì!»
Stamford le diede una pacca sulla spalla e lei se ne andò fischiettando un motivetto allegro. Sherlock rientrò nella sala. Lo seguiva una scia soffocante di nicotina.
«Giusto in tempo, Holmes.»
Mike infilò di nuovo la mano all’interno del corpo di Molly e ne estrasse il cuore.
«Questo è tutto per te. Molly Hooper aveva proprio un buon cuore.»
Sherlock prese in mano l’organo, lo studiò brevemente e inarcò un sopracciglio con sufficienza.
«Di questo non so proprio cosa farmene.» Si allontanò verso la porta, ergendosi in tutta la sua alterigia, e lo gettò con disprezzo nel contenitore dei rifiuti speciali. I suoi passi si persero nell’eco del corridoio della morgue.

Molly si svegliò di soprassalto, il cuore le martellava in gola e aveva la fronte sudata. Il sangue le pulsava nelle orecchie in un ronzio sempre più acuto. Aprì la bocca per cercare di saziare la sua fame d’aria senza trarne giovamento. Capì che ormai non le restava molto tempo, forse qualche minuto prima di essere inghiottita dal sopore definitivo. La vista iniziava ad offuscarsi e stava cominciando a perdere conoscenza sempre più spesso. Le luci nella bara ormai si erano spente. Subentrò in lei uno strano senso di rassegnazione. Tra poco sarebbe tutto finito, Molly Hooper avrebbe abbandonato le sue spoglie mortali. L’ironia della situazione era amara e drammatica; la donna delle autopsie che attraversava tutte le fasi del lutto nel giro di poche ore: negazione, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione.
Credeva di non avere più lacrime da versare eppure si trovò il viso bagnato. Non doveva finire così, senza nemmeno la possibilità di dire addio.
Afferrò il telefono che le avevano messo nella bara. Doveva esserci un motivo per cui quell’oggetto era lì. Ne toccò il display e questo si illuminò, la chiave di sicurezza risultava ancora inserita. Molly esalò un sospiro lungo, ormai era stanca. Richiuse gli occhi e non si curò di sapere cosa sarebbe successo se l’oscurità l’avesse consumata.

***

Lo schermo tremolò e il viso di Eurus comparve all’interno del televisore poggiato su un tavolino coperto da un telo logoro. Sherlock ci si fermò davanti.
«Il tempo ormai sta per scadere, non vuoi che mi prenda un altro dei tuoi amichetti, vero?»
Il detective arretrò di un passo, le labbra dischiuse mentre il cuore gli batteva sempre più forte, in preda all’apprensione crescente.
«Alla fine, Sherlock Holmes, è tempo di risolvere il rituale di Musgrave, il tuo primissimo caso e il problema finale.» Lei inclinò leggermente la testa e le labbra le si piegarono in una smorfia sarcastica di inesistente afflizione. Sherlock la osservò, e si trovò a indietreggiare di più fino a sentire il legno del corrimano della scala premergli tra le scapole. Aveva la gola secca e il respiro accelerato. «Ciao ciao.» Sussurrò lei e lo schermo si spense. Nella casa cominciarono a risuonare le parole della filastrocca che, da bambina, ripeteva in una nenia infinita.
«Se mi perdo, chi mi ritroverà?»
Lui continuò a camminare tenendo la torcia puntata davanti a sé. Raggiunse a passi lenti e guardinghi una porta dalla quale proveniva un refolo di luce.
«Giù, sotto il vecchio faggio.»
La aprì e vide sul muro dall’intonaco cadente, rimandata di un proiettore, l’immagine di Molly inerte nella sua bara.
«Aiutami, soccorrimi, ora che arriva il vento dell’est.»
«Molly, puoi sentirmi? Molly!» Esclamò agitato.
Non ottenne alcuna risposta. La sua mente era un subbuglio di nervosismo e panico.
«Sherlock!» Dall’auricolare arrivò la voce di John.
«John! Dove sei?»
«Sono finito in un pozzo ma Sherlock, il problema non è questo!» Gli gridò il medico.
«Allora, se non sei in immediato pericolo di vita, dovrai aspettare.»
«Cosa?!» Urlò l’altro esasperato.
«Aspetta!» Rispose Sherlock concitato, passandosi una mano sul viso.
«Sherlock no, devi ascoltarmi!»
Il detective sorvolò su quelle parole e uscì dalla stanza per tornare nell’atrio.
«Eurus, dicevi che la risposta era nella canzone, ma l’ho analizzata riga per riga tanti anni fa e non ho trovato nulla. Non ho trovato niente.»
Le immagini di se stesso da bambino si susseguivano come in un trailer cinematografico. Camminava tra le canne palustri, chiamando il suo amico.
«C’era un faggio e ho scavato, scavato, scavato… 16 piedi per 6, 16 iarde, 16 metri e non ho trovato nulla. Nessuno.» Affermò affannato nella sua arringa impetuosa.
«Sherlock?» Lo richiamò John.
«Era davvero un enigma bello intricato, non trovi?»
Fissò l’immagine di sua sorella con le labbra dischiuse in un sospiro impaziente.
«Quindi perché non sei riuscito a risolverlo, Sherlock?» Gli domandò con atteggiamento interrogativo.
Il detective tornò a passarsi le mani sul viso sentendosi impotente.
«Sherlock, devo dirti una cosa.» John continuò a pressarlo.
«Contesto emotivo. Ecco che arriva!»
Il detective la guardò sorpreso e allarmato. Fino a quel momento pensava a Molly come unico contesto emotivo. Si rese improvvisamente conto che non si era mai trattato solo di lei.
«Sherlock, le ossa che ho trovato…»
«Sì, sono le ossa di un cane, è Redbeard.» Rispose muovendosi in preda all’agitazione.
«Mycroft ti ha mentito, ha mentito a entrambi. Non sono ossa di cane.» Sherlock si bloccò, confuso, e sollevò lo sguardo verso lo schermo.
«Ricordi l’allergia di papà? A cosa era allergico? Cos’è che non ti ha mai permesso di avere, tutte le volte che lo pregavi? Beh, non ti ha mai lasciato prendere un cane.»

Le parole fecero breccia nel suo cervello e si trovò a stringere gli occhi per scacciare la sensazione di aver appena ricevuto una pugnalata.
La sua mente lo riportò indietro: correva sulla riva del fiume bagnandosi gli stivali di gomma. Poteva avvertire i sassi lisci sotto la suola premergli contro la pianta del piede. Eurus faceva volare un aeroplanino, persa in un mondo di sua invenzione.
«È proprio divertente la tua scarsa memoria, Sherlock.»
Redbeard era fermo ad annusare l’aria, la lingua penzoloni e una bandana avvolta attorno al pelo fulvo.
«Eri sconvolto. Quindi ti sei inventato una storia migliore. Ma non abbiamo mai avuto un cane.»
Le fattezze di Redbeard sfumarono, assumendo quelle di un bambino dai capelli rossi e una benda nera sull’occhio. Portava una camicia a scacchi e un fazzoletto rosso attorno al collo. Sollevò la sua spada di legno e gli corse dietro.
«Victor.» Esalò Sherlock guardando lo schermo.
«Ci sei arrivato.» Replicò Eurus velenosa.
«Victor Trevor. Giocavamo ai pirati. Io ero Yellowbeard e lui era Redbeard.» Quando il pavimento smise di ondeggiare sotto ai suoi piedi per lo shock, si ritrovò a fissare un punto indefinito sulla parete. La voce era incrinata e avvertiva gli occhi umidi.
«Eravate inseparabili, ma anche io volevo giocare.»
Quando Sherlock abbassò le palpebre e una lacrima si perse lungo la sua guancia.
«Dio… cosa hai fatto?» Le domandò mentre lasciava che il nodo alla gola gli spezzasse il respiro tra le parole.
Il suo cervello si rifiutava di funzionare, ormai intrappolato nel momento, congelato nella rivelazione.
Eurus riprese a cantare. John taceva.
Sherlock non ci mise molto a ricollegare i pezzi per ricostruire la storia: il pozzo, Redbeard l’annegato.

Mai prima di allora si era sentito così sconfitto. La sua vita era stata segnata da quell’avvenimento. L’aveva sepolto, riadattato, ma non dimenticato. Il passato aveva lasciato un segno che neanche tutto il tempo del mondo avrebbe potuto cancellare. Portava ancora nel cuore una ferita lacerata. L’aveva rattoppata con fili di cinismo, ricoprendosi di una dura cotta intrecciata a maglie di impassibilità, freddezza e risposte taglienti. Aveva represso le sue emozioni soffocandole nelle droghe e poi nel lavoro, nell’adrenalinica scossa di un caso elaborato.
Chi era Sherlock Holmes? Una creatura strana il cui unico scopo nella vita era utilizzare le sue doti di abile osservatore per fare congetture che si rivelavano veritiere, e distruggere o spazientire in poche mosse la persona che gli stava di fronte. Nessuno si aspettava altro da lui. Era un diverso. Era un escluso.
Il se stesso bambino nel suo palazzo mentale lo fissava con occhi colmi di dolore e solitudine. Le acque dei suoi incubi tornavano a inghiottirlo e a trascinarlo sempre più giù, nell’oscurità e nell’oblio.
«Acque profonde, Sherlock, per tutta la vita, in tutti i tuoi sogni. Acque profonde.»
«L’hai ucciso.» Pronunciare quelle parole ad alta voce rese tutto reale. «Hai ucciso il mio migliore amico.»
«Io non ho mai avuto un migliore amico. Non avevo nessuno.»
C’era amarezza nelle parole di sua sorella. Sofferenza, rabbia.
Era lì, ancora intenta a far volteggiare il suo giocattolo mentre lui si allontanava correndo verso casa, lasciandola indietro. Sola.
«E ora ucciderò anche lei. Controlla l’orologio, Sherlock, il tempo sta per scadere e non abbiamo ancora salutato come si deve la tua amica.» Gli lanciò un sorriso da rettile e un fremito di angoscia gli corse lungo la schiena. Quando controllò l’orologio, vide che mancavano solo tre minuti prima che l’aria nella cassa si esaurisse.
«Pronti… via!»

Sullo schermo apparve di nuovo l’immagine di Molly nella ormai fioca luce della torcia. Nell’angolo in alto, un timer segnava il conto alla rovescia. Sherlock avvertiva un nodo di panico in agguato nello stomaco mentre aspettava che lei rispondesse. Eppure la patologa non sembrava riacquistare conoscenza. Tutto dentro di lui era bloccato, inchiodato davanti a quel televisore.
Molly aprì gli occhi davanti alla schermata lucente. Accettò la chiamata e portò il telefono all’orecchio.
«Molly!»
«Sherlock…» La sua voce era debole ma lui poté chiaramente distinguere dallo schermo l’ombra di un sorriso sul volto provato.
«Resisti, ci sono quasi! Cerca di respirare il meno possibile!»
«Va tutto bene, Sherlock.» Rispose lei piano. «Qualsiasi cosa succederà, non è stata colpa tua.»
«Molly…»
«Ti prego, ascoltami.» Lo interruppe con un singhiozzo. Aveva gli occhi gonfi cerchiati dal pianto e le labbra screpolate. «Dì a mia madre che le voglio bene. Ringrazia i nostri amici, so che hanno fatto il possibile per salvarmi. Abbraccia forte la piccola Rosie. Avrei voluto trascorrere più tempo con lei.»
«Smettila, le parlerai tu stessa.»
«Mi dispiace se ti ho deluso, Sherlock. Se ti ho annoiato con le mie chiacchiere inutili, se…»
«Tu non mi hai mai deluso, Molly Hooper.»
Ed era vero. Si era fidato di lei ponendo la sua stessa vita tra le sue mani. E lei aveva custodito quel segreto per due anni. La vide distendere le labbra in un accenno di sorriso storto.
«In tutti questi anni ci ho provato, Dio solo sa quanto, a passare oltre… purtroppo non ci sono riuscita. E ora non ha più senso negarlo, no?»
Il detective non riusciva a capire dove volesse arrivare. Caos, disorientamento e sconcerto la facevano da padroni in quella situazione.
«Molly…»
«Ho trascorso tutta la vita ad esaminare il corpo umano e posso dire con certezza scientifica che ciò che ci spinge ad andare avanti, ciò che è più importante del sangue, dell’ossigeno è la speranza. Ed io ho sempre sperato che un giorno tu…» Si fermò un attimo, riprendendo fiato, incerta su come proseguire. «Puoi fare ancora una cosa per me, Sherlock. Consideralo il mio ultimo desiderio. Dillo.»
«Molly, io non capisco…»
«Certo che capisci, l’hai sempre saputo. Io ti amo, Sherlock. Quindi ti prego… Dimmelo come se ne fossi convinto.»

Lui rimase in silenzio per un lungo momento. Strinse forte i denti e poi deglutì. Sapeva che Molly provava nei suoi confronti un forte attaccamento. Questo andava ben oltre le materne attenzioni della signora Hudson o i rimproveri accorati e la solidarietà cameratesca di John. Aveva appena detto che lo amava.
L’amore: l’unica verità impossibile da nascondere. Il difetto chimico più forte e distruttivo che le stava costando la vita.
Sherlock si rese conto di ciò che Eurus aveva fatto. Il contesto emotivo nel contesto emotivo, un’affilata lama a doppio taglio. In un modo o in un altro nessuno, coinvolto nell’esperimento, sarebbe potuto uscirne indenne.
Cosa poteva fare? Analisi delle conseguenze. La soluzione più logica lo portava a trattare la situazione come uno dei suoi casi. Oggettivare, estraniarsi.
Mancavano solo trenta secondi allo scadere del tempo.
Tempus frangit. Il tempo si spezza.
Verba volant. Le parole volano.
Erano solo parole. Parole con un loro peso e portata - i cui riflessi si sarebbero dilatati nel suo palazzo mentale senza mai affievolirsi – ma sempre e solo parole che si ostinavano a non voler lasciare le sue labbra.
Poteva dirlo, fare qualcosa per lei. Lei, da cui aveva preso così tante volte da averne perso il conto.
«Io…»
Molly strinse gli occhi tenendo il telefono premuto sulla pelle con entrambe le mani. Non ce la faceva più. La realtà iniziò a sfumare piano piano sotto le sue palpebre pesanti. La voce di Sherlock era ruvida; sembrava stesse trattenendo le lacrime o era semplicemente gracchiante di incertezza. L’eco che le arrivava era debole, un fiato appena percettibile in lontananza. Sentì la presa sull’apparecchio venire meno, le scivolò dalla mano e le cadde accanto.
Sherlock aveva pronunciato le parole? Non era riuscita a sentire e la cosa non aveva più importanza. Lui era arrivato, per lei. E ormai non provava più paura. Lasciarsi andare era così facile.
Dopotutto lo aveva sempre supposto: morire è come nascere.
«Io ti amo.»

***
Dopo questo capitolo, io sono pronta a salpare sulla Walrus in compagnia del Capitano Flint e John Silver. Verso il mar dei Caraibi e oltre!
Adios!
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Jo_The Ripper