Capitolo 2. Malia
Stiles
tornò a casa con delle buone notizie, era frizzante e
positivo.
Attraversò il salotto di fretta, diretto in cucina dove
c'era il
telefono fisso. Suo padre lo seguì a ruota, non era di
buonumore.
«Non appena sei uscito i Giants hanno fatto una
chiamata a sorpresa e abbiamo perso la partita. Sei in questa casa,
ti prego mostra del rispetto per quello che faccio. E poi dovremmo
passare del tempo insieme, io cerco di tenerti fuori dai guai, ti
prego» disse con tono accorato.
Suo padre parlava parlava
parlava, ma Stiles aveva in mente tutt'altro mentre si liberava della
pesante felpa foderata di plastica.
«Papà, ho una buona, ottima
notizia sai? Un'ottima notizia!» sorrise entusiasta e
pettinò con
le dita i capelli umidi che gli si erano incollati alla fronte.
Noah
levò gli occhi al cielo. «Sentiamo, quale
sarebbe?»
«Le cose
si mettono bene» disse, portando la cornetta del telefono
all'orecchio. «Lo so, lo so perché mi hanno
invitato da
loro».
«Chi? Chi ti ha invitato?»
«Scott e Allison, mi
hanno invitato a cena domani sera. E io lo so, io lo so
perché
l'hanno fatto, Scott ha detto che Allison parla ancora con Lydia. E
quindi deve esserci un collegamento, ne sono certo».
Suo padre
gli si accostò e gli mise una mano sul braccio.
«Senti, magari
lei sta ancora con quello».
«Intendi Jordan Parrish? Ma va,
figurati» lo scansò.
«Sì invece, lei potrebbe ancora stare con
lui. Ha paura di te, non ti vuole più».
Lui e Lydia si amavano,
lei non sarebbe mai stata davvero con un altro, mai mai mai. Avevano
fatto un giuramento davanti a tutti, davanti a Dio e lei era felice,
eccome se lo era.
«Non sai di cosa stai parlando, dici solo
cazzate!» urlò spingendolo via.
«Stiles, figliolo, sono tuo
padre. Pensi davvero che ti mentirei?»
Si guardarono per alcuni
attimi, entrambi seri, entrambi risoluti. Stiles iniziò a
comporre
un numero, ma Noah afferrò la mano che stringeva la cornetta.
«Metti
giù il telefono, non puoi chiamarla».
«Papà, papà lasciami,
che stai facendo? È la mia vita, sono un uomo adulto, ho il
diritto
di fare una telefonata!» lo strattonò, mettendolo
con le spalle al
muro. Lo sceriffo però non mollò la presa.
«Mi vuoi ascoltare?
Vuoi tornare là? Vuoi tornare in clinica?» gli
domandò con gli
occhi lucidi.
Anche a Stiles venne voglia di piangere, ma qualcuno
aveva suonato il campanello.
Era Jackson Whittemore, uno dei nuovi
arrivati in centrale dopo che lui e Parrish erano andati via.
Li
guardò con sufficienza e parlò con il tono
strascicato di chi è
costretto a dire e fare qualcosa che preferirebbe non dover dire e
fare.
«Salve signor Stilinski, scusi l'interruzione ma mi
è
stato chiesto di controllare questa casa. Sono l'agente Jackson
Whittemore, sono l'agente di ronda, so dell'ingiunzione restrittiva e
suo figlio è andato alla sua vecchia casa... non va bene.
Sono stato
assegnato al suo caso, perciò ci vedremo molto spesso. Si
faccia un
favore, rispetti l'ingiunzione restrittiva, centocinquanta
metri»
disse poi rivolto a Stiles.
«Per qualsiasi cosa non esiti a
contattarmi» diede a suo padre un biglietto da visita.
«Lo sceriffo
le manda i suoi saluti, arrivederci».
Stiles era bipolare, non
sordo, né cieco, né stupido.
«Da quanto tempo è che non sei
più lo sceriffo? E quando avevi intenzioni di dirmelo? Ti ho
detto
di non dirmi bugie e invece mi riempi di cazzate. E poco fa? Poco fa
hai... hai detto... hai detto che non mi avresti mai
mentito!» gridò
non appena la porta fu chiusa.
«Figliolo, sono stato mandato in
pensione con qualche mese di anticipo, tutto qui. Non volevo turbarti
dicendotelo all'improvviso».
Stiles allargò le narici come un
toro infuriato, ma aveva ancora il controllo.
«Usa la scusa del
figlio fragile e malato con qualcun altro, okay? Tu... tu hai... tu
hai scommesso, hai continuato a scommettere nonostante il richiamo
ufficiale dopo la diffida. È questa la
verità».
La rabbia era
sfumata nella delusione e la positività si era dissolta come
la
schiuma del mare.
Più tardi Noah lo accompagnò alla seduta di
terapia senza dire una parola, entrambi avevano le loro ragioni per
stare in silenzio, anche se Stiles fu costretto a mordersi la lingua
per non parlare: la malattia aveva vinto troppe volte, non sarebbe
successo ancora.
Quando entrò nello studio del dottor Deaton capì
che la notizia della sua visita non autorizzata era già
arrivata al
suo orecchio, lo capì dalla smorfia di disappunto sul viso
di solito
calmo e pacifico.
«Ho saputo cosa è successo stamattina. Sei
andato da solo alla tua vecchia casa».
«Wow, le notizie corrono
in fretta» ghignò sotto i baffi alzando le mani in
segno di
resa.
Deaton però non aveva voglia di scherzare.
«Hai preso
le tue medicine?»
«Ancora con questa storia? Non prendo più
quella roba, mi fa star male!»
«Dimmi una cosa: preferisci
essere quello che torna in galera o in ospedale? Mmh? Quindi prendi
le tue medicine e se starai meglio, le ridurremo».
Stiles
sospirò, si massaggiò le tempie e
stropicciò gli occhi.
«Lydia
aspetta che mi rimetta in sesto e che dia alla mia vita un ordine e
allora tornerà da me. Ed è meglio di qualunque
medicina».
«Stiles,
c'è la possibilità – e voglio che tu
sia pronto per questo –
che magari non torni. Il vero amore comporta lasciarla andare e
vedere se torna, nel frattempo quando ascolti quella canzone non
voglio che tu cada a pezzi, perciò studia una strategia,
d'accordo?
Ti servirà».
«Fammi dire una cosa, devo dire una cosa. Okay,
ecco cosa credo sia la verità, ecco cos'ho imparato in
ospedale: uno
deve fare tutto quello che può, deve impegnarsi al massimo,
se fai
così, se rimani positivo, vedrai spuntare il sole tra le
nuvole».
Deaton annuì, per niente convinto, e poi si alzò
per
accompagnarlo alla porta.
«Studia una strategia,
d'accordo?»
«Sai, il mio amico Scott dà una festa stasera ed
è
una di quelle cose tutte alliccate, sua moglie Allison è una
fissata
con cose del genere. Non so, non mi sento a mio agio con un vestito,
voglio indossare la maglia degli Eagles che mi ha regalato mio padre
per il compleanno».
Al sentire nominare gli Eagles il dottore si
fermò sulla soglia e si girò a guardarlo. Nei
suoi occhi c'era una
scintilla diversa, che Stiles non aveva mai visto prima.
«La
maglia di chi?» chiese mortalmente serio.
«DeSean
Jackson».
«DeSean Jackson è il massimo» disse
secco e
lapidario.
E così Stiles si ritrovò davanti alla porta della
casa di Scott con un mazzo di rose bianche in una mano e la giacca
nell'altra. Voleva mettere in mostra la maglia a costo di sentire
freddo, ma smise di esserne orgoglioso nell'esatto momento in cui
suonò il campanello.
Che stava facendo lì con una maglia degli
Eagles addosso? Cosa avrebbe detto Allison a Lydia? Che era il solito
Stiles infantile e che non stava facendo progressi.
Girò sui
tacchi pronto ad andarsene quando la porta venne aperta e Scott lo
accolse con il solito sorriso forzato e un completo da uomo dall'aria
costosa.
«Stiles! Che stai facendo?»
«Me ne devo andare, non
posso restare. Avanti, ho sbagliato, non dovevo metterla»
disse
indicando la maglia con il numero dieci.
«Ma va, stai benissimo!
Mi piace quella maglia, magari ce l'avessi io!»
«No, a Allison
non piacerà e poi tu sei in cravatta».
«Tu sei l'ospite
d'onore, puoi vestirti come ti pare» gli sorrise di nuovo, ma
stavolta in modo sincero. A Stiles vennero in mente i tempi del liceo
e tutte le serate passate insieme a ridere, bevendo birra sottomarca
sul tetto di casa sua, fu quindi la nostalgia a parlare per lui.
«Va
bene» si arrese e varcò la soglia.
Un delizioso profumo di
arrosto lo investì, Allison li aspettava in piedi con la
figlia tra
le braccia. Era fasciata in un abito aderente verde menta, portava i
tacchi alti, Stiles adorava i tacchi alti, e aveva i lunghi capelli
castani ordinati in morbide onde sulle spalle.
Era tipico di
Allison, nonostante avesse una bambina a cui badare non rinunciava a
sembrare la reginetta del ballo. Stiles pensò che avrebbe
potuto
trovarla attraente se non fosse stata simpatica come un chiodo
ficcato sotto la pianta del piede.
«DESEAN JACKSON E' A CASA
NOSTRA!» urlò Scott.
«Chi? Il novellino dell'anno?» chiese
Allison raggiungendoli. Quando lo vide la sua espressione
cambiò «Ti
sei messo una maglia per cenare?»
«Non è mitica?» Scott provò
a contagiarla con la sua allegria, ma senza riuscirci.
«Non per
una cena» fu infatti la gelida risposta della donna, che non
gli
staccò gli occhi di dosso, come volesse distruggerlo
lì, seduta
stante.
Prima che la situazione precipitasse, Scott lo prese
sottobraccio e lo condusse in salotto.
«Guarda qua, abbiamo
appena rinnovato tutto!» gli indicò la stanza con
un ampio
gesto.
L'ultima volta che Stiles era stato lì le pareti erano
bianche, c'era due divani Ikea, una lampada Ikea, un mobile Ikea e un
piccolo televisore Samsung. Adesso però quello sembrava il
salotto
di un ricco avvocato, con le pareti color guscio d'uovo, i mobili di
design e un gigantesco ritratto di famiglia sopra il caminetto in
pietra.
«Wow, è fantastico, favoloso!».
«Sì, è vero e sto
pensando di rifarlo di nuovo».
«Perché vuoi rifarlo? Devi
averne di soldi da buttare» ridacchiò.
«Be' sì, il mercato sta
andando bene, ce la caviamo. E poi sai, lei vuole di più e
io le do
di più».
Stiles guardò il suo amico dritto in faccia e si rese
conto che il sorriso che gli incurvava la bocca non arrivava agli
occhi. Provò pena per lui, ma non compassione.
«Davvero? Credevo
che il mercato stesse andando male, un sacco di gente sta perdendo il
lavoro».
«Sì esatto e sai, non per offendere, ma questo
è il
momento giusto per colpire» disse Scott battendo i pugni uno
contro
l'altro. «Arraffi qualche immobile commerciale a prezzi
stracciati,
lo rimetti a posto ed è così che fai i
soldi» assunse
un'espressione corrucciata, ma fu solo un momento, un battito di
ciglia e tornò a sorridere.
«Posso dire una cosa? Sì, ti dirò
questa cosa e voglio che tu la prenda bene, perché lo sai
sono senza
filtri, e tu non stai bene, non stai per niente bene. Hai quella da
quando sono arrivato» disegnò un cerchio
immaginario davanti alla
faccia dell'amico.
«Quella cosa?» chiese Scott, toccandosi il
naso preoccupato.
«Quella faccia, proprio quella faccia».
«Che
faccia?!»
«Quella del tizio dietro il bancone con la pistola
puntata alla schiena» rispose come se fosse ovvio, ma non era
per
niente ovvio e infatti Scott sollevò le sopracciglia
stranito.
«Sì,
sai nei film action quando il ladro entra in un negozio per una
rapina, ma poi arriva qualcuno e allora si nasconde dietro il
bancone, dice al titolare del negozio di comportarsi normalmente
altrimenti gli ficca una pallottola nello stomaco e quel poveretto
è
costretto, è costretto a dar retta ai clienti stronzi, con
un bel
sorriso stampato sulla faccia, nonostante abbia la canna di una
pistola schiacciata contro la schiena. Eh be' sai, di solito quel
tipo non fa una bella fine, no signore, fa una fine di merda, davvero
di merda e tu amico mio sei quel tipo e tua moglie, tua moglie credo
proprio che sia il ladro, solo senza pistola».
Al solito, aveva
parlato in fretta, facendo uscire un vomito di pensieri che
rischiavano di comprimergli il cervello. Si guardò intorno,
sperando
che Allison non avesse sentito, si affacciò fuori dal
salotto per
controllare che lei non fosse lì ad origliare, anche se era
certo
che lei non sarebbe rimasta nascosta, no Allison era una donna
d'azione, l'avrebbe preso a calci.
Scott nel frattempo sembrava
finalmente tornato in sé.
«Via libera?» sussurrò e, quando
Stiles gli fece cenno con la testa, riprese a parlare.
«Lo so, so
di cosa parli e hai ragione, ma non so come affrontare questa
situazione. La pressione» annaspò in cerca d'aria
«io non sto
bene, non sto bene per niente, ma non dirlo a nessuno. Mi sento come
se fossi schiacciato» si mise una mano attorno al collo,
sgranando
gli occhi.
«Schiacciato da cosa?» sapeva già la
risposta, ma
aveva imparato tanto in ospedale, anche ad ascoltare gli altri.
«Da
tutto! La famiglia, la bambina, il lavoro, quei cazzoni dell'ufficio
ed è come se... come se cercassi di liberarmi ma poi mi
sento... mi
sento» spostò la mano e la premette forte sul viso
«mi sento
soffocare».
«Porca. Vacca. Scott, devi fare qualcosa».
Scott
tirò su col naso, si sistemò il colletto della
camicia e lisciò la
cravatta.
«Non si può essere felici continuamente»
disse con un
alzata di spalle.
«Chi ti ha detto che non lo si può
essere?»
«Stiles, è così, devi fare del tuo
meglio, non hai
scelta».
«Non è affatto vero».
«No, non si può, non si
può e basta».
La discussione venne interrotta dal campanello,
che suonò tre volte, salvando Scott da una lunga,
lunghissima
ramanzina a base di positività ed excelsior.
«Aspettavate
visite?»
«No, solo un altro invitato a cena. Spero non ti
dispiaccia se c'è anche la sorella di Allison. Ti dispiace?
Ho detto
a Allison di non invitare altre persone, ma sai com'è fatta,
lei...»
«Chi?» lo interruppe, perso nei suoi pensieri.
Stava
cercando di capire chi fosse, ma aveva solo il vago ricordo di una
ragazza con dei lunghi capelli castani e l'aria annoiata.
«Malia,
la sorella di Allison».
Quel nome fece scattare un click nella
mente di Stiles e di colpo si ricordò di Malia. L'aveva
vista due
volte, la prima al matrimonio di Scott, era sola, indossava uno degli
orrendi abiti giallo crema delle damigelle; la seconda ad una
grigliata per il 4 luglio, non che le avesse prestato particolare
attenzione, aveva però quasi litigato con il suo fidanzato,
Isaac,
anche se non sapeva il perché.
«Malia? Malia e Isaac,
giusto?»
«Solo Malia» disse Scott con tono triste.
«Perché?
Cos'è capitato ad Isaac?»
«Be', non c'è un modo carino per
dirlo... è morto».
«Isaac è morto?!»
Era sconvolto,
davvero sconvolto. Credeva che lei l'avesse lasciato, non che fosse
morto!
«Già, purtroppo sono cose che capitano».
«Com'è
morto?»
«Ti prego, non ne parlare» lo supplicò
Scott, ma era
più forte di lui, doveva saperlo subito.
«No, dai com'è
morto?»
«Ti ho detto di non...»
«Com'è morto chi?» chiese
una voce femminile alle spalle di Scott.
Malia era entrata nella
stanza con l'andatura e lo sguardo perso, come se loro non fossero
lì
e lei fosse solo di passaggio. Indossava un cardigan nero senza
camicia, i primi due bottoni erano slacciati e lasciavano intravedere
la linea tra i seni, in cui si tuffava il ciondolo della collana, un
crocefisso ricoperto di piccoli zirconi neri. I capelli erano corti,
tagliati di netto fino a metà del collo, lisci e castani. Le
labbra
erano diverse da quelle della sorella, Allison aveva delle labbra
sottili sempre pronte ad arricciarsi, mentre le labbra di Malia erano
voluminose e a forma di cuore, gli angoli leggermente piegati in
giù
in un grazioso broncio perenne.
Gli occhi erano scuri e brillanti
come le pietruzze della sua collana, sostennero il suo sguardo e per
un breve istante a Stiles sembrò di vedere una scintilla di
sfida.
«Malia, lui è Stiles. Stiles, lei è
Malia, mia cognata»
Scott fece le presentazioni, nonostante loro si conoscessero
già.
Aveva ripreso a sorridere come un idiota.
Stiles continuò a
guardarla, non poteva staccarle gli occhi di dosso. Indugiò
sulle
gambe lunghe e le calze a rete, la linea sinuosa dei fianchi e poi
tornò al viso. Era bella, davvero bella, di quella bellezza
che
faceva muovere qualcosa all'altezza dello stomaco. Anche Lydia lo
era, ma Stiles non le faceva mai dei complimenti, e ora poteva
dimostrare a Allison e Scott che era migliorato, loro le avrebbero
detto che era migliorato.
«Sei carina» disse, provando a
mantenere un tono di voce neutro.
«Grazie» il broncio di Malia
s'incurvò in un sorriso dolce.
«Non ci sto provando».
«Non...
non l'avrei mai pensato».
«Vedo che ti sei impegnata e io voglio
migliorare per mia moglie, ci sto lavorando. Voglio riconoscere la
sua bellezza, prima non lo facevo mai, lo farò ora,
perché staremo
bene io e te Lydia – faccio pratica –
com'è morto
Isaac?»
L'espressione di Malia mutò, come se le avesse infilato
un coltello nel cuore. Era risentita e delusa.
Scott dietro di lei
si coprì il volto con le mani e gli fece segno di smettere.
«Ehm...
come va il lavoro?»
«Mi hanno appena licenziata».
Scott si
era ormai appoggiato al caminetto e aveva nascosto la testa fra le
braccia.
«Ah, davvero? Come mai?... Voglio dire, m-mi dispiace,
com'è successo?»
Malia scosse la testa. Era odio quello che
leggeva adesso nei suoi occhi?
«Ha qualche importanza?»
Il
ticchettare svelto di tacchi sul parquet li avvisò
dell'arrivo di
Allison.
«Amooore, come sta andando? Gli hai già fatto
vedere la
casa?» chiese gioiosa rivolta al marito.
Stiles dovette mordersi
la lingua per non commentare quel repentino cambio d'atteggiamento.
Erano proprio sicuri che lui fosse l'unico bisognoso di cure?
«Non
ancora! Dai, andiamo a vedere la casa!»
«Sì, andiamo a vedere
la casa» disse Malia e stavolta la sfida bruciava intensa nel
suo
sguardo.
La prima stanza che visitarono fu la cucina, spaziosa e
moderna, piena di elettrodomestici che Stiles non aveva mai neanche
visto, seguirono la stanza della bambina, il ripostiglio
super-organizzato, la graziosa camera degli ospiti, il bagno al piano
terra, quello al primo piano e poi la camera da letto, che era
un'esplosione di fiorellini color lavanda. Allison saltellò
fino in
fondo alla camera, dove c'era una rientranza rettangolare circondata
da una spessa cornice d'acciaio. Anche lei, proprio come Scott, aveva
iniziato a ostentare una felicità che non le apparteneva.
«Dai,
indovinate cos'è!» esclamò con
l'energia di una venditrice
televisiva.
Stiles disse la prima cosa che gli venne in
mente.
«Oh, è un televisore».
«No! Adesso tocca alla mia
sorellina».
Malia sollevò gli occhi al cielo e sospirò.
«Ehm,
è lo schermo di un computer» disse svogliata.
«No, dai avanti
avanti avanti, metteteci più impegno!»
«Un forno a legna?»
propose Stiles. «Una lampada» continuò
Malia.
«Fuochino
fuochino fuochino!»
«È un cassetto dell'obitorio da dove tirano
fuori i cadaveri e li iniettano di formaldeide».
L'assoluta
indolenza di Malia nel parlare di cadaveri e obitorio mise tutti a
tacere. Allison si morse le labbra a disagio e Scott aprì la
bocca
per poi richiuderla, incapace di dire qualcosa.
Stiles nel
frattempo si era perso a immaginare che quello fosse davvero un
cassetto dell'obitorio.
«Ma il corpo dove andrebbe?» chiese più
a se stesso che agli altri.
«Oddio, era una battuta!» lo
rimbrottò Malia con una punta di esasperazione.
«In realtà è
un caminetto» intervenne Scott, accendendolo.
L'ultima tappa fu
il bagno che si trovava in camera da letto, Allison li mise davanti
all'ennesimo strano oggetto.
«Abbiamo un AirPort in ogni stanza.
Datemi un iPod» puntò il palmo aperto verso Stiles.
«Non ce
l'ho» rispose lui e Allison lo guardò come se gli
fosse spuntato un
naso sulla fronte.
«Cosa? Chi non ha un iPod?!»
Per la prima
volta quella sera, Stiles si sentì a disagio.
Guardò Scott, poi
Malia, che abbassò lo sguardo mortificata.
«Be' non ce l'ho un
iPod e neanche un cellulare. Non vogliono che faccia telefonate,
pensano che chiamerei Lydia».
Scott lo incoraggiò, dandogli una
pacca sulla spalla.
«Dai, non ci pensare».
«Ma io la
chiamerei» si affrettò a precisare Stiles.
«Ehm... sì,
facciamo così, ti regalo uno dei miei iPod, ne ho uno
vecchio»
continuò Scott, fingendo che lui non avesse detto niente,
poi diede
a Allison il suo iPod. La moglie lo mise sul supporto al muro e
subito si diffuse una musica delicata.
«Ecco, vedete? Posso
mettere la musica per la bambina in ogni stanza».
«Di tutte le
stanze in cui ci sono AirPort sono contenta che tu c'abbia portato in
bagno» disse Malia, rovinando l'illusoria atmosfera di
serenità.
Allison la fulminò con lo sguardo e allora Scott
tossicchiò per spostare l'attenzione su qualcos'altro.
«La
bambina dorme, che ne dite di andare a cena prima che si
svegli?»
«Sì, giusto amore, andiamo».
Il bagno era piccolo,
Malia fece in modo di strusciare il fondoschiena contro la mano di
Stiles. Non si era trattato di un caso, lo capì quando lei
gli
sorrise da sopra la spalla prima di uscire dalla stanza.
A tavola
trovarono un ricco centro tavola fatto di fiori e candele profumate,
le portate erano così raffinate che Stiles si chiese se
Allison non
le avesse ordinate da un ristorante o servizio catering.
«Stiles
era un poliziotto, Malia. Ha un sacco di racconti pazzeschi»
disse
Scott, tagliando la sua bistecca di cervo.
Malia non parve
impressionata.
«Poliziotto? Qui a Beacon Hills? Immagino che tu
abbia dovuto salvare parecchi gatti incastrati sugli alberi e aiutare
vecchiette ad attraversare la strada» si rigirò la
forchetta tra le
mani, annoiata.
«In realtà dovevo vedermela con ladri,
rapinatori di banche, casi di violenza domestica e spaccio. Niente di
così fico come aiutare animali indifesi, mi
dispiace» fu la sua
risposta piccata.
Malia mise da parte la forchetta e gli sorrise
di nuovo come aveva fatto in bagno.
«Sai, Malia fa questa cosa
del ballo, da anni. È davvero bravissima,
parteciperà alla gara del
Ben Franklin Hotel» s'intromise allora Allison con una nota
di
nervosismo nella voce.
Malia non la prese per niente bene e la
guardò con disgusto e disprezzo, ma Stiles era troppo
concentrato su
come fare buona impressione per rendersene conto.
«Oh, davvero?
Mia moglie ama ballare, Lydia ama ballare».
Malia ignorò
quell'informazione e si rivolse alla sorella.
«Perché devi
parlare di me così?»
«Mi vanto di te, non posso vantarmi della
mia sorellina?» si sforzò di sorridere.
«Non parlare di me in
terza persona, io sono presente».
A Stiles ricordò un animale
selvatico pronto a saltare al collo della sua preda, quasi la
sentì
ringhiare. Allison invece era rossa come un peperone dalle guance
fino alla punta delle orecchie.
«Ti prego basta, cerca di essere
gentile. Sforzati» disse, guardando il piatto.
«Wow, wow, wow,
affascinante» sfuggì a Stiles.
«Scusami,» disse Malia «non
volevo essere villana».
«Sì, lo so lo so» annuì
l'altra
energicamente.
Eppure era certo che Malia non avesse alcuna
intenzione di cedere, aveva di nuovo quella scintilla negli
occhi.
«Che medicine prendi?» gli chiese.
«Io? Nessuna. Una
volta prendevo Litio, Seroquel e Abilify, ma ora non li prendo
più.
Mi fanno stordire e mi ingrassano pure».
«Già, io prendevo
Xanax ed Effexor, ma concordo, non ero tanto lucida e allora ho
smesso».
«E hai preso il Klonopin?»
«Oh, sì!» ridacchiò
lei.
«Vero? Stai sempre tipo: "Che giorno è oggi?". E
che mi dici del Trazodone? Oh, calma piatta. Ti toglie ogni luce
dagli occhi».
«Sì, vero, d'accordissimo!»
Stiles era così
preso da quella conversazione, finalmente nelle sue corde, da non
notare le facce sconvolte di Allison e Scott, finché non
sentì il
silenzio tappargli le orecchie.
«Sono stanca, voglio andare»
annunciò Malia balzando in piedi.
«Cosa? No, no, no! Non potete
andare, non abbiamo nemmeno finito l'insalata e poi c'è
l'anatra
e... e ho fatto il gelato al peperoncino» provò a
fermarla Allison,
ma lei era irremovibile, decisa, granitica.
«Ho detto che sono
stanca. Che fai, mi accompagni a casa o no?» chiese a Stiles.
«Dici
a me?»
«Sì, a te. Mi accompagni a casa?»
«Tu sei proprio
un'asociale, hai un problema» le rispose lui prima di
riuscire a
frenare la lingua.
«Ah io ho un problema?! Metà delle cose che
dici sono strampalate. Spaventi le persone».
«Dico la verità,
se-sei antipatica» alzò le mani in segno di resa.
«Perché, io
non dico la verità?»
Stiles ci pensò su e nel frattempo che ci
pensava calò di nuovo il silenzio.
«Che dici, li porto a casa?»
chiese Scott alla moglie, lei esasperata annuì.
«Sì, portali a
casa, adesso».
«E tu smettila di parlare di me in terza persona!
Tu ci godi quando io ho dei problemi, ci godi, così tu sei
la figlia
brava, avanti dillo!» l'accusò con asprezza.
Allison allora si
alzò in piedi per fronteggiarla, aveva gli occhi lucidi e le
tremavano le labbra.
«No, non è vero. Io volevo solo passare una
bella serata! Si può sapere che problema hai?»
«Oddio...
nessuno, sto bene, sono solo stanca e voglio andare, va bene? Tu sei
pronto?»
«Davvero te ne vuoi andare ora?» chiese ancora una
volta Allison.
«Sì, davvero!»
Nonostante tutto, Stiles la
seguì. Aiutare gli altri era parte della sua filosofia di
vita e
Malia sembrava davvero bisognosa di aiuto.
Camminarono per
parecchi metri in silenzio, le strade erano deserte, illuminate dalla
luce arancione dei pochi lampioni lungo il marciapiedi. Faceva
freddo, si strinsero entrambi nelle loro giacche e di tanto in tanto
Malia continuò a lanciargli occhiate maliziose. Si sentiva
strano,
aveva voglia di metterle un braccio attorno alle spalle per farla
smettere di tremare.
«Eccomi qua» disse lei una volta arrivati.
Gli si piazzò davanti, afferrò i lembi della sua
giacca e lo guardò
negli occhi. Gli occhi di Malia scintillarono nonostante la luce
scarsa e Stiles ne fu attrattato come una gazza ladra.
«Senti, non
esco con un uomo da prima del mio matrimonio, perciò proprio
non mi
ricordo come si fa» disse lei con voce roca.
«Come si fa
cosa?»
«Ho visto come mi guardavi, Stiles. Tu l'hai sentito, io
l'ho sentito. Non essere bugiardo, non siamo bugiardi come loro. Io
ho una casetta qui sul retro che è completamente separata da
quella
dei miei genitori, non corriamo il rischio che ci possano beccare.
Detesto che tu ti sia messo una maglia a cena perché detesto
il
football, ma puoi scoparmi se spegniamo la luce, va bene?»
Stiles
non riusciva a capire se a sconvolgero fosse stata la proposta o il
tono assolutamente piatto e disinteressato con cui Malia l'aveva
fatta. La guardò a bocca aperta, per la prima volta dopo
tanto tempo
qualcuno era riuscito a farlo stare zitto.
«Senti, sono stato
bene stasera e ti trovo molto carina, ma sono sposato»
sollevò la
mano sinistra per mostrarle la fede nuziale. Malia rise senza
gioia.
«Sei sposato? Lo sono anch'io» mostrò
anche lei un
anello con un grosso solitario luccicante.
«No, non confondiamo,
lui è morto».
Malia a sorpesa lo abbracciò, iniziando a
singhiozzare. Spinse il viso nell'incavo della sua spalla e
baciò la
pelle sensibile del collo. Stiles provò a divincolarsi e a
quel
punto si ritrovarono viso contro viso, le labbra così vicine
che
potè quasi assaporarle, ma si fermò risoluto. Lei
sorrise e poi lo
schiaffeggiò con tutta la forza che aveva in corpo ed
entrò in
casa, lasciandolo in piedi sul prato inebetito.
Era positivo? Era
negativo? Non sapeva stabilire come si sentiva. Era il caos.
Si
trascinò a casa come un automa, quella sensazione che aveva
alla
bocca dello stomaco da quando aveva visto Malia era aumentata di
intensità, era quasi insopportabile e gli faceva battere il
cuore
all'impazzata. Salì le scale di corsa e si buttò
sul letto ancora
vestito. Strizzò le palpebre e si costrinse a pensare ad
altro, ma
ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva la curva del suo seno che
si alzava ed abbassava e ripensava a quelle labbra rosse. Aveva le
narici piene del suo profumo alla lavanda, lavanda come il colore
della camera di Scott.
Tolse la giacca e la gettò a terra, aveva
caldo e non riusciva a trovare una posizione comoda per ritrovare la
calma. Si rigirò sul piumone, affondò la faccia
tra i cuscini, ma
l'immagine di lui e Malia su quel letto color lavanda non voleva
andare via. Nella sua mente le sbottonava il cardigan, mentre lei lo
baciava e gli toglieva a sua volta la maglia di DeSean Jackson.
Si
costrinse a pensare a Lydia, ai suoi capelli rossi e alla pelle
diafana. Lui era sposato, avevano giurato davanti a Dio... ma cosa
avevano giurato? Non ricordava bene le parole di sua moglie.
Si
disse che riguardare il filmino del matrimonio sarebbe stato un
ottimo modo per smettere di pensare a Malia. Scese in salotto e
controllò tra i VHS, poi andò nello studio di suo
padre, ma niente:
la videocassetta contenente il filmino del suo matrimonio non c'era.
Eppure ricordava di averne data una copia al padre anni prima...
Salì
di nuovo al piano di sopra ed entrò nella camera di suo
padre,
incurante del fatto che lui stesse già dormendo.
«Papà, papà,
papà. Sveglia, sveglia ti prego» lo scosse piano
parlando sotto
voce.
Noah si svegliò di soprassalto e accese la luce sul
comodino.
«Che succede?» guardò la sveglia
«Stiles, è notte
fonda! Che ti passa per la testa?»
«Il video del mio matrimonio.
Non riesco a trovare il filmino, ti ricordi dove l'hai
messo?»
L'ex-sceriffo sbuffò seccato «Stiles, è
tardi, ho
sonno, ne riparliamo domani».
«C-cosa? No, no, no, ne parliamo
adesso. Ci sono centinaia di VHS con tutte le partite degli Eagles
nel tuo studio, sono ordinate per data e stadio in maniera maniacale,
com'è possile che non ti ricordi dove sia? E poi quando
posso avere
un telefono? Sono un adulto, ho bisogno del mio cellulare!»
«Lo
avrai a tempo debito. Ricordi la tua ingiunzione restrittiva?»
«Sì,
cazzo papà, me la ricordo! Non fai che ricordarmela di
continuo!»
urlò dando un calcio alla poltroncina accanto al letto.
«Bene,
allora avrai un cellulare quando la smetterai di pensare a
Lydia».
«MA È MIA MOGLIE!» gridò
alzando le braccia al cielo
e poi uscì dalla stanza.
Suo padre lo seguì fino allo studio,
Stiles aveva già iniziato a gettare tutte le cassette
giù dagli
scaffali.
«Stai cercando di tenermelo nascosto, non è
vero?!»
«Stiles, smettila di urlare e posa quelle cassette,
porca troia!»
«NON STO URLANDO! Sono solo frustato perché non
trovo quel cazzo di video!» tirò un pugno a uno
scaffale vuoto e
riprese la sua ricerca, nonostante la ferita aperta alla mano.
«Calmati, i vicini ti sentiranno!»
«No, no che non mi
calmo, non me ne frega un cazzo se mi sentiranno! Si possono
svegliare tutti quanti, non mi vergogno per niente! CHE SI SVEGLI
L'INTERO QUARTIERE! È IL MIO MATRIMONIO! È IL
VIDEO DEL MIO
MATRIMONIO!»
La canzone, sentiva di nuovo quella canzone, altri
flash dell'incidente nella doccia gli passarono davanti agli occhi.
Sua moglie nuda, la sua espressione contratta dal piacere mentre
Parrish le baciava i seni, lui che spaccava la faccia a Parrish con
il doccino fino a trasformarlo in una maschera di sangue.
Il padre
nel frattempo gli si avvicinò per provare a fermarlo, ma lui
era
troppo preso per accorgersene e gli tirò una gomitata in
pieno viso
che lo mandò al tappeto.
«Oddio, oddio papà mi dispiace!» si
mise le mani tra i capelli, disperato. La canzone era sempre
più
forte, come se provenisse da una gigantesca cassa da discoteca.
Noah
si rialzò rifiutando il suo aiuto, aveva il labbro spaccato
da cui
usciva già copioso il sangue, macchiandogli il piagiama e la
moquette. Il telefono aveva preso a squillare.
«Che c'è? Ora
picchi tuo padre? Vuoi picchiarmi? Ti faccio vedere io!»
Lo
afferrò per la maglia e lo spinse a terra, lo
immobilizzò e gli
tirò due pugni in faccia.
«Non voglio picchiarti, papà!
Smettila o dovrò farlo!» si riparò il
viso con le mani.
Stiles
non sentiva più la canzone, voleva solo sprofondare nel
pavimento e
restare nascosto lì per sempre.
«Mi dispiace, mi dispiace»
disse, piangendo senza freni.
Qualcuno suonò il campanello ed
entrambi si fermarono, come congelati.
Noah si alzò, prese un
fazzoletto dal pacco sulla scrivania, per asciugare il sangue che non
aveva smesso di colare dalla bocca.
«Polizia! Aprite per favore»
disse la voce strascicata di Whittemore. Suo padre aprì la
porta.
«Signor Stilinski, ho ricevuto molte telefonate. La gente
del vicinato ha paura, devo entrare» disse ed
entrò senza aspettare
un invito. Raggiunse Stiles che era ancora steso sul pavimento.
«Che
sta succedendo qui? Abbiamo ricevuto un sacco di segnalazioni dai
vicini. Rimettiti in piedi» gli diede un colpetto alla gamba
con la
punta della scarpa.
«Agente, lei deve trovare Lydia, quel Parrish
la sta manipolando!»
Jackson aggrottò le sopracciglia e suo
padre si affrettò a sollevarlo dal pavimento.
«Scusi agente, mio
figlio ha un piccolo problema con le medicine, ma andrà
meglio».
«Ah
sì? Davvero? Vuoi tornare ad Eichen House? Sappiamo tutto
della tua
esplosione dal dottore».
«Quale esplosione? No, no, no, Alan è
un bugiardo, questo non è vero! Non gli è
permesso di parlare di
queste cose!» disse guardando suo padre, nella speranza che
gli
credesse.
«Senta, non può dire questo a Lydia, la
prego».
«Mi
dispiace devo fare rapporto e lei ha il diritto di leggerlo»
Jackson
scrollò le spalle.
«No, mi ascolti! Posso scriverle una lettera
per spiegarle quanto sto meglio? Solo cinque minuti» Stiles
sembrò
quasi che volesse mettergli le mani addosso, tanto che l'agente fece
qualche passo indietro e suo padre lo costrinse a sedersi.
«Siediti
e sta' zitto! Devi rispettare la tua ingiunzione restrittiva, quindi
niente lettere e una distanza minima di 150 metri. Tutto chiaro? Ora
vado a fare rapporto, vi saluto».
Il baratro era vicino e lui non
vedeva più il fondo.
- - -
Angolo
autrice
Grazie per essere arrivati fin
qui e grazie per le belle recensioni e i messaggi privati. Non mi
aspettavo che questa storia piacesse così tanto! Fatemi
sapere se vi
è piaciuto questo capitolo, ma anche se non vi è
piaciuto, se c'è
qualcosa che posso migliorare e quali parti avete preferito.
Al
prossimo capitolo,
Jenny.