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Autore: meiousetsuna    01/05/2017    5 recensioni
Benvenuti su questa minilong, movieverse del romantico film: “Vi presento Joe Black”.
Un anticipo del testo?
A John piaceva l’imprevisto, esserci nel momento cruciale per salvare una vita umana. Le barelle che trasportavano i feriti in qualche incidente, o i sopravvissuti ad una sparatoria lo portavano direttamente sul campo di battaglia. Bloccava emorragie, estraeva pallottole, tentava soluzioni audaci e rapide, pressoché sempre con successo.
A pochi metri dall’ospedale c’era una deliziosa tavola calda italiana, “Da Angelo”. John aprì la porta salutando con la mano, come ogni giorno. C’era un ragazzo, di spalle, accanto a lui, che parlava al telefono ad una velocità quasi disumana, come se bombardare l’interlocutore di istruzioni dovesse convincerlo a fare quello che chiedeva. Il dottore non era pettegolo, ma non poteva smettere di ascoltare o staccare gli occhi da quella figura alta, elegante, sovrastata da una chioma bruna di notevole bellezza. Per un attimo sperò che non si girasse, perché la cosa più incredibile del personaggio in questione era la voce. Profonda, vellutata, avvolgente. Che gli scivolava addosso come se fosse nudo, e potesse sentirla sulla pelle. E meno male che gli piacevano le donne, ripeté a se stesso.
love, Setsuna
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Lime, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un saluto affettuoso ad Emerenziano, CreepyDoll, Sora_ale, Iryland, af_Eleven_ ,baileyzabini90, clelia91, Saeros25, Phoenix369, Harryet, Maheibellagenteh, Betely , Pixforever, Nina98, aleprincy, Derveni, Trailunwinki, gem12, Sere19sca: senza di voi questa storia non sarebbe esistita!
Ho preferito non realizzare un capitolo eccessivamente lungo, pur non “tagliando” nulla: per le differenze dalla fine del film, leggete (poi!) le note finali… se volete! #^-^# 


Capitolo 5: I was born to love you, every single day of my life

Una splendida cascata di scintille violacee ricadde al di là del prato, residuo di quei fuochi d’artificio che erano il coronamento di ogni festeggiamento ufficiale che si rispetti.
Molly era entusiasta mentre abbracciava uno sconfortato Mike, facendogli sentire la sua vicinanza affettuosa. Gli invitati si stavano divertendo dal primo all’ultimo: qualcuno era ubriaco, alcuni parlavano in modo appartato, altri ballavano al ritmo di una fantastica orchestra blues di sedici musicisti.
Il festeggiato però era introvabile, e John ne era dispiaciuto. Capiva che l’aria gioiosa non si confaceva a suo padre in quel frangente, ma non aveva senso abbandonarlo a isolarsi, crogiolandosi in cupi pensieri.
“Se cerchi Gregory non lo troverai qui. Sta salutando delle persone che non rivedrà… prossimamente”.
Il dottore non aveva certo bisogno di girarsi per riconoscere il timbro basso e seducente di quella voce, alla quale aveva strappato parole dolci e grida di piacere.
“Tu invece non andrai via, vero? Perché io credo di amarti”. Le ultime parole erano frammentate dal tremito che correva sulle labbra sottili del ragazzo biondo, che non aveva neppure il coraggio di voltarsi.
Un abbraccio intorno alla vita, e la cascata dei riccioli soffici di Sherlock che spiovevano sulla sua spalla destra furono la risposta.
“Ti amo anche io, John. Quindi ti lascerò stanotte. Non potremmo stare insieme, non mi conosci davvero”.
“Lo comprendo, ma... vorrei prendermi cura di te. Come il giorno in cui ci siamo incontrati per la prima volta, e hai detto che tu l'avresti fatto. Ora piacerebbe a me fare qualcosa per te, per la tua felicità. Non ho mai capito perché hai finto di non riconoscermi, ma non ha importanza; con te è tutto così diverso, ha un altro significato. Dimmi che non te andrai, o che tornerai se adesso devi davvero allontanarti”.
Sherlock aprì bocca per rispondere duramente, ma non un fiato uscì dalle sue labbra; certo non quello che aveva programmato di dire o fare.
Nell'istante in cui John si voltò per scrutare la sua espressione gli prese delicatamente il viso tra le mani, curvandosi a baciarlo.
“Non tornerò mai”.
John aprì gli occhi pieni di lacrime trattenute per fissarli in quelli dell'essere, e lo vide. Lo vide veramente per la prima volta, cercando di non cedere al capogiro che lo stava assalendo.
Le iridi del suo amato cambiavano colore, anzi, sembrava che del fumo argento brunito si muovesse al loro interno, senza appannare la pupilla nerissima, priva di emozione.
“Tu sei... un'altra persona? Chi sei? Cosa sei? Ho quasi paura, sai ― John tentò invano di sorridere ― perché quello che sto pensando, che il mio corpo sta gridando, non può essere reale”.
“La risposta è , sono proprio quello che stai immaginando, ma tu non devi temermi, John. Per te sarò sempre il ragazzo che hai visto quella mattina, e che, perché tu lo sappia, si era subito infatuato. Ti amo, per questo ti lascio libero; ti innamorerai di nuovo, te lo meriti”.
Malgrado sentisse il cuore lacerarsi senza rimedio, John rimase dov'era, un atavico senso di sopravvivenza che lo inchiodava sul posto. Quando la creatura fu abbastanza lontana, crollò in ginocchio, piangendo senza far rumore.

James mandò giù con poca eleganza il terzo calice di champagne in un solo sorso, contraddicendo l'immagine di perfetto aplomb che lo smoking di seta italiana gli conferiva. Irene lo guardava sconfortata, riflettendo sul fatto che ultimamente gli uomini attraenti non la consideravano se non come partner in affari. Moriarty le piaceva, ma tanto più avrebbe volentieri messo le mani addosso a quell'Holmes, anche se il suo fiuto non sbagliava mai, in quel settore. Nulla, aveva più possibilità di trovarli a baciarsi tra loro, magari di nascosto sul tetto della villa, che riuscirci lei. Almeno una cosa andava per il verso giusto, però. Un secondo dopo la mezzanotte la cessione della ditta sarebbe divenuta cosa di fatto, rendendola una delle donne più ricche d’Inghilterra. Era quello che voleva, no? Anche se alcune cose non avrebbe mai potuto comprarle…
In quel momento il viso maligno di James si accese di un sorriso mefistofelico, mentre Gregory li raggiungeva con passo sostenuto, lontano da occhi indiscreti. Peccato che alle sue spalle, come se sbucasse dal nulla, si fosse manifestato Sherlock, che posando una mano sulle spalle di Lestrade lo fermò un attimo, bisbigliandogli all’orecchio.
“Prima che ti disperi troppo, devi sapere che ho deciso che andremo via solo noi due. John resta qui. E per il resto, lascia parlare me”.
L’uomo assecondò la richiesta di Sherlock, ma solo perché era così felice per la salvezza di suo figlio da non riuscire a pronunciare una sillaba; non avrebbe potuto scegliere se ringraziarlo in ginocchio o dire che il resto in paragone non importava.
“Ecco che arrivano i nostri eroi… bellissima festa, Greg!”
“Mi dispiace, ma adesso devi rivolgerti solo a me, Moriarty” il tono di Sherlock non ammetteva repliche “eravate tutti così curiosi che ho deciso che in onore del compleanno del nostro ospite vi dirò chi sono in realtà”.
“Lascia perdere, ti prego”. Lestrade non si aspettava una rivelazione del genere, cosa avrebbe replicato? Che era vero, per farsi internare entrambi? Non che questo l’avrebbe sottratto al suo destino!
“Io sono…”
Muoio di curiosità! Non è vero, Irene? Dobbiamo chiamare anche gli altri membri del consiglio? Chi, sei, hum? Harry Potter, il Dottor Who… no, aspetta! John Lennon che non era morto davvero!”
“Che tu pensi a un decesso mi fa piacere, è molto indicato. E bastate voi due per sapere che sono un funzionario delle imposte dirette”.
Un opportuno silenzio cimiteriale scese come una coltre caliginosa sui presenti.
A ben guardare, l’espressione di Gregory non era meno sconvolta di quella con la bocca spalancata di Moriarty, ma passò inosservata, data la circostanza.
“Né voi né Smith avevate il diritto di vendere delle azioni il giorno prima di una fusione, il loro valore è aumentato e ne eravate a conoscenza prima che lo fossero tutti gli azionisti. Sembra un piccolo dettaglio, visto quello che avete dovuto tramare, vero? Ma essere avidi gioca brutti scherzi. E sei stato tu, Jimmy, a suggerirlo: alla morte e alle tasse non si sfugge. Avete due possibilità: il carcere, o licenziarvi dalla società e bloccare la fusione adesso. Suggerisco la seconda, per quanto la prima idea mi alletti molto. Lo faccio per il nome dei Lestrade”.
Più che considerare di essere arrestato James si sarebbe sparato in bocca, ma forse non ne valeva la pena: reputò meglio correre a chiamare Culverton Smith, fermare tutto nei pochi minuti rimasti, mentre la sua alleata avrebbe avvisato gli altri, lanciando inutili occhiate di odio dietro di sé.
“A Mike lo dirò io, era un’anima in pena… non dirmi che ho fatto una battuta di tuo gusto. E grazie, non lo dirò mai abbastanza. Sei, ecco, la persona migliore che potessi incontrare; vorrei dire un uomo buono, ma… forse è un’offesa?” Gregory si sentiva leggero, la paura di quello che stava per accadere stava svanendo ogni secondo di più. Era solamente il destino di ogni essere umano, aveva vissuto pienamente e aveva ricevuto molti doni. Una visione di lunghi capelli biondi danzò di fronte a lui, così realistica che sembrava di poterla toccare allungando una mano.
“È vero, Sherlock, oppure è per consolarmi? Non dovrei vedere tutta la vita passarmi davanti?”
“Quello succede nei film. È proprio tua moglie, Greg, è venuta a prenderti. Ora saluta i tuoi figli, ti posso concedere cinque minuti”.
Lestrade non se lo fece ripetere, correndo in direzione di Molly che stava piangendo di gioia abbracciata a Mike, mentre lui le raccontava la bellissima novità; la prese per mano, facendola girare e trascinandola in un giro di valzer, ascoltando la sua risata dolce, che gli avrebbe fatto compagnia per sempre. Quando la lasciò le diede un bacio sulla fronte.
“Grazie, Molly. Neppure la Regina ha mai avuto una festa così splendida”.
Mentre ascoltava la risposta commossa di sua figlia, Greg vide John camminare lentamente verso di lui, sconvolto anche se cercava di nasconderlo.
Quando furono esattamente uno di fronte all’altro non ci fu bisogno di spiegazioni. Capivano cosa stava succedendo, anche se per John era soprattutto un’intuizione, uno scienziato come lui non accettava facilmente di dare il giusto nome ad alcune cose.
“Papà, sei felice? Ho ascoltato la Adler fare una telefonata… dovrei essere contentissimo, lo so, invece mi sento come se stessi per perdere tutto quello che conta. Possibile…”
Gregory lo abbracciò forte, senza rispondere direttamente alla domanda.
“Ti voglio bene, John, questo non cambierà mai, in nessuna circostanza. Ora andrò via con Sherlock, per un po’. Forse per molto tempo, e tu non devi seguirci adesso, abbiamo un affare personale in sospeso. Mi ha dato quello che gli ho chiesto, ora è il mio turno”. Il ragazzo annuì, anche se senza convinzione, incapace di reagire d’impulso come avrebbe fatto solitamente.
Lestrade raggiunse Sherlock, che lo aspettava all’inizio del ponte che attraversava il laghetto giapponese, con un lieve sorriso sul volto.
“Hai detto addio?”
“Non proprio… i ragazzi se la caveranno. Grazie di avermi concesso questo tempo, e per John. Ti sono grato di tutto, amico mio”.
“Nessuno mi ha mai chiamato così, credevo di non avere amici, Greg. Ma evidentemente uno sì; e mi basta. Vieni, e non aver paura, non sentirai niente”.
Mentre suo padre e il giovane di cui era innamorato sparivano alla vista, scendendo il ponticello ricurvo, John rimase a fissarli come in sogno, per poi sbloccarsi improvvisamente, ma quando tentò di raggiungerli, non c’era più nessuno.
Non l’avrebbe cercato, sapeva istintivamente che l’avrebbero trovato tra poco, probabilmente nel suo studio, dove qualche volta si era addormentato con la testa china sul suo lavoro, la seconda cosa che amava dopo la sua famiglia.
Questa volta a riposare per sempre.

Era stata durissima, per John, la decisione di tornare in ospedale appena due giorni dopo il funerale di suo padre, ma era l’unica soluzione possibile. Se fosse rimasto a casa ad affrontare quel lutto non ne sarebbe più uscito, mentre prendersi cura di chi soffriva lo faceva sentire utile e motivato.
“Bentornato, Lestrade” una collega salutò cordialmente il giovane “ci fa piacere vederti così presto, insomma… c’è bisogno di te, in questo posto infernale, lo rendi più piacevole, davvero”.
Il biondo sorrise sinceramente alla dottoressa; non era l’unica ad avergli detto delle parole gentili, e la sua scelta gli pareva ogni momento più giusta.
“Sai la novità? Quel ragazzo che era in coma da una settimana, che era stato investito da un’auto proprio qui davanti?”
“No, Meredith, non credo sia un mio paziente”.
“No, l’hanno trasportato che tu avevi appena staccato, ne sono sicura, avrei voluto che ci fossi! Sì è svegliato l’altro ieri con un’amnesia parziale, ed è stato fortunatissimo, pensavamo solo al peggio. Ha le cognizioni più comuni, nessun danno fisico particolare alla testa… si ricorda di essere un violinista, in che quartiere abita, ma non come si chiama, per contattare dei congiunti. Stamattina alle otto, appena attaccato il turno sono passata e mi ha chiesto a bruciapelo ‘dov’è John’. Non è stato in grado di dirmi di chi parlava, non ricordava neppure di averlo appena domandato. Così, senza un cognome, ma ho pensato solo a te… ti va di dargli un’occhiata?”
Se avesse dovuto fornire una minima spiegazione razionale non avrebbe potuto darla, ma John sapeva benissimo chi avrebbe trovato in quella stanza del reparto rianimazione.
I capelli scuri formavano una nuvola soffice sul cuscino bianco, sembrando per contrasto quasi neri, e gli occhi azzurri erano più belli che mai; adesso il loro colore era vivo, come un ritaglio di cielo in una giornata primaverile.
Il cuore di John si strinse guardando quel fisico già sottile smagrito dall’alimentazione tramite flebo, e le occhiaie profonde su viso delicato.
“Hey, William”.
Il bruno lo fissò per qualche secondo in modo vacuo, poi lo sguardò si illuminò.
“È il mio nome! Me lo ricordo adesso… come ha fatto?”
“Mi dai del lei, ora?” John cercò di scherzare per non piangere, ne aveva avuto abbastanza, e non sarebbe servito a nulla “Noi ci conosciamo, e il tuo nome dovevo ancora indovinarlo… ma l’avevo capito, è facile. È quello del principe ereditario, ci avrei scommesso. Ti sta molto bene”.
William si sciolse in un sorriso dolce, sentendosi evidentemente meglio, all’improvviso. Quel dottorino gli piaceva tanto, altroché. Forse non tutti i mali vengono per nuocere.
“Sai altro di me?” C’era una punta di malizia nella voce, come se gli stesse leggendo dentro, pensò John con sollievo. Era una bellissima sensazione, sapeva di non dover nascondere niente a quella persona.
“Hai una sorella. Non vive a Londra e per ora non si sarà spaventata al punto di farti cercare dalla polizia, ricordo che avete un rapporto un po’ alterno. Ma vedrai che lo farà, così ricostruiremo la tua identità in modo completo, andrà tutto bene”.
“Ci credo. E il nostro rapporto qual è? Siamo migliori amici?”
“Abbiamo parlato una sola volta; so che sembra strano, ma è così. Però se mi dai il permesso ti spiegherei a che punto eravamo nel nostro discorso”.
John si curvò sul viso di William, accarezzandogli gli zigomi con i pollici mentre gli dava un bacio sulle labbra, tradendosi con un brivido di desiderio che non poteva mascherare in alcun modo.
Quando aprì di nuovo gli occhi vide che un delicato rossore aveva dato vita al volto pallido di quel ragazzo di cui era innamoratissimo. Glielo avrebbe fatto ricordare con calma, ma in modo inequivocabile, decise non senza sentirsi in imbarazzo. Non stava tenendo un comportamento esattamente professionale, ma aveva smesso di temere sempre tutto.
“Se questa è la politica del tuo ospedale, quando uscirò di qui lo proporrò per un encomio. È una terapia fantastica, la offri a tutti i pazienti?”
“Solo a te, e ogni giorno, finché vorrai. Soprattutto quando sarai dimesso. Potresti stare da me, per un po’. Per molto. Per sempre”.
William lesse il nome sul cartellino, soffermandosi sull’H tra ‘John’ e ‘Lestrade’.
“John. In qualche modo avrei indovinato anche io. E il tuo altro nome? Non ti piace, vero? Secondo me sarà bellissimo”.
“Ma non te lo dirò, lo dovrai indovinare, così sarà stato un gioco ad armi pari! Vuoi?”
“Chiedimelo ancora”.
John diede un altro bacio al suo amato, tuffando le dita in quei riccioli spettinati. E questa volta non si sarebbe fermato più, pensò.
Fino all’ultimo giorno della loro vita.

~FINE~

Note: ho scelto di cambiare due parti del film.
La prima è da poco. La scena della festa, nel film, è centrata sul valzer ballato dal padre con la figlia, per salutarla; qui ovviamente non ne ho avuto modo, per cui vi ho incluso la rivelazione dell’agente del fisco, invece di mostrarla prima, per dare più importanza al finale col party.
La seconda è una gran licenza, invece: nel film la Morte lascia il corpo di Brad Pitt vivo vegeto e intatto come se non fosse mai andato sotto la macchina, ma è un conto che non torna; era morto, per questo è stato utilizzabile, non era posseduto! Inoltre sarebbe un cadavere di alcuni giorni…
A questo punto, “impossibile per impossibile” ho preferito sdoppiare il corpo di Sherlock, in pratica… tutto allo scopo di scrivere questo finale che mi piace di più. Scusatemi!

  
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