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Autore: Merkelig    04/05/2017    2 recensioni
Nessuno sa da dove sia venuta la giovane Aurora, né perché abbia deciso di stabilirsi proprio in uno dei tanti paesini del Meridione e aprirvi un negozio di libri. Nessuno sa perché dopo due anni di sole dorato e mare cristallino lei debba partire improvvisamente. E a dire il vero neanche Aurora stessa lo sa con precisione; sente semplicemente che è il momento di tornare alle sue radici. Alle sue straordinarie, incredibili radici.
Genere: Generale, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aurora

 

 

- Signorina Aurora! Signorina Aurora! È vero che state partendo?

 

Abbassai lo sguardo sul piccolo Tonio, sei anni di giocosa allegria, che si era aggrappato alle mie ginocchia con le manine sporche di terra.

 

- È vero, bambino mio. - mormorai, accarezzandogli i ricci neri.

 

- Ma se voi ve ne andate chi mi presterà i libri?

 

Tonio aveva sei anni – anzi sei e mezzo, come spesso mi ricordava con orgoglio – ed era il bambino più precoce che avessi mai conosciuto. Aveva iniziato a leggere a cinque anni e in pochi mesi era migliorato moltissimo. Ero solita dargli il permesso di portarsi a casa dei libri, così che potesse leggerli. Oliver Twist, Huckleberry Finn, Salgari... l'ultimo libro che era passato per le sue mani era il corsaro nero, di cui si era innamorato e che mi aveva restituito dopo sole due settimane. Ho sempre supposto che fossero un naturale pudore e inclinazione alla cortesia ad impedirgli di accettare le mie insistenti richieste di tenere i libri che gli prestavo.

 

- Forse posso fare qualcosa al riguardo.

 

Sollevai un pacchetto avvolto in carta scura e spago e glielo porsi.

 

- Questi li puoi tenere, sono un regalo da parte mia. E, prima che tu lo dica – lo fermai alzando una mano – rifiutare un regalo è segno di profonda inimicizia.

 

- Oh no, signorina... voi siete mia amica. Grazie per questi! - disse stringendo tra le braccia un esemplare de Le tigri di Mompracem in buono stato e un'edizione nuova di zecca di Il mago di Oz.

 

- Vieni qui e abbracciami, diavoletto.

 

Strinsi il piccolo Tonio tra le braccia e lo guardai ballonzolare verso casa, sventolando le mani in segno di saluto.

Poi con un sospiro indirizzai la sedia a rotelle verso l'entrata del negozio e, grazie ad un colpetto d'incoraggiamento alle ruote, salii la bassa pedana che il signor Gaspare aveva installato per permettermi di superare il basso gradino davanti alla porta. Quanto mi mancherà il mio negozietto.

Sbrigai gli ultimi conti, impacchettai qualche libro che doveva essere spedito e presi un paio di telefonate dall'agenzia di trasporti. A metà pomeriggio tre signore entrarono nel negozio.

 

- Signora Marisa, signora Franca e signorina Laura... che piacere vedervi! - le accolsi con un sorriso.

 

- Siamo passate per salutarvi, sapete, prima che partite.

 

- Ma che vi ha fatto il nostro paese che scappate via così?

 

- Chiudi quella ciabatta, Franca. Si vede lontano un miglio che la signorina Aurora non vuole lasciarci.

 

Le tre comari erano fatte così, non era possibile interromperle finché tutte non avevano detto la propria. Spesso si smentivano e sbugiardavano a vicenda, ed erano sempre uno spettacolo buffo da vedere. Avevano, per dirla alla loro maniera, un cuore grande come una casa e, benché nessuna avesse figli ancora in vita, avevano conservato un certo atteggiamento materno con cui mi avevano accolta al mio arrivo.

 

- Credetemi, signore mie, è assolutamente imperativo che io parta.

 

- Dite un poco, signorina, non c'entrerà mica un uomo?

 

- La fonte di ogni guaio! Voi poi che siete tanto bella e intelligente ne avrete così di uomini al seguito! Dovete stare attenta, figlia mia.

 

- La nostra Aurora, con la sua parlata fina e che legge tanti libri... voi non avete alcuna esperienza del mondo, cara. Dovrete stare ben più che attenta!

 

- Non preoccupatevi. Il viaggio sarà molto breve ed è già stato tutto organizzato per il mio arrivo - le rassicurai.

 

- È proprio necessario che partiate da sola? Nelle vostre... condizioni, dico.

 

- Forse una di noi può accompagnarvi. Solo per un pezzetto, per assicurarci che stiate bene.

 

- I treni sono orribili. Quando andai da mio fratello quattro ore ci misi! Quattro ore in piedi, con il treno che faceva su e giù, su e giù... un inferno!

 

- Nuovamente vi ringrazio per la vostra premura – dissi facendo il giro del bancone e prendendo le mani di donna Marisa tra le mie, in segno di ringraziamento - ma non è necessario allarmarsi per me. Siete state molto gentili con me e avete reso bellissimo il mio soggiorno qui. Se mai ci fosse qualcosa che posso fare per ripagarvi della vostra cortesia non esitate a chiedere.

 

- Oh, signorina... - fece l'anziana donna arrossendo sotto il velo di cipria applicato sulle guance – ci basta sapere che ci terrete sempre nel vostro cuore!

 

- E che siate giudiziosa! - fece Franca con gli occhi lucidi.

 

- E che telefoniate quando arrivate! - puntualizzò Laura. E all'occhiataccia delle due amiche aggiunse: - E risparmiatevi quella faccia tutte e due, che so benissimo che è quello che volevate dire voi!

 

Ridendo silenziosamente tra me e me accompagnai alla porta le tre signore che bisticciavano beatamente, e le guardai allontanarsi camminando spalla a spalla attraverso la piazza inondata dal sole pomeridiano.

 

Quando si fece sera raccolsi i miei ultimi effetti personali e li riunii in un'ampia borsa di tela, che legai allo schienale della sedia a rotelle. Spensi il lume e mi avviai all'uscita, accarezzando i grandi scaffali di legno pesante che avevano protetto i miei libri. Notai con soddisfazione che il legno era morbido, senza la minima traccia di polvere e profumato di cera fresca. Come un grosso animale ben nutrito e accudito a dovere. Eccola qui la mia amica fiera, di giorno accucciata ai miei piedi per tenermi compagnia mentre sonnecchia tranquilla, e di notte vigile nel buio per proteggere il negozio, niente più di un paio di occhi gialli che brillano nell'oscurità.

Voltandomi salutai gli scaffali, i muri color ocra, i vetri splendenti e la vecchia scrivania di seconda mano che non mi aveva mai abbandonata, e con loro anche tutti i pensieri, le fantasie e i ricordi che avevo avuto in quel luogo. Chiusi la porta come si chiude un forziere che contiene un tesoro, con un misto di rimpianto e paura che in mia assenza qualcuno arrivi e cambi qualcosa a cui mi sono affezionata.

 

Percorsi la piazza lentamente, e dopo aver imboccato la via che usciva dal paese continuai a muovermi senza fretta, fissando nella memoria ogni particolare, ogni dettaglio. Sulla strada che andava alla spiaggia vidi la piccola Sonia che mi veniva incontro.

 

- Signorina Aurora! Dove andate a quest'ora?

 

- Questo dovrei chiederlo io a te, piccola.

 

- Lo sapete, signorina, mio padre è pescatore. Io lo accompagno alla barca.

 

- Non è un po' tardi?

 

La bambina mi rispose alzando le spalle. Per un po' rimase in silenzio, guardando l'oceano. All'improvviso mi chiese:

 

- Dite signorina, ce l'avete mica un libro come quello dell'altra volta? Uno con tante figure, che parla di viaggi!

 

- Che combinazione! - finsi di stupirmi, dandomi una manata in fronte – Ho qui una cosa che potrebbe interessarti.

 

Frugai per un po' nella tasca laterale della sedia a rotelle, sbirciando con la coda dell'occhio la bambina che, a bocca spalancata, seguiva ogni mio gesto.

 

- Ecco qui. - annunciai posandomi un libro in grembo – Riesci a leggere cosa c'è scritto? È un po' buio...

 

- Si che ci riesco! - fece Sonia – Dice... dice... il giro del mondo... in ottanta giorni!

 

- Molto bene. - approvai – È la storia di un signore inglese che per una scommessa accetta di compiere il giro del mondo in ottanta giorni. È pieno di aneddoti e descrizioni dettagliate... penso che ti piacerà.

 

- Ma...

 

- Tienilo pure. Se lo portassi con me temo che potrei rovinarlo, mentre sarei molto più tranquilla se sapessi di averlo lasciato tra le abili mani di una avventuriera esperta.

 

La bambina annuì con aria seria, stringendosi il volume al petto.

 

- Contate su di me!

 

Annuii anch'io, poi le sorrisi accarezzandole la testa spettinata,

 

- Ditemi una cosa signorina...

 

- Sì?

 

- Perché leggete così tanto? La mia mamma dice sempre che è una perdita di tempo, di pensare alle cose serie.

 

- Ecco, io... non saprei. Mi piace, ecco tutto. Immaginare posti lontani, creature fantastiche, persone che non esistono...

 

- Ma se non esistono, perché le immaginate?

 

- Perché no? Anche se loro non sono mai vissute non vuol dire che non dicano cose interessanti.

 

La bambina mi guardò corrugando le sopracciglia, così mi affrettai ad aggiungere: - A volte immaginare di essere dentro una storia mi permette di allontanarmi per un po' dalla realtà. Come un viaggio. È molto rilassante. A te piace viaggiare, giusto?

 

- Sì! - esclamò con gli occhi che brillavano – Ma in posti che esistono veramente, con persone vere e cose vere e tutto il resto.

 

- Allora i fantasmi? La tua mamma ci crede, no? E la polena sulla barca del tuo papà, che ha costruito per ingraziarsi le creature marine?

 

- Che c'entra, - rispose Sonia, piccata – quella è tutta roba vera.

 

Sorrisi, rabbonita dalla sua saccenza innocente.

 

- Suppongo che un giorno lo scoprirai, bambina. Adesso fila.

 

Mentre la piccola Sonia si allontanava a passi rapidi sulla via di casa, osservai l'orizzonte e le luci intermittenti delle barche che brillavano al largo. La melodia della risacca che avanzava e si ritirava senza sosta era rilassante. La luna piena splendeva ipnotica nel cielo e la sua luce argentata bagnava fredda le assi del molo, dando l'illusione che il rumore delle onde provenisse da lì.

Onde di luce argentata. Che immagine poetica.

Silenziosamente, per non infrangere quell'atmosfera incantata, scesi verso la spiaggia e imboccai lo stretto pontile di legno le cui palafitte affondavano dentro le viscere del mare. Slegai la borsa di tela e, infilando i suoi manici intorno ad un pilone, la feci scorrere verso il basso in modo che pendesse appena sopra il livello delle onde e che fosse nascosta alla vista.

Fatto questo avanzai verso la fine del pontile, accompagnata solo dal ritmico toc toc delle ruote sulle listarelle disconnesse di legno bagnato. Rimasi a contemplare per qualche minuto lo spettacolo del cielo notturno e del mare calmo, che per effetto del movimento delle onde sembrava quasi respirare tranquillo nel sonno.

Quando sentii che quella magnifica vista si era sedimentata nella mia memoria e nel mio cuore, in modo da poterla portare con me, presi un bel respiro, inclinai la sedia e mi lasciai scivolare in acqua.

Per qualche secondo mi avvolse l'oscurità più totale, finché non sentii il gelido abbraccio dell'acqua farsi tiepido e accogliente e la luce della luna che mi salutava come una vecchia amica.

Mentre osservavo i vestiti dissolversi fluttuando in schiuma marina e i capelli riacquistare l'originale color verde scuro, non riuscii a fare a meno di farmi assalire da un'acuta nostalgia per quello che è sempre stato il mio mondo, la mia linfa, la mia natura, un pensiero fisso relegato ai confini della mia mente impossibile da soffocare.

Il mare.

Come una sete che non si può estinguere.

È la mia casa, il mio protettore, il mio regno aspro e selvaggio.

Finalmente lasciai andare le ultime bolle d'ossigeno e inspirai profondamente, sentendo le branchie distendersi dopo essere rimaste inutilizzate tanto a lungo. Mossi la mia lunga coda da pesce ricoperta da squame cangianti e un riflesso baluginò rapido sui piloni e sulle tavole del molo.

Diedi un ultimo sguardo alle mie spalle, poi con un rapido colpo di pinne mi inabissai nel buio.

Era il momento di tornare a casa.

  
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