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Autore: MrEvilside    09/06/2009    10 recensioni
-La morte è molto brutta, oniisan?-.
-Non è brutta, otouto…-.
-Come no?! Eppure le persone sono così tristi quando i loro
cari muoiono!-.
-È solo diversa dalla vita-.
[A Itachi-san.
Auguri, eroe.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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A Itachi-san.
Perché è il suo compleanno, perché è un eroe, perché lo merita.
E anche se oggi è uscito - almeno a casa mia - il numero 43, lo leggerò solo domani.
Per rispetto. Perché oggi è il giorno del suo compleanno, e non sarebbe giusto.
So che è corta, troppo corta e insignificante, ma ci ho messo dentro l'ammirazione che nutro per te.
Tanti auguri, Itachi-san. Ti prego, riposa in pace.

Orgoglio

[-La morte è molto brutta, oniisan?-.
-Non è brutta, otouto…-.
-Come no?! Eppure le persone sono così tristi quando i loro cari muoiono!-.
-È solo diversa dalla vita-.]

Le gocce d’acqua solcavano lentamente le morbide guance paffute del bambino, tracciavano il contorno delle labbra piene e dolci strette in una smorfia, giungevano al mento ancora rotondo e glabro, acerbo, e cadevano, sprofondavano in un baratro apparentemente privo di fondo per poi sfracellarsi al suolo senza il minimo suono.
Erano ore ormai che Sasuke Uchiha sedeva, incurante della pioggia, davanti alla lunga fila di tombe. Il suo sguardo d’onice, gelido e inespressivo, non faceva che spostarsi da un nome all’altro incisi nel bianco marmo delle lapidi; la sua mano, piccola e innocente, le accarezzava dolcemente, con affetto; e la sua mente, distrutta dal dolore, non faceva che gridare, gridare che li rivoleva indietro, che voleva almeno trovare un senso a quel massacro.
All’apparenza, Sasuke poteva sembrare serio e composto – indifferente quasi – proprio come suo padre Fugaku, da bravo Uchiha qual era stato, lo aveva sempre istruito ad essere.
Ma Itachi sapeva perfettamente che, dietro quell’espressione fredda, si nascondeva un bambino che avrebbe voluto semplicemente scoppiare a piangere, urlare al cielo la sua disperazione e abbracciare le tombe nella speranza forse di percepire un qualche calore umano in esse, qualcosa che avesse potuto ricordargli i parenti perduti.
E altrettanto bene sapeva che Sasuke non avrebbe mai esternato quel comportamento.
Perché lui non era un semplice bambino: era un Uchiha, era destinato a diventare un grande ninja e i ninja non devono mostrare i loro sentimenti in nessuna circostanza, avrebbe recitato il loro padre a memoria con quella sua voce profonda e solenne.
E anche se ora Fugaku era morto, Sasuke non avrebbe smesso di ripetersi quelle parole nella mente ogni qualvolta le lacrime avessero tentato di affacciarsi sui suoi occhi scuri, Itachi ne era certo. Le avrebbe ricacciate indietro, avrebbe chiuso il suo cuore a qualsiasi sentimento, solo per avere almeno l’illusione che suo padre, dal luogo dove si trovava, potesse guardarlo e sentenziare con orgoglio: Sono fiero di te, figlio mio, un piacere che aveva sempre riservato soltanto al maggiore dei due fratelli Uchiha – lo stesso che alla fine, ironicamente, l’aveva strappato alla vita.
Un sorriso triste piegò le labbra di Itachi.
Se aveva compiuto quella strage era stato anche perché aveva creduto di poter liberare il suo fratellino dalla schiavitù del loro Clan, quella stessa schiavitù che lo aveva condotto sulla via del sangue e lo aveva costretto a rinunciare alla sua stessa vita per il bene superiore, come l’avevano definito i consiglieri quando gli avevano assegnato la missione.
Ora però si rendeva conto che non ce l’avrebbe mai fatta.
Perché la schiavitù ormai era parte di loro, il sangue che gli sporcava le mani non sarebbe mai stato lavato via da nulla, i principi inculcati nella testa di Sasuke non sarebbero mai stati dimenticati.
Quel cognome – Uchiha – li avrebbe accompagnati per sempre come un’ombra.
Avrebbe sostenuto Sasuke durante gli allenamenti cui si sarebbe sottoposto per poter placare la sua sete di vendetta e avrebbe instillato sempre più odio nel suo cuore, spingendolo a fare del desiderio di omicidio la sua unica ragione di vita; avrebbe osservato Itachi da lontano, sogghignando senza pietà agli improperi che il giovane gli avrebbe riservato, e gli avrebbe ricordato per sempre a che cosa aveva rinunciato, onnipresente e inarrivabile come una macabra maledizione.
Improvvisamente, Sasuke rivolse lo sguardo nella sua direzione e, per un attimo, Itachi credette di essere stato scoperto.
Un solo, eterno attimo di paranoia.
Ma il bambino non si muoveva, si limitava a scrutare, senza sapere – per fortuna, probabilmente – che stava fissando quei pozzi neri che odiava profondamente – forse anche perché erano troppo simili ai suoi – e al contempo percependo una presenza indistinta eppure stranamente familiare.
Uchiha e Uchiha, a pochi metri l’uno dall’altro e tuttavia distanti mille miglia.
Il ragazzo osservò a lungo il fratellino minore, cercando nelle sue iridi color notte la vivacità e l’esuberanza – la vita – che le avevano illuminate un tempo; non trovò altro che vuoto e silenzio – la morte.
Per la prima volta, fu Itachi a distogliere lo sguardo per primo, ad arrendersi – e se suo fratello avesse potuto saperlo, e i loro parenti fossero stati ancora vivi, avrebbe esultato con un largo sorriso sul viso innocente per quella prima, piccola ma importante vittoria contro il grande Itachi Uchiha, il genio dietro al quale veniva sempre celato ogni suo miglioramento.
Voltò le spalle al giovane Sasuke, consapevole che si sarebbero rincontrati.
Perché il sangue Uchiha – la maledizione – che scorreva nelle loro vene prima o poi li avrebbe condotti allo scontro finale, reclamando la vita dell’uno o dell’altro.
Arrivederci, Sasuke.
Sollevò gli occhi al cielo, che cominciava a schiarirsi, e sorrise nuovamente.
Forse non è la stessa cosa se lo dico io, ma sono molto fiero di te, otouto.
Perché sicuramente sarebbe diventato un erede degli Uchiha migliore di lui.
Perché ci credeva davvero.
Perché gli voleva bene, anche se non avrebbe mai potuto dirglielo.
Peccato che, di queste parole, le parole che tanto aveva desiderato ma che nessuno prima d’allora – e in futuro, peraltro – gli aveva mai rivolto, il fratellino non venne mai a sapere.

[-Perché mi fai questa domanda, Sasuke? Hai paura di morire?-.
-Otousan dice che i ninja non devono avere paura di niente-.
-Io però ti ho chiesto se tu ne hai, otouto-.
-Beh… Se io morissi, saresti triste, oniisan?-.
-Hmm… sì, credo che sarei triste, Sasuke. In fondo, tu sei il mio unico otouto-.]
  
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