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Autore: Civaghina    09/05/2017    2 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Domenica, 29 luglio 2012

Stamattina sono abbastanza in forze.

La trasfusione, a quanto pare, ha avuto il suo effetto benefico.

E devo ammettere che non è stata poi così traumatica; certo, mi ha fatto non poca impressione e ho deliberatamente evitato di guardare quella disgustosa sacca rossa e il suo contenuto che percorreva il tubo della flebo, scivolando dentro il mio braccio; però non ho avvertito nessun dolore e nessun fastidio e, miracolosamente, non ho avuto nessuno dei potenziali effetti collaterali che la Lisandri ha pensato bene di non dirmi, ma che io, a sua insaputa, sono andato a cercare su internet.

Stavolta è andato tutto liscio, ho solo un livido dove c'era l'ago cannula; e finalmente, dopo tanti giorni, mi è stato tolto pure quello della flebo, dato che al momento non ho bisogno di farne altre.

Se alla Bestia non viene in mente di farmi altre brutte sorprese, ho gli ultimi quattro giorni di Fattore G e poi entrerò nel vortice degli esami pre-intervento.

Ma non voglio pensarci adesso.

Adesso voglio pensare solo al fatto che mi sento meglio, che la cena di ieri sera aveva il suo vero sapore, seppur non esaltante, e a che bella sensazione sia stata dormire senza quell'affare piantato nel braccio.

Ed è una sensazione ancora più bella poter fare la doccia senza dovermelo coprire, nonostante sia una doccia più rapida del solito perché tra poco arriva Asia con cornetti e caffellatte freddo, per fare colazione insieme.

Peccato che a rovinare tutto ci pensino i capelli che trovo sull'asciugamano: non li ho lavati per il timore che mi restassero in mano, ma un po' si sono inumiditi lo stesso e anche se li ho tamponati delicatamente, ne ho persi comunque tanti.

Troppi.

Mi guardo allo specchio e per un momento credo di svenire un'altra volta.

Non cedere.

Non cedere.

Non cedere.

Mi ripeto, mentre mi viene da piangere.

Stavolta non basteranno gel e pazienza a sistemare la faccenda.

Ci sarebbero troppi buchi da riempire.

Ormai sono sulla via del non ritorno.

Sto per piangere ma mi trattengo.

A momenti arriverà Asia.

Chiudo gli occhi per non guardarmi.

Mi asciugo il corpo allontanandomi dallo specchio.

Apro l'armadietto per prendere una maglietta e prendo anche la cuffia blu, quella con il leone sopra, uguale alla maglietta che Giulia si è portata a Londra.

La indosso, mentre avverto che la Bestia infame ha segnato un altro punto.


I cornetti hanno un sapore delizioso, io sono affamato e riesco a mangiarne ben due di fila, proprio come facevo prima.

Mi domando se nostro padre abbia parlato, o meno, ad Asia della delega, ma lei non prende l'argomento ed io evito di farlo, per non rovinarci questo momento di quiete e di normalità: io e lei a fare colazione insieme la domenica mattina, con i cornetti, discutendo dei nostri gusti divergenti su musica e serie tv, proprio come facevamo a casa; con la differenza che a casa la colazione domenicale non avveniva prima delle undici, dato che entrambi tornavamo tardi il sabato sera e dato che a entrambi piace dormire.

Mi chiedo se lei esca ancora il sabato sera, se faccia ancora tardi, come sta continuando la sua vita; non me lo racconta mai. Al massimo mi parla dell'università, ma mai del suo tempo libero, come se avesse paura che per me sarebbe troppo doloroso sentirne parlare e probabilmente ha ragione; probabilmente rosicherei come sto rosicando per Giulia e gli altri che sono a Londra, però sarei sinceramente sollevato di sapere che nonostante tutto lei continui a fare la vita di prima e a divertirsi.

Nemmeno questo le dico.

Non ho molta voglia di intraprendere discorsi impegnativi, dopo la discussione di ieri con mio padre; e poi non riesco a distogliere la mente dalla mia immagine allo specchio con tutti i buchi in testa lasciati dai capelli che non ci sono più.

Asia di sicuro ha notato che indosso la cuffia, l'ha notato per forza, ma non mi ha detto niente. Probabilmente nemmeno lei vuole fare discorsi troppo seri e passiamo più di un'ora così, a chiacchierare di tutto e di niente e a guardare dei video demenziali su YouTube, finché arrivano la Lisandri e Carlo ed io mi affretto a stoppare e a chiudere il pc.

Dopo i vari saluti e convenevoli, la Lisandri mi pone la sua consueta domanda: "Come ti senti, Leo?"

"Bene! Mi sento quasi sano. Devo ammettere che la sua stregoneria stavolta ha funzionato" dico strizzando l'occhio a Carlo. "Mi sento come nuovo."

"Oh, mi fa piacere che tu sia soddisfatto della mia stregoneria, perché oggi dovresti..., no, devi, farne un'altra."

"Vedo che impara in fretta, dottoressa!" esclamo ridendo. "Ma perché un'altra?"

"L'emoglobina è salita ma non è ancora tornata ai valori ottimali. Meglio darle un altro aiutino."

"D'accordo..." sospiro, rassegnato all'idea di dover essere bucato di nuovo.

"Asia, dovresti firmarmi il consenso" dice la Lisandri, mentre Carlo le porge il modulo e una biro.

"Oh, sì... certo" risponde lei appoggiandosi al tavolino per firmare.

Non sembra essere stata presa alla sprovvista, quindi lo sapeva già.

Mio padre può ufficialmente darsi alla macchia, adesso.


"Cosa ne pensi di questa cosa?" le domando quando restiamo da soli.

"Di cosa? Della trasfusione?"

"Della delega. Non credi che sia troppo comodo così, per papà? Non ti dà fastidio?"

"No, perché dovrebbe darmi fastidio?"

"Già vieni qui molto più spesso di lui... non ti sembra di avere un peso in più, adesso?"

"No. Tutto ciò che ti riguarda non è un peso per me. Non mi dispiace dover parlare coi medici o dover mettere una firma al posto di papà. E' un modo per prendermi cura di te anche questo, no?".

Ha un sorriso così dolce, che per un attimo riesce quasi a cancellare il mio disappunto per la faccenda della delega e a farmela apparire quasi come una cosa carina.

Dura solo un attimo.

Poi un altro pensiero mi affiora, prepotente.

"Ho bisogno di un favore" dico d'un fiato, per paura di perdere il coraggio di chiederglielo.

"Certo, dimmi."

"Devi comprarmi la macchinetta taglia-capelli".

L'ho fatto.

Gliel'ho chiesto veramente.

Lei deglutisce, mentre mi guarda negli occhi, poi si alza, prende la sua borsa gigante e ci infila una mano.

"Ecco..." dice tirando fuori la macchinetta. "E' già da un po' che l'ho comprata..." mi dice porgendomela. "Aspettavo solo che me la chiedessi".

"Grazie..." dico sorpreso, mentre l'afferro, titubante, e l'appoggio sul comodino.


Quando Asia se ne va, cerco di distrarmi leggendo, ascoltando musica, guardando The walking dead, ma non c'è niente da fare: il mio sguardo viene sempre attirato dalla macchinetta sul comodino.

Passa l'ora di pranzo, passa l'ora del fattore G., passa il turno di Laura, arriva il turno di Ester.

Io continuo a fissare quella macchinetta.

Non sono pronto a rasarmi.

Vorrei rimandare ancora questo momento.

Non voglio avere la testa pelata.

Non voglio che la Bestia vinca anche questa battaglia.

Non voglio piegarmi alla sua volontà.

Non voglio che tutti quelli che mi guardano sappiano quello che mi succede.

Non voglio che le persone che mi amano abbiano il promemoria tangibile del mio tumore.

Non voglio guardarmi allo specchio e non riconoscermi.

Ma il problema è che, in fondo, è già successo.

Il problema è che quell'infame la battaglia contro i miei capelli l'ha già vinta.

Il problema è che le persone che mi amano sono ben consapevoli del mio tumore.

E, allo specchio, è già da un po' che non mi riconosco.

Questi capelli diradati e a chiazze non mi appartengono.

Sono ancora sulla mia testa, ma non sono miei.

E forse se gioco d'anticipo ribalterò le sorti e questa battaglia finirà almeno in pareggio.

Non dev'essere la Bestia ad avere l'ultima parola sui miei capelli.

Devo essere io.

Faccio un respiro profondo e mi alzo dal letto.

Afferro la macchinetta e mi dirigo a passo svelto verso il bagno.

Di botto mi tolgo la cuffia, che trascina via con sé altri capelli e con essi un altro pezzo di me.

Accendo la macchinetta.

E' come se il suo ronzio mi lacerasse dentro.

La spengo.

Non sono pronto.

Non voglio.

L'appoggio sul bordo del lavandino.

Scuoto la cuffia e me la rimetto.

Esco dal bagno.

Ci rientro.

Torno davanti allo specchio.

Mi fisso negli occhi.

Gli occhi di mia madre.

Fisso la mia faccia.

E' pallida, scavata, con le occhiaie.

E nonostante tutto mi piace ancora.

La trovo ancora bella.

E' la mia faccia.

Mi rappresenta.

E' mia.

E questa la Bestia non potrà portarmela via.

Rivoglio il brillìo nei miei occhi.

Rivoglio il mio sorriso più autentico.

Li rivoglio e li riavrò.

Per i capelli dovrò aspettare, va bene, d'accordo.

Ma i miei occhi e il mio sorriso li rivoglio.

Mi guardo ancora negli occhi, alla ricerca di quella luce che ho perso.

Mi sembra di coglierne un barlume e sorrido.

E quel sorriso mi sembra di riconoscerlo.

Mi sembra quello originale, dimenticato.

Tolgo la cuffia.

Riaccendo la macchinetta.

Il suo ronzio è ancora lacerante.

Chiudo gli occhi.

Inspiro profondamente.

Comincio a piangere.

Mi sembra di starmi facendo una violenza.

Non voglio.

Eppure non mi sembra di avere scelta.

Lottare o arrendersi.

Prendere in mano la situazione o lasciare che sia.

Vincere o perdere questa battaglia.

Le alternative sono queste.

E se voglio sopravvivere di scelta non ne ho.

Apro gli occhi.

Guardo i miei capelli, o meglio, quello che ne rimane.

Scuoto la testa.

Cerco di cacciare via le lacrime che mi annebbiano la vista.

Avvicino la macchinetta.

La vedo scorrere tra i miei capelli.

La sento scorrere tra i miei capelli.

Vedo i capelli cadere, tagliati via.

Cadono insieme alle mie lacrime.

Cadono sulle mie spalle.

Cadono sul lavandino.

Cadono sul pavimento.

Come una cascata di pioggia scura.

E più cadono, più piango.

E più cadono, più mi sento svuotato.

Devastato.

Ma non sconfitto.

Sono ancora in piedi.

Non ho più i miei capelli.

Ma sono ancora in piedi.

Non riesco a smettere di piangere.

Ma sono ancora in piedi.

Non riesco a guardarmi allo specchio.

Ma sono ancora in piedi.

Porto le mani alla testa.

La tocco.

La ripulisco dai capelli che vi sono rimasti appiccicati.

Li lascio cadere giù, a raggiungere gli altri.

Mi tolgo la maglietta, la scuoto.

Continuo a non guardarmi.

Ci sono capelli dappertutto.

Tranne che sulla mia testa.

Ho fatto un bel casino.

Mi viene da ridere.

Rido istericamente.

Mentre continuo a piangere.

Indosso la cuffia.

Torno in camera.

Come alienato.

Rido e piango.

Piango e rido.

Non riesco a smettere.


E' in questo stato che mi trova Ester quando arriva, poco dopo, per farmi la trasfusione. "Leo... tutto bene?" mi domanda.

"Sì..., no..., non lo so!" esclamo mentre continuo a ridere e piangere.

"Che è successo?" mi chiede avvicinandosi a me e poggiandomi una mano sul viso.

"Ho... ho fatto un bel casino, di là in bagno."

"Sei stato male? Hai rimesso?".

"No..." rispondo scuotendo la testa e mi sembra incredibilmente più leggera. So che è impossibile e irrazionale, ma è questa la sensazione che mi pervade. "Mi serve una scopa" dico ridendo.

"Una scopa? Leo, ma sei sicuro di sentirti bene?" mi domanda toccandomi la fronte per sentire se ho la febbre.

"Devo pulire in bagno...".

A questo punto lei va verso il bagno a dare un'occhiata per capire di cosa io stia parlando e quando torna da me ha lo sguardo profondamente triste e comprensivo.

Ester mi comprende sempre.

"Leo..." mormora accarezzandomi la testa; e anche se ho la cuffia mi sembra di avvertire la sua mano sulla mia cute nuda e ancora più sensibile di prima.

"Non ne potevo più di vederli cadere. Ho fatto bene, no?! Ulisse è da un po' che mi dice di farlo."

"Sì, hai fatto bene..."

"Tanto sono bello lo stesso, no?!" esclamo allargando le braccia, mentre sorrido nervosamente e cammino per la stanza. "E prima o poi ricresceranno e saranno come prima! Anzi, ancora più belli, no?!"

"Sì Leo, sei sempre bellissimo. E ricresceranno."

"Sì..." dico fermandomi di botto, continuando a ridere. "E poi erano solo capelli, no?!".

Ester annuisce lentamente, mentre mi scruta con quei suoi occhi comprensivi e all'improvviso io non riesco più a ridere.

Vorrei, ma non ci riesco più.

Mi viene solo da piangere.

Le lacrime continuano a uscire, mentre le risate non ci riescono più.

Le lacrime sovrastano tutto.

Il pianto sovrasta tutto.

Sono ancora in piedi.

Ma non ho più i miei capelli.

Non riesco a smettere di piangere.

Non ho più i miei capelli.

Sono devastato.

   
 
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