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Autore: ArtistaMaeda    10/05/2017    0 recensioni
Le storie di alcuni personaggi peculiari, dal passato travagliato, corrotti, abusati, o semplicemente fuori di testa, che convogliano tutte nello stesso posto e s’intrecciano in un turbine di emozioni e sparatorie. Nessun colpo escluso, né basso né ingiusto, nessuno si salva, neppure bambini e anziani, e le donne sono gli individui più pericolosi…
Ispirato ad un gioco di ruolo.
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Arriva al bancone.

“Una Corona!” dice al barista quando gli passa davanti.

“Eh?”

Il barista lo squadra. È un bel ragazzo, bicipiti ben in vista fuori dalla cannottiera, una croce al petto, biondo, occhi verdi, ma i lineamenti del volto un po’ infantili.

“Documenti?”

Il ragazzo protesta con un sorriso bonaccione.

“Maddai! Ho 22 anni!”

Il barista non cede, quindi il ragazzo tira fuori il portafogli e cerca la patente.

“Senti…” inizia, abbassando la voce ma non troppo, perché la musica del gruppo che suona dal vivo copre i rumori.

“Sto cercando Georgia Sykes…”

Mostra la patente al barista che improvvisamente non ne è più interessato. Ignora un altro cliente lì accanto che alza la mano per richiamare la sua attenzione e si rigira uno stuzzicadenti tra i denti.

“Sei quel ragazzo… Ty?”

“Tyler”

“Ty!”

“Sì, okay, sono Ty. Dov’è Georgia?”

Il barista ammicca un mezzo sorriso sarcastico e allunga lo sguardo verso la sala, il gruppo che suona live e la gente che balla divertendosi. Ty si gira a guardare e poi torna sul barista con aria scettica.

“È lei?”

Il barista annuisce con un sorriso. Se la sta spassando.

“Perché non le chiedi l’autografo ahahah!”

 

A concerto finito, Ty ha l’aria di chi ha bevuto una Corona di troppo ed è stufo di starsene al bancone. La sala si è svuotata e sono rimasti solo ubriaconi e roadie del gruppo musicale. Una di questi si ferma al bancone. Ha un gran sorriso soddisfatto, gronda di sudore dalla fronte, ed ha la camicietta fradicia, lasciando intravedere il reggiseno rosso al di sotto. Una catenina sobbalza sul petto sorreggendo un piccolo portafoto d’oro. Ha i capelli arruffati, bionda anche lei. Si ferma al bancone e bercia contro il barista con una certa confidenza.

“Hey Morty!”

Questo sta riempiendo il frigo di bevande e si gira salutandola con un sorriso. Interrompe il lavoro e raggiunge lei e Ty al bancone.

“Lo so che stai chiudendo, ma me lo faresti uno White Russian? Non me ne posso andare troppo sobria”

“Ahahaha, tesoro… Giusto perché m’hai riempito il locale stasera, ti faccio tutti i drink che vuoi”

La ragazza adocchia Ty incuriosita e subito esordisce.

“E un qualsiasi per lui”

Morty il barista si gira anche lui a guardare Ty e attende.

“Ehm!”

Ty non sa che dire.

“Avanti!” lo sprona la ragazza. Spigliata.

“Ehm… Anche io uno White Russian!”

“Ottima scelta. Diventerà il tuo cocktail preferito, te lo prometto” dice lei. Poi si volta a guardare Morty.

“Se ti reggi ancora in piedi una volta fuori di qui”

E se la ride con Morty.

Arrivati i drinks, Morty cade dalle nuvole.

“Ah, già. Gigi, questo è Ty”

Gigi si gira a guardare Ty con interesse mentre sorseggia lo strato di panna sbattuta dal calice.

“Vi lascio soli, tanto ho da fare” dice Morty.

“Grazie caro” risponde Gigi, e poi torna su Ty.

“Allora! Mamma mia, sembri un dodicenne…

“Non sono un dodicenne!”

“Lo so! Ma mi sembri… Va beh. Quindi vuoi usufruire dei miei servizi…”

“Voglio solo la pistola. Nient’altro!”

“Sei nervoso!”

Gigi è calma e ancora eccitata dal concerto. Ty infatti è agitato e impacciato.

“Hai mai sparato prima?”

Certo!”

“Ehi, non ti offendere! Non ho mica detto che sei un pivellino…”

“Ma secondo te perché vorrei una pistola se non avessi mai sparato?”

“Non ti credere! Molti vengono proprio da me a prendere le loro prime armi”

Un bel sorsone, così che il liquido scuro sotto la coltre bianca possa scendere in gola e fare il suo effetto infernale. La panna poi le lascia le labbra imbiancate e se le lecca fino a ripulirle per bene. Ty suda paonazzo dall’imbarazzo. Cait riprende.

“Ma io non gliele vendo. Non voglio essere responsabile di irresponsabili. Dove hai imparato a sparare?”

“Ehm… Al poligono, con mio padre. Ho il porto d’armi”

“Ti devo credere?”

“Puoi benissimo non farlo. E allora ce ne andremo a casa a mani vuote.”

“Che caratterino!”

“È stata un’idea stupida… Addio!”

Ty dà le spalle a Gigi e fa per andarsene. Lei gli posa una mano sulla spalla e lo trattiene.

“Aspetta! Mamma mia, non hai spirito per niente. Sto solo cercando di conoscerti”

Lui gira la testa e la guarda da sopra la spalla con la faccia da Terminator.

“Che senso ha conoscermi? Ti vuoi mettere con me?”

Gigi scoppia a ridere dovendosi pure tenere la pancia. Mette in imbarazzo Ty, che però si calma, si gira, e si appoggia di nuovo al bancone. Cait smette di ridere ma lo guarda sorridente e cerca di essere accogliente e tirarlo su. Dice:

“Dai, bevi!”

Ty acconsente e si concede un sorso. Assaggia solo la panna sbattuta e posa il calice sul bancone. Si lecca via la panna dalle labbra, e sente Gigi ridere.

“No! Devi arrivare alla parte di Black del White Russian, se no che gusto c’è?”

“Eh, ma se dovevo bere la parte “black” allora lo chiamavano Black Russian, no?”

“Ma infatti esiste il Black Russian. È lo stesso drink senza la panna. Questo ha la panna perché va bevuto insieme. C’è chi lo fa mischiandoci il latte, ma non la sopporto quella versione. Ovunque vo, se è un posto nuovo e non mi conoscono, imparano subito a conoscermi se ordino il White Russian, perché glielo devo spiegare che lo voglio con lo strato di panna sbattuta”

“Sei parecchio lavoro!” commenta Ty, e Gigi ride di nuovo. Poi torna seria.

“Allora, Ty. Vedo che sei ansioso di arrivare al punto”

Ty si zittisce.

“Ho tutto in macchina. Tu hai i soldi?”

Ty annuisce, e allunga lo sguardo a Morty che sta spegnendo sistematicamente le luci, pronto a chiudere. Ty tira fuori il telefono allora, e nota l’orario: 04:25 AM. Sgrana gli occhi. Cait esordisce allegramente.

“Bene, allora usciamo! Tanto Morty sta chiudendo. Finiamo prima di bere! Alla goccia!”

Gigi porta il calice alle labbra e lo trattiene, aspettando che Ty la imiti.

“Pronto?”

Al via, mandano giù il cocktail a grandi sorsate. Gigi lo stomaca a dovere, prendendosi qualche momento per digerire il bruciore. Ty invece tossisce come se si fosse intossicato con uno spinello. Gigi si mette a ridere, poi si fa passare da Morty un lungo cappotto che indossa, e accompagna Ty sottobraccio fuori dal locale.

Nel retro è relativamente tranquillo. C’è un piccolo parcheggio quasi vuoto. Gigi si ferma davanti a una Chevrolet Cavalier nera del 2001 con il tettuccio rovinato dal sole. La sera è fresca e Ty si stringe nelle spalle, attirando l’attenzione di Gigi, che subito si preoccupa per lui.

“Non hai freddo?”

“No”

“Okay.”

“È la tua macchina?”

“Sì”

Gigi tira fuori le chiavi dalla tasca del cappotto e sblocca la serratura del bagagliaio. Poi si gira e poggia il sedere contro quest’ultimo per parlare ancora a Ty.

“Ultima domanda. La più importante”

Ty fa una smorfia socciata.

“Tranquillo. La faccio a tutti”

Ty sospira. Gigi diventa seria.

“Perché hai bisogno di una Colt Python tre e cinquantasette?”

Ty viene colto di sorpresa, non sa come rispondere. Gigi allora continua.

“Autodifesa?”

“Sì” risponde secco lui.

Gigi annuisce riflettendo. Poi, sarcasticamente, continua.

“Se mi avessi chiesto una Smith and Wesson trentotto special… Probabilmente non te l’avrei neanche fatta questa domanda. Ma il pistolone che mi hai chiesto… Serve per ammazzare qualcuno. Serve per mandare un messaggio. Del tipo: ‘Non mi rompete i coglioni’”

Ty prende fiato, si sta per alterare.

“Sono affari miei se voglio una 3 e 57! Cosa te ne viene a te?”

Gigi strizza gli occhi per l’alitata di alcol in faccia di Ty.

“Me ne viene che, come ti ho già detto, non mi prendo la responsabilità di irresponsabili. Se dopo averti venduto questo cannone vengo a sapere che hai stecchito un nero a Compton in una sparatoria, io ti vengo a cercare e ti faccio fuori. Non è così che faccio affari, io”

“La fottuta suora dei buoni valori…”

Gigi si stacca dalla macchina e afferra Ty per la cannottiera. L’energia della ragazza è tale da sorprendere Ty che si fa sballottolare. Cait gli abbaia contro.

“Faresti meglio a portare rispetto!”

Lo fissa per un po', seria e minacciosa, fino a che Ty, se pur sudando, si abbandona ad un sorriso sottomesso, allora lo lascia. Si gira e apre il portabagagli.

“Queste strade non perdonano. Io ne so qualcosa. Tu sembri nuovo. Non di qui.”

Gigi sta cercando tra le cianfrusaglie. Ha persino una borsa della spesa lì dentro.

“Sì, beh, sono del Colorado”

“Beh, questo non è il Colorado, Buffalo Bill! Se vai in giro con un cannone credendoti il re della città, tempo zero giri l’angolo e ti ritrovi circondato da venti Buffalo Bills locali armati di cannoni più grossi. Perciò…”

“Ho capito. Puoi adesso per piacere vendermi quell’affare?”

Gigi sospira. Però sorride.

“La tua determinazione mi sta simpatica”

Torna diritta e si gira, con in mano una busta di carta marrone, come quella che si prende al panificio. La tiene da sotto perché pesa.

“C’è anche una scatola di cartucce, per i tuoi bisogni del tutto innocui e deterrenti. Ma voglio sapere a che ti serve”

Ty è esasperato. Prova ad afferrare la busta ma Gigi si ritrae sorridendo come una bambina dispettosa. Ty butta gli occhi al cielo e si arrende.

“Mi devo proteggere da una persona che mi dà la caccia”

“Non sarà mica un poliziotto corrotto al quale devi soldi…?”

Che? No!”

“Ah bene. Perché da queste parti ce ne sono parecchi di casi del genere. Da chi ti devi proteggere?”

Ty tace.

“Argomento delicato, eh? Scommetto che è una questione di famiglia…”

Alle parole ironiche di Gigi, Ty alza lo sguardo e la fulmina. Gigi capisce di aver fatto centro e allenta la presa. Passa la busta a Ty che ne sente il peso e stringe meglio la presa, e poi s’infila la mano in tasca e tira fuori una mazzetta legata da un elastico. Gigi non la accetta subito, ridendoci prima su. Poi la intasca e stringe la mano a Ty.

“Vedi di non farti un buco in un occhio per ispezionarla. Ricorda… La sicurezza prima di tutto!”

Ty la guarda a occhi stretti, non capendo se parla con ironia o cosa. Poi fa per andarsene.

“Ehi! Sei proprio scorbutico!”

Ty si gira e la aspetta. Lei lo raggiunge e gli posa la mano sulla spalla. Abbassa anche la voce.

“Ascolta… Voglio darti un consiglio, perché mi sembri un bravo ragazzo che deve affrontare cose grosse…”

“Tu non mi conosci!”

“Lasciami parlare!”

Ty sospira ma la lascia parlare.

“Quando sentirai l’impulso di premere il grilletto, ricorda due cose:

Uno. Se arrivi a quel punto allora non ci devi neanche pensare. Lo devi fare e basta, perché esitare equivale a morire.

Due. Il tuo obiettivo non dev’essere arrivare a quel punto ma evitarlo a tutti i costi. Questa è la differenza tra autodifesa e fare il sicario. Tutto chiaro?”

Ty annuisce.

“Ricorda sempre questo. È in nostro pieno diritto difenderci. E capisco che hai scelto la via occulta per prenderti quel cannone perché sei già abbastanza sicuro che dovrai usarla. Ma ricordati che puoi evitare quel momento. Esiste la fuga. Esiste la ragione. Usa la testa.”

Ty ascolta pazientemente, ma non molto convinto.

“E se tutto fallisce, allora torna al punto uno

Gigi ridacchia e coinvolge Ty. Si fanno una risata insieme, poi si salutano e Gigi torna alla macchina. Sistema il contenuto del bagagliaio, facendo attenzione a coprire una valigetta nera di metallo con il cappotto e la borsa della spesa. Chiude il bagagliaio.

 

Riapre il bagagliaio.

È giorno da un po'. Il sole è inebriante. È un quartiere residenziale, ma le auto non mancano, così come non mancano gli aerei in fila per l’atterraggio, uno dopo l’altro. I residenti ci sono abituati, non ci fanno caso. Gigi veste adesso un tailleur blu e una gonna nera, e scarpe con tacco, sembra una stewardess generica. Ha i capelli sistemati ed è gradevolmente truccata. Tira fuori la borsa della spesa e ignora il bambino che fa capolino per sbirciare la spesa, passando la busta invece all’adolescente lì accanto, dai capelli castani contenuti in due code di cavallo. La ragazzina afferra la busta con cura e si avvia serviziosamente in casa. Il bambino la segue come un cagnolino.

“Grazie Lyn!” bercia Gigi, che poi emerge di nuovo la faccia nell’ombra del bagagliaio per sistemare la roba e in special modo la valigetta.

“Cait?”

La voce di Lyn riporta Gigi alla realtà, e subito riemerge dal bagagliaio.

“Dimmi, cara…”

“Non per farmi gli affari vostri, eh! Ma la spesa non basta per la settimana…”

Gigi, che si fa chiamare Cait, sorride teneramente, anche se si vede che ha fretta dai movimenti nervosi. Si sposta dal bagagliaio e fronteggia Lyn che le si ferma davanti, con il bambino appresso.

“No, infatti è solo per oggi. Ti scoccia rimanere fino a stasera? Se hai da studiare o pensavi di uscire lo capisco, chiedo a Terry”

No! No, no, no, nessun problema!”

“Sicura?”

“Sì, Cait, sicura” Lyn adesso è nervosa, ma la butta sul sarcasmo.

“Se pure avessi degli impegni, da studiare, o un appuntamento galante con il mio attore preferito… Preferisco i soldi”

Cait ride e Lyn ridacchia in maniera imbarazzata. Cait le carezza la testa e poi carezza la guancia del bambino, che le assomiglia.

“Ti pago extra. Capisco che stare il doppio del tempo a sopportare Kyle sarà un’impresa al quanto ardua

“Non c’è bisogno, Cait, non mi dispiace stare con lui davvero! Non c’è bisogno che mi paghi di più”

Kyle alterna lo sguardo tra le due, sentendosi in qualche maniera offeso da come parlano di lui, le due oche.

“Ma come… Pensavo che ti interessassero i soldi…” ammica un sorriso malizioso, Cait.

“Beh, sì…” risponde titubantemente Lyn.

“Allora affare fatto!”

“Grazie, Cait! Vedrai, cucinerò la pizza. No! Le lasagne! Ho una ricetta italiana che ho preso da zia Betty. Anzi, no, faccio il curry di pollo… Che preferisci, Cait?”

Cait estrae dal bagagliaio un’altra borsa di plastica, marcata Toys R us che sembra contenere una scatola delle dimensioni di un palmo. Niente di eccezionale, ma sufficiente ad attirare l’attenzione e l’obbedienza di Kyle.

“Non ci sarò a cena. Mangiate quello che volete, ho preso il petto di pollo e le piadine se volte farvi i burrito, oppure il macinato e i panini se preferite gli hamburger”

“Sì, ho visto” risponde sorridente Lyn.

“E usa questo come leva. Se fa il bravo a fine giornata glielo dai, se no, no”

Cait passa la busta di ToysRus a Lyn ed entrambe le oche ignorano il bambino. Poi Cait carezza la spalla di Lyn, abbraccia Kyle, e li osserva rientrare in casa. A quel punto torna a immergere la faccia nell’ombra del bagagliaio, controlla la valigetta, e chiude il bagagliaio.

 

Riapre il bagagliaio e tira fuori la valigetta. In centro il traffico è sostenuto e sono più vicini all’aeroporto, a giudicare dal frastuono. Cait lascia il parcheggio, portandosi dietro la valigetta e una valigia a rotelle che le si addice se vuole imbarcarsi a fare la stweardess, ma invece s’imbarca in un albergo a 4 stelle. Alla reception mostra il passaporto alla receptionist che con un grande sorriso confidente le affida la chiave della sua stanza.

“Buona giornata, miss Sykes”

“Grazie Fiona”

Cait, che adesso si spaccia di nuovo per Georgia Sykes, saluta caldamente la receptionist e prende l’ascensore per il terzo piano. Apre la porta della stanza 315 e si chiude a chiave dentro. Dimentica la valigia a rotelle in un angolo e si toglie la giacca che posa sul letto. Si toglie le scarpe e si ferma a qualche passo dal grande finestrone che si affaccia sul complesso di alberghi e clubs dell’isolato. Con cura si tira su la gonna di qualche centimentro così da potersi inginocchiare, e posa la valigetta davanti a sé. Occhi sul metallo. Occhi vispi, seri, determinati, concentrati, non esiste più Kyle, Lyn, spesa, la macchina, Ty, Morty, non esiste più niente, tutto cancellato dalla memoria per concentrarsi su quest’attimo cruciale. Dentro il fuoco, fuori il ghiaccio. La combinazione scatta, la serratura cede, e la valigetta è aperta. Da essa tira fuori pezzo dopo pezzo, metallo nero, forme da sole incomprensibili, che con la sua padronanza mette insieme e ne crea una forma che pian piano diventa sempre più familiare: è un fucile di precisione.

Lo posa accanto alla valigetta e da questa tira fuori ancora un caricatore, un treppiede e una wakie-talkie munita anche di auricolari con microfono integrato. A quel punto scansa la valigetta e indossa gli auricolari. Li collega poi alla radio e la accende. La sintonizza sul canale giusto. Infila la clip della radio nella vita della gonna e sistema il filo degli auricolari oltre la spalla così da non darle fastidio. Poi monta il treppiede e lo sistema con cura in una posizione ben studiata. Ci monta sopra il fucile, infila il caricatore, tira una leva per caricarlo, e una volta finito lo lascia restare sull’impugnatura e solleva il telecomandino che ospita anche il microfono degli auricolari, preme il pulsante, e parla.

“Qui Isabelle, sono in posizione!”

Cait a questo punto ascolta le direttive tenendosi un dito premuto sull’auricolare di sinistra mentre si alza per aprire la finestra e liberarsi la linea di fuoco. Torna davanti alla postazione e questa volta si sdraia sulla pancia e imbraccia il fucile. Poggia la guancia sul calcio e guarda dentro il cannocchiale, puntando il semplice reticolo sul cortile del club dall’altro lato dell’isolato. Facendo cautamente roteare una rotellina sul cannocchiale, aggiusta la messa a fuoco e la gittata del cannocchiale stesso e può quindi riconoscere chiaramente delle persone attraverso le finestre del club, muoversi da una parte all’altra della sala. Imbraccia meglio il fucile e segue due persone specifiche, due uomini in giacca e cravatta che chiacchierano. Si fermano, poi, e si affacciano alla finestra, ancora chiacchierando animatamente. Uno ha la giacca beige e l’altro blu oceano. Beige è grasso e ha la faccia da russo ingordo e blu oceano è di corporatura robusta e ha la faccia da ex-militare serbo con tanto di cicatrice verticale. Cait resta il reticolo sul petto dell’uomo cicatrice e continua ad aggiustare le rotelline fino ad essere soddisfatta.

“Qui Isabelle. Il mirino è caldo”

Scendono lacrime di sudore dalla fronte, i capelli si appiccicano e la solleticano, e il sudore arriva pure sul fucile, fino a terra, sulla moquet beige curata e pulita. Un soffio di brezza marina mista a smog le smuove i capelli e la rabbrividisce ma lei non muove un muscolo, rimanendo con il reticolo ben assestato su quell’uomo. È ciò che vien detto nella radio che la distrae.

“Perché?”

È sorpresa, ma anche scocciata. La spiegazione non fa altro che peggiorare il suo stato d’animo. In un sospiro lascia il fucile e torna in piedi, potendosi finalmente asciugare il sudore, scostarsi la frangia dagli occhi, e sistemarsi la gonna. Dal taschino della camicia tira fuori il suo minuscolo cellulare a conchiglia. Lo apre e richiama un numero rapido. Parte la chiamata, e appena si collega, Cait prende a parlare come un treno.

“Cos’è questa storia, Michael? Ero lì, pronta, bastava una parola ed era tutto fatto. Era tutto perfetto. Non venirmi a dire che per qualche stronzata abbiamo mandato a monte un lavoro di un mese, eseguito ad hoc, perché mi fai incazzare”

“Calmati, Cait, è una situazione complicata”

“Complicata un cazzo! Bastava un attimo ed era tutto fatto. Cosa devi stare ad abortire a fare? Ti sono venute le tremarelle all’ultimo momento? Eh?”

“Cait, mi ascolti un attimo?”

Cait alla fine si calma. Passa il telefono da un orecchio all’altro e si va a sedere sul letto.

“Dobbiamo per forza rimandare. C’è stato un imprevisto. Lo vedi quel ciccione con la giacca beige?”

Cait si alza e si va di nuovo a sdraiare in posizione per imbracciare il fucile e guardare nel cannocchiale. È complicato tenere il telefono all’orecchio e lo stringe a mo di sandwich contro il calcio del fucile. Punta il reticolo sulla finestra di prima e si compiace di ritrovare i due uomini in giacca e cravatta di prima ancora intenti a chiacchierare.

“Sì”

“Beh, è un poliziotto. Infatti è il Capitano della omicidi del dodicesimo dipartimento.”

“E che ci fa al Paradise Club?”

“Non è ovvio?”

Cait sospira infastidita.

“Li stecco tutti e due”

“Cait. Non scherzare su queste cose. Piuttosto, hai sentito Tarja? Non mi riesce di raggiungerla sulla radio e ha il telefono spento”

Cait solleva un sopracciglio. Si scansa dal fucile e impugna meglio il telefono. Torna nel frattempo in piedi e cammina qua e la tra la finestra e il letto.

“L’ultima volta che l’ho sentita stava guidando verso l’Hilton”

“Anche io. Poi silenzio. In parte anche per questo ti ho richiamato. Mi puzza”

“Già…”

Cait si va a sedere sul letto. C’è una lunga pausa nella quale gioca con una ciocca dei capelli sfacendosi la pettinatura e si smangiucchia le unghie. Poi Michael sospira e trae la conclusione.

“Torna a casa. Ti richiamo io”

“Ricevuto”

Cait chiude la conchiglia e si alza dal letto. Lancia un’occhiata al fucile e poi si va ad inginocchiare come prima per smontarlo, esattamente il processo inverso.

Una volta nella lobby dell’albergo, pettinata e ripulita dal sudore, restituisce la chiave a Fiona, si fa ridare il passaporto che infila nel taschino della giacca, e si avvia fuori con le mani impegnate, come prima, a trasportare valigia a rotelle e 24 ore dal fatale contenuto.

Non appena mette piede fuori dall’albergo strizza gli occhi, accecata da un riflesso di sole. L’adrenalina entra in gioco e un momento dopo Cait molla tutto e si accovaccia, con la mano destra già dentro la giacca a tirar fuori qualcosa dal taschino interno sinistro. In quel momento la porta di vetro subito dietro di lei esplode. Non si infrange in mille pezzi, tuttavia rimane un buco ad altezza torace umano dal quale si diramano innumerevoli crepe. La gente grida di spavento ma poi torna il silenzio. Mentre Cait è concentrata e con il volto arrabbiato, le persone lì intorno si chiedono cosa sia stato a rompere la lastra di vetro.

Cait intanto torna dritta impugnando una piccola rivoltella, e con l’altra mano afferra la 24 ore e si mette a correre sul marciapiede, scansando la gente con prepotenza. Cait fa attenzione a tenere la piccola pistola ad altezza fianco per non renderla troppo visibile, e usa i gomiti come sfollagente. Lancia numerose occhiate verso le facciate dei palazzi sull’altro lato della strada, cercando qualcosa di particolare, ma nota solo finestre sobrie e ordinate, e insegne di clubs e alberghi, nulla più. E nessuna sembra essere aperta, tutte chiuse per poter usufruire al meglio dell’aria condizionata che con questo caldo è un’assoluta necessità.

Cait nota la traversa che porta al parcheggio del personale dell’albergo dal quale è uscita. È un vicolo stretto dal quale non passa il grosso della gente. Non appena si defila dal fiume di persone, però, sente il motore di un potente SUV sgasare e le sue grosse ruote da strada sgommare. Si gira già puntando l’arma, e trova il SUV in questione in traversa, fermandosi con l’aiuto del freno a mano in una nube di fumo bianco di gomma bruciata, e gli sportelli dei passeggeri si aprono quasi all’unisono. Senza esitare, Cait spara e svuota la rivoltella con i suoi 5 colpi, poi la getta, e corre via, inseguita dalle pallottole di fucili d’assalto.

Cait svincola nel parcheggio, interrompendo la linea di tiro, e così le raffiche di spari vengono cessate, in cambio di passi sostenuti verso il parcheggio. Sempre mantenendo la concentrazione, Cait raggiunge la sua Chevrolet con le chiavi già in mano, e apre il portabagagli. Ci butta dentro la valigetta e dopo aver brevemente cercato, tira fuori una borsa da palestra. Quindi richiude il bagagliaio a chiave e corre via, appena in tempo per impedire agli assalitori di avere un bersaglio statico.

Le sparano comunque contro ma le pallottole finiscono per danneggiare i veicoli nel parcheggio, inclusa la sua Chevrolet. Cait le lancia un’occhiata e si lascia andare ad un sospiro di rabbia vendicativa per qualche momento, per poi dimenticarsene e tornare a concentrarsi sulla fuga. Corre con la borsa, imbocca un passaggio di servizio che conduce alla lavanderia dell’albergo. C’è un cancelletto chiuso. Senza esitare prende la borsa con entrambe le mani e, con il dovuto sforzo, la lancia dall’altra parte. Quando atterra, la borsa si accascia pesantemente in un tonfo di roba metallica compatta. Attrezzi, armi… Ancor prima che la borsa sia per terra, lei si è già arrampicata sul cancelletto, e un attimo dopo lo scavalca, ma prima di lasciarsi andare si toglie le scarpe e le getta via. Quindi atterra sui piedi scalsi e recupera la borsa. Si guarda le spalle, sentendo i passi di mocassini avvicinarsi, e riprende la corsa nel passaggio, fino a raggiungere una porta. Prova ad aprirla ma è chiusa, perciò usa la borsa come ariete e sfonda la semplice serratura. Qualcuna all’interno grida. È una donna delle pulizie tutta in ghingheri che ha pensato di nascondersi dietro al carrello di panni che probabilmente ha spinto fino a qui nella ronda della lavanderia.

“Levati dalle palle!” le dice, con fare calmo, ma faccia intransigente.

La ragazza annuisce e si alza e scappa nel corridoio. Cait si guarda nuovamente le spalle. Due scagnozzi in giacca e cravatta hanno imboccato il passaggio e proprio adesso le mettono gli occhi addosso. Cait si automaledice e si toglie dalla linea di tiro appena in tempo per evitare la raffica di spari dei due uomini, le cui pallottole trucidano la parete opposta alla porta sfondata da Cait, spargendo schegge a ventaglio nelle immediate vicinanze. Cait sgambetta via portando con sé la borsa e coprendosi la testa con la mano libera.

Si va a nascondere dietro l’angolo, dove si apre un ampio corridoio senza finestre ma pieno di porte anonime, e apre finalmente la borsa. Ne tira fuori per prima cosa un paio di ballerine blu, che indossa più in fretta che può, e poi una pistola Beretta 92. Ha la mano intorno ad un caricatore quanto sente gridare la donna delle pulizie di poco prima, e i passi degli uomini entrare nel corridoio dietro l’angolo. Prende fiato e si dà una mossa a infilare il caricatore nella pistola. La scarrella e poi si slaccia i primi due bottoni della camicia e s’infila due caricatori nel reggiseno, uno per coppa, e abbandona la borsa per correre lungo il corridoio, fino alla porta in fondo. Quando ci arriva sente gli uomini girare l’angolo, e invece di perdere tempo ad aprire la porta, si gira prendendo posizione di tiro, e quando anche gli uomini prendono posizione trovandola in trappola, lei è già pronta a sparare con il mirino sul torace di uno dei due. Fa fuoco due volte consecutive, poi sposta di poco il mirino e fa fuoco altre due volte, il tutto in 2 secondi netti.

Rimane parzialmente sorda dai suoi spari, ma non ne sente altri, e nota gli uomini accasciarsi lentamente a terra. Nota schizzi di rosso sulle pareti in concomitanza dei due uomini, che prima non c’erano, ma lei resta concentrata su di loro, aspettando che siano a terra immobili. A quel punto s’avvia verso di loro, pistola puntata, massima cautela, e quando arriva sopra di loro, si china per accertarsi che siano morti, sentendo le pulsazioni del collo prima di uno. L’altro muove una mano e lei si solleva per metà puntandogli la pistola e fa fuoco in maniera avventata ma colpendolo alla schiena, e poi una seconda volta, colpendolo alla testa. A quel punto il pavimento e le pareti del corridoio sono da riverniciare, ma Cait non è impressionata e rimane concentrata, se pur cavalca le varie scariche di adrenalina. Con la punta della scarpa allontana uno dei due fucili d’assalto M4 e invece si accovaccia per prendere l’altro, infilando la pistola, che mette in sicura, nella vita della gonna. Estrae il caricatore dal fucile e controlla che ci siano cartucce. Solleva il fianco dell’uomo con la testa ancora integra e gli ruba un caricatore per la carabina e lo infila sull’altro fianco.

Esce dal passaggio di servizio per lo scarico rifiuti. Cammina a passo tattico con il fucile sollevato, pronta a puntarlo al primo problema. Si sentono spari lontani e le grida della gente, ma non ancora le sirene della polizia. Il vicolo alle sue spalle finisce in cieco, e avanti a sé dà sulla strada. Cait cammina ancora in maniera tattica puntando la canna sullo sprazzo di marciapiede visibile, sullo sprazzo di strada deserta. Dov’è il traffico? Bloccato dal caos? Poi il motore di un SUV si fa vicino. Cait si ferma. Pensa in fretta, poi si schiaccia contro il muro di destra e si fa parzialmente scudo con la pattumiera, ignorando il puzzo e la sporcizia.

Come prevedibile, il SUV sgomma e si ferma davanti al vicolo, bloccandone l’uscita, ed escono tre uomini armati come Cait, in giacca e cravatta. Lei li ha già sotto tiro e quindi spara colpi singoli mirati. Abbatte il primo, il passeggero davanti, con due colpi consecutivi, e quello va giù come un sacco di patate. Quello del sedile posteriore è sull’attenti e si becca un colpo di striscio quando Cait sposta la mira, ed evita il secondo colpo. Nel frattempo il passeggero dell’altro lato fa il giro, ma quando arriva al lato giusto, Cait apre il selettore dell’automatico e spara una raffica che massacra entrambi gli scagnozzi. Il guidatore, accortosi del fallito tentativo, china la testa e sparisce alla mira di Cait, che decide di uscire dalla copertura con cautela per avvicinarsi a passo tattico al SUV.

Quando è a due passi dal veicolo, nota l’uomo riemergere felinamente con una pistola mitragliatrice pronta all’uso, ma la prontezza di riflessi di Cait la porta ad avere la meglio e sparare un singolo colpo in mezzo agli occhi del malcapitato, che comunque riesce a premere il grilletto e usare la mitragliatrice. I colpi filano attorno a Cait, e uno di questi le scalfisce la coscia destra, costringendola a chinarsi in una posizione scomoda e impratica. Se la esamina a denti stretti ma ne conclude essere una ferita superficiale, e si fa coraggio, sopporta il dolore, e raggiunge il SUV. Esamina con attenzione l’abitacolo, trovandolo solamente armi e munizioni. Nel portaoggetti trova un pacco di cocaina aperto e un blocchetto per appunti impolverato. Cait si lascia andare ad uno sbuffetto ironico, poi afferra il pacco, mentre posa il fucile, allarga il buco con le dita, e poi rovescia il contenuto per terra con soddisfazione vendicativa. Quindi rimbraccia il fucile e abbandona il vicolo.

 

Un altro grosso motore…

 

Cait!”

È Tarja. La bionda armata anch’ella di M4 a bordo di un Ford pickup. Alla guida uno scagnozzo in giacca e cravatta, e lei un vestito diurno da club. Il pickup si ferma in mezzo alla strada deserta e Tarja apre lo sportello a Cait.

“C’è abbastanza posto. Sali” le dice.

Cait senza farsi pregare sale a bordo. Tarja posa il fucile nel cassone, tramite il lunotto posteriore che si apre come un finestrino. Cait invece tiene il suo poggiato fuori dal proprio finestrino, a mo di arma complementare del veicolo, e così si stringono e riescono ad entrare tutti senza ostacolare il guidatore.

“Che diavolo succede?” chiede Cait, finalmente allentando la concentrazione e concedendosi alle emozioni. Il pickup parte e prende velocità.

“Ci hanno venduto. Non è ovvio?”

“Chi? Michael?”

“Non lo so. Lo dubito”

“Anche io, allora chi?”

“Cait, ma stai bene?”

Tarja non può fare a meno di notare il sangue che cola dalla coscia di Cait.

“Sì, sì, un colpo di striscio”

“Sì, ma va tappato, se no mi muori dissanguata”

“Prima togliamoci dai guai”

Il fuoristrada imbocca la strada principale e il guidatore sgrana gli occhi e rallenta alla vista delle voltanti della polizia. Li annuncia, e Cait mette via il fucile, posandolo ai piedi del sedile. Il veicolo incrocia le volanti che procedono a tutta velocità a sirene spiegate nella direzione opposta. Nell’abitacolo cala il silenzio e sale l’ansia, ma quando le volanti sono lontane, si respira sollievo e si torna a parlare.

“Una talpa di sicuro ha parlato. Stjepan si aspettava tutto, e ci ha mandato gli scagnozzi. Barbie e Clayton sono spariti. Probabilmente li hanno sorpresi al rifugio. A me per poco non mi seccavano nel parco, in mezzo alla gente. Non hanno la minima professionalità. Hanno sparato alla cieca e hanno beccato pure gli innocenti”

“Che casino…” commenta Cait.

Lo scagnozzo guida e basta, ma ci tiene a precisare.

“Io non sono la talpa. Ho evitato un colpo alla testa perché ho visto lo stronzo allo specchietto, mentre aspettavo Tarja nel parcheggio. Non so come ho fatto, ma l’ho accoppato con lo sportello”

Le due donne ridono di gusto, si congratulano con l’autista.

“Suppongo che dopotutto i riflessi ce li ho pure io, eh?”

Basta un momento, che si gira a guardare le due donne, con il sorriso sulle labbra, per condividere il plauso, e gli esplode la faccia di rosso. La testa batte contro il poggia testa violentemente e poi rimbalza contro il volante. Le braccia perdono flessione e il volante va per conto suo. Tarja, intenta a pararsi dagli schizzi, adesso s’impegna a rubare il controllo al già cadavere dell’autista, e Cait si tiene alla maniglia e tiene ferma Tarja che altrimenti verrebbe sballottolata. In un’intensa frenata, il veicolo perde il controllo e si va a schiantare contro la barriera che separa la carreggiata dalla banchina. Il fuoristrada si cappotta più volte, fino ad accasciarsi in uno spiazzo appena fuori da un parcheggio, sotto gli occhi di tutti i passanti.

 

Quando Cait si riprende, si rende conto che il veicolo è sottosopra, e nell’abitacolo contorto le vittime sono in posizioni innaturali. Cait si dimena a denti stretti per liberarsi e, non sentendo troppo dolore, s’impegna ancora di più per uscire il prima possibile. Non appena è fuori, si gira, sulle ginocchia, e s’infila dentro di nuovo, allungando le mani verso Tarja. Nota la pistola in un angolo e la prende e se la infila di nuovo alla vita della gonna, ignorando invece la carabina, incastratasi tra cruscotto e sedile. Tarja le risponde stringendole la mano.

“Vai, esci fuori. Se arrivano ora ci trovano con le braghe calate”

“Ti devo aiutare a uscire, così siamo in due”

“No, ho le gambe bloccate. Esci tu, mi copri, e io ce la faccio da sola. Prendi l’M4”

Cait disincastra la carabina, ne controlla il funzionamento delle leve e del caricatore.

“Nel portaoggetti ci sono due caricatori, prendili”

Cait obbedisce e prende i due caricatori, che infila anch’essi nella vita della gonna, che ora si sente molto più stretta e scomoda. Sono entrambe piene di sangue e polvere e l’auto puzza di benzina e gomma bruciata.

“Dai, muoviti, che arrivano”

Cait esce dall’abitacolo e si alza in piedi, fucile imbracciato, a proteggere il veicolo. La gente incuriosita che si è avvicinata, alla vista dell’arma minacciosa scappa via gridando, credendo Cait una terrorista pronta a far fuori chiunque. Cait invece ignora i passanti totalmente, focalizzandosi nel riconoscere invece persone che arrivano nella sua direzione anziché fuggire. Sente nel frattempo i grugniti di Tarja nell’abitacolo che cerca di liberarsi.

Cait poi posa il mirino su una figura che si avvicina armata di carabina a sua volta e prende la mira. Spara solo a colpo sicuro e atterra il malintenzionato, alzando però l’attenzione sui compagni, che si spargono e si nascondono tra veicoli e le colonne del porticato della chiesa poco distante. Cait non può sparare a colpo sicuro, quindi spara a soppressione, un colpo ogni due secondi nelle direzioni dove avvista i nemici, per tenerli sotto stress. A denti stretti, conclude di essere in situazione di svantaggio, si guarda intorno: il furgone ribaltato non offre molta copertura, ed essendo in mezzo a una piazzola, prima di trovare copertura dovrebbe lasciare Tarja da sola.

“Cazzo”

Nota uno dei nemici saltare di covo in covo verso di lei, apparendole in vista solo per attimi fuggenti insufficienti a prendere la mira. Innervosita, Cait cambia tattica e seleziona l’automatico. Spara quindi raffiche distribuendole a tutti e tre i nemici. Svuota il caricatore. Si accovaccia per cambiarlo e sente i colpi nemici, alcuni dei quali impattano contro la fiancata del furgone e per terra. Cambiato il caricatore Cait torna in piedi e riprende le raffiche. Nota le teste dei cattivi smarmottare da dietro le macchine abbandonate dalla gente spaventata, e intanto sente le sirene della polizia in lontananza.

In una pausa tra una raffica e l’altra, Tarja riesce a farsi sentire.

“Cait! Vai! Vai!”

Cait si gira verso la voce e vede Tarja dall’altro lato del furgone che striscia via dall’abitacolo. Poi sposta lo sguardo su una volante della polizia che per prima arriva sulla scena, e quindi su uno dei nemici che prende posizione vantaggiosa dietro una macchina non avendo più ostacoli sulla linea di tiro. Ovviamente questo può essere un vantaggio per entrambi e Cait gli spara contro tutto il caricatore, rimanendo con l’ultimo, che scarica invece contro l’altro assalitore, che arriva sparando come un cowboy. Riesce ad atterrarlo. Ma il primo è più cauto e spara da dietro la copertura. Cait si deve abbassare e schivare le pallottole.

“Cait! Fuori dalle palle! Non sei Neo!” grida Tarja.

Cait la sente e basta, e non si cura neanche di girarsi. Semplicemente getta l’M4 e si guarda intorno mentre estrae la pistola. Nota il sottopassaggio che bypassa il boulevard e scatta verso quello, riuscendo a evitare le raffiche nemiche. Una volta in fondo alla scalinata rallenta il passo e si gira a guardare in su, sperando di trovare l’amica, o un bersaglio facile. Attende, ma non arriva nessuno. Sente la polizia arrivare in gran forza e cominciano le sparatorie che non la riguardano direttamente. Cait pensa a Tarja. È preoccupata.

Attraversa il sottopassaggio e una volta dall’altra parte riemerge e scruta il furgone ribaltato dall’altra sponda del boulevard, impresa resa più difficile dal traffico ininterrotto della grande strada. Non trova Tarja, ma in compenso trova altri scagnozzi sul suo lato della strada che le danno la caccia. Li vede in tempo per scappare, in tempo prima che abbiano preso posizione per sparare. Abbandona la zona aperta e torna tra i palazzi, schivando le pallottole, e una volta in una traversa, rallenta e si gira, per gurdarsi bene di non essere seguita.

Accertatasi di aver seminato per ora gli assalitori, riprende la fuga per il vicolo.

 

“Ferma!”

 

Una voce familiare la riporta indietro nel tempo, costringendola a fermarsi e ragionare.

“Getta la pistola!”

Cait solleva le mani, ma non getta la pistola. Lentamente si gira e fronteggia la poliziotta che la tiene sotto tiro, nel vicolo.

“Robbie! Che piacere vederti! Sei ancora viva!” dice sarcasticamente Cait, col fiatone.

“Piantala! Sono stufa delle tue stronzate, Caitlin. Getta la pistola!”

Cait prende tempo. Il sudore sembra lavar via parte del sangue dalla sua faccia, ma la gamba invece porta un rivolo rosso che sta inzuppando la scarpa corrispondente. Cait ignora il tutto, ovviamente. Studia la poliziotta composta e autorevole rimanendo in aria scherzosa e ironica, fino a riprendere fiato.

“Non è a me che dovresti dare la caccia, sorella. Ci sono tante persone cattive, là fuori, oggi, che non aspettano altro che mettervi una pallottola in testa”

“Staʼ zitta!”

La poliziotta si fa prendere dalle emozioni. Gesticola con la pistola contro Cait, e questa tiene d’occhio i suoi movimenti, occasionalmente concedendosi un passo verso di lei totalmente furtiva. Robbie continua.

“Sei una vergogna per il dipartimento! Ti avrebbero dovuto ammazzare! Infatti ti dovrei ammazzare io, qua, adesso!”

“Woah… Robbie…. Vacci piano, eh!”

Cait pone le mani avanti, se pur con una tiene la pistola, che però cambia d’impugnatura, tenendo la canna puntata in alto, in traverso, un’impugnatura scomoda e impratica.

“Perché non la fai finita?” continua Robbie.

“Per lo meno, arrenditi! Come puoi continuare a fare quello che fai? Hai un figlio, per dio…”

Adesso è Cait a lasciarsi andare alle emozioni.

“Proprio perché ci tengo a mio figlio che devo fare quello che faccio. Ma cosa vuoi capirne, tu… Prima della classeCocca della maestra…”

Vaffanculo!”

Cait ridacchia.

“Gettala” insiste Robbie.

Cait invece continua a ridacchiare e ignorare gli ordini. La provoca parlando.

“Non mi hai ancora raccontato della retata. Ho sentito che è stata una grande operazione… Ti sei presa anche diversi meriti… Una medaglia…”

“Basta, Cait. Non hai scampo, stanno arrivando i rinforzi, non penserai mica che—”

Ma io e te sappiamo entrambe che il vero merito ce l’ha chi ha avuto il coraggio di mettersi in gioco e aprire bocca, perché diciamocelo…”

Robbie ribolle di rabbia, ma in realtà è vergogna, e Cait l’ha notato, nel color paonazzo della faccia di Robbie, dal modo in cui respira con affanno nonostante si trovi in una situazione di vantaggio, quasi come avesse paura che Cait possa infilarle la lama nel petto. Allora continua.

“Noi al dipartimento non siamo altro che una banda di impostori. Chi è corrotto, come me, chi segue troppo l’iter, come te, e chi non ha le palle, come il Capitano Corte. Tutte queste persone in comune hanno che non compicciano mai niente di utile. Abbiamo bisogno di metterlo in culo agli altri per ottenere i nostri successi, giusto?”

“No! Questo è quello che fai tu!”

“Ah, no… Lo fai anche tu, Robbie. Lo hai fatto con quella ragazzina. Se non era per la soffiata, tu te la sognavi la retata”

Robbie sorride, ma è inviperita.

“E indovina chi ti ha salvato le chiappe all’ultimo…”

“Vaffanculo! Sei sempre stata così. Sempre a rigirare la frittata e far passare tutti per coglioni. Perché la Saito deve essere quella più figa e la migliore di tutti… Perché suo padre un tempo era Capitano nella SWAT, allora lei è la meglio—”

“Non toccare mio padre! Non c’entra niente!”

Cait è tornata seria. Robbie continua.

“La verità è che sei una fallita, Caitlin. Non sei stata capace di fare la poliziotta e ora non sei neanche capace a fare la mafiosa. Scommetto che non sei neanche capace di fare la mamma…”

“Brutta figlia di putt—”

Robbie le punta contro la pistola con cattive intenzioni, fermando così il tentativo di Cait di assalirla, probabilmente per un semplice schiaffo. Le due donne rimangono a fissarsi negli occhi a lungo. Ci sono lacrime che vengono trattenute e insulti che vengono ingoiati, e la tensione sale alle stelle, il sudore scende nelle scollature. Poi d’un tratto Cait si aliena, come se avesse visto un fantasma, o la fine del mondo imminente, sgrana gli occhi, allunga una mano verso Robbie, la quale s’irrigidisce e porta il polpastrello nel paragrilletto, sul grilletto, facendo pressione, pronta al fuoco, con la canna che si indirizza al petto di Cait. Però Robbie non è convinta a sparare, c’è qualcosa in Cait, nel suo volto, nel fatto che gli occhi di Cait siano rivolti alle spalle di Robbie, che la fanno esitare, anche quando Cait abbassa l’altra mano, con la pistola, e la punta in avanti, chiaro segnale di minaccia. C’è qualcosa. Il tutto accade così rapidamente, roba di un paio di secondi, impedendo a Robbie di collegare i pezzi, e a Cait di reagire.

Il punto di rottura è quando Cait prende la mira e infila anche lei il dito nel paragrilletto. Stavolta è seria, e Robbie ha appena il tempo di rendersene conto, ma non quello di rendersi conto che Cait non punta la pistola a lei.

Parte il primo colpo, da parte di Robbie. È uno sparo vicino e traumatico, che fredda Cait nel suo tentativo di fare qualsiasi cosa stesse cercando di fare.

Un secondo colpo, lontano, ma non troppo, entra in gioco.

Uno spruzzo di sangue ricopre il volto di Cait che è costretta a chiudere gli occhi. Cade a terra.

Quando riapre gli occhi, vede il cielo, tra i tetti dei due edifici che formano il vicolo. Passa un Boeing 737 della Southwest in finale per LAX. Cait gira lo sguardo e trova il volto di Robbie, irriconoscibile per colpa di un proiettile. Cait ha l’istintiva reazione di piangere, ma un po' per il dolore, un po' per l’ombra che le si pone sopra, si inibisce.

È lui. È l’uomo cicatrice. Ha già la canna della Desert Eagle .50 addestrata tra gli occhi di Cait, e Cait riesce a vedere dentro il tunnel. Non è la prima volta che si è trovata da quel lato della canna, è ha l’impulso di alzarsi e reagire, ma la ferita mortale al torace la tiene ancorata a terra come se fosse legata a un’ancora.

E lui se la ride.

“Miss Saito…”

“Stjepan…”

Si introducono così, i due acerrimi nemici, con odio reciproco, ma anche rispetto.

“Mi spiace per la sua amica. So che era un ottimo poliziotto. Aiutava le vecchiette. Acchiappava le bambine cleptomani. Finiva le scartoffie dei colleghi. E parava il culo alle colleghe ficcanaso…”

La leggerezza ed il sarcasmo del tono di Stjepan infastidiscono Cait che stringe sempre più i denti dalla rabbia vendicativa.

“Fatti fottere, Stje!”

Stjepan se la ride.

“Ma come… Dopo che il nostro rapporto era giunto ad un’intesa così sincera…”

Stjepan si accovaccia sull’inerme Cait. Le sfila la pistola di mano senza difficoltà.

“Ma si guardi… Tutte quelle energie… Dove sono finite? Ha forse paura?”

Cait lo fissa negli occhi, piena di emozioni contrastanti, comunque incapace di metterle in pratica. Stjepan esita a incrociare il suo sguardo, concedendosi prima tutto il tempo di tirar fuori un fazzoletto per pulire il sangue di Robbie dal volto di Cait.

“Ha visto il film Kill Bill? Sicuramente. Una come lei l’ha sicuramente visto. Io sono una persona di stile, lei mi conosce. E mi piace rendere omaggio. Conosce anche questo di me. Perciò…”

Stjepan accartoccia il fazzoletto sporco di sangue e lo racchiude nella mano di Cait, lasciandoglielo in dono, e si siede sui talloni.

“La farò passare a miglior vita come in una scena di Tarantino, così ci potremo divertire tutti e due. Che ne dice?”

“Dico che…”

Cait comincia a far fatica a parlare.

“Uh… Sta perdendo molto sangue, ce la fa a parlare?”

Cait tossisce, ma poi si concentra e stringe le labbra in una smorfia di protesta, prima di riprovare. Stjepan le da spazio per parlare.

“Dico che sei un fottuto psicopatico, e ti ucciderò”

Stjepan ridacchia. Sembra eccitarsi sempre di più.

Questo è il genere di conversazione che mi piace intrattenere! Si guardi! Sul punto di morte, con il sangue in bocca, è capace di dirmi queste cose… La ammiro, miss Saito. Nel giro di un paio di anni è riuscita a cambiare la sua vita, da mocciosa inutile ad artista affermata, come me. Infatti la stimo proprio per questa nostra… Come dire… Analogia. Non trova anche lei?”

Cait impasta la bocca, piena di sangue, con occhi inviperiti, e poi carica uno sputo con le energie rimaste, e schizza di sangue la faccia e la giacca elegante di Stjepan, il quale rimane per lo più impassibile, al massimo chiudendo gli occhi per evitare che sputo e sangue gli vada dentro. Stjepan si limita a tirar fuori un secondo fazzoletto per pulirsi il volto, e non perde calma e sangue freddo che lo caratterizzano, ma anzi, allarga il sorriso sadico.

“Tenacia fino alla tomba. La ammiro sempre più, miss Saito. Mi divertirò a usare la sua pistola preferita per perforarle il cranio. E mi divertirò ancora di più a torturare e uccidere il piccolo Kyle”

Sentendo pronunciare quel nome, Cait perde ogni resistenza e quasi affoga nel sangue che ha in bocca. Comincia a piangere ma non riesce più a parlare, solo a emettere gemiti di sofferenza e disperazione.

“No… Non mi faccia così… Dov’è finita la miss Saito forte e tenace? È perché ho nominato il suo prezioso bambino? È vero, avevo promesso che l’avrei lasciato fare, se lei avesse collaborato. E infatti lei ha collaborato, e quindi adesso io sto rompendo un patto molto importante per tutti e due, perché se per lei conta molto la vita di suo figlio…”

Spiega, carezzando la guancia di Cait, che non reagisce perché soffre internamente.

“Per me conta molto la mia parola. D’altronde, un uomo non è un uomo senza la propria parola. Ma siamo sicuri che io stia veramente rompendo il patto? O è lei che l’ha rotto? Mmmhh”

Stjepan si porta la mano con la quale carezzava Cait al mento, per imitare la posa pensierosa, incurante di sporcarsi il mento di sangue.

“Che dilemma…”

Stjepan resta ancora un po' ad osservare Cait che esaurisce le ultime energie nel piangersi addosso. Poi si alza in piedi, impugna meglio il cannone, lo punta alla testa di Cait, e diventa serio.

“Non si preoccupi, miss Saito. Sarò ordinato con il piccolo Kyle. A differenza di lei e della sua amica, gli lascerò il volto intatto nella sua innocenza. Addio, miss Saito…”

 

KABOOM!

   
 
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