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Autore: Kutzie    12/05/2017    3 recensioni
[Johnlock][Post-Reichenbach]
Dal primo capitolo:
"-"Non avrei mai pensato di farti davvero vedere questo album."
John era seduto a gambe incrociate tenendovi appoggiato sopra un grande album rilegato in pelle marrone, ne accarezzava la copertina con lentezza guardandolo quasi con tenerezza e malinconia.
"Non sei mai stato uno da foto, ma quelle poche che abbiamo, o che ho fatto di nascosto, le tengo qui dentro."-"
Dal quinto capitolo:
"-“Tu non hai...Non hai il diritto di intrometterti nella mia vita” sbottò prendendo aria velocemente, cercando di trattenere le lacrime di rabbia e disperazione.
“Mi intrometto nella tua morte! Pensi mi interessi della tua vita?! Ti sbagli Dottor Watson. Ma a lui sì, a Sherlock interessa.”
“Interessava. E non ne sono più molto sicuro da ormai tre mesi” lo corresse l’ex militare dirigendosi vero la porta. “Non seccarmi ulteriormente Mycroft. Resta. Fuori. Dalla mia. Vita.” Scandendo bene le parole aprì la porta con forza.
“Lui non avrebbe voluto tutto questo” disse ancora il più grande degli Holmes.
“A lui non è interessato.” -"
Sette giorni, sette foto, sette ricordi che riconducono a loro.
I capitoli di questa storia sono già pronti e verranno pubblicati settimanalmente, probabilmente ogni Venerdì intorno alle sei.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 6
Giorno 6, Sabato.
La settimana stava giungendo al termine, John si alzò svogliatamente dal letto, anche quella notte non era riuscito a dormire ma fortunatamente era tempo di Week end, il giorno dopo sarebbe stato quello di riposo per l’ambulatorio e per lui era importante poter passare quella giornata con Sherlock. Si trascinò verso il bagno e aprì l’acqua calda della doccia, si fermò a guardarsi allo specchio mentre si torglieva la maglietta. Restò a fissare il suo viso, la barba aveva iniziato a farsi lunga sulle sue guance e le occhiaie erano ben marcate sotto i suoi occhi, a giudicare dalla condizione del suo visico doveva aver perso almeno cinque chili e si stupì di non ricordarsi con precisione l’ultima volta che aveva fatto un pasto completo. Passò le dita sulla sua cicatrice di guerra, ne delineò i bordi con le dita e si chiese come quel lembo di pelle rotondo e poco definito, decisamente in rilievo ed esteticamente brutto potesse tanto piacere a Sherlock. Lui lo aveva sempre odiato e quando pensava che aveva una cicatrice identica, se non peggiore, sul lato restrostante, gli veniva quasi la voglia di non spogliarsi più. Spostò gli occhi sulla cicatrice lunga a fianco, quella che stava alla stessa altezza ma sul braccio, quella linea di quel proiettile che lo aveva solo preso di stiscio; sorrise ripensando a quanto Sherlock fosse stato cocciuto nel volerlo a tutti i costi portare in ospedale. Ritornò alla realtà quando vide la cappa di vapore nella stanza e si sveltì ad entrare nella doccia per usufruire ancora di quella poca acqua calda.
Quando arrivò in ufficiò si affacciò al banco dove Jess stava seduta digitando al computer.
“Buongiorno Jess, devo parlare con Sarah” disse sorridendo debolmente alla ragazza.
“Certo, è nel suo ufficio.” Rispose guardandolo con occhi un poò allarmati “John, sei sicuro di stare bene?” chiese.
“Oh sì, ho solo un po’ di stanchezza arretrata, soffro l’insonnia” si limitò a dire per poi salutarla con un cenno della mano e dirigersi verso l’ufficio del suo capo.
Bussò in modo da farsi sentire e solo dopo che una voce femminile lo invitò ad entrare aprì la porta.
“Cio Sarah, volevo solo chiederti se posso prendermi un paio di giorni la settimana prossima. Pensavo a Lunedì e Martedì” disse velocemente quasi senza nemmeno entrare.
“Tranquillo, vedrò cosa posso fare” rispose la donna con distrazione mentre leggeva alcuni documenti.
John la ringraziò e uscì dalla stanza, tornò al bancone e prese in mano la prima cartella di una grande pila.
“La signora Lovett?” chiese entrando in sala d’attesa.
Una giovane donna bionda si alzò da una sedia, prese a borsa e si avvicinò sorridendo al dottore.
“Mi segua” rispose lui sorridendo stancamente e avviandosi nella sua sala visite.
Entrò seguito dalla giovane donna e la fece accomodare mentre si toglieva la giacca e posava la sua ventiquattro ore. Prese il camice bianco e se lo mise addosso, la targhetta in plastica che dondolava con sopra la sua foto e la scritta “Dott. John H. Watson”.
“Si sente bene dottore? Non la vedo molto in forma” si azzardò di dire la donna continuando a sorridergli cortesemente.
“Oh sì non si preoccupi, sono solo un po’ stanco, ho avuto una settimana piena di turni di notte” mentì sorridendole di rimando “Mi dica, cosa non va?” chiese sedendo alla sua scrivania.
La donna iniziò ad elencare nomi di malattie ormai debellate da almeno cinquant'anni, John rimase ad ascoltarla sentendo ogni tanto gli occhi pesanti per la stanchezza.
"Dottore? Dottore cosa ne pensa?" chiese a giovane parlando un po più forte con la speranza che il medico aprisse del tutto gli occhi e la smettesse di sembrare sull'orlo di un'attacco di sonno.
"Signorina - si schiarì la voce- non penso lei possa avr contratto nessuna di queste malattie, la prego di non affidarsi ad internet per cercare una risposta. Si sdrai sul lettino"
La ragazza si alzò un po' scocciata della risposta del medico e mentre si toglieva la camicietta sbuffava.
Il vecchio John, quello che amava i piaceri, le donne e tutto il resto, probabilmente sarebbe rimasto segretamente e molto professionalmente stupito del seno della ragazza; la cosa che gli saltò agli occhi fu invece la pelle pallida, quasi perlacea. Un flash gli passò davanti agl'occhi e dovette chiuderli forte per togliersi l'immagine del petto nudo di Sherlock che in quel momento sembrò impresso a fuoco sulle sue palpebre. Dopo avere diagnosticato un'eruzione cutanea dovuta probabilmente alla catenina da bigiotteria intrisa di nichel, fece passare gli altri pazienti e si rassegnò ad un'altra lunga e noiosa giornata.
Quella sera uscì di casa un po’ prima del solito, decise di passare dal parco ed arrivare al cimitero a piedi senza stare a spostarsi con la metro e con la speranza di godersi quel giorno di fine Gennaio che sembrava essere migliore degl’altri, il vento sembrava aver dato pace a quella nebbiosa città e un sole leggero e tremolante spuntava ogni tanto tra una nuvola e l’altra. John passeggiava con le mani nelle tasche della sua giacca guardandosi distrattamente i piedi, ogni tanto calciava qualche sassolino; poca gente era seduta sulle panchine con in mano un bicchiere di starbucks fumante e qualcuno correva sul sentiero con le cuffiette nelle orecchie. Proprio uno di questi corridori scontrò violentemente John facendolo quasi cadere per terra. 
“Mi scusi, mi scusi tanto” disse l’uomo togliendosi una cuffietta dalle orecchie.
“Non si preoccupi” disse John senza nemmeno guardarlo mentre dava una veloce occhiata ai suoi indumenti come a controllare non si fossero rovinati nello scontro.
“No davvero mi scusi, le ho fatto male?” riprese l’uomo davanti a lui.
John alzò gli occhi “No, stia tran-“ si congelò all’istante.
Smise di respirare, il cuore si fermò, ne era certo, non lo sentì più battere nel petto, doveva per forza essere fermo. Scrutò il viso davanti al suo con precisione maniacale. L’uomo davanti a lui era alto, magro, troppo magro, i ricci neri e sudati ricadevano sul viso, gli zigomi altissimi erano colorati di rosso per lo sforzo della corsa e quegl’occhi. Dio, quegl’occhi li avrebbe riconosciuti tra mille. Quello davanti a lui era Sherlock.
“Si sente bene? Le ho fatto male?”
John venne risvegliato dall’uomo davanti a sè che adesso lo scrollava leggermente; gli occhi scuri, i capelli biondicci e il viso squadrato.
“Si si sto bene, grazie” detto questo continuò a camminare.
Era stato un gioco della sua testa, eppure sembrava così reale davanti a sè. Lui aveva visto Sherlock, più di una volta in quei tre mesi lo aveva visto, un giorno quando ancora stava a Baker Street era seduto sulla sua poltrona e guardava un punto indefinito della stanza, poi all’improvviso...

“John, mi annoio” Sherlock era uscito dalla loro camera e si era seduto sulla sua poltrona.
John restava fermo a guardarlo, lo sguardo grave e serio.
“John mi hai sentito?” lo guardò con il suo cipiglio infastidito.
Il medico continuò a fissarlo immobile dov’era, l’espressione serio e cupa, quasi arrabbiata.
“Smettila di fissarmi così” disse risoluto il detective.
“Io non ti fisso” riuscì a rispondere “Non posso, perchè tu sei morto”


La figura di Sherlock sparì a quelle parole e John si ritrovò di nuovo solo in quella casa che ora gli sembrava decisamente troppo grande per essere solo sua.
Quando tornò con la mente alla realtà si rese conto di star prendendo completamente la strada sbagliata per arrivare al cimitero, per arrivare all’ingresso principale sarebbe dovuto tornare indietro, sarebbe stato più rapido. Guardò distrattamente l’orologio e si disse che tutto sommato aveva ancora tempo e decise di continuare sul sentiero che sarebbe passato dal boschetto, in quel modo sarebbe arrivato sbucando immediatamente dal grande pioppo vicino alla tomba di Sherlock nonostante il tragitto si sarebbe allungato di una quindicina di minuti. Mentre camminava pensava a dei ricordi confusi di quei tre mesi e a quanto negl’ultimi tempi si stava ritrovando più spesso davanti a Sherlock nella sua vita quotidiana.

Era uscito a comprare il latte da Tesco, non ci avrebbe messo molto, distava solo un paio di isolati da dove abitava adesso  e nonostante il brutto tempo che minacciava pioggia, decise di uscire senza ombrello convinto di non metterci molto. Era entrato nel market ed era andato sicuro verso lo scaffale dei cartoni di latte, ne prese uno a caso e si avviò alla cassa. A quanto pare molte persone erano ridotte come lui, all’ultimo momento poco prima della chiusura a prendere dei pochi ingredienti per cenare. Sentì un forte tuono fuori dalle grandi vetrate e chiuse gli occhi rassegnato vedendo le prime gocce d’acqua cadere dal cielo. Riuscì ad arrivare alla cassa e dopo aver pagato di diresse verso casa di fretta sperando la pioggia non peggiorasse, ma come volevasi dimostrare non gli bastò nemmeno il tempo di finire il pensiero che un acquazzone lo colse in mezzo alla strada.
“Oh Diavolo...” aveva imprecato guardando verso l’altro. 
Quando tornò con gli occhi dritti davanti a sè si stupì di trovare una figura in un lungo cappotto nero e riparata sotto un ombrello aperto.
“Sherlock, che ci fai qui?” aveva chiesto incredulo.
“Sapevo che eri uscito per prendere il latte e ti ho seguito, non hai nemmeno preso l’ombrello, così ti prenderai un raffreddore” aveva detto sorridendogli appena.
John aveva sorriso dolcemente a sua volta.
“Andiamo a casa adesso, andiamo a casa John” aveva aggiunto facendogli segno di mettersi sotto con lui.
“Non posso Sherlock” gli aveva risposto tristemente.
“Perchè?”
“Perchè tu sei morto” e detto questo continuò a sorridere di un sorriso amaro per poi avviarsi verso casa stancamente.


Era da quasi una settimana che non gli capitava di vederlo, attribuì il merito al suo appuntamento serale con la tomba del compagno, probabilmente quel suo ripotare a galla vecchi ricordi lo stava aiutando a superare la perdita. Ma chi voleva prendere in giro, lui non aveva superato nulla, non ci stava nemmeno provando e più andava avanti più si rendeva conto di quanto Sherlock, con quella caduta, si fosse portato via anche il suo cuore e tutta la sua sfera di umanità. Cotinuava a cammiare a passo distratto, ormai era arrivato, mancava poco e vedeva già in lontananza gli ultimi alberi e il grande pioppo con sotto la tomba nera che spiccava sulle altre. Esibizionista. Pensò il medico sorridendo appena. Sentì il suo corpo sbattere su quello di qualcun’altro.
“Ma che succede oggi?!” imprecò infastidito.
Alzò gli occhi non stupendosi di vedere per l’ennesima volta la figura del suo ex compagno e coiquilino davanti a sé.
“Dio, dovrei stare pià attento a dove metto i piedi” disse soltanto sorridendo imbarazzato “Sta bene, le ho fatto male?”
L’uomo davanti a lui fece un cenno di diniego e John non si trattenne oltre continuando per la sua strada. Arrivato alla tomba la salutò con una carezza e si sedette davanti ad essa.
Era bastato quel solo contatto per far perdere totalmente il controllo a Sherlock. Rimase a guardare John quando si rese conto di essere incappato in lui. Che diavolo ci faceva da quella parte del parco?! Sherlock si stava dirigendo al suo appuntamento serale, dietro i soliti alberi poco distanti dalla sua lapide e quasi non gli scoppiò il cuore quando sentì il corpo di John cozzargli contro. Lui non si era accorto di nulla. Una punta di panico aveva iniziato ad invadere Sherlock che ora era seduto dietro un faggio. Che John si fosse domenticato la sua faccia? No, era impossibile, non con tutte quelle foto. Possibile che non l’avesse riconosciuto in un ambito così ravvicinato?
Stupido, stupido idota. Si disse, era normale che John non lo riconoscesse perchè ormai era abituato a vederlo ovunque, in qualsiasi posto. Sherlock si sentì molto in colpa, molto triste e decise solo di stare in silenzio ad ascoltare il ricordo di quel giorno.
“Oggi è stata una giornata strana” iniziò a parlare l’ex soldato mentre tirava fuori il suo album fotografico “Una ragazza è venuta in ambulatorio, incinta del marito morto in Afghanistan. E’ stato strano, mi sono quasi sentito in colpa.” 
Uno strizzacervelli l’avrebbe chiamata la sindrome del sopravvissuto o del superstite o qualcosa del genere.
“anzi togli il quasi, mi sono sentito in colpa. Io sono vivo e solo, lui aveva ancora una vita davanti, una famiglia...” sospirò continuando a girare le pagine. 
Non sapeva quale foto scegliere, non c’enerano molte lì a dire il vero, eppure non riusciva a decidersi su quale usare quel Sabato. Sfogliava il libro con indecisione guardando passare le istantanee sotto i suoi occhi, finchè una non scivolò sull’erba umida e il biondo la raccolse.
“E questa?” chiese guardandola.
Nell’immagine c’era John mezzo nudo, la foto era presa da un’iquadratura strana, scattata da una fessura aperta della porta del bagno, l’uomo era con addosso i boxer e guardava lo specchio con gli occhi assottigliati.
“Beh, non l’ho fatta io, ma penso di ricordare quel giorno molto bene” rise di gusto mentre si immergeva nei ricordi.

“Più forte John!”
“Sono già fino in fondo!”
“Spingi di più allora!”
“Sherlock sono al massimo, poi sono troppo grosso e il buco è troppo piccolo!”
“Però l’altra volta sei entrato senza problemi e hai spinto molto più forte di adesso!”
“Certo, l’altra volta avevamo qualcosa per lubrificare il passaggio”
“Tutte scuse Watson, devo dedurre forse che stai perdendo colpi?”
“Smettila di dedurre e spingi indietro, vediamo se riusciamo a fare attrito”
John iniziò a spingere energicamente mordendosi il labbro concentrato.
“Ma sei sicuro di essere dentro?”
“Giuro che se fiati ancora ti arriva un pugno sulla faccia” sbottò offeso.
“Ho una mano libera, se vuoi...”
“Ce la faccio benissimo da solo!”
John era inginocchiato sotto il lavandino del bagno, aveva dovuto svitare viti e bulloni per togliere quella sezione di tubo e riuscire ad inserire il braccio nell’altra.
“Come diavolo hai potuto pensare di riprendere il coperchio della schiuma da barba incastando il tappo nel lavabo?” aveva chiesto scocciato.
La cosa era molto semplice, John si stava radendo quando per sbaglio aveva scontrato il tappo in plastica della schiuma da barba il quale era abbastanza piccolo da entrare con perfezione geometrica nel tubo di scarico del lavandino. Visto che la cosa succedeva spesso, John non se ne curò molto, ma ancora con la barba a metà si avviò in salotto per prendere la cassetta degli attrezzi e riuscire a tirare fuori l’oggetto estraneo; proprio il quel lasso di tempo Sherlock era entrato in bagno e preso da una scarica di supremazia da maschio Alfa aveva cercato con il tappo del lavandino di raccattarlo, con il risultato di incastare anch’esso nel tubo non riuscendo più a rimuoverlo. Ora se ne stavano lì, un medico con mezza barba fatta, un braccio nel tubo del lavandino e l’altro a reggere una torcia mentre il detective teneva in mano uno sturalavandini e un cacciavite con il quale cercava di fare leva sul tappo incastrato. Che disastro.
“Il tappo si è incastrato da solo, io volevo solo dare una mano!” protestò il moro cercando di nuovo di fare leva.
“Beh, la prossima volta potresti chiedere “John, vuoi una mano, posso fare qualcosa per autarti?” invece che fare di tua iniziativa!”
“Non so quanto ti convenga adesso stuzzicarmi, potrei lasciarti qui e farti fare tutto il lavoro da solo” ribattè offeso.
“Non lo faresti, oppure ne pagheresti care le conseguenze” sbottò serio il medico prima di tirare fuori dal tubo il tappo di plastica.
“E uno è andato” disse cacciandolo dall’altra parte della stanza.
“Sei sexy solo con metà barba, ma ti preferisco quando è intera” rise appena Sherlock guardandolo dall’alto.
John sorrise falsamente e gli mostrò il dito medio prima di infilare nuovamente la mano nel tubo di plastica.
“Sher, ora cerco di spingere il tappo verso l’alto, cerca di fare leva con il cacciavite!” disse John quando sentì l’appendice metallica dotto le dita.
“Uno, due, TRE!”
Al tre John cercò di dare una forte spinta, in base alle possibilità che il tubo gli permetteva mentre Sherlock prese il momento giusto per fare leva con l’attrezzo. Con un sonoro POP il tappò uscì dalla cavità e cadde sulla ceramica bianca del lavandino.
“E’ stato facile” disse sorridendo soddisfatto il più alto dei due.
John scosse la testa sospirando, prese gli atrezzi da terra e ricominciò a montare i tubi del bagno. Sherlock lo guardava rapito con un sorriso malizioso sul viso.
“Perchè mi guardi così?” chiese l’ex militare finendo di strigere l’ultima vite.
“Non riesco a capire il perchè, ma sei eccitante in veste di idraulico. Sto cercando di capire.”
John scoppiò forte a ridere mentre si rimetteva in piedi, mise in ordine gli attrezzi e li portò al loro posto nello sgabuzzino. Tornò in bagno per dare una sistemata al caos che avevano fatto, poi si rimise davanti allo specchio e dopo essersi passato la schiuma da barba sul viso riprese a radersi continuando a ridacchiare di tanto in tanto.
“Cosa c’è da ridere?” chiese con lo sguardo corrucciato il detective.
“Forse il fatto che sentirlo dire da te è davvero molto strano” picchiettò il rasoio sul lavandino e lo passo nuovamente sulla guancia.
“Ti stava bene quell’accenno di barba” disse continuando a guardarlo.
“Dovevi vedermi qualche anno fa, aveva una barba da Hipster molto curata...era molto apprezzata”
“Ho detto un accenno, non un nido di uccelli” borbottò Sherlock.
John non aveva quasi mai portato la barba, quando era un ragazzino e il suo testosterone aveva iniziato a fargli spuntare i peli sul viso aveva all’incirca quindici anni, era una barba neonata che spuntava solo in alcuni punti lasciando dei buchi in altri. La prima volta che si fece crescere la barba per davvero aveva diciannove anni e quel periodo era stato divertente, aveva meno freddo al viso quando c’era vento e le ragazze sembravano impazzire solo per accarezzargliela. Quando a ventiquattro anni era entrato all’università militare gli era stato imposto di toglierla, aveva concluso lì dentro i suoi studi poichè la borsa di studio non bastava più per mantenere la costosa università Londinese che frequentava al tempo. Ligio alle regole e sempre ben impostato aveva perso totalmente il vizio di farsela crescere se non per più di due o tre giorni, in mancanza di tempo era arrivato ad una settimana, ma mai nulla di più.
“Comunque non sono più il tipo da barba ormai, troppo vecchio per quella” accennò una risata mentre si sciacquava la faccia e si puliva con un asciugamano “Però un bel paio di baffi...”
“Non ci provare neanche” sbottò Sherlock guardandolo torvo ma divertito.
“Hai ragione, sembrerei ancora più vecchio di quanto già non sono!” disse ridendo mentre si toglieva la vestaglia marrone.
“Tu non sei vecchio” borbottò il detective continuando a guardarlo.
“Beh, ho superato i quranta, ora è tutto in discesa, arrivi ai sessanta e nemmeno te ne accorgi!” si spogliò della maglietta.
Sherlock lo guardava attentamente, John non era un ventenne e questo era evidente ma comunque conservava bene il suo corpo, si vedeva chiaramente che era stato un militare, probabilmente da giovane sfoggiava un fisico molto muscoloso e ben definito, ora manteneva la sua tonicità e la sua robustezza muscolare ma non si poteva definire scultoreo, aveva quel filo di pancia che lo rendeva ancora più attraente agl’occhi del moro e decisamente lo metteva in contrasto con il suo fisico che invece era molto slanciato e decisamente più secco. Non era da sottovalutare la forza del ragazzo più giovane, poteva sembrare fragile anche solo ad una minima pressione, ma un suo pugno poteva stenderti senza nemmeno te ne rendessi conto.
“Smettila di guardarmi così” disse John distogliendo Sherlock dai suoi pensieri.
“Così come?”
“Come se volessi saltarmi addosso” ridacchiò avvicinandosi a lui “Potrei acettare l’offerta che mi stanno facendo i tuoi occhi”
Il moro si piegò appena in avanti a baciargli delicatamente le labbra prima di prendere quello inferiore tra i denti mordendolo.
“Potrei non rispondere di me” aggiunse in un sospiro divertito ed eccitato il biondo.
“Allora perdi il controllo” gli suggerì il più alto.
Proprio in quel momento John posò distrattamente gli occhi sull’orologio a muro sopra allo specchio del lavandino e dopo aver sgranato gli occhi si allontanò dal compagno.
“Cazzo, sono in ritardo!” sbottò togliendosi di corsa i pantaloni.
Sherlock alzò gli occhi al cielo gemendo infastidito.
“John, lascia perdere il lavoro. Stavo iniziando a non annoiarmi!”
“Trova un altro modo per non annoiarti mentre io sono in ambulatorio, esci che devo fare la doccia!”
Sherlock uscì sbuffando, lasciò la porta semi aperta e tirò fuori il telefonino dalla tasca della vestaglia, scattò una foto al suo compagno che era ancora in mutande davanti al lavandino mentre con gli occhi assottigliti si guardava il viso. Satava ripensando alla questione barba o non barba.
“Non mi annoierò affatto” sussurrò il riccio mentre guardava trionfante la foto sul telefonino.


“Non voglio sapere il perchè di questa foto” disse tornando alla realtà e ridacchiando appena.
Il sole era ormai basso all’orizzonte e dopo aver riposto la foto nell’album si alzò.
“Domani è un giorno speciale, quindi devi essere puntuale davvero. Alle sette” sorrise mentre accarezzava la lapide con le dita.
“Continuo a vederti ovunque, ogni viso è il tuo; dal cassiere al supermrcato al barista del pub all’angolo. Mi manchi.”
Si voltò e prese la strada più breve per la metropolitana, si strinse nella giacca e sparì tra la leggera nebbia che stava comparendo con la notte.
Sherlock aveva ascoltato tutta la storia come nei giorni precedenti. Sorrise al ricordo di quella foto che lui stesso aveva scattato.
“Meglio che tu non lo sappia il perchè” sussurrò alzando divertito le sopracciglia. 
Il giorno seguente era davvero speciale e Sherlock non avrebbe mancato all’appuntamento nemmeno sotto tortura.


ANGOLO AUTRICE
Bentrovati! Ecco il penultimo capitolo della serie, ero indecisa se spezzare l'ultimo, ma ho deciso che sarà un capitolo unico, più lungo degli altri.
In questa sesta parte vediamo che affiorano le debolezze di John che ammette di vedere Sherlock spesso, semplice gioco della sua testa oppure no? non possiamo saperlo. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento! Aspetto con calore le vostre considerazioni! Grazie a tutti e un bacio in più a chi ha recensito questa storia dall'inizio!
Ci vediamo Venerdì per l'ultimo incontro!
Un bacio
Kutzie


   
 
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