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Autore: TheHellion    17/05/2017    1 recensioni
L'oscurità allunga la mano sul mondo. Dopo la sconfitta della dea della guerra giusta, Atena, Ade, signore degli Inferi ha l'unico obiettivo di sfogare il suo rancore sull'umanità, tanto cara alla sua acerrima nemica. Il piano del dio dell'Oltretomba è chiaro: cancellare la vita dalla terra.
Il destino del mondo è in mano agli uomini che hanno ereditato potere e speranza dalla Dea e sta a loro organizzarsi contro le orde di guerrieri infernali che non lasciano scampo a chiunque le incontri.
Sei pronto ad mettere piede sul campo di battaglia?
***Ispirato all'opera magna di Masami Kurumada, "Antichi echi delle Stelle" narra la storia della primissima generazione dei celeberrimi Cavalieri dello Zodiaco.***
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold Saints, Hades
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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INAZUMA

«Peccare di superbia porta l'uomo alla morte, Grande Sacerdote» sibila lo Spectre che lentamente fuoriesce dalla frattura dello spazio, come fa una farfalla dalla sua crisalide. «Non sottovalutare i poteri di Oto.»
La sua voce rimbomba per tutta la Terza Casa. Sono sicuro di avercelo davanti, eppure sento la sua presenza anche alle mie spalle. Lo perdo di vista, poiché si sposta a una velocità superiore alla mia percezione. Rimango paralizzato, quando lo vedo chiaramente di fronte a Eirene con il braccio artigliato già alzato su di lei. Lo abbassa bruscamente, intende colpirla e io non posso permetterlo. Scatto a difesa di Atena, noncurante di subire io stesso il danno, ma quella mano non riesce a calare su di noi. Oto della Succube viene bruscamente respinto da una barriera trasparente che si è frapposta tra me e lui in un modo che non ho ben compreso.
«Non credere che sia così facile, Oto della Succube. Il Muro di Cristallo non solo protegge ciò che si trova al suo interno, ma restituisce il danno a chi ha avuto l'intenzione di infliggerlo. È una tecnica di combattimento creata da me, Cavaliere dell'Ariete, che concentra il potere di chi la utilizza sia in difesa che in attacco. Sei tu ad aver sottovalutato i tuoi avversari.»
Oto si rialza e per schernirci spazza la sua corazza con i palmi delle mani, in modo da rimuovere la polvere che su di essa si è posata in seguito al colpo subito.
«Chiunque sa pararsi dietro uno scudo, Ariete. Ma non importa quanto questo sia resistente. Se colpisci il braccio che lo impugna, esso cadrà.»
Le mani dello Spectre si congiungono come se si concentrasse in preghiera. Il capo si abbassa e gli occhi si chiudono.
Dhiren alza il braccio destro verso l'alto. Sul suo palmo si concentra un alone di splendente energia, mentre il suo Cosmo smodato si espande in modo da schiacciare il potere dell'avversario.
«Non credere che ti lascerò utilizzare altri colpi, Oto! Svanirai nella danza della Polvere Cosmica: Rivoluzione delle Stelle!»
Per nulla impressionato, Oto non cambia la sua postura, nemmeno quando il braccio di Dhiren si abbassa bruscamente verso di lui e delle sfere di puro Cosmo dorato partono dalla sua mano distesa. La luce della Rivoluzione delle Stelle sparisce di fronte ai nostri occhi sconcerti. Oto ride, protetto da uno strano scudo luminoso che non avevo visto prima. Esso è ovale, alto quanto il suo utilizzatore, poggiato a terra come uno specchio.
«Sono contento che tu mi abbia colpito con uno dei tuoi colpi più potenti, Dhiren dell'Ariete. Più sono forti, più saranno efficaci...»
Lo strano specchio si fa ancora più brillante, tanto che la luce che ha trattenuto all'interno trabocca dalla superficie, fino a uscirne fuori con la medesima velocità della Rivoluzione Stellare di Dhiren. È proprio il colpo del Cavaliere d’Oro ad abbattersi su di noi. Abbraccio Eirene e do le spalle alle veloci sfere di luce che escono dallo specchio, sono pronto ad subire il loro impatto.
«Inazuma!» grida lei. Prova ad allontanarmi, ma io la stringo più forte. Solo pochi istanti e subirò il rigore del colpo di Dhiren, per questo serro gli occhi e stringo i denti, ma il ruggito dell'impatto esplode prima di raggiungermi. Mi volto di colpo e mi trovo a osservare la schiena di un guerriero dorato. I suoi lunghi capelli rossi turbinano spostati dall'onda d'urto. Che sia...?
«Hosoku!» lo richiama Dhiren, prima di raggiungere il suo fianco. Anche Rhadia lo affianca, sotto sua immediata richiesta.
«Porta via Atena e Inazuma da qui, Rhadia.» dice Hosoku, abbassando lo scudo d'oro che ha utilizzato per riflettere il colpo e agganciandolo di nuovo al braccio. L’armatura che indossa è diversa da quella voluminosa dell’Ariete. Si sviluppa in piastre squadrate che proteggono le braccia e le gambe di Hosoku. Gli spallacci sono voluminosi. Uno di essi è piatto, mentre l’altro arrotondato. Anche le linee del pettorale sono più dolci rispetto a quelle del resto della corazza. A entrambe le braccia sono allacciati scudi rotondi.
«Sì, maestro» risponde Rhadia.
  Non riesco a lasciare la mano di Eirene, nemmeno quando Rhadia ci invita a seguirlo con un cenno rapido. Prima di muovermi rivolgo uno sguardo fugace ai due Cavalieri d'Oro. Dhiren annuisce e mi rivolge un sorriso deciso, invitandomi così a seguire Rhadia. Non perdo tempo e dopo aver annuito, eseguo quell'ordine tacito, tenendo ben stretta la mano di Eirene. La nostra corsa si arresta di fronte a un altro specchio ovale che non riflette che ombra. Proviamo quindi a raggirarlo, ma attorno a noi si forma un fitto labirinto di vetri neri che ci chiude ogni via di fuga.
«Non lascerete questo luogo. Questa prigione di specchi è inviolabile» dice la voce di Oto da più direzioni. Il silenzio cala, rendendo più rumorosi i nostri respiri affannati.
«Smettila di fare promesse che non puoi mantenere, Oto della Succube» tuona la voce del Grande Sacerdote, prima che venga surclassata dal rumore di vetro in frantumi.
«Che cosa?» chiede esterrefatto lo Spectre, mentre tutti gli specchi vanno in frantumi, uno dopo l'altro dopo essere stati accarezzati da sottili fasci di luce dorata.
«Hai di fronte due Cavalieri d'Oro. Non pensi di aver esagerato con la presunzione? Tanto io che Dhiren sappiamo spostarci e colpire alla velocità della luce e non abbiamo bisogno dei nostri colpi più potenti per schiacciarti come il verme che sei» afferma solenne Hosoku, fermandosi a poca distanza da me. Uno dei suoi piedi armati d'oro comprime alcuni frammenti di vetro, e li riduce in polvere.
«Rhadia, Inazuma, a voi il compito più importante. Non perdete mai di vista Atena.»
Nemmeno se ci fossimo messi d'accordo avremmo annuito nello stesso momento come ora.
Hosoku si volta mentre i frammenti degli specchi si sollevano dal pavimento, lentamente ma inesorabilmente.
«Tutto inutile!» annuncia la voce diffusa di Oto. «Più distruggete il Labirinto degli Specchi, più esso tornerà a tormentarvi, sempre più fitto e asfissiante.»
«A meno che non distruggiamo te!» grida Dhiren. Sento rimbombare i suoi passi mentre la sua figura lontana si scaglia contro lo Spectre emerso dall'ombra.
«Fermati, Dhiren!» gli ordina Hosoku, ma è già troppo tardi. Il pugno destro del Cavaliere dell'Ariete si è già abbattuto su Oto. L'armatura nera si sgretola, esattamente come la sua pelle, i suoi capelli.
«Una statua di vetro?» esclama stupito Dhiren, prima di lasciarsi scappare un lamento. Lo vedo mentre tenta di estrarre il braccio dalla trappola vitrea che ora lo imprigiona.
«Non riuscirai più a liberarti, incauto» afferma soddisfatto Oto. La sua voce proviene da tutti gli specchi. Mi volto a guardarli. Al loro interno c'è l'immagine di un mostro alato simile a una donna con i denti acuminati alla stregua di zanne che allunga le sue lunghe dita artigliate verso l'esterno.
«Che incantesimo è mai questo?!» chiede Rhadia, facendosi ancora più vicino a Eirene.
«Non guardate negli specchi!» ci ordina Hosoku. Non è così semplice, perché per quanto sposti lo sguardo mi trovo sempre ad osservare uno specchio. Un prolungato grido di Dhiren anticipa il rumore di vetro frantumato. Buona parte del labirinto è difatti crollato, ma non impiega moltissimo a ricomporsi. Le orribili figure chiuse dietro la superficie allungano le mani contro di essa, la deformano, quasi fosse un velo leggero che tentano di fendere.
«Quando le bestie degli specchi usciranno dal loro nascondiglio, divoreranno i vostri corpi fino all'anima, impedendovi di rinascere. Marcirete in una selva infernale per l'eternità! Non oso pensare quanto prestigio guadagnerò portando Atena e due dei suoi migliori guerrieri nel Tartaro!»
«Sognare non costa nulla» afferma Hosoku. «Dicono che sia un bel regalo degli dei per i disperati, ma allo stesso tempo una dolorosa illusione» conclude, con un sorriso divertito sulle labbra. Il suo corpo e quello di Dhiren vengono avvolti da una brillante luce dorata che si espande e si diffonde in tutta la Terza Casa. Sono due Cosmi ben distinti, ma sembrano volersi fondere in uno soltanto, benevolo e potente.
«Il mio sogno diventerà realtà tra pochi istanti! Io non sono un semplice Spectre! Ho un esercito di mostri famelici dalla mia parte e guardate: sono quasi liberi.»
 Una delle creature che emergono dallo specchio è riuscita a fendere il confine della sua prigione e allungare l'orrenda mano verso di noi. Vedo Rhadia che agita le braccia, come se descrivesse un segno nell'aria. Il suo gesto mi ricorda quello di mio padre quando mi ordinò di scappare, anche perché il suo corpo viene ricoperto da una luce verde chiaro.
«Colpo segreto del Drago Nascente!» grida, mentre il suo pugno carico di energia si abbatte contro il braccio allungato oltre la superficie vitrea. Lo riduce in polvere lasciandomi senza parole. Lui ha la mia stessa età, eppure è capace di un prodigio simile. Ora sento di dover dar ragione a Demyan dell'Acquario: essere protetto mi umilia, soprattutto ora che è un mio coetaneo a farlo.
«Rhadia! Ti ho detto che non sei ancora pronto per quel colpo!» lo rimprovera Hosoku che ha ora assunto una posizione di attacco, esattamente come Dhiren al suo fianco.
«Lascia fare noi e non allontanarti da Atena! Non sei pronto!»
«Esatto, moccioso, aspetta la morte inerme, che presto ti raggiungerà»provoca Oto. Lo sento ovunque e da nessuna parte. Come è possibile?
«Aspetta che il tuo maestro muoia prima di raggiungerlo. Lascia che ti indichi la via» continua lo Spectre.
Hosoku e Dhiren sono spalla contro spalla mentre gli specchi si distruggono tutti all'unisono, liberando le mostruosità al loro interno. Devo fare qualcosa anche io, sono davvero troppo vicine a noi, ad Atena! Cosmo, so che sei in me, perciò estenditi e proteggi come incrollabile scudo! Il potere che ho dentro ascolta la mia volontà, la luce mi avvolge completamente, candida e abbagliante suscitando lo stupore di Rhadia.
«Non arriverete mai a lei!» grido, mentre le mostruose mani, toccate dal mio Cosmo, si ritraggono veloci e le creature attorno a noi lanciano un sibilo acuto. Lo sguardo dolce di Eirene è posato su di me, ne avverto la carezza, unita al potere immenso che le appartiene. Sono io che sto proteggendo lei o è il contrario? Non importa, lei mi dà forza, forza per non temere, per non aver paura di nessun nemico.
«Ottimo lavoro, Inazuma» afferma Hosoku, prima di allungare le braccia in avanti e congiungere i polsi.
«Sei pronto, Dhiren?»chiede al Cavaliere dell'Ariete.
«Che domande, Hosoku. Io sono nato pronto.»
 Il loro Cosmo si fonde completamente in quello sconfinato di un unico essere superiore. Io sono niente a loro confronto, ma ora più che mai sogno di giungere al loro livello, di poter fare così tanto per schiacciare le forze degli Inferi.
«Stolti! Pensate di attaccarmi con un colpo così potente? Un'azione combinata di entrambi? Bene! Vi ringrazio, perché esso vi si ritorcerà contro con una ferocia immensa. Perirete sotto i vostri stessi colpi riflessi dal Labirinto degli Specchi di Oto!»
«Uno specchio non può riflettere se diviene polvere» replica Dhiren.
«Anche i più piccoli frantumi fanno il loro lavoro, Cavalieri d'Oro! Non c'è modo alcuno per liberarvi di me!»
«Lo vedremo!»
 È finito il tempo delle parole, lo sento nell'aria.
«Rivoluzione delle Stelle!» grida Dhiren.
«Colpo dei Cento Draghi!» esclama Hosoku.
  Le sfere luminose create dal Cosmo di Dhiren si uniscono alle figure eteree dalla forma draconica che provengono da Hosoku, caricandole di uno splendore abbagliante che per un istante mi acceca. Il potente attacco congiunto si innalza verso l'altissimo soffitto della Terza Casa, prima di diffondersi e abbattersi sul Labirinto degli Specchi di Oto della Succube e sulle figure mostruose che lo popolano. Il rumore della frantumazione viene surclassato dal boato dell'esplosione che scuote le fondamenta dell'antico tempio. Gli specchi si riducono in polvere, fino a sparire completamente senza lasciare alcuna traccia. La frattura oscura dalla quale Oto è entrato, si sta aprendo di nuovo e a poca distanza dalla sua posizione si trova lo Spectre, che striscia a terra, puntando i gomiti. Non rimangono che pochi frammenti della sua corazza a coprire i polsi e le gambe.
«Non lasciarlo scappare, Dhiren!» grida Hosoku. Veloce, il Cavaliere dell'Ariete raggiunge Oto con uno scatto, ma lo spazio si curva e si incrina, trascinando nell'oscurità il corpo dello Spectre. Il colpo di grazia che Dhiren gli ha rivolto si abbatte contro l'ombra e da essa viene respinto, costringendo il Cavaliere di Ariete ad arretrare per riprendere l'equilibrio.
«Troppo tardi!» esclama Oto, dopo che il suo viso è riemerso dalla tenebra. La frattura dello spazio si sta lentamente richiudendo.
«Tu dici?» chiede retorico Hosoku.
«Non vedi? C'è una barriera tra me e voi, ormai, un limite che nemmeno l'attacco che ha polverizzato il Labirinto di Specchi può superare. La mia sconfitta non è definitiva. Tornerò e porterò con me...»
La sua voce viene strozzata da un lamento.
«Che cosa sta succedendo?» chiede a fatica.
«Telecinesi» risponde sicuro Dhiren mentre il corpo del suo avversario inizia a creparsi come se fosse di terracotta.
«Il mio attacco di qualche istante fa non è andato a vuoto. Nel pugno che ti ho rivolto prima che la frattura dello spazio ti accogliesse, era celata una concentrazione d'energia derivante dal nostro ultimo attacco. Il colpo è andato a vuoto, sì, ma ho avuto modo di testare un potere che non ho mai utilizzato finora. La telecinesi è un'abilità che viene tramandata da padre in figlio tra i discendenti del leggendario popolo dei Mu che risiedono tutt'ora nello Jamir, una regione arida e irta di insidie che si sviluppa ai piedi dell'Himalaya. Io sono uno di quei pochi superstiti che possono spostare gli oggetti e le persone per distanze proibitive o addirittura varcare il confine tra le varie dimensioni. Io sono Dhiren dell'Ariete, nato nello Jamir, Cavaliere d'Oro della Prima Casa del Grande Tempio di Atene! Non dimenticarlo durante la tua breve discesa negli inferi.»
Dhiren distende le braccia lungo i fianchi. Il combattimento è finito, ormai. Il corpo di Oto va in frantumi e produce lo stesso rumore degli specchi del suo labirinto. L'oscurità divora ciò che rimane di lui e la frattura dimensionale si chiude come una ferita rimarginata.
«Una presentazione pomposa, Dhiren. Dovrei considerare l'idea di farti scrivere i discorsi ufficiali» scherza Hosoku, rimuovendo l'elmo dal capo. I folti capelli rossi vanno a circondargli  il viso. Gli occhi verdi cercano per prima cosa quelli di Atena.
«State bene, mia signora?» chiede. Anche io mi volto verso di lei, preoccupato. Lei annuisce e ci regala un sorriso sereno. Anche Rhadia è sollevato e tira un profondo sospiro. Gli occhi di Eirene cercano i miei e li trovano. Non li perdono di vista per una lunga serie di secondi. Non so che cosa voglia dirmi, ma desidero soltanto che non smetta di guardarmi.
«Mi chiedo perché mai la barriera di Castore si sia indebolita» dice Dhiren con lo sguardo rivolto verso il punto in cui si era aperta la frattura. «Spero che non sia come penso» continua.
«Sospetti che sia...caduto in battaglia?» chiede Hosoku, incerto.
«C'è un solo uomo che potrebbe darcene la conferma, ma non so se è già tornato dall'Isola della Regina Nera.»
«Intendi...Polluce?»
«Esatto. Polluce, Cavaliere d'Argento del Centauro.»
«Non mi fido di lui, Dhiren. In momenti come questo non è bene covare serpi in grembo.»
 Dhiren rimane in silenzio e a lenti passi si avvicina a noi.
«Sarebbe meglio che non perdessimo tempo in chiacchiere e ci sbrigassimo a salire verso le stanze di Atena. Ho davvero un pessimo presentimento.»
«Hai ragione» risponde distratto Hosoku, rivolgendo un fugace sguardo al lontano soffitto. Spero che l'intuito di Dhiren si sbagli, che al momento non si ripresenti una situazione simile a quella che abbiamo appena vissuto. Ho bisogno di compiere dei passi avanti, diventare più forte e voglio capire come.
 Devo aspettare di giungere alle stanze del Grande Sacerdote per questo. Al contrario di ciò che Hosoku le consiglia, Eirene rifiuta di raggiungere le sue stanze per assistere al mio colloquio con lui. All'ingresso della sala delle udienze ci attende Siddharta, il biondo Cavaliere d'Oro della Vergine. La sua espressione fatica a rimanere stoica.
«Hosoku di Libra, Grande Sacerdote, che ne è stato del potente Cosmo oscuro che ho sentito provenire dalla Terza Casa? Non lo avverto più, però...»
Un sorriso rassicurante curva le labbra del Grande Sacerdote.
«Tranquillo, Siddharta. Non è rimasto più nulla di lui, nemmeno la polvere. Questi sprovveduti non hanno ancora capito che non possono fronteggiare i Cavalieri d'Oro di Atene.»
Nonostante le parole di Hosoku, il viso di Siddharta lascia trasparire una preoccupazione ancora maggiore.
«Eppure...continuo a percepire una strana forza provenire dalla Terza Casa. Non è il tipico potere degli Spectre, ma qualcosa di più arcano e pericoloso che mi rende inquieto.»
«Anche per me è così» si intromette Dhiren. C'è qualcosa che non va, per questo sarebbe bene...»
«Non cercherò Polluce. Non mi fido di lui, Cavalieri. La questione è chiusa» conclude, seccato, Hosoku, per poi superare gli altri due guerrieri dorati e addentrarsi nelle sue stanze. Eirene e Rhadia rimangono in silenzio e tutti e tre ci scambiamo occhiate fugaci. Lei annuisce appena per congedarsi da noi e si avvicina ai due Cavalieri che nel frattempo continuano a parlare tra loro dell'importanza di questo Polluce. La ragazza pone una mano sul braccio di Siddharta e l'altra su quello di Dhiren.
«Dea Atena...» mormora il primo.
«Placa la tua inquietudine, Siddharta della Vergine. L'ho detto poco fa, non c'è nessuno che possa sconfiggerci. Qualsiasi sia la minaccia che hai avvertito, saremo pronti ad affrontarla e vincerla.»
Si volta verso Dhiren.
«Vedrò di convincerlo a seguire il tuo consiglio, Dhiren.»
 Il Cavaliere d'Ariete prova a inchinarsi di fronte a lei, ma Eirene non glielo concede.
«Non farlo. Non sei un mio suddito, ma un mio alleato. Sono io che dovrei inchinarmi di fronte a te, visto quello che hai fatto per proteggermi poco fa.»
Solo ora mi accorgo che sulle dita della mano destra di Dhiren ci sono striature di sangue rappreso. L'armatura non ha subito nemmeno un graffio, ma la sua mano è ferita. Le dita di Atena si prodigano in una leggera carezza. Da quel tocco emana una luce calda e splendente che lascia stupito tanto Siddharta quanto lo stesso Dhiren. Il sangue scompare assieme ai tagli sulla pelle del Cavaliere d'Ariete.
«Ritornate pure alle vostre Case. È bene non lasciarle scoperte di questi tempi.»
Siddharta fa un passo indietro e compie un delicato inchino prima di congedarsi con un saluto formale. Dhiren invece esita prima di allontanarsi. Lo seguo con lo sguardo finché non sparisce dal mio campo visivo. Mi volto verso Eirene ma lei non c'è più. Molto probabilmente ha raggiunto il Grande Sacerdote all'interno.
«Non capisco perché vogliano cercare quell'uomo» commenta Rhadia tra sé e sé.
«Chi? Quel Polluce?»
  Lui annuisce, per poi scuotere il capo.
«È un Cavaliere pericoloso. Più volte ha dato prova della sua infedeltà nei confronti della dea. Dicono che il suo potere sia immenso, simile a quello del fratello gemello Castore, il Cavaliere dei Gemelli, e questo lo porti a considerare ingiusta la sua investitura. Il Grande Sacerdote lo ha condannato all'esilio che ha revocato soltanto qualche giorno fa, dopo che, durante uno scontro amichevole, di puro allenamento, quasi uccise uno dei suoi allievi. La giovane vittima non ha più ripreso conoscenza: tuttora passa i suoi giorni disteso sul suo giaciglio, con gli occhi perduti verso un punto indefinito. In molti hanno cercato di risvegliarlo, ma la realtà è che il potere di Polluce gli ha distrutto la mente.»
«La...mente?»
  Io e Rhadia camminiamo verso l'interno. I nostri piedi fasciati in leggeri sandali calpestano il tappeto rosso che ci guida verso il trono del Grande Sacerdote, stranamente vuoto. Al suo fianco c'è Eirene in piedi.
«Sì, la mente, Inazuma. Ci sono colpi che lasciano illeso il corpo ma consumano la mente, la distruggono. Questi sono stati creati da Castore e Polluce e quest'ultimo li sta insegnando al futuro Cavaliere della Fenice, il suo allievo: Makarios.»
«Maka...rios?»
  Sono sconvolto che un ragazzo pericoloso come quello che mi ha colpito possa apprendere una cosa simile. La mia immaginazione mi porta a figurare un futuro scontro con lui. Un colpo che distrugge la mente...Come ci si difende da un attacco simile?
«Inazuma, un'altra cosa: evita Makarios il più possibile.»
Un lungo sospiro di Eirene segue la frase di Rhadia, facendolo trasalire.
«Non dovresti parlare così di un tuo compagno, Rhadia. Anche se ha una storia diversa dalla tua, Makarios combatte per la nostra stessa causa e proprio come te vuole diventare un Cavaliere. Non accusare i suoi metodi bruschi o la sua tristezza. Cerca di comprenderlo invece.»
 Rhadia rimane in silenzio e lo stesso faccio io. Vorrei far notare ad Eirene quanto Rhadia abbia ragione, ma non me la sento di contraddirla.
Finalmente Hosoku ci raggiunge e si siede al grande seggio di pietra che a lui è destinato. Ha indossato di nuovo la tunica scura, ma non il pesante copricapo.
«Inazuma, finalmente possiamo dare inizio alla nostra tanto agognata chiacchierata.»
Annuisco.
«Sophos si presentò qui in Grecia oltre un mese fa. Egli aveva già avvertito il peso della minaccia che Ade stava portando al mondo e volle condividere la sua preoccupazione con me. Egli era un maestro di immensa sapienza, per questo fu uno dei primi a ricevere l'investitura di Cavaliere d'Oro. Assieme ad Aldebaran, me e Dhiren, faceva parte dei fondatori di questo Grande Tempio.»
«Un...Cavaliere d'Oro?»
«Sì. Sophos era il Cavaliere d'Oro del Cancro.»
  Mio padre era uno dei Dodici! Com'è possibile che io non abbia mai visto la sua scintillante armatura dorata? Perché non mi ha mai detto niente? No...forse ci ha anche provato, ma io non l'ho ascoltato. Mi sento davvero in colpa per non averlo fatto. Ora si spiegano molte cose come la consapevolezza di Sarya e il suo legame con Angelòs. Sarya...Chissà cosa penserebbe di me e della mia decisione di diventare un Cavaliere, ora più forte che mai? Sicuramente sarebbe fiera di me, proprio come mio padre. Vorrei che mi vedessero e sentissero le mie scuse per aver sempre ignorato quello che volevano dirmi.
Atena è una creatura concreta ed è qui vicina a me. Solo la sua presenza mi dà sicurezza, serenità e speranza. Non è un mito, non è una storia di sogni lontani: è tutto ciò che di positivo esiste a questo mondo e noi non possiamo permetterci di perderla. Se ciò accadesse moriremmo senza esalare l'ultimo respiro.
«Voglio essere come lui fu» affermo determinato.
«La strada è lunga, piena di insidie e sacrifici, Inazuma, ma puoi percorrerla. La sacra armatura di Bronzo di Pegasus attende il suo degno possessore sin dalla sua creazione. Nessuno ha mai indossato le vestigia del selvaggio e libero cavallo alato nato dal sangue della Medusa, poiché le sue tredici stelle non hanno mai manifestato il loro potere: il Cosmo che ho visto poco fa risplendere alle tue spalle.»
«Il Cosmo di Pegasus?»
«Sì. Quando un Cavaliere brucia il suo Cosmo e lo espande, attinge alla costellazione che l'ha benedetto alla nascita e io, Cavaliere di Libra, supremo giudice degli Ottantotto Cavalieri di Atena, sono capace di distinguere la sua appartenenza. Per questo motivo sono stato nominato come primo Gran Sacerdote della dea.»
Quest'uomo è così potente da riuscire a leggere il mio destino così chiaramente?
«Le stelle di Pegasus ti hanno scelto, Inazuma, perciò ora devi lottare per realizzare il tuo destino. Sarai affidato alla guida di Angelòs che ti insegnerà a dominare il Cosmo che c'è dentro di te.»
Rhadia mi colpisce la schiena con una pacca amichevole.
«Presto saremo compagni di lotta, Inazuma. Vedi di non farmi aspettare troppo» mi dice. Capisco che la sua ostentata superiorità è solo uno scherzo dal sorriso divertito che ha sulle labbra. Alzo il pugno destro e lo stringo.
«Otterrò l'armatura prima di te.»
«Adesso non ti emozionare troppo. Sono qui da due anni io. A meno che tu non sia un genio come Esperante non riuscirai mai a raggiungermi.»
«Non parlare così di lui, Rhadia. Non voglio che si monti la testa, visto che ha ancora molto da imparare» si intromette Angelòs, che assieme ad Esperante si avvicina a noi. Non indossa l'armatura d'oro e il suo viso è disteso in un'espressione tranquilla.
«Perdonate il ritardo, Grande Sacerdote.»
Il Sacerdote alza appena la mano con un gesto tranquillo.
«Non preoccuparti, abbiamo avuto le nostre complicazioni e siamo arrivati in ritardo anche noi.»
«Mi ha informato il nobile Dhiren e mi ha parlato anche di Polluce...»
«Non voglio che se ne parli, Angelòs. È un'opzione che non voglio considerare. Ho revocato il suo esilio soltanto per poter contare sulla sua forza sterminata, ma tuttora non mi fido di lui.»
«Castore ha smesso di proteggere la Terza Casa e...»
«Il mio sesto senso non mi ha mai tradito e ora mi dà la certezza che il Cavaliere dei Gemelli non sia caduto.»
Lo sguardo di Angelòs si sposta per qualche istante su Atena, la quale lo saluta con un sorriso.
«Tuttavia, Angelòs, ti ho fatto chiamare per affidarti Inazuma. Dovrai aiutarlo a diventare il Cavaliere di Pegasus.»
Le labbra del Cavaliere del Sagittario si curvano appena in un sorriso.
«Un secondo allievo? Sarà una bella sfida.»
«Sapevo che non ti saresti rifiutato. Sei l'unico dei Cavalieri d'Oro che trovo adatto a un carattere come quello di Inazuma. Tieni conto che questo ragazzo ha entusiasmo da vendere e non sarà difficile farlo lavorare seriamente.»
«Inizieremo subito, allora. Dopo la manifestazione della dea, tutti gli aspiranti Cavalieri si sono messi al lavoro con più enfasi di prima» commenta Angelòs, mentre mi appoggia una mano sulla spalla e fa lo stesso con Esperante. Inaspettatamente la pressione di quello che sembrava un gesto rassicurante si fa più pesante e mi costringe a chinarmi in avanti. Anche Esperante deve fare lo stesso.
«Ecco una lezione che Esperante è ancora restio a imparare: dovete sempre riconoscere l'autorità della dea Atena e del Grande Sacerdote e omaggiarla con un sentito inchino.»
Pensavo che Angelòs non ricorresse alla forzatura come metodo di insegnamento. Il suo sorriso cordiale e accomodante contrasta con i gesti bruschi per i quali io protesto con una smorfia e Esperante indurendo l'espressione.
Dopo il congedo da Eirene, Rhadia e Hosoku, rimango chiuso in un assoluto silenzio mentre Angelòs e Esperante mi guidano a discendere la scalinata. Attraversiamo di nuovo le Dodici Case mantenendo un'andatura sostenuta, quasi una corsa. Pensavo che avremmo raggiunto l'arena, che ci saremmo confrontati con gli altri miei coetanei, invece la attraversiamo e la superiamo. È deserta, completamente.
 «Dove sono gli altri?» chiedo sorpreso.
«Ognuno si allena in un luogo differente. L'Arena viene utilizzata solo per i confronti ufficiali e come platea per le cerimonie. Il territorio montuoso attorno al Grande Tempio è il vero campo d'addestramento. Soltanto le sacerdotesse guerriere hanno il diritto di utilizzare un luogo all'interno delle mura.»
Le sacerdotesse guerriere! Sarya! Lui sa dov'è Sarya!
«Angelòs! No, nobile Angelòs, volevo farvi una domanda.»
«Dimmi.»
«Dov'è mia sorella? Non la vedo da tre giorni e sono molto preoccupato per lei.»
  La mia domanda lo sorprende, ma cosa più curiosa è l'espressione di Esperante.  Il suo sorriso ampio e lo sguardo assottigliato mi danno l'impressione che lui sappia qualcosa che non so.
«Sarya...ehm. Sì, Sarya sta facendo il suo percorso per diventare Cavaliere d'Argento della costellazione dell'Aquila. Si sta allenando con Megara, Cavaliere d' Argento della Costellazione della Corona Boreale.»
«E a volte viene ad allenarsi anche con noi, vero Angelòs?»
Angelòs annuisce, visibilmente impacciato alle parole di Esperante e si lascia andare a una risatina sofferta. Sono felice di avere la possibilità di vederla, ma la mia allegria è smorzata dalla perplessità che mi suscitano le reazioni del mio maestro al nome di Sarya.
«È successo qualcosa con lei?» chiedo confuso.
«No, no! Solo mi fa piacere ricevere le visite di Sarya. Siamo amici da anni, Inazuma.»
«Amici» fa eco Esperante, prima di portare una mano alle labbra in modo da nascondere una risatina.
«Smettila, fratello» gli ordina bruscamente il maestro e lui si immobilizza immediatamente, come se fosse diventato un pezzo di gesso.
«Ora basta chiacchiere. Abbiamo moltissimo lavoro da fare» dice il Cavaliere di Sagitter, scattando in una corsa velocissima a cui fatico moltissimo a stare dietro. Ci lasciamo alle spalle il Grande Tempio e proseguiamo verso un isolato sperone di roccia distante centinaia di metri da esso. Il sentiero che dobbiamo percorrere è scosceso e irregolare. Devo ben guardare a dove metto i piedi, al contrario di Esperante e Angelòs che si spostano con passi sicuri e lesti. Sono l'ultimo a raggiungere la sommità, ma non vengo ripreso per questo, anzi, Angelòs mi aiuta a compiere l'ultimo passo prendendomi per mano. Mi concede qualche istante per recuperare un minimo di regolarità nel respiro, dopodiché mi invita a seguirlo fino a portarmi di fronte a uno scrigno lucente al quale Esperante ha appoggiato la schiena. Il futuro Cavaliere del Leone si sposta quando anche il fratello affianca lo scrigno.
«Questa è l'armatura di Bronzo di Pegasus e sarà tua alla fine dell'addestramento.»
 Mi avvicino a passo lento, fino a poter toccare l'immagine in rilievo. Raffigura il viso del cavallo alato visto da di fronte. Percorro le sue linee con le dita, rapito dalla strana risonanza che questo oggetto ha con la mia anima.
«Pegasus...»
«Esatto. Lui è il tuo destino a quanto pare. Ora non rimane che raggiungerlo il prima possibile.»
 La voce di Angelòs e il sorriso di Esperante sono rassicuranti. Anche se il cammino è ancora lungo, anche se questo mondo tutto nuovo mi spaventa un po', so che è ora di incominciare a lottare per realizzare ciò per cui sono nato.

 

ECATE

Il sole cocente è il nemico naturale della mia carnagione pallida. Camminiamo a rilento lungo la via sterrata che tortuosa si snoda tra i piccoli villaggi fuori dalla Polis. Castore ha smesso la sua armatura che ha assicurato all'interno di uno scrigno dorato finemente decorato con un bassorilievo sulla faccia che posso vedere. Raffigura due bambini identici con lo sguardo rivolto verso chi osserva. Non ho idea di come un corpo umano possa sollevare un peso simile e portarselo dietro per una traversata sotto il sole. Mi piacerebbe chiederglielo, ma non mi parla da quando abbiamo lasciato il tempio di Ares in rovina.  La sua espressione è poco diversa da quella di una statua di marmo e mi dissuade da iniziare qualsiasi discorso. Mi sono lasciata alle spalle il mantello logoro e le fasce che mi coprivano i polsi. Non c'è più niente a coprire la mezzaluna del traditore. Ora sta fiera lì a macchiarmi il braccio. Non so perché ma ho smesso di vergognarmene.
«Ci fermeremo alla prossima locanda.»
«Già stanco?» chiedo con un sorriso esausto.
«Sei tu quella a cui tremano le gambe. Respiri a fatica. Si vede che non sopporti la calura della mattinata inoltrata.»
Tutta la mia buona predisposizione verso Castore sfuma sempre appena inizia a parlare.
«Mi stai dando della debole inetta?» chiedo, risentita.
«Debole, ma non inetta.»
 Faccio schioccare la lingua contro il palato e tiro un profondo sospiro. Castore ha ragione. Mi gira la testa e faccio fatica a proseguire. Non mi dispiace che abbia previsto una pausa, ma di certo non ammetterò a voce di essere già arrivata al limite.
Il sudore mi bagna la fronte e appesantisce i capelli contro di essa. Li tiro indietro con entrambe le mani. Il mio tocco è bruciante e contribuisce a rendermi la situazione ancora più insopportabile.
«Avrei preferito incontrarti in inverno.»
 Con quella frase gli strappo un sorriso anche se debole.
«Io odio l'inverno» mi risponde. «Non mi piace la neve, il freddo. Gli alberi spogli e la natura ghiacciata danno l'idea di un paesaggio morto.»
Io ho sempre amato l'inverno, invece. Mi piace il silenzio, la desolazione, il freddo. I rami spogli mi hanno ispirato le più profonde riflessioni.
Castore si ferma all'ombra di un albero dal tronco contorto. Appoggia a terra lo scrigno d'oro e si siede a fianco ad esso, puntando le spalle contro la ruvida corteccia. Chiude gli occhi per qualche istante che utilizza per inspirare profondamente l'aria odorosa di campagna.
«Approfitta della mia pietà» afferma lasciandomi di stucco.
«Come no?! La tua pietà!» commento urtata, con un sorrisetto sconcertato. Umetto le labbra per quel poco che posso: ho la bocca riarsa dalla sete.
«Ammetti di essere sfinito, invece di dare la responsabilità a me.»
«Non sono sfinito. Potrei arrivare ad Atene in un baleno se solo non avessi una lamentosa palla al piede.»
«Ah sì? Bene allora! Alzati e schizza verso Atene come un lampo impazzito! Io ti seguirò con i miei tempi! Mi fermerò a mangiare, a bere e a levarmi questo schifoso sudore di dosso!»
  Afferro i lembi della casacca intrisa di sudore e la scuoto nervosamente.
«Odio viaggiare a piedi! Se mi fosse piaciuto marciare, mi sarei unita all'esercito di Sparta!»
Inizia a ridere sommessamente, per poi concedersi di sghignazzare senza trattenersi.
«Lo vedi? Sei tu quella che è stanca e si lamenta. Tuttavia, permettimi di dire che come fante di Sparta saresti un vero spettacolo. Ti immagino già con corazza ed elmetto, armata di lancia, mentre gridi come una selvaggia contro il nemico.»
Rimango in silenzio a fissarlo, disarmata. Continua a prendermi in giro in tutta serietà. Parla come se credesse davvero in ciò che dice e questo mi fa ridere.
«Mi stai prendendo in giro!»
«No, assolutamente. Stavo soltanto figurando un tuo eventuale arruolamento tra le fila di quei selvaggi. Ho avuto modo di conoscere uno di loro e devo ancora comprendere il suo modo di pensare.»
«Uno spartano? È un Cavaliere anche lui?»
«Sì. Un Cavaliere d'Oro. Un ottimo guerriero ma un uomo enigmatico, taciturno, insomma, tutto il contrario di te. Pensavo che fossi una donna silenziosa, metodica e dal sangue molto freddo, ma mi sbagliavo. Meglio così.»
Quel "meglio così" mi strappa un sorriso.
«I tuoi complimenti sono molto anticonvenzionali.»
«Complimenti? Non ne faccio. Le mie sono pure e semplici constatazioni.»
Il rumore degli zoccoli e delle ruote di un carro che segnano la strada polverosa interrompe il nostro discorso. C'è un uomo alla guida del mezzo malconcio e al suo fianco siede una donna incappucciata, vestita pesantemente di nero. È ancora abbastanza lontano dalla nostra posizione, ma si ferma quando ci raggiunge.
«Signori, dove siete diretti?» ci chiede. È anziano, vestito di abiti logori, ma il suo sorriso umile e sincero è rassicurante.
«Al villaggio poco distante da qui» risponde Castore, alzandosi in piedi.
«Voi siete...» si lascia sfuggire, quando Castore si avvicina al carro.
«Castore, Cavaliere dei Gemelli» completa lui la frase. «Sembrerò scortese, buon uomo, ma ho un favore da chiedervi.»
L'anziano sbatte le ciglia un paio di volte, sorpreso.
«C'è un posto per me e la mia apprendista sul vostro carro?»
«Voi e la vostra apprendista? Sul mio carro, nobile Castore? Il mio carro è solo quello di un contadino. Dovrete sistemarvi tra le otri di vino e ...non credo sia adatto alla vostra nobile persona.»
Il vecchio non fa in tempo a parlare che Castore è già salito sul carro portandosi dietro lo scrigno dorato e sta tendendo la mano destra verso di me.
«Sarà come il carro di Febo per me. Non preoccupatevi, buon uomo.»
 Sotto lo sguardo sconcertato del carrettiere salgo sul carro anche io e vado a sedermi tra le otri. Ho un bisogno esagerato di riposarmi.
«Siete sicuro?» chiede lo sconosciuto.
«Certo come non sono mai stato.»
«Allora sarà un immenso piacere offrirvi un servigio. Vi porterò al villaggio in un baleno!»
 Sollevo un sopracciglio e rivolgo un'occhiata complice a Castore. Tutti e due pensiamo che il vecchio ronzino non si sposterà alla velocità del tuono.
Lo schiocco della frusta fa muovere i primi passi all'animale. È lento e affaticato ancor più di prima.
«Perdonatemi la scortesia, nobile Castore. Non mi sono presentato! Sono Menelao, un contadino del villaggio di Klesos e questa è mia figlia Callisto. Mi scuso per lei, ma non può mostrare il viso a nessuno.»
«Come mai?» chiedo.
«Il suo è un voto» mi risponde. Io e Castore ci scambiamo una fugace occhiata. Cala il silenzio tra noi finché il mio compagno di viaggio non porta il discorso su altri lidi.
«Ho lasciato queste terre in pace dopo una lunga invasione di traci. Spero che quei barbari non siano tornati.»
 Lo fisso intensamente con le sopracciglia aggrottate. Vorrei ringraziarlo per il complimento che ha fatto ai miei simili, ma il lungo sospiro del vecchio mi dissuade dal farlo.
«I traci sono stati un piccolo imprevisto vicino a ciò che sta succedendo ora. La morte è giunta feroce a reclamare le vite di molti di noi attraverso uno strano morbo che svilisce il corpo senza lasciare segni fino a privarlo del soffio vitale.»
«Un'epidemia?» chiedo, balzando in piedi. Durante il mio sacerdozio al tempio di Ares ho visto morire decine di donne per colpa di una malattia aggressiva che toglieva loro il respiro. Ho già sentito il peso dell'impotenza che comporta il non potersi difendere da un nemico impalpabile.
«Non è esattamente un'epidemia. Essa può essere placata e...»
 L'anziano contadino rivolge una lunga occhiata alla donna incappucciata.
«Mia figlia è l'unica a poterlo fare.»
«Una fanciulla sola contro una malattia letale? Dove sono finiti gli uomini di Klesos? La loro dignità è forse perita con la paura?»
La domanda di Castore sembra più che altro un rimprovero.
«Nobile Castore noi...non abbiamo altra scelta. Nemmeno un impavido Cavaliere di Atena come voi potrebbe...»
«Fatemi provare, spiegandomi ogni cosa.»
 Chiudo gli occhi e tiro un profondo respiro. A detta di Castore, abbiamo fretta di raggiungere Atene e lui non fa altro che rallentare la marcia offrendo i suoi servigi anche a questo straccione. Non credo che un villaggio sperduto come Klesos sia determinante in tutto il tumulto che sta sconvolgendo il mondo. Perché soffermarci?
«Nobile Castore ma...» dice il vecchio, con un sorriso timido, appena visibile sulle labbra. Ormai è sicuro che otterrà l’aiuto che finora si è vergognato a chiedere. Non so perché ma questo dettaglio mi infastidisce.
«Non provate a dissuadermi. Io sono un Cavaliere e il mio compito è quello di liberare gli oppressi. Solo così posso guardare in faccia la dea senza vergognarmi della mia negligenza.»
La sua risposta mi lascia senza parole e senza fiato. La determinazione con cui si è espresso ha gelato le mie intenzioni. Anche se io non capisco come faccia a essere così convinto, lo ammiro. Pensavo che questo tipo di eroi esistessero solo nei racconti degli aedi, ma a quanto pare la realtà ha di gran lunga superato l'immaginazione con lui. Vorrei considerarlo un idealista, un ingenuo incurabile, ma è come se i suoi principi così cristallini e chiari mettessero a nudo la limitatezza del mio pensiero. Brilla di una luce accecante che avvolge il buio del mio opportunismo e la cecità del mio cammino senza meta.
Arriviamo a Klesos quando il sole sta già percorrendo la sua parabola discendente. È meno cocente, anche se il terreno polveroso emana il calore accumulato e rende l'aria irrespirabile. L'erba è stata seccata, quasi riarsa dalla calura, e fruscia sotto i nostri passi come foglie secche. Callisto ci invita ad entrare all'interno di una piccola casa dalle mura bianche. L'arredo è rozzo e minimale, ma c'è un'atmosfera accogliente che ci avvolge. Il vecchio Menelao si ferma sull'uscio e rivolge un'occhiata nostalgica ai meravigliosi tralci della vite che cresce attorno alla sua casa.
Callisto mi porge una coppa di acqua fresca e io non esito a bere, spegnendo l'arsura che mi ha bruciato la gola finora. Anche Castore fa lo stesso, sebbene in maniera più pacata.
«Ora che siamo al sicuro tra le mura di casa vostra, smettiamola con le chiacchiere da taverna e andiamo al dunque. Che cosa dovrebbe fare vostra figlia per placare l'epidemia?»
«Discendere negli Inferi.»
Io e Castore ci fissiamo sconcerti. Questa volta anche lui ha le labbra schiuse a causa della sorpresa.
«C...cosa?» chiede.
«Sono nata con un destino particolare» risponde la ragazza, accarezzando le spalle del padre, che scosso da un singhiozzo, decide di rimanere in silenzio.
«Prima della mia nascita, il Dio della Morte, Thanatos annunciò a mio padre e a mia madre che avrebbero dato alla luce la reincarnazione vivente della dea Persefone, la sposa di Ade uccisa da una macchinazione di Ares.»
I miei occhi saettano dal viso di Callisto a quello di Castore.
«Quando venni al mondo, Thanatos tolse la vita a mia madre, in modo da proibire che si verificasse lo stesso contenzioso che ci fu ai tempi del mito tra Ade e Demetra, la genitrice di Persefone, e fece giurare a mio padre che al mio sedicesimo anno di età egli mi avrebbe consegnato ad Ade. Il signore dell’Oltretomba sarebbe venuto a prendermi con la sua quadriglia trainata da cavalli neri come la notte nel bosco non lontano da qui dove è eretto un vecchio santuario in rovina a lui dedicato. Nel regno dei morti non avrei conosciuto lo scorrere del tempo o il tocco aspro della vecchiaia, ma sarei sempre rimasta separata per sempre dalla luce del sole.»
La ragazza si china a dare un leggero bacio sulla guancia del padre.
«Mio padre mi salvò. Non mi portò mai in quel tempio e per atroce vendetta, il dio Thanatos iniziò ad uccidere gli uomini e le donne di Klesos. Più volte si presentò a noi, intimandoci di adempiere al patto, ma finora...mio padre si è sempre rifiutato. Sono passati due anni dal mio sedicesimo compleanno e la popolazione di Klesos si è dimezzata. Gli anziani non credono al motivo di questa moria, per questo pregano ogni giorno per l'intervento di Atena e della sua giustizia. Sono ignari e uno dopo l'altro periscono per colpa mia...Non posso più accettarlo e anche se questo distruggerà mio padre, la persona che più amo al mondo, stasera stessa io discenderò negli inferi.»
Gli occhi scuri di Callisto si velano di lacrime che evadono dagli occhi non appena lei sorride.
«Ho dato un ultimo saluto al sole e alla città. Sono pronta a lasciarmi tutto alle spalle.»
«Non succederà» sentenzia Castore. Il suo tono di voce è deciso, ma suona strano, quasi beffardo. Lo scruto con attenzione e vedo un mezzo sorriso fiorirgli sulle labbra. Non capisco.
«Questo scambio non avverrà.»
Guardo Castore perplessa, mente le parole di Ares risuonano nei miei ricordi. Lui non sta aspettando altro che il confronto con Ade.
«Che cosa?» chiede interdetta Callisto.
«Datemi la possibilità di riposare e rifocillarmi. Stasera vi accompagnerò al tempio e lì chiuderò la faccenda.»
Menelao e Callisto ci offrono un buon pasto e un posto in cui dormire. Castore riposa nella stanza del vecchio, mentre io in una piccola anticamera adiacente a essa. La preoccupazione mi rende inquieta. Il mio corpo ricorda la potenza inaudita del Cosmo di Ares e non posso fare a meno di pensare che quello di Ade lo eguagli e forse lo superi. Se Castore si opponesse a lui, quante probabilità ci sarebbero di vederlo tornare? Lo conosco da poco eppure...non accetto che finisca tutto qui, in questo sperduto angolo di Grecia. Mi giro e mi rigiro sullo scomodo giaciglio, finché una forte nausea non mi costringe ad alzarmi. Provo a trattenere i conati di vomito, ma non ci riesco. Sono intontita e percepisco i rumori ovattati. Le mie membra sono intorpidite, almeno fino a quando non rimetto un'altra volta.
Odo il rumore di passi provenire dalla stanza accanto. Barcollo fino a raggiungere il giaciglio di Castore. Callisto è seduta al suo fianco e senza nemmeno voltarsi verso di me canticchia una vecchia canzone, simile a una nenia. Ricordo quelle note: fanno parte di un antro lontanissimo della mia memoria relegato all’infanzia.
Il suo capo è scoperto e sulla fronte spicca una stella a sei punte, tracciata sulla pelle da una luce violacea. La sua mano destra è sospesa sulle labbra di Castore e su di esse lascia scivolare una polvere  dorata.
«Sei già sveglia?» mi chiede, con un sorriso divertito sulle labbra.
«Allontanati da lui!» ringhio a denti stretti.
«Dovevo immaginarlo che con te non funzionassero i veleni né i sonniferi, Ecate di Tracia. Mi dispiace che al contrario del Cavaliere di Gemini tu non possa assaporare una morte dolce. Eppure avevo preparato tutto per te. Significa che dovrò ucciderti in modo barbaro.»
Ho già visto questa donna, mi ricordo i suoi lineamenti, eppure non riesco a ricondurre il suo volto a un nome.
La penombra della stanza nasconde un'arma metallica che tintinna non appena il braccio destro di Callisto affonda nell'ombra. Si alza in piedi. I lunghi capelli neri e lisci scendono ordinati fino alle sue cosce. La fiamma spenta del braciere torna ad ardere illuminando il grosso tridente nero che lei stringe nella mano sinistra, mentre io sollevo un angolo della bocca in un sorriso sghembo.
«Credi di impressionarmi con quel coso? Non temo nessuna arma.»
 Sollevo il braccio destro sopra il capo. Chiudo appena le dita e lascio che le mie unghie si trasformino in artigli. Le carico del potere del mio Cosmo che muta di colore e dal bianco assume un colorito violaceo.
«Ti taglierò in due prima che tu possa anche solo torcerci un capello!»
 Scatto verso di lei con un balzo e traccio un fendente verticale con le mie unghie, ma non colpisco altro che il tessuto dell'abito nero di Callisto. I suoi spostamenti sono rapidi, anche se non come quelli di Castore, quello che le basta per raggiungere le mie spalle. Mi volto in fretta, e paro l'affondo del tridente con il braccio destro. Le tre lame trafiggono la carne, la trapassano e si fermano a pochi centimetri dal mio viso.
«No...» mi lascio scappare dalle labbra oltre a un lamento. Callisto prova ad estrarre l'arma dalla mia carne, ma io glielo proibisco, serrando la mano libera sull'impugnatura nera.
«Lascia andare il tridente!» mi intima lei.
«No...nemmeno da morta!»
 Una scarica bruciante di energia percorre le lame e mi rendono insopportabile il dolore, costringendomi a gridare. Anche se la mia stretta si allenta, non si scioglie del tutto. Il braciere si spegne di colpo, catapultandoci nel buio della notte.
Odo soltanto i nostri respiri per qualche istante, mentre inizio a percepire l'espandersi di un Cosmo mostruoso. L'ho già avvertito, lo conosco e anche se non mi è ostile mi atterrisce. Il braciere si riaccende con una fiamma violacea che diffonde una luce sinistra in tutta la stanza. Il giaciglio ora è vuoto.
Callisto riesce a liberare il tridente e ferisce anche le dita della mano con cui lo trattenevo. Vedo il suo viso contorto da un'espressione preoccupata.
«Dove sei?» chiede con un grido, agitando il tridente. I suoi occhi si posano su di me e subito dopo mi rivolge contro le lame lucenti.
«Facciamo così, Gemini. Palesati o Ecate di Tracia morrà trafitta. È inerme, indifesa e si dia il caso che è anche il mio obiettivo.»
«Se è morire ciò che ti preme, ebbene mi farò palese. Spero solo che tu non ti penta» riecheggia la voce di Castore da ogni direzione, come se si trovasse in più punti attorno a noi. Lo vedo, si trova alle spalle di lei, ma Callisto sembra non accorgersene. Continua a guardarsi intorno con gli occhi sgranati.
«Com'è possibile che tu sia dappertutto? È un'illusione!»
La vedo menare colpi a vanvera, ogni volta sempre più aggressivi. Le tre lame sono illuminate da scariche violacee che Callisto rilascia a ogni impatto, lacerando il muro che ci separa dall'esterno fino ad abbatterlo.
«Ti troverò e ti strapperò il cuore dal petto! Non hai idea di chi ti stai prendendo gioco!»
«L'importante è esserne convinti, Callisto, o chiunque tu sia. Pensavi davvero che avessi creduto alla storiellina strappalacrime che tu e quel vecchio imbroglione ci avete raccontato?» afferma Castore divertito, mentre lentamente si avvicina a me, ignorando la donna confusa.  
«So che il tempismo non è perfetto» mi dice sottovoce.
«È solo un graffio» minimizzo.
  Le mani di Castore premono sulla mia schiena e mi obbligano ad abbassarmi. Un istante, uno solo, e il tridente di Callisto si abbatte sulla parete vicina a noi, distruggendola.
«Non è uno sciocco trucco a potermi ingannare a lungo» afferma Callisto, mentre insieme ci solleviamo impolverati dal muro ridotto in briciole. Castore scompare dal mio fianco, scattando verso di lei a una velocità che non riesco a seguire. Lo vedo immobilizzarsi a poca distanza da Callisto. Il pugno caricato dal suo Cosmo dorato dista pochi centimetri dal capo della donna.
«Questo Cosmo...»  mormora appena a denti stretti.«Non pensavo che dietro tutto questo…ci fosse…»
  Callisto tende un braccio in direzione del suo tridente che, come afferrato da dita invisibili, raggiunge la sua mano.
«Che pessimi ospiti. Mi hanno distrutto casa» commenta la voce di Menelao, sorprendendo tanto me quanto Castore, immobilizzato nella sua posa di attacco. Spostiamo lo sguardo sulla sagoma dell'anziano che raggiunge il fianco di Callisto. La vediamo contorcersi e modificarsi, allungarsi e ampliarsi, mutando in quella di un uomo molto più alto di Castore, vestito da una splendente armatura nera. È giovane, bello, di una bellezza ultraterrena. Il suo Cosmo violaceo è ampio, soverchiante e brillante e illumina i capelli argentei, lucidi come se fossero di cristallo. I suoi occhi non hanno pupille e l'iride d'argento riflette la luce in una tonalità affascinante e allo stesso tempo letale. Il coprispalle dell'armatura è voluminoso e si prolunga in una splendida coppia di ali lucide e nere come la notte. Non è un essere umano. No, non lo è.
«Thanatos…» mormora Castore, cercando di liberarsi dalla paralisi.
«Oh! Incredibile che tu mi abbia riconosciuto. Ma certo...è vero quello che dicono: sei la reincarnazione di un dio e hai i suoi ricordi. Stavo per ricredermi quando ti ho incontrato. Sei stato così ingenuo che mi hai quasi fatto una gran tenerezza. L'impavido Cavaliere che difende gli oppressi! Quanto sei caduto in basso, Ares?»
«Io non sono un ingenuo. Avevo capito che qualcosa si nascondeva dietro tanta gentilezza…Ho avvertito uno strano Cosmo ma…non pensavo che fossi tu. E poi ricorda: io...non sono Ares!» afferma Castore, mentre con uno sforzo titanico abbassa il braccio e riprende la postura eretta. Il suo Cosmo dorato lo abbraccia e si espande.
«Io sono Castore, Cavaliere d'Oro dei Gemelli e...non temo nemmeno il Dio della Morte.»
«Porta rispetto al sommo Thanatos!»
Callisto rivolge il tridente verso Castore. Dalle sue lame partono le scariche violacee che tentano di stringersi attorno al corpo del guerriero dorato, ma senza successo.
«Io rispetto soltanto la dea Atena. Non riconosco questo assassino come una divinità.»
L'espressione divertita di Thanatos cambia radicalmente in una smorfia di disgusto.
«Come osi , misero verme?»
«Oso perché ho visto come hai ridotto questo luogo, oso perché i miei pugni gridano la sete di vendetta delle vite spezzate da te.»
«Se il sommo Ade non me lo avesse proibito, ti avrei già fatto a pezzi, come suggeriva Pandora.»
«Pandora...?» balbetto io, sconcertata. «Quella è Pandora?» grido. Un ricordo balena nella mia mente: risale a oltre quindici anni fa. Era una giornata calda come questa. Vivevamo nelle rovine della nostra umile casa. Sopravvivevamo grazie alla gentilezza delle donne della casa di tolleranza adiacente alle mura del nostro rifugio. Eravamo sole contro il mondo, io e lei, preparate a non separarci mai. La notte aveva già fagocitato il giorno e le nubi coprivano il firmamento stellato. Mia sorella Calypso era accanto a me, stanca, quasi addormentata. Io le accarezzavo i capelli in modo da farle conciliare il sonno. Entrambe sentimmo uno strano canto. Certo, quella canzone! Sì! Quella che questa donna cantava a Castore addormentato! Mentre io ero confinata a letto da un torpore che mi immobilizzava le membra, mia sorella si alzò in piedi, come se fosse ipnotizzata da quella melodia. I suoi lunghi capelli neri e ricci danzavano nell'aria alla dolce carezza della brezza della sera. La vidi uscire e fermarsi di fronte alla figura di una ragazzina. Quest'ultima era piccola, vestita da un bellissimo abito nero. Sicuramente era la figlia di una famiglia ricca. Che faceva nel quartiere popolare? Emanava un'energia oscura che mi toglieva il respiro. "Il mio nome è Pandora" le sentii dire e la vidi porgere un anello nero, splendente come le pietre degli inferi a Calypso. Lei, senza espressione, persa in chissà quale ricordo, lo indossò e dopo avermi rivolto un'occhiata triste, sparì dalla mia vista, scivolando nel buio in compagnia della misteriosa Pandora. Da allora non la rividi mai più.
«Pandora!» grido ancora più forte e, mossa da una furia cieca rinata dal ricordo, scatto contro di lei con gli artigli estratti e caricati di energia. La mia corsa viene interrotta bruscamente da una forza mostruosa che non solo mi immobilizza ma mi schiaccia a terra. Anche Castore cede al peso della pressione, ma oppone resistenza e rimane in piedi, anche se con le ginocchia piegate. È il potere di Thanatos, il potere di un Dio.
«Gli esseri umani devono fare soltanto una cosa di fronte a lui: inginocchiarsi» spiega Pandora, con un ghigno fastidioso sulle labbra.
«Dove l'hai portata? Dove hai portato Calypso?» le chiedo, disperata.
«In un luogo sicuro» risponde, rilassando l'espressione. Sposto lo sguardo dai suoi agli occhi argentei di Thanatos. Lui non mi presta attenzione, non la presta a nessuno di noi due, ma si intromette nel discorso.
«Davvero mi addolora di non poter concludere questo incontro togliendovi la vita, ma è Ade a decidere. Siete suoi, danzate sul suo palmo, non sul mio. Il mio compito è solo quello di portarvi un messaggio dall'imperatore degli inferi.»
Thanatos distende un braccio e compie un giro completo su se stesso. Centinaia di piccole fiamme violacee si accendono attorno a noi illuminando lo spettacolo turpe di una campagna morta. La vite è secca, gli alberi spogli e raggrinziti. Il verde che ci ha accolto quando siamo arrivati non era nient'altro che un'illusione.
«Ammirate ciò che rimane al passaggio del nostro signore su queste terre, lo spettacolo della pace e del silenzio, della morte.»
Cadaveri e carcasse di animali tappezzano il terreno macchiato dal sangue rappreso. L'odore della decomposizione è fortissimo.
«Pace? Questa è forse la vostra pace?» lo sfida Castore, distendendo le gambe a fatica.
«Noi uomini non la accetteremo mai!»
Alza un braccio in un movimento lento e chiude il pugno. Fa lo stesso con l'altro, subito dopo. Il Cosmo dorato torna ad avvolgerlo.
«E invece lo farete» afferma pacato il Dio della Morte, mentre posa le dita su uno dei pugni chiusi di Castore.
«Perché lentamente la morte divorerà la vita del mondo intero. In tutte le terre conosciute e non si verifica quello che state vedendo, mano a mano che il Cosmo di Ade si diffonde e si fa più potente. Atena è debole adesso, al contrario di noi che diventiamo sempre più forti. Ora ascolta bene, Cavaliere d'Oro.»
Thanatos stringe le dita sul pugno di Castore, strappandogli un lamento.
«Tra tre anni il sole si oscurerà per sempre. La vita avvizzirà e il mondo sarà un...»
«Cimitero a cielo aperto...» Castore completa la frase con un ghigno sulle labbra. Alcune ciocche dei suoi capelli stanno cambiando colore.
«I vostri sogni non sono cambiati nel corso del tempo...e mi hanno sempre fatto ridere...»
«Oh, come se non fosse abbastanza ridicolo un dio che si reincarna in un fragile umano, no Ares?»
La risata di Castore sorprende Thanatos e dopo qualche istante suscita un moto di rabbia in lui. La sua ampia mano si chiude con più forza su quella del Cavaliere d'Oro, tanto che il prezioso metallo che ricopre il dorso si incrina per poi frantumarsi. Corposi rivoli di sangue scorrono sulle dita e sul braccio ancora armato.
«Smettila di ridermi in faccia!» ringhia il Dio della Morte.
«E cosa dovrei fare? Riverirti? Sei soltanto un misero schiavo, un dio così inetto che per paura del potere maggiore di Ade ha deciso di chinare il capo e baciargli i piedi. Che si dica che sono un povero stolto, ma mai si potrà chiamare Ares indignitoso ruffiano.»
«Ancora un insulto e ti farò a pezzi, uomo!»
«E poi che cosa riporterai al tuo padrone, che il suo cagnolino ha tradito la sua fedeltà...?»
Castore articola la sua voce profonda in un grido di dolore, prima di cadere in ginocchio. La sua mano è ancora stretta tra le dita di Thanatos. Il dio costringe l'arto a compiere un movimento irregolare, a torcersi fino a quando il rumore dell'osso rotto non intervalla i lamenti del Cavaliere.
«Lascialo andare» dico piano, con la voce che trema dalla paura come il resto del mio corpo. Perché negarlo? Io ho paura. Se Castore, no Ares, sta subendo la potenza inaudita di Thanatos, che cosa posso fare io? Assolutamente niente.
«Che cosa hai detto?» mi chiede Pandora, sfiorando i miei capelli con la punta del tridente.
«Voglio che...lo lasci andare.»
 Non replica alle mie parole. Con un movimento grazioso e pacato si inginocchia di fronte a me.
«Non sei in condizione di volere nulla.»
Il Dio della Morte compie un mezzo giro attorno a Castore. Si ferma al suo fianco e dopo aver posato il piede sulla sua gamba destra, all'altezza del ginocchio, preme con forza, fino a distruggere il gambale dell'armatura d'oro.
  Pandora ride al prolungato grido del Cavaliere dei Gemelli, prima di alzarsi in piedi e sistemare i capelli con un gesto rapido della mano. La sua espressione muta e da vagamente divertita si vela di preoccupazione.  Smetto di prestarle attenzione e prendo a strisciare a terra verso Castore di cui non sento che il respiro affannoso. I suoi capelli sono tornati ad essere blu.
«Scena a dir poco commovente, donna» commenta Thanatos. «Gli umani che strisciano sono quelli che hanno capito il loro posto alla perfezione.»
 Lo ignoro e continuo ad avanzare finché non raggiungo Castore. Poso la mano sinistra sulla sua spalla.
«Castore...» mormoro con un filo di voce, rotta da un pianto che non vorrei.
Un nuovo immenso Cosmo si aggiunge a quello già invalicabile di Thanatos, un potere della stessa natura, soltanto ancora più schiacciante. Sollevo appena lo sguardo e mi trovo a guardare un altro uomo altissimo. Il suo viso è identico a quello del Dio della Morte, soltanto che è oro il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli. L'armatura che indossa è finemente decorata da parti dorate e sulla schiena non ci sono ali, ma le piume metalliche di una grande coda di pavone poste a raggiera. La sua espressione rimarca un controllato disgusto.
«Thanatos, che cosa significa tutto questo?» tuona il nuovo arrivato. «Dovevi portare un messaggio senza alzare un dito sui Cavalieri di Atena. Sai quali sono le disposizioni del sommo Ade. Solo gli Spectre possono sporcarsi le mani di sangue mortale. E poi...questi non sono che pedine. Se proprio devi infrangere una regola, aspetta di avere Atena come preda. Sei davanti a una donna insulsa e un uomo che...non riesce nemmeno a vincere il suo dissidio interiore.»
«Smettila, Hypnos» lo interrompe il Dio della Morte. «Non sono stato io a organizzare tutto, ma Pandora.»
«Il tuo modo di mascherare i tuoi errori è imbarazzante. Ringraziami, piuttosto, per averti salvato da te stesso, fratello. Il giudizio di Ade per chi disobbedisce non è mai indulgente.»
Hypnos...il Dio del Sonno. Conosco bene le sue origini, anche se mai avrei pensato di guardarlo negli occhi. Egli domina il riposo ed è padre dei quattro dei del sogno. La mente dell'uomo non ha segreti per lui. Al contrario di Thanatos, non trasmette ira, né odio.
«Spero che mio fratello vi abbia informato di ciò che è il perfetto disegno del sommo Ade, oltre che a ridurvi in questo stato pietoso. Vi saremmo grati se...in qualche modo, riuscirete a portare la lieta novella alla vostra dea. Immagino che in quelle condizioni non vi sarà semplice, ma confido nella resistenza dei ratti mortali.»
«Atena...sa già che deve fare...solo una cosa: schiacciare Ade, proprio come si fa con un serpente, perciò... lo farà» replica Castore.
«E come, mortale?» chiede Hypnos. «Il suo esercito è imbarazzante, visto che tu sei uno dei più forti e giaci a terra con un braccio e una gamba spezzati. Mi basterebbe un dito per romperti l'osso del collo.»
«Sommo Hypnos, sommo Thanatos, perché non ucciderli? Quella donna è la sorella di ...»
«Di?» chiede incuriosito.
«Persefone, la divina consorte di Ade!»
«Oh, allora questo cambia tutto. Tu lo sapevi, Thanatos?»
«Certo che lo sapevo. Pensavi che mi spostassi per giocare al gatto con il topo con questi inetti? L’equilibrio di questa incarnazione di Persefone è instabile e un contatto con i ricordi della sua miserevole vita mortale potrebbero complicare ancora le cose. È meglio estirpare subito l’erbaccia, non pensi?»
 Ora avverto ostilità nel Cosmo immenso di Hypnos, una sensazione che mi raggela il sangue nelle vene.
«Stringi la mia mano, Ecate e non lasciarla per nessun motivo» mormora Castore. Io avvicino le dita alle sue, ferite e intrise di sangue. Le sfioro e dopo un attimo di indecisione le stringo.
« E non pensare di finirli tu, Hypnos! Io ho iniziato l'opera e io la chiuderò. Con un solo colpo li ridurrò in briciole. Non verserò un'altra goccia di sangue, utilizzando l'Infausta Provvidenza.»
«E tu non saresti quello che gioca al gatto col topo assieme ai mortali, eh?»
Il sorriso di Hypnos è tenue ma agghiacciante e fa eco perfetto a quello identico del fratello.
«Non importa. Ade è contrario al nostro coinvolgimento diretto, ma immagino che anche lui stesso si libererebbe di un intralcio come lei. Non rischierebbe mai di perdere Persefone. Provvedi, fratello. Cancellali da questo mondo» sentenzia. «È il male minore» conclude, per poi voltarsi e compiere alcuni passi verso la notte, fino a diventare parte di essa.
«Per la prima volta devo ringraziarti, Hypnos» ghigna Thanatos, piegando tutti e due i gomiti e unendo i polsi. Chiude appena le dita, concentrando tutto il suo immenso potere tra i palmi posti a coppa.
«Adesso...» dice Castore sottovoce.
  Il suo Cosmo si espande ancora e ci avviluppa entrambi, lasciando stupito il Dio della Morte.
«Non preoccuparti di difendere te stesso, Castore dei Gemelli! Non c'è essere umano che può sfuggire all'Infausta Provvidenza!»
«Ti sbagli...Io posso farlo e ti prometto, Thanatos, che la prossima volta che i nostri sguardi si incroceranno...pagherai caro ciò che mi hai fatto.»
 Thanatos ride delle parole di Castore, mentre sposta entrambe le braccia di lato, caricando il colpo che rilascia, distendendole verso di noi. Un fascio di energia inaudita ci investirà!
«Dimensione Oscura» sussurra Castore.
Per un istante i miei sensi perdono qualsiasi percezione. Mi sento perduta, sospesa nel nulla, senza più coscienza nemmeno del mio stesso corpo. È una sensazione terribile, il vero nulla, la negazione di ogni cosa, quella che sento. Nonostante il dolore torni a farmi visita, sono felice di riaprire gli occhi sotto il cielo stellato dopo qualche interminabile istante. Al mio fianco c'è Castore, disteso a terra sull'erba indurita dalla giornata calda. La mia mano è ancora stretta alla sua. I suoi occhi sono appena schiusi.
«Non ho idea di dove siamo. Spero vicini al Grande Tempio. Ferito in questo modo non riesco a controllare bene il potere della  Dimensione Oscura. La mia è una tecnica di attacco che scaraventa l'avversario in una dimensione parallela nella quale egli sperimenta la sensazione del nulla. Chiunque abbia subito quel colpo non è più riuscito a tornare indietro: si è perso nel nulla o è finito lontano, in qualche luogo inospitale al quale non è sopravvissuto. È la prima volta che uso la Dimensione Oscura su me stesso. Avevo paura di non uscirne, invece...»
«Invece ha funzionato…Sei riuscito a salvarmi la vita ancora una volta. Ancora una dannatissima volta. Il mio debito con te si allunga a dismisura.»
 Anche se tento di sorridere mi tremano le labbra su un singhiozzo che sono stanca di trattenere. Ho voglia di piangere per la mia inettitudine, per la sorte di Calypso, per le ferite di Castore. Ho voglia di piangere perché non so che cosa posso fare per oppormi a quella forza esagerata che ho visto. Non ho armi dalla mia se non questi artigli ridicoli e tante parole non dette. Mia sorella minore è Persefone? Era questo ciò che le disse Pandora a quel tempo? E lei era consapevole di quello che il destino le aveva riservato? È chiaro che sia questo il vero motivo per cui si è lasciata alle spalle la sua miserevole vita in mia compagnia. Persino il Re degli Inferi è una migliore guida rispetto a me. Sono confusa, delusa da me stessa e completamente distrutta.
«Piangere non serve assolutamente a niente, Ecate. È solo tempo sprecato.»
«Come faccio a non farlo? Eh? Cosa posso fare se non constatare quanto io sia debole e inutile?»
«Pensa a come smettere di essere debole. Agisci in quel senso. Smettila di lamentarti e rimedia alle tue mancanze.»
 Mi tiro seduta e poso una carezza sul suo braccio offeso.
«Non cancellerò mai quello che è accaduto. Mia sorella...mia sorella è al fianco di Ade! Lei che era così pura e gentile! Ho lasciato che me la portassero via! Sono scappata al tempio per espiare le mie colpe ma non ho fatto altro che aggiungerne altre! Ho servito Ares pensando di essere nel giusto, ma ho deluso anche lui! Sono piombata in una profonda confusione senza una via da seguire e quando mi sembrava di scorgerla... Guarda come sei ridotto! Se non fosse stato per me non ti sarebbe accaduto! Se non avessi dovuto proteggere me non saresti stato colpito e quegli infami non ti avrebbero cercato!»
«Infatti. E la prossima volta non ti perdonerò.»
Le sue parole dure, sono rese ancora più taglienti dal suo sguardo gelido. Quegli occhi verdi mi schiacciano il cuore. Sposta il braccio sinistro e posa la mano sui miei capelli, all'altezza della nuca. Avvicina il mio capo al suo, in modo che le fronti si tocchino.
« Ma oramai ci siamo incontrati. È un po’ come quando mi hai detto che avresti preferito incontrarmi in inverno…»
Trova la forza per ridere a quel ricordo buffo. «Difficilmente mi è capitato qualcosa al momento giusto, però…non me la sento di lamentarmi. Non possiamo farci niente e basta. Dobbiamo trovare una soluzione e alla svelta. Smettila di piangere» scandisce ogni parola come se parlasse a un tardo.
«E aiutami.»
  Annuisco, cercando di placare i singhiozzi in tutti i modi. Non ho tempo per perdermi in lacrime inutili. Mi allontano da lui, scivolando via dalla sua presa. Mi alzo in piedi, anche se la debolezza mi fa barcollare. Cerco di concentrarmi e analizzo con lo sguardo il paesaggio che ci circonda.
È poco lontana la grande Polis di Atene. La città dei sogni di decine di uomini e donne. Un luogo quasi leggendario per coloro che come me hanno sempre vissuto ai margini. Le sue molteplici costruzioni e le sue mura si estendono sotto il chiarore della falce di luna che illumina la notte e sono magnifiche come le descrivevano i viandanti che giungevano in terra di Tracia. Inconfondibile è il Grande Tempio posto sul punto più alto di uno sperone di roccia. Sorge fuori dalle mura, oltre un sentiero che costeggia diversi templi minori.
«Atene, laggiù c'è Atene! Castore, ce l'hai fatta! Siamo così vicini da poterla vedere! Il tempio si trova su di una rupe, preceduto da altre costruzioni simili, giusto? Non ci sono mai stata ma la sua descrizione è famosa in tutta la Grecia.»
«Dodici Case, più un edificio vicino alla grande statua della dea si sviluppano attorno a un sentiero che si arrampica sulla roccia.»
 Conto tutti i templi e annuisco più volte. Sono dodici, più un altro ai piedi della statua.
«Sì! Castore, sì! È il Grande Tempio! Ci siamo quasi!» rido attonita come un naufrago che vede la terra dopo giorni di navigazione senza metà.
«Allora vai e chiedi aiuto.»
«Cosa? Io non ti lascio qui da solo con quella ferita.»
«Pensi che la tua sola presenza mi guarisca?»
«Ovvio che no! Ma ti porterò ad Atene trascinandoti via di peso!»
«Che cosa? Credi che un Cavaliere d'Oro si lasci prendere in braccio da una donna? E poi...»
La sua breve risata mi accende di rabbia.
«Credi che le tue esili braccia possano sollevare il peso mio e della mia armatura?»
«No, ma ti libererò di quella corazza e ti porterò lassù in men che non si dica!»
«Non pensarci nemmeno. Un Cavaliere di Atena non abbandona mai le vestigia che lo proteggono. Non hai idea di quanto mi sia costato conquistarle. Il tuo compito è quello di raggiungere il Grande Tempio e...»
«Smettila di fare il grand'uomo, idiota» lo interrompe una voce simile alla sua. Simile? No, identica, ma la notte ne nasconde la sorgente.
«Hai un braccio distrutto, una gamba spezzata e stai perdendo sangue a fiumi. Per quanto possa essere agile e veloce la donna che ti porti a presso, non arriverà mai al Tempio prima che tu possa morire sotto il peso del tuo orgoglio.»
L'uomo si avvicina a noi e senza esitare si china su Castore. Ora la luce della luna lo illumina e mi lascia senza fiato. Sebbene più disordinati, i suoi lunghi capelli sono identici a quelli di Castore. Lo stesso è per il viso e lo sguardo. Il mio cuore perde un battito quando il braccio dello sconosciuto si solleva e si sposta all'indietro. Il dito indice si distende e dopo una frazione di secondo si abbatte sulla ferita aperta della gamba di Castore. Lui lancia un grido di dolore, per poi tacere, tremebondo.
«Ehi tu! Che diavolo gli hai fatto?» chiedo, allarmata.
«Ho bloccato l'emorragia, non tanto perché mi interessa la sua sorte, ma perché voglio smettere di provare fastidio. Io e Castore siamo gemelli e se il corpo di uno dei due viene ferito, anche l'altro subisce dolore. La malasorte ha voluto che le nostre vite fossero collegate sin dall'inizio» spiega, prima di avvolgere il busto di Castore con le braccia e sollevarlo da terra. Lo tira in piedi e obbliga il suo braccio sano a posarsi sulle sue spalle.
«Non volevo il tuo aiuto, Polluce» afferma Castore, bruscamente.
«Né io avrei voluto dartene, ma come ho già spiegato sono stato costretto a trovarti e soccorrerti dal mio stesso corpo.»
«Impiegherò decenni a lavare via l'umiliazione.»
«Niente può farmi più felice.»
  Pensavo che Castore fosse più maturo, per questo non mi aspettavo il suo comportamento  bisbetico e irritante nei confronti di suo fratello che altro non ha fatto che salvarlo. È stata una fortuna che lui ci abbia trovato!
«Chi è la donna che ti porti dietro?» chiede Polluce, incamminandosi verso un sentiero scarsamente battuto con il fratello claudicante appresso.
«Ecate di Tracia. È stata benedetta dal dono del Cosmo e credo sia adatta ad ereditare un'armatura...l'ultima tra quelle d'argento.»
«Cosa?»
«Sì. Mi prenderò io stesso cura del suo addestramento.»
«Tu? Sai bene che è vietato per una donna partecipare agli allenamenti degli uomini. Come pensi di fare? Mascherarti da sacerdotessa guerriera e assistere alle loro zuffe infantili?» chiede ironico.
«No. Ne parlerò con il Grande Sacerdote. Sarà lui a trovare una soluzione che si concili con il divieto.»
Polluce solleva le sopracciglia e si volta verso di me con un sorriso enigmatico sulle labbra.
«Non ti invidio, ragazza. Tra qualche mese maledirai la sorte per non averti strappato la via in battaglia.»
 Senza dubbio questo è il commento velenoso di un uomo amareggiato. Al di là dei modi di Castore e del problema della sua doppia personalità, egli non sembra affatto un mostro infernale. Anzi...probabilmente a me sembrerebbe un salvatore anche se lo vedessi fare strage di fronte ai miei occhi. È brutto da dire, ma è così, lo è stato da quando l'ho visto in quella taverna e continua ad esserlo anche ora. Anche se non lo ammetterebbe mai, c'è qualcosa che lo ha spinto a salvarmi la vita per ben due volte. Sono sicura che è la stessa forza che ha spinto me a compiere questo salto nel buio.
Non voglio separarmi da lui nemmeno quando Polluce lo affida  ai cerusici del Tempio. E proprio quest'ultimo a impedirmi di raggiungerlo, prendendomi per un braccio ferito.
«Non so a che livello di conoscenza tu sia con lui, ma non credo abbia il diritto a seguire le cure a cui verrà sottoposto.»
«Non voglio lasciarlo solo!»
«Non è solo. È in mani di gran lunga migliori delle tue. Non so ancora che cosa vi ha attaccati, ma mio fratello non è il tipo da finire così con poco. Finora non è mai stato ferito così gravemente, forse perché non ha mai avuto una palla al piede.»
«Non ti permetto di parlarmi così» grido tra un singhiozzo e l'altro. Piango di rabbia perché so che ha ragione. Mi lascia andare e mi spinge via bruscamente.
«Sei una donna vanitosa. Quelle come te sono il veleno dei guerrieri, esattamente come i sentimenti che riescono a suscitare negli uomini. Ma la tua infausta interferenza verrà sedata sul nascere.»
«Cosa vuoi farmi? Uccidermi?»
«Metterti al tuo posto. Castore ha detto che secondo lui sei adatta a divenire un Cavaliere d’Argento, ebbene io sono il più forte di quelli presenti al Grande Tempio. Anche Megara, la sacerdotessa guerriero che si occupa delle nuove arrivate mi guarda con ammirazione e farà esattamente ciò che le consiglierò. Nessuna sacerdotessa guerriero gira a volto scoperto e nessuna, sottolineo nessuna, si permette di opporsi agli ordini di un uomo.»
I nostri sguardi si sostengono per lunghissimi istanti, finché una dura voce di donna non richiama l'attenzione di entrambi. Ha i capelli lunghi e neri. Il suo viso è coperto da una pesante maschera di metallo, argento forse. Il suo corpo è fasciato da vesti leggere e maschili e il petto è chiuso in un rozzo rinforzo metallico.
«I miei omaggi, nobile Polluce, come mai mi avete fatta chiamare?»
 «Per fortuna sei giunta prima dell’alba. Iniziavo a preoccuparmi.»
«Chiedo venia. Non ho saputo fare di meglio.»
«Non avevo dubbi, tuttavia non ho il tempo per rimproverarti. Ho ritrovato mio fratello in compagnia di questa donna. Egli era ferito e sembra che anche lei abbia bisogno di cure. Comprenderai che qui non può restare. Portala con te nel luogo che gli spetta e fa in modo che non sconfini da questa parte senza una maschera sul viso.»
«Provvederò subito, nobile Polluce.»
  Senza esitare la donna mi prende per un braccio. Provo a dimenarmi, a protestare. Chiamo Castore a tutta voce e invoco il suo aiuto, ma non ricevo risposta. Mi separano da lui, anche se non voglio. Con i denti stretti ringhio più volte la stessa frase contro Polluce: «Tu non puoi comandarmi!»
   
 
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