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Autore: Kutzie    19/05/2017    6 recensioni
[Johnlock][Post-Reichenbach]
Dal primo capitolo:
"-"Non avrei mai pensato di farti davvero vedere questo album."
John era seduto a gambe incrociate tenendovi appoggiato sopra un grande album rilegato in pelle marrone, ne accarezzava la copertina con lentezza guardandolo quasi con tenerezza e malinconia.
"Non sei mai stato uno da foto, ma quelle poche che abbiamo, o che ho fatto di nascosto, le tengo qui dentro."-"
Dal quinto capitolo:
"-“Tu non hai...Non hai il diritto di intrometterti nella mia vita” sbottò prendendo aria velocemente, cercando di trattenere le lacrime di rabbia e disperazione.
“Mi intrometto nella tua morte! Pensi mi interessi della tua vita?! Ti sbagli Dottor Watson. Ma a lui sì, a Sherlock interessa.”
“Interessava. E non ne sono più molto sicuro da ormai tre mesi” lo corresse l’ex militare dirigendosi vero la porta. “Non seccarmi ulteriormente Mycroft. Resta. Fuori. Dalla mia. Vita.” Scandendo bene le parole aprì la porta con forza.
“Lui non avrebbe voluto tutto questo” disse ancora il più grande degli Holmes.
“A lui non è interessato.” -"
Sette giorni, sette foto, sette ricordi che riconducono a loro.
I capitoli di questa storia sono già pronti e verranno pubblicati settimanalmente, probabilmente ogni Venerdì intorno alle sei.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 7

Giorno 7, Domenica.

Quella mattina Sherlock si svegliò molto tardi, ormai erano le dieci passate, ma era stato tutta la notte a riflettere su quel piccolo scontro avuto con John il giorno prima, quel sentire la sua consistenza addosso anche se solo per qualche secondo lo aveva fatto capitolare in un turbinio di emozioni che lo avevano soffocato. Il luogo in cui viveva non si poteva definire una vera e propria casa, era una stanza abbastanza spaziosa, un piccolissimo angolo cottura del tutto inutilizzato se non per qualche piccolo esperimento chimico, poco lontano un divano che fungeva anche da letto, un piccolo tavolino con vicino due sedie, una cassettiera con la funzione di armadio e infine una porta che separava un bagno grande quanto uno stanzino. A Sherlock quello bastava, qua e là in giro c’erano dei libri, un computer e le scatole vuote di un take away che ogni tanto si costringeva a chiamare per poter provvedere ai suoi bisogni fisici alimentari. Quel giorno sarebbe sprofondato nel suo palazzo mentale fino alle sei, poi avrebbe fatto una doccia e si sarebbe preparato per la sera, quello era un giorno speciale. Il detective si diresse verso i fornelli e mise a bollire dell’acqua per prepararsi un thè, nel frattempo si voltò a guardare la stanza. Se ci fosse stato John gli avrebbe urlato di tutto per il caos che regnava sovrano in ogni angolo dell’abitazione. Sorrise appena ripensando al suo ex coinquilino. Quello era davvero un giorno importante.
Con la tazza in mano si diresse sul suo divano e si sedette a gambe incrociate appoggiando il thè sul tavolino, congiunse le mani sotto il mento. Avrebbe voluto entrare subito nella sua mente ed estraniarsi dal resto, ma un ricordo fece capolino nella sua memoria e si decise di viverlo.

John aveva deciso, doveva capire se quello che sentiva nel petto era amore o semplice affetto. Sì, insomma lui non era Gay. John TreContinenti Watson non era Gay. Eppure c’era quella persona che lo affascinava, lo sbalordiva ogni volta come la prima. Un giorno John tornò a casa dal lavoro e non si sorprese nel trovare Sherlock sulla sua poltrona immerso nel suo palazzo mentale, non si sorprese della risposta mancata del suo coinquilino alla domanda “Cosa mangiamo per cena?”, non si sorprese nemmeno quando avvicinandosi a lui e sussurrandogli la domanda nell’orecchio non ebbe alcuna risposta. Si sorprese però di se stesso quando poggiò le labbra su quelle del suo coinquilino, si sorprese di sentirle morbide e stranamente dolci, si sorprese di sentirle calde e invitanti. Non si sorprese di non avere nessuna risposta da Sherlock e non si sorprese nemmeno quando l’uomo tornò alla realtà non ricordandosi per niente quello che era accaduto. Non si sorprese ma fu felice perchè da quel giorno, ogni volta che vedeva il suo coinquilino in quella specie di trans, posava le labbra sulle sue dandogli cento e cento baci decidendo di tenerlo all’oscuro di quel piccolo e fugace contatto d’amore.
Sherlock non si sorprese della domanda di John sulla cena, non si sorprese quando si avvicinò al suo orecchio e sussurrò la domanda aspettando una risposta. Rimase sorpreso quando vide John posare le labbra sulle sue, rimase sorpreso di quel gesto, rimase rapito dalle sue labbra, rimase stupito di non aver contraccambiato, rimase soddisfatto del suo autocontrollo. Sherlock rimase sorpreso dall’amore di John e da quel giorno decise che non avrebbe mai detto al suo coinquilino che fingeva di andare nel palazzo mentale solo per ricevere il suo bacio.

Sherlock tornò alla realtà sorridendo. Era facile pensare a John, era facile trasformare una giornata brutta in una bella solo pensando a lui. Sherlock l’aveva sempre saputo, fin da quel giorno al Bart’s. Lui amava John Watson. Si rifugiò nuovamente nella sua mente per ingannare la noia e aspettare con ansia le sette di sera.

Quel giorno era speciale. 29 Gennaio, esattamente tre anni dal loro primo incontro in quel laboratorio del Bart’s, due anni e mezzo precisi di storia d’amore. John quella mattina si era alzato e si era diretto in bagno, aveva tirato fuori la schiuma da barba e si era rasato quella peluria di quattro o cinque giorni che aveva preso possesso delle sue guance. Si era spruzzato il suo profumo e dopo essersi vestito con Jeans e maglione, aveva preso la sua giacca ed era uscito sulle strade di Londra. Aveva un sacco di cose da fare quel giorno, tutto doveva essere perfetto. La prima tra tutte era passare a Baker Street. Non ci andava mai volentieri, quel posto aveva ancora il suo profumo, la sua immagine aleggiava nell’aria e se si stava ben concentrati si poteva ancora sentire l’energia dei pensieri di Sherlock. John prese la metropolitana e arrivò al 221B intorno alle dieci e mezza di mattina. Tirò fuori dalla tasca le sue chiavi di casa e aprì la porta.
Destata dal rumore della serratura la signora Hudson, che era in cucina lal piano terra, si precipitò con un mattarello in mano all’ingresso.
“John!” esclamò contenta di vederlo e avvicinandosi per abbracciarlo.
“Salve signora Hudson” ricambiò con un live sorriso la stretta della donna.
Si ritrovarono seduti al tavolo nella cucina dell’anziana donna, una tazza di thè ciascuno e dei biscotti caserecci al centro.
“Come stai John?” chiese la donna con un po’ di apprensione “Ti vedo sciupato”
“Sto bene, sono solo molto stanco, lavoro tanto” disse sbrigativamente prendendo un sorso di thè e sorridendo lievemente cercando di sembrare più rassicurante e convincente possibile.
“So che oggi è un giorno importante” disse la donna andando a posare la mano su una di John che si limitò ad annuire deglutendo.
“Volevo passare a prendere alcune cose su di sopra” disse solo alzandosi.
“Certo, se hai bisogno sono qui sotto” rispose la donna sorridendo quasi con compassione.
John odiava come la gente lo guardava da quando Sherlock era morto, avevano tutti quello sguardo di pietà nei suoi confronti, lui odiava sentirsi compatito. Il povero dottore depresso, reduce di guerra e solo come un cane.
Salì lentamente i diciassette scalini che lo separavano dal piano superiore e non si stupì di sentire quell’odore così famigliare avvolgerlo quando aprì la porta. Mise un piede entrando nel salotto, si voltò a dare uno sguardo al piano superiore dove tempo prima c’era la sua stanza, doveva prendere una cosa da lassù, ma sarebbe stata l’ultima, prima voleva godersi quel piccolo tour della casa; aveva guardato la poltrona di Sherlock per qualche minuto e alla fine aveva preso coraggio e ci si era seduto sopra, era sprofondato nella pelle nera e aveva stretto i braccioli tra le mani chiudendo gli occhi.

John! John Watson!”
John si fermò e si voltò verso l’ omone paffuto che aveva richiamato la sua attenzione.
“Stenford, Mike Stanford. Eravamo insieme alla Bart’s”
“Sì, scusa Mike, ciao” strinse la mano controvoglia e anche con un po’ di fastidio.
“Si lo so, sono ingrassato.” Rise appena.
“No, no” Dio. John odiava tutte quelle situazioni in cui si trovava da quando era tornato dal congedo militare, gente che non vedeva da anni che lo riconosceva per strada e naturalmente...
“Ho saputo che ti sei fatto sparare, che è successo?”

 «Certo. Guarda Mike, non sapevo che fare e allora ho detto “Perchè non fare qualcosa di divertente, sparatemi addosso”.»
“Mi hanno sparato” rispose seccato.
Come era finito su quella panchina con in mano un caffè a raccontare la sua vita a Stanford ancora non se lo ricordava, ma era stato piacevole dopotutto, soprattutto con il senno del poi.
“E tu rimani qui a Londra fino a pronta guarigione?”
“Non posso permetterelo con la mia pensione”
“Harry non può aiutarti?”
“Sì certo” rispose sarcastico.
“Dovresti prenderti un coinquilino per esempio!” suggerì Mike alzando le spalle.
“Ma dai, chi mi accetterebbe?”
Mike ridacchio.
“Che c’è?” chiese John non nascondendo una vena di seccatura.
“Sei la seconda persona a dirmi questo oggi”
John pensò un attimo curioso.
“E chi è stata la prima?”

Un rumore lo fece tornare alla realtà, si alzò dalla poltrona nera e si avvicinò alla cucina, il tavolo ancora ingombrato dall’attrezzatura del detective era ormai impolverata. Sospirò rassegnato mentre si voltava e si accingeva ad aprire la porta di quella che era diventata la loro camera. Il letto era sfatto, reduce dell’ultima volta in cui ci avevano dormito insieme. La signora Hudson non aveva più messo piede al piano superiore se non per chiudere le valvole del gas e dell’acqua, non aveva toccato alcun oggetto decisa a lasciare tutto come era stato abbandonato. Nonostante John avesse vissuto in Baker Street ancora per un paio di settimane dopo la morte di Sherlock, non aveva più dormito nel loro letto, non si era avvicinato alla camera, non aveva toccato nulla che non fosse la sua poltrona.
Spostò gli occhi su ogni angolo della stanza, il lenzuolo ricadeva a lato quasi del tutto a terra, un ciscino era ripiegato in due e l’altro giaceva di traverso in mezzo al letto. La malinconia avvolse il petto di John che sospirò profondamente senza riuscire ad impedire alle lacrime di spingergli sugl’occhi. Quella era la loro stanza, lì dentro aveva dormito insieme per la prima volta, avevano fatto l’amore per la prima volta. John gli aveva detto ti amo per la prima volta tra quelle lenzuola e Sherlock aveva fatto lo stesso anche se inconsciamente. Sospirò e raccolse con dorso della mano una lacrima che era sfuggita dalle sua ciglia e ora gli rigava la guancia. Prese coraggio ed entrò del tutto nella stanza avvicinandosi all’armadio, lo aprì lentamente e un’ondata di profumo accolse i suoi sensi, era l’odore di Sherlock inquinato di una punta di odore di chiuso ma era comunque buonissimo. John prese tra le mani una camicia, quella viola che tanto aveva adorato addosso al suo ragazzo, ogni volta che Sherlock la indossava sembrava che i bottoni dovessero esplodere da un momento all’altro. Più di una volta John si era fermato ad osservare insistentemente quei bottoni sperando si aprissero selvaggiamente per lasciargli libera vista al suo busto magro e pallido.
Il dottore la strinse nelle dita e se la portò al viso aspirandone il profumo. Non si sorpese quando iniziò a piangere sommessamente. Si appoggiò con la schiena alla parete e scivolò fino a sedersi a terra continuando a stringere possessivamente quel capo tra le mani.
Il suo cellulare trillò un paio di volte, ma solo dopo molti respiri ebbe la forza di calmarsi e prendere il telefonino tra le mani.

Cosa ci fa a Baker Street,
Dottor Watson?
MH 11.05 am.

Non mi costringa a farla seguire.
MH 11.13 am.

John sentì un moto di rabbia montargli nel petto, ripose la camicia di Sherlock nell’armadio convinto a non voler rispondere al messaggio. Non erano affari suoi, la sua vita non erano affari suoi. Il telefono trillò nuovamente.

Sto per mandarle un auto.
MH 11.19 am

Se c’era una persona che non voleva vedere quel giorno era proprio Mycroft Holmes, odiava dover essere tenuto sotto controllo da lui, nessuno gli aveva chiesto niente, nessuno lo costringeva, lui non aveva più nulla a che fare con gli Holmes, niente più purtroppo.

Non ti scomodare, sto andando via.
Esci dalla mia vita.
11.23 am JW

Dopo aver invito il messaggio si passò una mano sul viso. Era uscito di case con buone intenzioni, era abbastanza sereno, avrebbe passato una bella giornata a preparare la sua sorpresa per Sherlock, ora invece era tornato di cattivo umore. Si alzò e tornò in sala chiudendo a chiave la stanza da letto e si avvicinò alla scrivania, prese il cappello che il detective tanto odiava ma che ormai era diventata un icona del suo profilo di consulente investigativo. Se lo mise in tasca e si voltò verso il camino, la scatola di Cluedo appoggiata nella libreria a fianco, aprì la scatola e prese le loro due pedine, quella viola e quella gialla, le infilò in tasca anche quelle poi si diresse alla porta, diede uno sguardo veloce all’appartamento e si chiuse la porta alle spalle, guardò le scale che portavano alla stanza superiore. C’era ancora una cosa che doveva prendere.

Sherlock era ancora immerso nel suo palazzo mentale, il thè sul tavolino era ormai freddo ma non si curò di quello, era perso nei suoi pensieri.

Sentì la porta del laboratorio aprirsi e vide Mike entrare con a seguito un uomo, alto un metro e settanta circa, capelli biondi e corti, un bastone nella mano destra e una zoppia lampante.
“Molto diverso dai miei tempi” disse John.
“Mike mi presti il cellulare? Il mio non ha segnale.” Disse Sherlock indifferente.
“Scusa. E’ nel cappotto”
“Oh, ecco. Usi il mio!” disse John tirando fuori il telefonino dalla tasca dei Jeans.
Quello è stato il momento in cui Sherlock si rese conto che nemmeno lo conosceva e già era interessato, invaghito, rapito da John.
“Oh, Grazie” si alzò per prendere il cellulare e iniziò a scrivere velocemente un messaggio “Afghanistan o Iraq?” chiese sentendo Mike pronunciare il nome. John Watson.
“Scusi?”
“Dove è successo, Afghanistan o Iraq?”
“Afghanistan, ma come fa saperlo?”

Sherlock tornò alla realtà disturbato dal trillo del suo cellulare. Sbuffò seccato appena vide il nome del fratello, stava già per lanciarlo lontano da sè quando vide il testo che riportava il messaggio.

John è stato a Baker Street.
MH 1.40 pm.

Guardò l’ora e si stupì fosse già così tardi.

Cosa è andato a fare?
1.41pm SH

A quanto pare a preso il tuo cappello
e qualche pedina del Cluedo.
MH 1.42 pm

Sherlock sorrise dolcemente leggendo il messaggio. John stava organizzando qualcosa per il loro anniversario e la sua eccitazione scoppiò come quando un caso nuovo gli veniva cosegnato. Ora più che mai non vedeva l’ora che fossero le sette.

Ho rintracciato i principali nuclei
terroristici di Moriarty. Partirai la prima
Domenica di Febbraio.
MH 1.53 pm

Sherlock guardò il messaggio e si sentì strano. Era felice da un lato perchè voleva smantellare la rete di Moriarty, questo però significava che erano gli ultimi giorni in compagnia di quell’appuntamento serale con John. Il fatto che non gli avesse detto di essere ancora vivo era semplice. Sherlock non voleva che John soffrisse, in quella missione suicida che stava per affrontare avrebbe potuto perdere la vita in qualsiasi momento. A che pro tornare e dire “Hey sono vivo” se qualche mese dopo gli fosse arrivata la notizia della sua morte?

Perfetto.
Grazie Myc.
1.56 pm SH

C’era dell’affetto in quel messaggio e c’era dell’affetto in quel “Myc” che suo fratello tanto odiava. Quando Sherlock era piccolo era stata la sua prima parola, prima di mamma o di papà, lui aveva detto Myc. Erano legati un tempo, Sherlock voleva bene a Mycroft e gliene voleva tutt’ora, ma le cose erano cambiate una volta quando il più grande dei due era partito per il collage, Sherlock era rimasto da solo e aveva preso una brutta strada. Ora non voleva pensarci, scrollò la testa dei suoi pensieri aspettandosi un sonoro Vaffanculo dal fratello che però lo sorprese.

Ci vediamo in aereoporto Sher.
MH 2.00pm

Sherlock si alzò e preparò dell’altro thè, mise in bocca un biscotto e aprì la cassettiera, voleva scegliere bene i vestiti di quel giorno.

Quando John si incamminò verso il cimitero erano ormai le sette meno un quarto, aveva deciso di vestirsi bene per l’occasione, aveva messo dei pantaloni del completo grigio scuri, una camicia nera e sopra una giacca girgia-azzurra; i capelli che rano tenuti un po’ più lunghi erano tiranti indietro con la riga sulla sinistra, portava al collo la sua borsa grande dove teneva gli oggetti presi il mattino stesso a Baker street e il suo album, in mano aveva un grosso mazzo di rose rosse. Mentre era in metropolitana la gente lo guardava e gli sorideva, probabilmente convinta andasse a fare una sorpresa a sua moglie o alla sua fidanzata. A quegli sguadi John rispondeva con un debole sorriso. Quando arrivò all’entrata del campo santo prese il sentiero che andava ai confini fino al grande pioppo e pensava mentre un piede dopo l’altro si avvicinava al punto di incontro.
Da parte sua anche Sherlock era lì in anticipo, si era sistemato sotto i soliti alberi con quindici minuti di anticipo, aveva messo il suo solito completo nero, la camicia Bordeaux e una cravatta anch’essa nera, il tutto coperto dal suo solito cappotto dal bavero alzato.
“Eccoci qua Sher” disse sorridendo alla lapide, passò le dita sulla pietra scura e si inginocchiò davanti ad essa.
Posò il mazzo di fiori proprio lì davanti.
“So che non ti piacciono queste cose, ma te li avrei regalati comunque oggi. Forse sono più per me che per te” disse ridacchiando appena nervoso.
Aprì la sua borsa e tirò fuori il cappello e le due pedine del Cluedo.
“Ho pensato che non poteva mancare nulla”
Prese l’album delle foto e lo posò accanto ai fiori.
“Beh, buon anniversario Sher” si sporse a baciare le lettere dorate in rilievo.

Sherlock aveva una rosa gialla in mano, l’aveva comprato per John e appena se ne sarebbe andato gliel’avrebbe lasciata sulla tomba così che il giorno dopo l’avrebbe trovata. “Buon anniversario John” disse in risposta sussurrandolo piano.

Il telefono di John trillò sonoramente e lui lo prese. Non poteva essere Mycroft, era riuscito a seminare i suoi scagnozzi per strada. Si sorprese a vedere un messaggio di Greg.

Amico dove sei?
Ti va una birra?
GL 7.20 pm

Non rispose rimettendo il telefono in tasca.
“Sai Sherlock, volevo raccontarti una cosa oggi. Ti ricordi il primo giorno che ci siamo conosciuti?” si fermò attendendo una risposta.
“Sì” sussurrò tra sè e sè il detective.
“Io già ti amavo e nemmeno me ne rendevo conto. Nel giro di un giorno siamo andati a convivere, mi hai portato sulla scena di un crimine e ho ucciso un uomo, tutto per te” rise scuotendo la testa “Per non parlare il modo spudorato e squallido che ho usato per sapere della tua vita privata. Hai fatto palesemente finta per anni di non accorgerti della cotta di Molly, poi arrivo io che ti chiedo se hai un fidanzato e vai nel pallone”
Sherlock si ritrovò a ridere a sua volta da dietro l’albero mentre ascoltava John parlare.
“I tuoi modi velati per farmi capire che volevi la mia compagnia, mi hai chiesto un appuntamento in un modo che io nemmeno mi sono reso conto. Dannazione avresti dovuto chiedermelo in modo schietto, invece abbiamo perso cinque mesi a guardarci di nascosto, sorriderci con gli occhi. Ogni volta che ti guardavo cercavo di non farti notare come le tue labbra fossero una calamita per me.”
“Ero troppo stupido per capirlo io stesso” disse piano Sherlock guardando John di nascosto, sentiva gli occhi inumidirsi.
“Menomale che sai leggere le persone, ed io che speravo leggessi il mio linguaggio del corpo, tutte le volte che mi leccavo le labbra e ti guardavo. Sei un’ idiota Sherlock Holmes.” Rise ancora John.
“Il fatto è che non so come vivere senza di te, lo capisci? Non so più che colore hanno le cose, non sento più niente nel petto, non riesco respirare la mattina. Ho bisogno del mio stupido genio sociopatico e iperattivo.” Prese un profondo respiro e chiuse gli occhi.
“Voglio confessarti una cosa. Prima che ci baciassimo, cioè, prima che tu mi baciassi io l’avevo già fatto. Ti avevo già baciato più volte. Quando sei nel tuo palazzo mentale non ti accorgi proprio di niente eh?” sorrise amaramente.
“Mi accorgo di tutto invece” sospirò lasciando che una lacrima scendesse sulle sue guance.
“Vorrei sentirti ancora Sherlock, sentire la tua voce profonda, baciare le tue labbra morbide, abbracciare il tuo corpo...” si passò una mano sugl’occhi cercando di non piangere.
Il telefono di John trillò di nuovo, prese un grande respiro infastidito e lo tirò fuori dalla tasca.

Capisco sia un momento difficile,
John dove cazzo sei?
GL 7.40 pm

Lasciò il telefono con la conversazione di messaggi aperta, lo lasciò cadere sull’erba verde e non ci badò, gli avrebbe dato qualche sguardo ogni tanto ma non avrebbe risposto, non adesso.
“A volte mi chiedo come tu possa essere stato così egoista da fare questo. Potevi parlarne con me, potevamo risolvere tutto insieme.”
Sherlock guardava attentamente la figura di John, c’era qualcisa di sbagliato, non riusciva a capire cosa fosse ma non era lo stesso degl’altri giorni. Che volesse dirgli addio per sempre? Forse era meglio così.
“Comunque non so qui per mortificarti. Oggi sono due anni e mezzo che stiamo inseme, l’avresti mai detto? Io sì, io ho sempre saputo che tu sei la mia persona”
“Tu sei l’unica persona” disse piano Sherlock sorridendo appena.
“Questi tre mesi sono stati difficili, Dio se lo sono stati, ogni giorno è stato come morire e morire e morire ancora senza mai smettere di vacillare nel buio, ho sentito i fiato pesante, l’oscurità divorarmi il cervello, ho iniziato a vederti ovunque, ho iniziato a cercarti. Sono tornati gli incubi Sherlock, ma tutte le sere sei tu quello che muore su un campo di battaglia e io sono lì davanti a te che cerco di salvarti e tu muori tra le mie braccia. Non posso vivere così Sherlock.”
Il telefono di John trillò ancora mentre lui scoppiò in singhiozzi.

John rispondimi cazzo, dove sei?!
GL 8.00pm

“Ma adesso andrà tutto bene Sher, adesso nulla conta più di questo momento, Dio non vedo l’ora di rivederti...”
Sherlock si gelò un’istante a guardare la figura di John, aveva preso l’album e una per una aveva accarrezzato le pagine con le foto, poi aveva tirato fuori qualcosa dalla borsa, ma non riusciva a capire cosa fosse perchè il biondo era di spalle.
“Ho aspettato questo giorno, ho aspettato stingendo i denti, passando il natale da solo e desiderando fortemente tu apparissi per caso e mi dicessi “E’ tutto uno scherzo, Buon Natale John”. Dio ho sperato per tutti questi mesi di vederti entrare dalla porta di casa. Ho sperato tutte le mattine di svegliarmi morto e vederti accanto a me nel letto.” John accarezzava il cane della sua pistola che teneva tra le mani.
“L’avevo lasciata a Baker Street. Sapevo che tuo fratello non avrebbe controllato nella mia vecchia stanza. L’avevo messa lì per questo momento.”
“Cosa John!?” sussurrò cercando di sporgersi abbastanza da vedere cosa aveva in mano, ma non ci fu bisogno di sporgersi troppo perchè John la prese con la mano sinistra e se la puntò alla tempia.
Lacrime lente scendevano dai suoi occhi chiusi, sentiva il bordo freddo della pistola sulla testa, la voce spezzata dal pianto.
“Dio quanto mi sei mancato, ma adesso vengo da te Sherlock e non ti lascerò andare via, mai più..”
Il telefono Trillò di nuovo, continuava a vibrare e Lestrade continuava a chiamarlo, lo stesso faceva Molly.

JOHN TI STO CERCANDO.
NON FARLO.
8.15 pm

Come se Greg già sapesse consa stava per fare.
Sherlock guardava la scena pietrificato. Non poteva permetterlo ma non poteva nemmeno uscire allo scoperto. Tutto il piano, tutto la sua organizzazione, la missione, tutto sarebbe andato in fumo.
John temporeggiava, non aveva paura di morire ma sentiva di dover dire ancora qualcosa, voleva che le sue ultime parole fossero altre.
“Ti amo Sherlock Holmes”.

Lo sparo rieccheggiò nell’aria inondando la quiete del cimitero. Ora era davvero finita.


 


 


 


 


 


 


 

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John aprì gli occhi, era ancora lì, inginocchiato davanti a quella lapide, la pistola spostata in alto a mirare il cielo, lo sparo rieccheggiava forte nelle sue orecchie che fischiavano. Una mano sul suo polso, una stretta forte, e come se fosse un’apparizione c’era Sherlock in piedi davanti a lui, gli occhi spalancati violati dal terrore. John si dimenò e si alzò in piedi, lasciò cadere a terra l’arma. Doveva essere morto finalmente, doveva essere dall'altra parte perchè era certo che quello davanti a sé fosse Sherlock, era convinto, per un momento provò un moto di felicità che si spense repentinamente.
“Cosa cazzo volevi fare?! Sei impazzito John!?” Sherlock gli urlò adirato, non era davvero arrabbiato con lui, era solo terrorizzato, completamente in balìa della paura.
John lo guardò con la mascella serrata, gli occhi ancora umidi delle lacrime. Davanti a sè c’era Sherlock Holmes, in carne ed ossa, vestito sublimamente di un completo nero e in quella dannatissima camicia Bordeaux. La voce del compagno gli arrivò ovattata, aveva le orecchie intrise del boato dell'arma, ma era certo che quella voce fosse quella di Sherlock, ed era vivo.
“John...” riuscì a espirare di nuovo il moro con il fiato corto per lo spavento.
Tutta la sua missione era andata a puttane, tutto il piano Lazarus era in fumo, ma non avrebbe mai lasciato John morire.
Le nocche di una mano gli colpirono la faccia, Sherlock barcollò all’indietro portandosi istintivamente una mano su uno zigomo, si rimise eretto ed un altro pugno gli colpì il naso, un altro ancora il labbro. Cadde a terra e John si avventò su di lui sedendosi sul suo busto. Un altro pugno lo colpì al sopracciglio ed un altro ancora tornò a scontrare il labbro che si aprì ed iniziò a sanguinare copiosamente.
“Sei un lurido bastardo!” urlò John mentre continuava a prenderlo a pugni.
Si alzò da lui dopo una violenta scarica, si voltò passandosi una mano sui capelli per scostarli dal viso, Sherlock si alzò a sua volta e senza avere nemmeno il tempo di prendere fiato sentì un colpo ben assestato sullo stomaco che lo portò ad espirare profondamente piegandosi su se stesso. Tossì forte sputando il sangue che aveva in bocca. Il naso grondava sangue così come il sopracciglio. John si voltò a guardarlo e riprese a picchiarlo ma con meno forza di prima, le lacrime iniziarono a scendere dalle sue ciglia.
“Ti odio.” Urlò forte tra i singhiozzi “Vaffanculo” urlò ancora prima di sferrare un altro colpo sulla sua faccia.
Sherlock restava immobile a prendere i pugni e gli insulti perchè infondo se li meritava tutti. Dopo qualche minuto i pugni di John si fecero più deboli e quando arrivò l’ennesimo puntato al viso il detective lo fermò con la mano.
“Basta John. Ti prego.” Sussurrò abbastanza forte da farsi sentire.
John aprì la mano portandosi l’altra agl’occhi per nascondere le lacrime ed i singhiozzi che lo smuovevano. Le loro dita si intrecciarono e Sherlock si avvicinò a lui stringendolo forte a sè.
“Mi dispiace John, scusami...” disse con la voce rotta e roca.
Il medico piangeva addosso a lui e si stringeva al suo cappotto con forza e possessività quasi avesse paura che potesse scappare via come se fosse tutto un sogno.
“Perchè Sherlock...Perchè tutto questo?” chiese con la voce rotta.
“Ho dovuto John, perdonami ti prego. Non avrei mai voluto lasciarti” lo strinse più a sè e senza verognarsi lasciò scendere alcune lacrime salate sulle sue guance tumefatte.
John lo spinse via con forza.
“Cosa cazzo ti sembro, un esperimento da portare a termine?! Volevi vedere come reagivo alla tua morte?!” urlò arrabbiato.
“No, assolutamente no. John non avrei mai...”
“Ma l’hai fatto.” Lo interruppe “Tre mesi Sherlock. Tre cazzo di mesi.”
“Moriarty ti avrebbe ucciso John. Te, Lestrade e la signora Hudson. Se non mi buttavo sareste morti tutti!” rispose alzando la voce.
“Mycroft sapeva che eri vivo.” Disse come affermazione più che come domanda.
“Sì, gli ho chiesto io di tenerti d’occhio” disse serio.
“Chi altri lo sapeva?”
“I miei genitori”
“Questo spiega perchè non c’erano al funerale. Poi?”
“Molly Hooper”
“MOLL...Molly Hooper?” era incredulo e ancor più arrabbiato.
“Mi ha aiutato con la messa in scena.” Disse a bassa voce chinando lo sguardo “Non potevo permettermi di dirtelo.”
Sherlock alzò di nuovo il viso e un altro pugno gli arrivo dritto in faccia facendolo cadere a terra.
“Vaffanculo Sherlock.” Disse amaramente John.
Si abbassò a raccogliere la sua pistola e la mise dentro la borsa, prese il telefonino e si voltò a guardare tutte le cose che aveva portato con sè quel giorno.
“Tieniti pure quella roba, io non la voglio” disse quell’ultima frase con disprezzo, si avviò verso l’uscita del cimitero senza voltarsi.
Sherlock era a terra, il viso grondante sangue da tutte le parti, si alzò barcollando e strizzando gli occhi, raccolse ogni cosa di quegl’oggetti che John aveva lasciato lì e guardò la sua figura allontanarsi. Per dove sarebbe andato era meglio così, che John non volesse più vederlo e si dimenticasse di lui.

Erano passati tre giorni da quella Domenica. Sherlock aveva passato il suo tempo a finire di preparare tutto l’occorrente per partire alla volta della sua missione, continuava comunque a pensare a John e a chiedersi cosa stesse facendo lui in quel momento, che cosa pensava, se aveva smesso di amarlo. Si sedette al tavolo e prese tra le mani il grande Album che il suo ex coiquilino non aveva voluto indietro, si mise a sfogliarne le pagine guardando quelle foto di alcune delle quali non sapeva nemmeno l’esistenza. Quelle che John aveva scelto per la settimana precedente avevano un piccolo pallino a fianco segnato con una penna rossa. Voleva parlare con John, voleva vederlo ancora una volta prima di partire. Scacciò quel pensiero dalla testa tanto velocemente quanto c’era apparso e chiuse sonoramente l’album. Si appoggiò allo schienale buttando indietro il capo, chiuse pesantemente gli occhi. Avrebbe voluto drogarsi, avrebbe voluto farsi sopraffare dalla droga piuttosto che dal dolore che gli occhi di John continuavano a infliggergli, chiari e nitidi nella sua testa.
“Vaffanculo Sherlock”
Rieccheggiava nella sua mente e lo feriva. Aprì di colpo gli occhi e si avvicinò alla cassettiera, tirò fuori ogni vestito dall’ultimo cassetto e tolse un doppiofondo che nascondeva una scatolina in legno, si sedette a terra e la posò sulle sue gambe, ne aprì il coperchio scoprendo alcune piccole fialette, un laccio emostatico e delle siringhe. Le guardò tutte attentamente, anche senza etichette sapeva perfettamente riconoscere quale fossero le une o le altre sostanze contenute dentro quegli involucri in vetro sottile.
Attento Sherlock, se lo fai non potrai partire per la missione.
La voce di suo fratello nella sua mente lo fece distrarre.
“ ‘Fanculo la missione” sibilò a denti stretti.
Prese una fialetta e ne spezzò l’appendice sull’apice superiore, infilò l’ago della siringa e ne risucchiò tutto il contenuto.
A che cosa è servito allora tutto questo? A che cosa è servito far soffrire John Watson?
Sherlock si fermò mentre si legava il laccio sopra al gomito. Aveva ragione, a cosa era servito tutto quello se non per la sua missione? A cosa era servito far soffrire John se non per quel momento?
Il suo ex compagno apparve davanti a lui, appoggiato con una spalla al muro, le braccia incrociate al petto e un sorriso lieve sul viso.
“Sherlock...metti via quella siringa.”
“John, io non volevo, davvero...” riuscì a dire con la voce rotta.
“Lo so, ora mettila via, non ne vale la pena...”
Sherlock mise la siringa nella scatole, si tolse il laccio e lo ripose con essa, infine chiuse tutto e lo mise nuovamente al suo posto, nascosto da vestiti e cianfursaglie. Si voltò e la figura di John era sparita. Dovevano parlare, Sherlock aveva da dirgli ancora qualcosa.

Erano passati cinque giorni da quella Domenica e John nemmeno se ne era reso conto, aveva passato tutto il suo tempo in casa, aveva chiamato Sarah dicendole che non stava bene e si era messo in malattia. Era Venerdì sera ed era per l’ennesima volta seduto al tavolo della cucina, un bicchiere sul lato sinistro e la bottiglia ormai quasi vuota davanti, lo sguardo vuoto fisso nell’oscurità della casa che lo circondava. Sherlock era vivo, lo sapevano tutti, ma lui no. John era arrabbitato, ma ancora di più era deluso, deluso dal comportamente che il suo fidanzato aveva avuto con lui, non si era fidato e aveva lasciato che credesse semplicemente che era morto. Dio, lui l’aveva visto cadere. Tutto quello era impossibile, non poteva essere davvero accaduto, non aveva alcun senso. Eppure era convintissimo di aver visto tutto quello, di aver sentito su di sè la mano di Sherlock a stringergli il polso, aveva sentito i suoi pugni impattare contro le sue ossa e la cartilagine del naso. Lui era vivo.
E che diavolo ci fai ancora qui?
Chiese a se stesso. La luce che filtrava dalla finestra gli illuminava il viso. John si passò le mani sulgl’occhi e si sentì stupido. Una parte di sè aveva ragione, che diavolo ci faceva ancora lì? Avrebbe dovuto uscire di casa e correre dal suo uomo, avrebbe dovuto abbracciarlo, baciarlo, possederlo tutta la notte perchè era vivo. Sherlock Holmes era vivo. John non uscì di casa, non avrebbe comunque saputo dove andarlo a cercare, rimase seduto dov’era perchè si sentiva tradito e questa volta non avrebbe fatto lui il primo passo.
Era ormai notte inoltrata quando vide il suo cellulare illuminarsi.

Stai dormendo?
SH 3.17 am

Restò a fissare il messaggio per minuti che sembrarono ore. Non vedeva quel nome sul suo telefono da ormai tre mesi.

No.
3.23 am JW

Come stai?
SH 3.24 am

John non potè credere ai suoi occhi quando vide quell messaggio, come poteva stare? Uno schifo, si sentiva arrabbiato, deluso, tradito, usato. Non stava bene.

Domanda stupida. Scusa.
Io Domenica partirò per un viaggio molto
lungo. Possiamo vederci domani?
C’è qualcosa che ti vorrei dire.
SH 3.24 am

Quel testo colpì John come una secchiata di acqua fredda. Dove doveva andare? Adesso che sapeva che era vivo non lo avrebbe fatto partire. “Un viaggio molto lungo” aveva scritto.

Dove devi andare?
3.25 am JW

Ti dirò tutto domani.
Alle sette, a Baker Street?
SH 3.26 am

Alle sette a Baker Street.
3.26 am JW

John spense il telefonino e ripose il bicchiere nel lavandino buttando poi la bottiglia nella spazzatura, si diresse in camera da letto ed ebbe solo il tempo di toccare il cuscino per finire in un sonno profondo e senza sogni.

Il giorno seguente John si svegliò intorno a mezzogiorno senza ricordarsi minimamente nulla della sera prima, la bottiglia di Scotch che si era scolato era bastata ad annebbiargli completamente il cervello, per questo si sorprese quando, accendendo il cellulare, lesse lo scambio di messaggi tra sè e Sherlock. Quella sera alle sette si sarebbero visti a Baker Street. Non era più molto convinto di voler andare, era ancora arrabbiato, aveva ancora quel senso di delusione che gli circondava il cuore.
Nonostante tutto quella sera si trovò davanti al 221B e una morsa gli strinse forte lo stomanco, bussò alla porta e sorrise debolmente alla signora Hudson che gli fece cenno di salire di sopra. Si prese tutto il suo tempo, salì lentamente i diciassette scalini e aprì la porta.
L’appartamento era illuminato dalla luce che filtrava dalle due finestre alte, l’odore di chiuso era sparito e Sherlock era seduto sulla sua poltrona nera come se fosse stato lì per tutto il tempo, il suo completo nero, la sua camicia viola, la stessa che qualche giorno prima John aveva stretto tra le mani.
“Ciao John” disse Sherlock guardandolo con un debole sorriso ma non nascondendo l’espressione colpevole.
“Ciao” disse freddamente il dottore restando in piedi.
I segni del loro scontro al cimitero erano ancora ben visibili, il moro aveva il labbro ancora spaccato, un occhio contornato di marrone, segno di un livido che si stava riassorbendo, in piccolo taglio sul sopracciglio destro e uno sullo zigomo sinistro. John avrebbe voluto dire –mi dispiace- ma la realtà era che non gli dispiaceva affatto.
“Ed è giusto così” disse di punto in bianco il detective guardandolo.
Oh certo, come dimenticarsi che sa leggere nel pensiero.
“Scusa?” chiese il medico.
“Per la mia faccia, vorresti dire che ti dispiace ma non è affatto così, ed è giusto, non hai nulla di cui dispiacerti”
“Appunto” disse John.
“Vuoi del thè?” chiese Sherlock alzandosi a sua volta.
“Sì grazie”
Il moro andò in cucina e mise a scaldare la teiera.
“Dove devi andare?”
Così a bruciapelo non si sarebbe aspettato quella domanda.
“Prima di rispondere a questa domanda, vorrei rispodere ad un’altra.”
Sherlock fece cenno a John di sedersi sulla sua poltrona, il biondo si accomodò e prese la tazza di thè che il suo ex coinquilino gli offriva, poi si andò a sedere sulla sua poltrona.
“Non ti ho detto che non ero morto, mi dispiace John, io...”
“Sherlock...”
“No, lasciami finire. Non ti ho detto che ero ancora vivo perchè sto per partire per una missione, non so se tornerò indietro. Non volevo dovessi vivere due volte il trauma della mia perdita. Mi dispiace.”
John lo stava guardando attontito, una missione suicida, era questo quello che voleva fare?
“Dove devi andare?” chiese ancora stringendo forte la sua tazza tanto che le nocche divennero bianche.
“Devo sventare la rete terroristica di Moriarty, dovrò infiltrarmi in vari nuclei sparsi per il mondo, non so quanto tempo ci vorrà e non so se ci riuscirò” disse abbassando gli occhi non riuscendo più a sostenere lo sguardo di John.
“Vengo con te”
Sherlock alzò gli occhi su John che aveva posato il thè sul tavolino ed ora lo guardava serio.
“Non se ne parla” la voce profonda e gutturale sembrò quasi provenire dall’oltretomba.
“Non ti perderò di nuovo” sussurò John non nascondendo le lacrime che iniziavano a premergli sul viso “Non ti ho perdonato, ma non mi lascerai solo di nuovo”
Sherlock distolse lo sguardo.
“Mi spiace John, non puoi venire con me”
John si alzò dalla sua poltrona e si diresse a passi lunghi verso la porta, non voleva stare lì un secondo di più. Si fermò e si girò con rabbia.
“Perchè non me l’hai fatto fare?!” chiese cercando di mantenere un tono di voce basso ma comunque adirato.
“Cosa, lasciare che ti sparassi in testa?” chiese incredulo Sherlock alzandosi a sua volta.
“Tu eri morto, lo sarei stato anche io. Avresti compiuto la tua missione...non hai più bisogno di me a quanto pare” sentenziò acidamente puntandogli contro un dito.
“Io ho SEMPRE bisogno di te.” Si avvicinò ancora a lui alzando il tono di voce, sottolineò la parola sempre.
“Fammi partire con te” John aveva mosso un passo verso di lui, era quasi una supplica.
“No” rispose in un respiro l’altro.
Successe tutto molto velocemente, John si sporse verso di lui, prese la sua faccia tra le mani e lo baciò con rabbia e bisogno. Sherlock allacciò le mani alla sua schiena e lo avvicinò di più rispondendo a quel bacio. Sembravano essere passate ore quando si staccarono per riprendere fiato.
“Fammi partire con te” ripetè John.
“No” rispose Sherlock.
Le mani del dottore iniziarono a spogliare il moro di quella giacca nera e subito dopo si dedicarono alla camicia viola, mentre slacciava i bottoni lasciava dei baci bollenti sul collo lungo e pallido del compagno. Il detective si lasciò trasportare chiudendo gli occhi e passando una mano nei capelli biondi dell’altro.
“Fammi partire con te” disse l’ex militare lasciando che la camicia di Sherlock cadesse a terra.
“No” uscì quasi come un gemito quando John morse la sua pelle perlacea.
Come finirono in camera non se lo spiegarono, entrambi col busto scoperto, pelle contro pelle. I loro corpi accesi dalla passione dell’uno per l’altro, erano entrambi sdraiati sul letto, il medico sovrastava la corporatura esile del detective.
“Sei troppo magro” disse tra un respiro e l’altro mentre finiva di spogliarlo.
“Anche tu sei dimagrito” portestò con poca convinzione.
“Fammi partire con te”
“No”
I loro respiri si mescolarono, assaggiarono le loro pelli, esplorarono nuovamente quei corpi che temevano di aver dimenticato, John si perse dentro di lui più volte, Sherlock lo aveva accolto in sè più volte. Diventarono una cosa sola ed entrambi si accorsero solo in quel momento di essere tornati a vivere.
Dopo che la passione fu placata non rimanevano che i segni rossi di denti sulla pelle, piccole suzioni alla base del collo. Sherlock era sdraiato dulla schiena, un braccio portato dietro la testa, John era sopra di lui ancora sudato e sfinito, abbracciava possessivamente il corpo slanciato dell’altro che con una mano gli accarezzava i capelli.
“Fammi partire con te” sussurrò il biondo sul suo petto prima di lasciare un bacio al centro.
“No” rispose semplicemente il detective continuando le sue carezze.
Portò anche l’altra mano ad accarezzarlo sulla schiena.
“Non sono mai più entrato in questa camera, l’ultima volta che ho dormito su questo letto è stato con te” aveva detto ad occhi chiusi.
Sherlock rimase in silenzio continuando a coccolarlo, avrebbe voluto non partire adesso, avrebbe voluto restare con John.
“Ti avevo portato una rosa gialla” disse dopo qualche minuto “Per il nostro anniversario.”
“Non mi piace il giallo” ridacchiò John.
“Stronzo.” Rise anche lui.
Il silenzio piombò nuovamente nella stanza, i due corpi ancora avvinghiati tra loro, sembravano godersi apertamente il rumore dei loro respiri, il battito dei loro cuori. John si alzò sui gomiti e si avvicinò al viso di Sherlock per baciarlo nuovamente, lentamente e con dolcezza. Il moro rispose al bacio e non ci volle molto che la loro passione si riaccendesse e tornarono a fare l’amore.
Era ormai notte fonda, Sherlock aveva il capo appoggiato sul petto di John che giocava con i suoi riccioli scompigliati e sudati.
“Ti amo” disse piano soffiando sulla sua pelle.
“Dillo ancora” sussurrò John.
“Ti amo John”
Il medico lo strinse a sè e chiuse gli occhi.
“Fammi partire con te” ripetè per l’ennesima volta.
“Ti amo” rispose il detective.
Piombarono entrambi in un sonno tranquillo, abbracciati e innamorati ora più che mai.

Quando Sherlock si svegliò quella mattina sentì che l’altro lato del letto era freddo, John doveva essere andato via da un po’, aprì pigrmente gli occhi e guardò la sveglia, erano le otto. Notò sul comodino un foglietto di carta.

Ti amo Sherlock Holmes.

Sorrise, ma dopo qualche secondo il suo cervello lo riportò a quel giorno davanti alla sua lapide. Quelle parole erano le stesse di quado John...
Si alzò di fretta non curandosi di mettersi qualcosa addosso, entrò in salotto e prese la giacca nera da terra, estrasse il telefonino e compose velocemente il numero di John. Suonò a vuoto per dei minuti, poi attaccò la segreteria telefonica.
“Cazzo” imprecò.
Si voltò per raccogliere i suoi vestiti mentre tornava in camera da letto, diede un veloce sguardo al suo corpo. Doveva farsi una doccia, era categorica la cosa, dopo una notte passata a fare sesso aveva ancora addosso la sensazione di umori e sudore. Sbuffando si diresse in bagno e si buttò sotto la doccia, non aspettò neppure l’acqua calda. Si vestì di tutta fretta, non si curò di asciugarsi i capelli, guardò velocemente la sveglia. Era in ritardo e doveva parlare con Mycroft, doveva trovare John Watson e salvarlo da se stesso.
Quando arrivò all’areoporto si precipitò al check-in e una volta individuato suo fratello gli corse incontro.
“Quanta fretta di partire Sherlock” disse sarcastico il più grande alzando un sopracciglio divertito.
“Devi aiutarmi a trovare John, sta per fare qualcosa di sconsiderato” disse con il fiatone “Non parto se non so che sta bene”
“Non penso ci sia bisogno di cercarlo fratellino” rispose lui sarcasticamente.
“Cosa stai dicendo? Hai sentito quello che ho..”
“Io sto bene Sherlock”
Una voce alle sue spalle lo fece girare di scatto. Non gli interessava che fossero in aereoporto, non gli interessava che gli altri li vedessero, non avrebbe più nasconsto niente al mondo. Lui amava John Watson. Si precipitò su di lui e lo baciò con passione stringendolo a sè.
“Si, basta con questi sentimentalismi Sherlock, sempre la solita Drama Queen. Il vostro aereo sta per partire.” Disse tagliando corto Mycroft.
Sherlock si scostò dal suo compagno e lo guardò severo.
“Non se ne parla”
“Io non ti lascio, non vivrai quest’avventura senza di me, non mi lascerai a casa ad aspettare mentre tu sei sul campo di battaglia, hai provato a dissuadermi e non ci sei riuscito. Io e te soli contro Moriarty. Io e te soli contro il mondo”
Sherlock lo baciò ancora.
“Dio, speravo lo dicessi” rise sulle sue labbra.

“Allora, a buon rivederci fratellino.” Disse Mycroft in piedi davanti al fratello.
“Non ingrassare troppo in mia assenza” sentenziò Sherlock guardandolo.
“Non farti uccidere, la tua morte mi causerebbe molto dolore”
“Siamo sentimentali?”
“Sta’ zitto” soffiò Mycroft.
“A presto fratello mio...e grazie” disse cercando di mantenere la sua maschera di indifferenza.
Mycroft fece un cenno con la testa e guardò il fratello entrare nell’aereo.

Sherlock si sedette nel posto a fianco a John.
“Ti mancherà.” Disse il biondo.
“Nemmeno un po’” rispose serio l’altro ma senza crederci davvero.
“Devi dirlo adesso” disse John guardandolo.
“Dire cosa?”
“Quello che dici sempre a questo punto”
Sherlock sorrise al suo compagno e intrecciò le dita con le sue mentre l’aereo prendeva quota decollando.
“Il gioco è iniziato"






ANGOLO AUTRICE
Bentrovati a questo ultimo appuntamento, il capitolo è lungo ma mi sembrava una barbaria spezzarlo a metà. La storia si conclude qui, è stata dura, ci sono stati momenti mentre scrivevo questa fanfiction che le lacrime non facevano che scendere copiosamente dai miei occhi, ci sono stati momenti in cui ridevo da sola come una scema. Sono un po' triste che sia finita, però ho avuto il mio lieto fine e questo basta ed avanza.
John Watson ha di nuovo Sherlock Holmes e vicevera, penso questo sia l'importante. Come vivranno la loro missione in Serbia? Questo lascio che lo decidiate voi, ma chissà, magari potrei continuare, in un futuro. Spero abbiate aprrezzato la storia e il suo finale, spero di avervi regalato qualche minuto di svago dalla nostra realtà, quella che ciascuno di noi vive tutti i giorni e che è la prova più difficile.
Doveroso è ringraziare tutti voi che mi avete seguito, ricordato e preferito; grazie a chi ha letto silenziosamente fino a qui, grazie a tutti voi!
Un grazie particolare a chi ha recensito e mi ha allietato con le sue parole, siete stati di grande aiuto per tutto questo tempo, mi ha fatto piacere sapere che la storia era aprezzata!
Ho un'ultima richiesta, un pensiero finale su come avete vissuto questa avventura, mi farebbe davvero piacere! Grazie, grazie, grazie di tutto a tutti.
Spero di rivedervi presto, già sto lavorando su qualcosa di nuovo(sempre riguardante Sherlock), poco visto qui su EFP!
Un bacio grande a tutti.

ANCORA GRAZIE

Vostra, Kutzie.

   
 
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