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Autore: Ghillyam    28/05/2017    4 recensioni
Due ragazze innamorate a cena in un piccolo ristorante londinese, dove sogni e speranze sembrano essere a portata di mano. Ma tutti i sogni sono destinati a cadere come foglie in autunno e c'è chi è un esperto nel distruggerli.
Una guerra per stabilire la supremazia dei Maghi nel mondo. Vittime che cadono con l'unica colpa di avere un sangue diverso, sporco.
[Dal testo]
Nessuna delle due poteva immaginare che di lì a poco il loro piccolo angolo di paradiso sarebbe stato devastato da qualcosa di molto più grande di loro.
Fu un attimo.
Uno scoppio e delle grida. Un’esplosione e persone che correvano. Tavoli ribaltati e sedie rovesciate. Il panico.
Cocci e detriti erano dappertutto e una nuvola di polvere, alzatasi improvvisamente, impediva di vedere con chiarezza ciò che stava succedendo; la corrente era saltata e l’unica cosa che rischiarava l’improvvisa oscurità erano dei lampi di luce, per di più verdi, che volavano in tutte le direzioni.
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Avery, Bellatrix Lestrange, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio, Rodolphus Lestrange | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Intended to fall

«A noi.»
«A noi.»
Le due ragazze si sorrisero, mentre facevano tintinnare l’uno contro l’altro i bicchieri di vino che avevano ordinato e che gli erano appena stati gentilmente riempiti da un elegante cameriere in giacca e cravatta, allontanatosi per andare a servire altri clienti.
«Sono al settimo cielo!» esclamò una di loro con un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia. Portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli rossi, sfuggita al fermaglio che usava di solito per tenerli legati, strinse la mano della compagna in un improvviso, ma non insolito, slancio d’affetto.
«Finalmente siamo libere – continuò – Ci pensi?»
«Libere di uscire insieme o libere da una valanga di massacranti versioni di greco?» scherzò l’altra, ricambiando la stretta e passandosi la mano libera tra i capelli biondi, gesto che faceva ogni volta che si rendeva conto che la bellissima e sorprendente ragazza davanti a lei era la sua di ragazza.
«Mmm… fammi pensare un attimo e poi te lo dico.»
«Ma come siamo spiritose. Scommetto che ti diverti un mondo a vedermi soffrire, vero Ris?»
«Come sempre, Liz.»
Iris ed Elisa - questi erano i loro nomi per intero - si erano conosciute la bellezza di cinque anni prima quando, per un folle e sconsiderato atto di coraggio, avevano iniziato a frequentare la stessa classe del liceo classico e il primo giorno di scuola si erano ritrovate vicine di banco. Da allora non avevano più cambiato posto e il loro amore era nato tra una penna presa in prestito e un compito copiato, cresciuto nei quindici minuti scarsi d’intervallo e coltivato durante i lunghi pomeriggi di studio.
Si erano innamorate prima ancora che potessero rendersene conto e quando lo avevano fatto non si erano più lasciate, a discapito delle voci maligne e dei sorrisetti di scherno che le seguivano quando passavano per i corridoi tenendosi per mano o ridendo sommessamente per una qualche battuta indirizzata alle facce stupite - e talvolta sconvolte - dei loro professori.
Adesso gli anni del liceo erano finiti e subito dopo aver conseguito la maturità avevano deciso di regalarsi un viaggio lontano dalla loro monotona città per poter finalmente stare insieme senza doversi preoccupare di dare giustificazioni riguardo la loro relazione, vista ancora con occhi critici, ad ogni persona che conoscevano e dedicarsi solo ad uno sfrenato e più che meritato divertimento. Avevano lasciato l’Italia per raggiungere quella che da sempre consideravano la più magica delle città: Londra.
Era stato uno dei loro primi progetti insieme quello di organizzare un viaggio per la capitale della Gran Bretagna e, fin da quando avevano avuto l’età adatta per svolgere dei modesti lavoretti dopo la scuola, avevano risparmiato ogni centesimo per poterselo permettere senza fare affidamento sui loro genitori, che, soprattutto per quanto riguardava quelli di Elisa, erano stati piuttosto restii a lasciarle partire. Ma ormai erano maggiorenni ed erano libere di fare ciò che volevano.
Avevano già progettato tutto e il futuro che vedevano davanti a loro le riempiva di entusiasmo: Iris avrebbe frequentato la facoltà di lettere classiche e si sarebbe impegnata a studiare per diventare un’insegnante delle scuole medie e, nonostante fossero in molti a darla per pazza perché «I ragazzi a quell’età sono intrattabili, sono peggio dei bambini dell’asilo.», lei era fermamente convinta della sua decisione e niente o nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. Elisa, invece, aspirava a diventare un’importante psichiatra e la facoltà di medicina l’aspettava a braccia aperte; era una delle migliori studentesse ad aver passato i test d’ingresso dell’università ed era stato questo il principale motivo per cui aveva vinto una prestigiosa borsa di studio, che le aveva procurato una valanga di congratulazioni da parte di amici e parenti - e numerosi notti infuocate con Iris, super fiera della sua adorabile secchiona.
«Sai – cominciò Liz, mentre lo stesso cameriere di prima porgeva loro i piatti che avevano ordinato – Londra è fantastica, ma c’è una cosa che proprio non riesce a piacermi.»
«Il cibo? Si, anche a me non fa impazzire; non sai quanto mi manca la pizza.»
«Potremmo provare a prepararla noi, che ne dici?»
«Dico che è un’idea eccezionale, meravigliosa, sensazionale, superba-»
«Okay, okay, ho capito il concetto.»
«Ahah, scusami.» disse la rossa, sorridendo leggermente imbarazzata. Aveva sempre avuto il difetto  - o pregio, a seconda dei punti di vista - di elencare tutti i sinonimi che conosceva di una determinata parola e lo faceva così spesso che a volte nemmeno se ne accorgeva. Elisa, tuttavia, anche se ogni tanto si divertiva a prenderla in giro, la trovava una cosa dolcissima.
«Be’, buon appetito.»
«Buon appetito.»
Le due si gustarono la cena senza smettere un attimo di scambiarsi frasi e parole dolci, e sui loro visi tutto esprimeva serenità e gioia; erano il ritratto della spensieratezza, non potevano immaginare di trovarsi in un posto migliore di quello. Quel ristorantino per turisti sembrava il luogo perfetto, ma, d’altronde, quando erano insieme sarebbero anche potute rimanere bloccate in una fogna che non gliene sarebbe importato nulla. Almeno finché potevano contare l’una sull’altra.
Quando anche il piatto del dolce - una semplice fetta di torta che avevano condiviso per non rischiare di ritrovarsi senza un soldo dopo solo una settimana di permanenza lì - fu portato via dal cameriere, Elisa iniziò a contorcersi le dita nervosamente e, dopo aver tirato un profondo sospiro, disse «Ris, tu lo sai che ti amo, giusto? Be’, ecco, forse è troppo presto, ma io non voglio rischiare di perdere tempo prezioso e quindi, insomma… Quello che sto cercando di chiederti è: vuoi sposarmi?»
Iris aveva trattenuto il fiato durante la maldestra, dolce e meravigliosa dichiarazione della compagna ed aveva assaporato ogni singola parola senza smettere di sorridere perciò, quando i brillanti occhi verdi di Liz incontrarono i suoi, non poté pensare di dare una risposta diversa da «Si! Si, certo che voglio sposarti.»
«Meno male, perché questo mi è costato una fortuna.» esclamò la bionda con una punta di sollievo nella voce e porgendo alla fidanzata un piccolo cofanetto blu con all’interno un modesto – ma agli occhi di Ris ineguagliabile – anello, che subito le infilò al dito.
La rossa era incantata, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla piccola pietruzza che brillava come nient’altro al mondo, mentre rifletteva tutta la sua felicità.
Si sporse sul tavolo e con trasporto baciò la persona più importante e speciale della sua vita, che rispose con altrettanta foga al gesto e la cinse in un abbraccio pieno di significato, che fece alzare qualche applauso sparso tra il resto delle persone nel ristorante e le fece sorridere ancora di più.
Sembrava passato un secolo dal loro primo e timido bacio, quando ancora erano due quindicenni all’interno di una rumorosa discoteca dove, incoraggiate dalla nuova e misteriosa scoperta chiamata alcool e dalla musica troppo alta, le loro labbra si erano incontrate in modo impacciato e incerto ed avevano sancito l’inizio della loro relazione.
Adesso di anni ne avevano diciannove e, sebbene l’imbarazzo fosse sparito, le emozioni di quella prima volta rimanevano altrettanto intense e profonde.
«Ti amo, Elisa Carletti.»
«Ti amo anch’io, Iris Rinaldi.»
Nessuna delle due poteva immaginare che di lì a poco il loro piccolo angolo di paradiso sarebbe stato devastato da qualcosa di molto più grande di loro.
Fu un attimo.
Uno scoppio e delle grida. Un’esplosione e persone che correvano. Tavoli ribaltati e sedie rovesciate. Il panico.
Cocci e detriti erano dappertutto e una nuvola di polvere, alzatasi improvvisamente, impediva di vedere con chiarezza ciò che stava succedendo; la corrente era saltata e l’unica cosa che rischiarava l’improvvisa oscurità erano dei lampi di luce, per di più verdi, che volavano in tutte le direzioni.
Ad Iris ci volle qualche istante per accorgersi che Elisa non era più accanto a lei e che lei stessa era accucciata sotto al tavolo con le braccia a circondarle le ginocchia e la testa il più vicina possibile al busto; probabilmente aveva agito istintivamente di fronte al pericolo per evitare di venire colpita e ferita.
Cercando di valutare il più rapidamente possibile la situazione, la ragazza si alzò leggermente e intorno a sé vide uno spettacolo terrificante: la parete del ristorante che dava sulle cucine era completamente distrutta e con orrore dovette constatare che quello sdraiato in posizione supina sul pavimento era il corpo dello chef. Trattene a fatica un urlo. Facendo appello a tutto il suo sangue freddo, si tolse le scarpe col tacco che indossava per avere maggior libertà di movimento e stando attenta a non fare rumore iniziò a muoversi carponi alla ricerca della fidanzata, doveva essersi nascosta lì da qualche parte.
«Liz. Ehi, Liz, rispondi.» sussurrò, mentre i suoi occhi iniziavano ad abituarsi al buio e alla polvere.
Quando non ottenne risposta avvertì il primo moto di paura che la paralizzò per qualche istante, ma si riprese in fretta dicendosi che Elisa non poteva che essere riuscita a mettersi al sicuro e adesso stesse aspettando il momento adatto per uscire allo scoperto e mettersi a cercarla.
Stava per provare a richiamarla quando con la mano andò a posarsi su una sostanza vischiosa sul pavimento e un gemito abbandonò le sue labbra nel capire che si trattava di sangue e, più precisamente, del sangue sgorgante da una ferita sul petto del cameriere dai capelli color carota che le aveva servite per tutta la sera. Non doveva avere più di venticinque anni e probabilmente il suo lavoro lì era solo un’occupazione provvisoria, magari per pagarsi gli studi.
Senza pensare, Iris provò a tamponare lo squarcio con le mani, ma il sangue usciva copiosamente e sembrava non avere alcuna intenzione di fermarsi.
«Non devi preoccuparti, John – disse sempre sussurrando e ricordandosi, senza sapere come, il nome che aveva letto sulla sua targhetta – Starai bene, okay?»
Sapeva di star dicendo una bugia bella e buona, ma lo sprazzo di terrore che poteva leggere negli occhi del ragazzo le sembrò un motivo sufficiente per far sì che le ultime parole che avrebbe sentito fossero rassicuranti. Ci volle poco perché John tirasse l’ultimo respiro e, sentendo il suo cuore fermarsi sotto la mano, Iris non riuscì a trattenere un singhiozzo, ma non era quello il momento per piangere. Doveva trovare Liz e assicurarsi che stesse bene.
Era sul punto di rimettersi a chiamare il suo nome quando cominciò a sentire nuovamente i suoni circostanti; non si era nemmeno accorta della momentanea sordità e fu come un fulmine a ciel sereno ricominciare ad udire il rumore di persone che, come lei, stavano cercando i loro cari, ma improvvisamente venivano zittite da uno di quei lampi verdi che continuavano ad illuminare quello che restava del locale con la loro luce sinistra. Non ci voleva un genio per capire che non erano niente di buono, anche se la ragazza non riusciva a capire con esattezza da cosa fossero provocati.
Il ritorno dell’udito le permise di cogliere uno sprazzo della conversazione che stava avvenendo tra quelli che erano sicuramente i terroristi che avevano piazzato quella bomba - perché sicuramente si trattava di una bomba - e che adesso stavano terminando il loro lavoro eliminando le persone ancora vive.
«Sono morti?»
Il tono dell’uomo che aveva posto la domanda era euforico, notò Iris con orrore e rabbrividì nel sentire la sua risata, che di allegro non aveva niente, ma, anzi, esprimeva solo una terrificante soddisfazione mista a del puro sadismo.
«Certo che sono morti, Avery.»
La voce del secondo uomo era strascicata e si poteva cogliere una nota quasi annoiata nella sua risposta, come se uccidere una quarantina di persone fosse un’abitudine per lui.
Iris si chiese che razza di persone fossero per discutere così tranquillamente dopo aver compiuto una strage simile.
Sono dei pazzi, ecco cosa sono, e io devo muovermi a trovare Liz prima di loro.
Cosa ti dice che non l’abbiano già uccisa?
La rossa zittì immediatamente la sua tanto odiata voce interiore, che veniva fuori sempre nei momenti meno opportuni e si divertiva a tormentarla col suo cinismo indesiderato e non richiesto.
Senza perdere altro tempo, e con la massima cautela, tornò ad ispezionare ogni centimetro alla ricerca di Elisa, ma un presentimento sempre peggiore si stava facendo strada dentro di lei. Che la sua vocina avesse ragione? No, non era possibile. Le aveva appena chiesto di sposarla, non poteva essere morta.
Il rumore di passi pesanti a pochi centimetri da lei la fece immobilizzare e non osò emettere un fiato, mentre un terzo uomo si aggiungeva alla conversazione dei suoi compagni, colleghi, amici? Chissà in che rapporti erano tra loro.
Ma sono completamente impazzita? Questi sono dei pazzi assassini e io mi metto a chiedermi che legame li unisca? Devo essere sotto shock.
«Avery, piantala! – lo riprese il nuovo arrivato per una battuta che Iris non sentì – Dove sono gli altri, Malfoy?» chiese poi all’uomo con la voce strascicata, che Iris, dalla posizione in cui si trovava, notò avere una fluente chioma di capelli biondo platino.
«Stanno finendo il lavoro, e non osare parlarmi così, Lestrange. Sono ancora io il capo di questa operazione.»
«E ci chiediamo ancora tutti il perché.» lo schernì il suddetto Lestrange, provocando una nuova risata in Avery, che intanto aveva iniziato a controllare che le persone a terra fossero effettivamente morte.
«Mi chiedo come si siano potute lasciare le sorti del pianeta in mano a questi Babbani.»
Babbani?  E che cavolo significa? Si chiese la ragazza, che, approfittando del battibecco nato tra Malfoy e Lestrange, si era sdraiata in modo da sembrare una vittima. Tenere sotto controllo i battiti del suo cuore, però, si stava rivelando più complicato del previsto.
«Se tutte le Babbane fossero come questa qui, forse avrei potuto capire – rise il terzo uomo – E’ quasi più bionda di te, Lucius.»
L’aggettivo bionda fece spalancare gli occhi ad Iris, il cui primo impulso fu quello di correre a vedere se la ragazza in questione fosse la bionda di cui lei era innamorata.
Per fortuna - o sfortuna molto più probabilmente - il suo istinto venne fermato da un rumore di tacchi sempre più vicino, che le ricordò di essere ancora in pericolo e la trattenne al suo posto.
«Dunque, com’è la situazione?» domandò questa volta la voce di una donna. Per qualche strano motivo il sangue le si congelò nelle vene e, a quanto pareva dal silenzio improvviso, anche gli altri tre non dovevano essere del tutto tranquilli.
Quella non era una voce dolce o delicata, era più rauca e graffiante e assolutamente, decisamente imperiosa; non sembrava abituata a venire contraddetta o a sentirsi rispondere di no. Iris ebbe come l’impressione che in realtà fosse lei a comandare lì dentro e, chissà perché, questo la spaventò a morte. Forse il motivo era che se si pensava ad una strage automaticamente il cervello umano la collegava ad un uomo e pensare che anche una donna fosse capace di compiere un tale crimine lo faceva sembrare ancora più orribile.
«Tutto a posto, Bellatrix, sembrano tutti morti.»
«Sembrano? Da quando in qua sembrano è sufficiente, Avery?»
«Andiamo, Bella, non ti scaldare. Dicevo per dire, sono sicuramente tutti morti.»
Evidentemente il tono minaccioso di Bellatrix - Che nome strano si ritrovò a pensare Iris - non aveva fatto tremare solo lei, ma anche quelli che dovevano essere i suoi compari e, in particolar modo, il povero Avery, che la rossa immaginò essere impallidito di colpo. Ma in quel momento era un’altra la cosa importante: lei era viva quindi non tutti i clienti del ristorante erano morti, ma se il non tutti avesse compreso solo lei? Se davvero nessun’altro fosse sopravvissuto? Questo significava che Liz era morta, che non c’era più, che se n’era andata per sempre e che lei era sola, sola in una stanza piena di assassini senza scrupoli.
Iris sentì le lacrime bagnarle il viso e un vuoto enorme farsi strada dentro di lei, non poteva credere che la sua Liz fosse passata nel mondo dei più, che non avrebbe rivisto il suo sorriso e i suoi meravigliosi occhi verdi, i primi occhi che l’avessero rapita completamente. Prima di conoscere Elisa si era sempre chiesta perché la prima cosa ad attrarre una persona fosse lo sguardo, lei non ci aveva mai fatto caso più di tanto e non capiva le sue amiche che nel vedere un bel ragazzo erano un unico «Ma avete visto che begli occhi? Non sono stupendi?», non capiva perché piacessero tanto, ma poi aveva incrociato il suo di sguardo ed aveva compreso perfettamente. Perché sono gli occhi di qualcuno a darti libero accesso alla sua anima e a svelarti i suoi segreti più profondi e sono sempre quelli a catturarti e a non lasciarti andare mai più, ma adesso Iris non era sicura che avrebbe rivisto quelli della ragazza di cui si era tanto innamorata e il solo pensiero la uccideva dentro.
«Taci!»
L’esclamazione di Bella liquidò Avery e le sue giustificazioni e tutti e tre gli uomini la osservarono in attesa che dicesse loro ciò che le passava per la testa.
La donna si guardò intorno un paio di volte prima di dire «Non credo proprio che siano tutti morti.»
Lestrange e Lucius guardarono il compagno come se avesse commesso il più grave dei crimini e subito obbedirono all’ordine di Bellatrix di controllare, attentamente questa volta, che non ci fossero superstiti.
Iris chiuse gli occhi e trattenne il fiato, cercando di calmare il respiro, ma il pensiero di Elisa glielo rendeva pressoché impossibile, inoltre era consapevole delle lacrime che ancora le bagnavano il viso e che sarebbero stata una prova più che sufficiente per farla scoprire.
Le sue peggiori supposizioni si avverarono quando sentì fermarsi accanto a lei quello che doveva essere l’uomo chiamato Lestrange, dato il passo pesante con cui le si era avvicinato, e nel momento esatto in cui si chinò su di lei capì cosa sarebbe successo; infatti si sentì afferrare bruscamente per il braccio sinistro e in un attimo fu fatta mettere in piedi con una facilità impressionante. Istintivamente spalancò gli occhi e si trovò di fronte ad un viso dai lineamenti spigolosi e a due iridi azzurre, che la stavano osservando con un disprezzo e una cattiveria tali da pietrificarla sul posto.
«Bene bene – gongolò quello – Volevi farla franca, Babbana? Spiacente, ma non succederà.»
Iris non riuscì a formulare un solo pensiero che avesse senso, l’unica cosa che le venne in mente fu la stessa domanda di poco prima: che accidenti significava la parola Babbana?
«Eh bravo, Rodolphus – ghignò Malfoy, squadrandola da capo a piedi con la stessa espressione dell’altro per poi aggiungere – Tu invece sei un cretino.»
La rossa vide il viso rotondo e scuro di Avery, a cui era stato indirizzato l’insulto, contrarsi in una smorfia rabbiosa, ma la sua attenzione fu immediatamente attirata dalla figura che non poteva che appartenere a Bellatrix.
Iris non sapeva con esattezza come si fosse immaginata la donna che adesso aveva davanti, ma di sicuro non così: era bella, molto bella. Una cascata di riccioli neri le ricadeva disordinatamente lungo le spalle e sul viso, le labbra scarlatte erano piene e carnose, e la mascella squadrata le dava un’aria forte e decisa. Inoltre, quasi si trattasse di uno scherzo crudele, per la seconda volta nella sua breve vita si sentì irrimediabilmente attratta dagli occhi di qualcuno: quelli di Bellatrix, in parte coperti dalle palpebre pesanti, erano più neri della notte. Iride e pupilla sembravano una cosa sola e in loro albergava una tale furia che sembrava impossibile da contenere; erano due pozzi scuri e profondi, pronti a risucchiarti per non farti uscire mai più.
A quel pensiero, la ragazza tornò improvvisamente lucida e iniziò a far passare freneticamente con lo sguardo i corpi delle persone a terra, alla ricerca disperata della chioma bionda e dell’abito rosso di Elisa. In cuor suo sperava di non trovarla e di sapere così che fosse riuscita, in qualche modo, a scappare, ma le sue preghiere non furono ascoltate e, poco vicina ai piedi di quello che aveva capito essere Lucius, vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere.
Un urlo che avrebbe spezzato anche il cuore dell’iceberg più gelido o della roccia più dura le uscì dalla gola e, guidata dalla forza della disperazione, riuscì a divincolarsi dalla presa di Rodolphus, che stranamente non tentò di riprenderla, e si gettò accanto al corpo senza vita della sua fidanzata.
I singhiozzi scossero il suo corpo tremante, mentre stringeva con forza le mani attorno alle spalle della bionda, scuotendola, come a volerla risvegliare da quel sonno senza fine. La testa di Liz cadeva penzoloni all’indietro e pareva essere sul punto di staccarsi da un momento all’altro dal corpo, gli occhi aperti fissavano il vuoto e il suo subconscio le ricordò quanto non le fosse mai piaciuto vedere scene o immagini di persone morte con gli occhi spalancati - erano la prova inequivocabile del fatto che la vita avesse abbandonato il loro corpo. Le braccia erano inermi sotto gli scossoni provocati da Iris, incurante delle quattro persone attorno a lei, che osservavano la scena divertite. Sembravano godere del suo dolore.
«Ma guarda, ci siamo beccati una lesbica oltre che Babbana. Poteva andare meglio di così?»
Il commento di Avery fu accolto con degli sghignazzamenti da parte degli altri due, ma non da Bellatrix, che invece sembrava star facendo andare il cervello a mille all’ora per capire cosa fare con quell’insignificante ragazzina. Di norma l’avrebbe uccisa, ma l’istinto le diceva che sarebbe stato più appagante tenerla in vita e dilettarsi un po’ con la sua sofferenza; d’altronde era lei quella che amava giocare con il cibo e quella che le si era appena presentata davanti sembrava una portata decisamente succulenta.
«Certo che è proprio un bel bocconcino. Che dite? Ce la teniamo? Magari riusciamo a farle cambiare… come si dice? Gusti.»
«Di sicuro tu non potresti.» fu il commento di Lestrange.
«Rod ha ragione. Ci sarà un motivo se non c’è nessuna che abbia mai voluto sposarti.»
«Voi due fareste meglio a tacere.»
«Altrimenti che ci fai? – lo schernì Lucius – Sai a malapena Schiantare qualcuno.»
«State zitti. Tutti e tre.» li ammonì Bellatrix, che intanto aveva preso a scrutare la ragazza allo stesso modo in cui gli scienziati analizzano i comportamenti dei topi da laboratorio.
Iris, che adesso teneva il corpo di Liz come a volerlo cullare, stava piano piano tornando consapevole della realtà che la circondava e la paura stava prendendo il sopravvento. Quanto ci avrebbero impiegato ad uccidere anche lei? Non molto, e forse sarebbe stato meglio perché il dolore che stava provando era così forte che le impediva perfino di respirare, ma ancora una volta doveva fare appello alla sua forza di volontà e stringere i denti per uscire da quell’incubo; il suo cervello intanto stava iniziando ad elaborare ciò che aveva sentito: che accidenti significava Schiantare qualcuno? E cosa voleva dire quella parola che continuavano a ripetere e che usavano per riferirsi a lei? Era più che sicura di non aver mai incontrato il termine Babbano in nessun vocabolario.
Con un enorme sforzo sollevò la testa in direzione dei suoi aguzzini e di nuovo il suo sguardo si contrò con quello sprezzante e iroso di Bellatrix; non ne aveva mai visto uno simile prima, sembrava in grado di ucciderti con la sola forza del pensiero e Iris non dubitava che potesse esserne davvero in grado.
Anche i tre uomini la stavano osservando, in attesa che dicesse o facesse qualcosa che gli permettesse di capire come comportarsi.
Ris non sopportava quel silenzio agghiacciante e carico di tensione, odiava dipendere da qualcuno e anche in quel momento non sopportava l’idea di essere schiava dei desideri di quegli assassini.
«Perché non mi uccidete?» disse quindi, cercando di dare alla voce un tono sicuro, ma il risultato fu un sussurro angosciato e tremante.
«Volentieri.» fu la risposta di Rodolphus, che senza esitare un attimo le puntò addosso una specie di sottile bastoncino, la cui punta brillava di una luce azzurrognola che rischiarava l’ambiente.
Iris notò che anche gli altri ne avevano uno, ma erano diversi tra loro e anche piuttosto elaborati; li tenevano stretti come se da quelli dipendesse la loro vita, eccetto Bellatrix, che invece si stava rigirando il suo tra le dita. Era un pezzo di legno ricurvo e, in base al modo in cui lo teneva, veniva quasi da pensare che fosse un prolungamento della sua mano; pareva essere parte integrante del suo corpo, così come quelle degli altri, ma lei lo manovrava con così tanta sicurezza e disinvoltura che veniva difficile immaginarsela senza.
Bacchetta, è una bacchetta.
Le suggerì la sua voce interiore e, differentemente dal solito, non dubitò un solo secondo delle sue parole, ma una domanda le sorse spontanea: cosa ci facevano con una bacchetta? Solo i prestigiatori le usavano e loro non avevano l’aria di essere amabili illusionisti, pronti ad animare le feste dei bambini. 
A meno che… Ma no! Che idea assurda, i Maghi non esistono, giusto? Nelle favole forse, non nella realtà.

Eppure, non era sempre stata lei ad affermare che ogni storia ha un fondo di verità e bisogna solo essere abbastanza svegli per vederlo?
Non era mai stata una di quelle persone scettiche e diffidenti, era Elisa quella realista tra loro, mentre lei amava viaggiare con la fantasia ed era capace di rimanere giornate intere a leggere libri e racconti, nella trepidante attesa che arrivasse il tanto agognato lieto fine.
Okay, Iris, smettila. Ti stai facendo suggestionare e non è questo il problema ora, il problema è che potresti morire da un momento all’altro e senza poterti nemmeno difendere.
Rodolphus la teneva ancora sotto tiro e Iris lo vide schiudere le labbra per dire qualcosa - Un incantesimo? -  ma fu prontamente fermato da Bellatrix, che gli intimò di abbassare la bacchetta, confermando, almeno in parte, i suoi sospetti.
«Bella, che cavolo dici? – esclamò l’uomo, piuttosto stupito da quell’ordine così insolito – Facciamola finita e andiamocene, Dolohov e Rabastan non riusciranno a tenere sotto controllo tutta la feccia qui intorno ancora a lungo.»
«Mi stai forse contraddicendo, Rod? Ed io che ero sicura di aver messo le cose in chiaro quando ci siamo sposati, o sbaglio?»
Lestrange ringhiò sommessamente di fronte a quella mancanza di rispetto da parte della moglie di fronte agli altri due, ma non ribatté e si limitò ad un semplice «Fai in fretta.»
Iris trattenne il fiato quando la donna le si avvicinò con passo cadenzato e iniziò a girarle intorno, studiandola attentamente, come se stesse cercando di capire quale segreto si celasse dentro di lei o, più semplicemente, valutando quale fosse il modo migliore per ucciderla. Un brivido l’attraversò da capo a piedi, facendole battere i denti.
Bellatrix ghignò nel vedere quella reazione e si avvicinò ancora. Per qualche strano motivo quella Babbana la intrigava: era spaventata e ancor più disperata, tuttavia poteva capire da come stava rigida e dal modo in cui li osservava, che stava assorbendo ogni loro parola e stava cercando di metabolizzarle, ma non con lo stupore o lo sconcerto che aveva visto numerose volte sui volti di altri Non Maghi quando sentivano parole lontane dalla loro concezione di realtà. No, lei sembrava quasi incuriosita; si capiva dagli sguardi insistenti che rivolgeva alle loro bacchette. Oltre alla paura di vederle compiere qualche strana diavoleria in grado di mettere la parola fine alla sua miserabile vita Bella poteva scorgere anche un malcelato interesse nei suoi occhi ed era sicura che, in un’altra situazione, la ragazza non si sarebbe risparmiata dal porre numerose domande a riguardo.
Non le era mai capitato prima di vedere una reazione del genere nelle sue vittime.
Questo non cambiava il fatto che fosse un’inutile ragazzina con il sangue più sporco che potesse esistere e che dovesse essere uccisa come tutti i suoi simili, ma la Mangiamorte non vedeva perché privarsi del piacere di divertirsi un po’ con lei; poteva rivelarsi un passatempo interessante e lei non sarebbe stata certo la prima a tenersi un trofeo in seguito ad una delle missioni affidate loro dal Signore Oscuro.
«Bella, in nome di Serpeverde, si può sapere che diavolo stai facendo?» esclamò Lucius, vedendo la Strega accucciarsi fino ad arrivare all’altezza di Iris, che dovette trattenersi dall’indietreggiare, e percorrere i suoi lineamenti con la punta della bacchetta.
«Non per metterti fretta – aggiunse Avery titubante – Ma dovremmo davvero togliere il disturbo.»
«Bella, piantala di giocare e finiscila una volta per tutte, altrimenti ci penso io.» sbottò Rodolphus, puntando nuovamente l’arma contro la rossa, che sussultò.
«Questa qui la portiamo con noi.» asserì Bellatrix per nulla impressionata dalle parole del marito.
«Cos… Sei impazzita del tutto?!»
«Taci, Malfoy – lo fulminò la riccia – Non osare fare la predica a me; sappiamo benissimo tutti quante mocciose Babbane abbiano visitato le segrete di casa tua, e non solo quelle. Credi che Cissy sarebbe felice di venirlo a sapere?»
Un’espressione di pura rabbia si dipinse sul viso di Lucius, mentre gli altri due scoppiavano in una risata sommessa, ma lei non badò a nessuno di loro e continuò la sua operazione.
«Io non vengo da nessuna parte.»
Fu più un lamento strozzato che un urlo vero e proprio quello che uscì dalla gola di Ris e quasi non si stupì delle risate, questa volta sguaiate, dei tre uomini: era chiaro quanto apparisse ridicola ai loro occhi, ma il pensiero di essere portata chissà dove da quei maniaci la terrorizzava ancor più di quanto non fosse stata fino a quel momento e la vicinanza di Bellatrix non l’aiutava per niente a mantenere quel poco controllo che le era rimasto.
«Quindi non vuoi venire? – sibilò la Mangiamorte a un centimetro dal suo orecchio, facendola rabbrividire – Però, vedi, quello che vuoi tu non ha alcuna importanza.»
Iris non riuscì a trattenere un singhiozzo e una lacrima le solcò il viso, mentre stringeva convulsamente le dita attorno alla stoffa dell’abito di Liz, che, con gli occhi ancora spalancati, sembrava osservare un punto indefinito sul soffitto; in un gesto automatico le abbassò le palpebre e chiuse per sempre gli occhi verdi che l’avevano rapita. Non riusciva a sopportare di vederla così e quel gesto era l’unica cosa che sentiva di poter fare in quel momento per darle la pace che meritava e insieme a quella il suo saluto. Non era così che avrebbe voluto farlo, ma la situazione assurda in cui si era ritrovata la stava costringendo a pensare a sé stessa e si odiava per questo, ma non aveva altra scelta.
«N-non vengo.» ripeté con voce flebile, singhiozzando di nuovo.
«Forse non mi hai sentito, lurida ragazzina. Tu non conti niente e tantomeno ciò che dici.» ringhiò Bellatrix, spingendo con più forza la bacchetta contro la gola della ragazza, che si sentì mancare l’aria e cominciò ad annaspare quando si rese conto di non riuscire più a respirare. Quando stava iniziando a temere che non l’avrebbe lasciata andare, la Strega mollò la presa e Iris si portò istintivamente le mani al collo, iniziando a tossire.
«Bene, ora che abbiamo messo le cose in chiaro, possiamo andare.»
«Alla buonora.» commentò Rodolphus, ricevendo un’occhiataccia che lo zittì subito.
Bellatrix afferrò il braccio della rossa che si chiese come avrebbero fatto ad uscire da lì senza che nessuno li vedesse, ma i suoi dubbi sparirono immediatamente quando la stanza intorno a lei cominciò a vorticare e l’orribile sensazione di essere infilata in un tubo di gomma eliminò il resto dei suoi pensieri. Si era fatto improvvisamente tutto sfocato e non riusciva a vedere chiaramente, ma aveva la netta sensazione di starsi spostando da un luogo ad un altro.
Dopo quelle che le sembrarono ore finalmente il mondo riacquistò il suo normale andamento e lei crollò carponi sull’erba bagnata di un grande giardino, su cui dominava un immenso Maniero, che, per quello che ne sapeva lei, poteva anche essere uscito da un vecchio romanzo ottocentesco.
Il suo primo istinto fu quello di vomitare, il suo stomaco era in subbuglio e tutto il cibo che aveva mangiato minacciava di uscire da un momento all’altro, ma con grande fatica riuscì a trattenersi e si lasciò cadere a terra; si sentiva la testa pesante e numerosi puntini neri invasero il suo campo visivo.
Sentì, da qualche parte vicino a lei, una discussione in corso tra i due coniugi Lestrange, ma colse solo qualche pezzo di frase sconnessa tra cui un «Come lo spiegherai al Signore Oscuro?»
Non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi chi fosse il tale nominato, che tutto si fece scuro e una forza maggiore la trascinò nell’oblio.
Il suo ultimo pensiero prima di svenire fu: Liz.
   
 
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