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Autore: nikita82roma    02/06/2017    1 recensioni
Ambientata prima dell'ultimo episodio della prima stagione. Castle e Beckett sono sulla scena del crimine di un duplice omicidio, una coppia di coniugi con una bambina in affido: Joy entrerà prepotentemente nella vita di castle e ancora di più in quella di Beckett. Il passato si scontrerà con il futuro, scelte, errori e decisioni vecchie e nuove porteranno i nostri dentro un percorso dal quale uscirne non sarà facile, dove giusto e sbagliato non sono così netti e dove verranno prese decisioni sofferte.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
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Kate era tornata indietro sui suoi passi, facendo la strada a ritroso verso il distretto. Quello che aveva visto, fatto e lei stessa detto al parco l’aveva stordita: per la prima volta si era vista in altre vesti, in altro modo, si era vista madre. Eppure non lo era, perché non aveva mai fatto nulla per definirsi tale oltre al mettere al mondo una figlia che non aveva mai curato, ma dentro di se stava crescendo una consapevolezza che la faceva sentire forte e la spaventava allo stesso tempo. Joy era sua figlia, non era più un pensiero astratto era qualcosa che aveva metabolizzato ed era dentro di lei. 

 

Arrivata a casa combattè il resto del pomeriggio contro la tentazione di chiamare Castle e chiedergli di Joy. Un lungo bagno, pensò, sarebbe stato il metodo migliore per provare a rilassarsi, ma fu inutile, ripercorreva ogni istante trascorso con Joy, da quando l’aveva vista nascosta nell’armadio a quell’abbraccio che le aveva regalato prima di andare a casa con Castle. Quel pensiero era una droga nella sua mente.

Aveva buttato l’accappatoio in un angolo della camera e stava cercando una t-shirt da mettersi, a New York faceva già molto caldo e prima o poi avrebbe dovuto cedere e far installare anche a casa l’aria condizionata: non aveva mai sofferto troppo il caldo, ma quei giorni era insofferente a tutto. Si guardò allo specchio, vide quel suo vecchio tatuaggio, poco sopra l’inguine, quella farfalla maori fatta a sedici anni come segno di ribellione, in un posto che se ci ripensava si chiedeva come aveva fatto a non prendersi qualche brutta malattia. Ricordò perfettamente la lunga ramanzina di sua madre quando lo scoprì e le sue urla che le avevano sicuramente sentite anche i vicini, i silenzi severi di suo padre che quella volta non aveva nessuna intenzione di giustificarla, non tanto per il tatuaggio, quando per la scelta scellerata di un posto non sicuro per la sua salute. Era comunque ben fatto e trovò strano che le piacesse ancora, nonostante fosse cambiata così tanto. Capì in quel momento cosa avrebbe regalato a Joy. Anche lei amava le farfalle, le aveva disegnate appena arrivata al distretto, non doveva essere un caso.

Infilò la prima maglietta presa nell’armadio e poi aprì il suo portagioie. In un sacchetto c’era una collanina di oro bianco dalla quale alla fine pendeva una farfallina con le ali traforate, simile a quella del suo tatuaggio. Ricordava esattamente da quando ce l’aveva, ricordava quando l’aveva vista in una vetrina e che tutte le volte che passava davanti la guardava. Ricordava quando Johanna le aveva dato quel sacchettino blu e lei fece scivolare sulla sua mano quel ciondolo. Ricordava gli occhi di sua madre che ridevano della sua espressione stupita e felice. Aveva anche lei poco più di dieci anni e l’aveva sempre portata al collo. Era quella che aveva fatto vedere al tatuatore quando aveva dovuto scegliere di corsa un disegno, era quella che non si era mai tolta fino a quando sua madre non era morta. Poi l’aveva chiusa lì, insieme a tutti i ricordi felici ed ora indossava sempre al collo il suo anello, per ricordarsi quello che in ogni caso non avrebbe mai potuto dimenticare. Joy non avrebbe mai saputo il significato di quel regalo, nessuno lo avrebbe mai saputo, ma per lei era importante che fosse sua figlia, ora, ad averla. 

Il suono del cellulare interruppe i suoi ricordi. Fece un respiro profondo, pronta a tornare al distretto, ma quando vide il numero il cuore sobbalzò ancora di più: era Castle. Perché la stava chiamando a quell’ora?

Rispose cercando di nascondere la sua agitazione, magari voleva solo confermarle l’orario per la domenica, perché doveva pensare al peggio? 

- Beckett!

- Ehy ciao sono io, sono Castle, ti disturbo? - Kate non voleva pensare sempre al peggio, ma la voce ed il modo di parlare di Rick non tranquillizzarono per niente.

- No, Castle figurati. Tutto bene?

- Sì, cioè no. Insomma… 

Lo sentì prendere un respiro ed il rumore di una porta che si chiudeva. Lei si sedette sul letto pronta ad ascoltarlo.

- Stamattina sono stato con Joy in ospedale per la sua trasfusione…

- È successo qualcosa a Joy? - Chiese allarmata.

- No, cioè un po' di febbre ma mi hanno detto che è normale dopo. L’ho appena messa a dormire. È che… mi sono sentito impotente e stupido. Lo so che ora dirai che sono sempre stupido ma… era lei che diceva a me di stare tranquillo, che non era nulla… e… scusami Beckett, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno, se sono stupido puoi dirmelo.

- Questa volta non sei stupido Castle… - Faceva fatica a tenersi. Faceva un’enorme fatica a non fargli capire che il suo cuore si stava sgretolando ad ogni sua parola.

- Questa volta uhm? Vuol dire che di solito…

- Non ti approfittare del momento, Castle! Accontentati. Cosa altro è successo? - cercava di essere il più normale possibile.

- Ok… Per lei era tutto normale, era così abituata a quello che a me sembrava orribile ed ingiusto. Mi ha detto che se non me la sentivo potevo lasciarla sola. Che razza di persone possono lasciare sola una bambina in quel momento? Mi sono sentito inadeguato quando mi ha detto che lei di solito in quelle ore pensa a tutto quello che le piacerebbe fare e non ha detto nulla di impossibile, ma tutte cose normali per una della sua età.

- Ad esempio? - Chiese Kate asciugandosi gli occhi contenta solo che Castle dal telefono non potesse vederla. 

- Conoscere Zac Efron. - sorrise Rick

- Io non so nemmeno chi sia, vuol dire che sto invecchiando? - Gli domandò.

- No, solo che non hai una figlia tra i dieci ed i quindici anni! - Rise lui non sapendo che quelle parole erano una frustata sulla pelle viva per Kate. - E poi che vorrebbe andare a Disneyland, fare una foto con la Sirenetta, vedere tante farfalle, nuotare con i delfini… Vorrei realizzare tutte queste cose per lei, eppure sono sicuro che mi sentirei sempre di non fare abbastanza.

- Sono sicura che come al solito tu farai molto di più di quanto sia normale per chiunque. Ed in questo caso sarà solo un bene. - Gli disse Kate.

- Lo pensi veramente?

- Sì, tieni a bada il tuo ego e non farlo espandere oltre i confini nazionali, almeno.

- Uhm sì certo… Beckett… Grazie… per aver sopportato il mio sfogo. Non sapevo chi chiamare e… Beh, grazie.

- Quando vuoi Castle. Ah, fammi sapere come sta Joy e se ti serve una mano, non ti far problemi, chiamami pure. Non sono esperta con i bambini ma… Se hai bisogno…

- Grazie Beckett. Ci vediamo domenica pomeriggio?

- Certo. Non mancherei per niente al mondo.

- Ci conto Beckett, ed anche Joy sarà felice di rivederti.

- Anche io sono felice di rivedere lei.

- Anche me, detective? Ti sono mancato? - aveva già ritrovato il suo solito piglio irriverente.

- Non esagerare Castle!

- A domenica detective!

- Buonanotte scrittore.

 

 

Il compleanno vero di Joy era quel sabato, non la domenica. Ogni anno Kate aveva fatto finta di nulla, aggiungendo quella data alle altre nella sua personale blacklist e quel giorno in particolare fu decisamente grata della telefonata ricevuta all’alba per un caso di omicidio, un ex concorrente di un reality show del quale lei ignorava l’esistenza, trovato morto nella piscina di un hotel dove doveva pubblicizzare la sua nuova marca di abbigliamento. Dover fronteggiare stampa e ragazzine urlanti e piangenti che provavano ad intrufolarsi ovunque fu più difficile che capire che l’assassino era stato un altro ex concorrente dello stesso programma. Era quasi l’alba della domenica mattina quando scoprì che dietro a quel delitto c’era una storia di amore non corrisposto di un ragazzo per l’altro, gelosia per il successo ed altre sfumature che a lei sembravano tutte così banali per in omicidio, ma non era la prima volta che si ritrovava a pensarlo. Consegnato il sospettato alla penitenziaria e compilato gli ultimi rapporti andò a casa stremata ma felice di non aver avuto modo di pensare ed ora voleva solo dormire qualche ora e sprofondò vestita sul letto.

Aveva appena fatto in tempo a mettere la sveglia, ma non l’aveva nemmeno fatta suonare, si era svegliata prima, una doccia veloce e poi si era vestita per andare alla festa di Joy. 

Era in anticipo, di molto. Vide il portone del luogo che si apriva e si chiudeva, con vari ragazzi che entravano ed uscivano per sistemare gli ultimi dettagli: palloncini, nastri, scritte… Kate si avvicinò, ma fu bloccata all’ingresso da uno di questi.

- Mi dispiace signora, ma oggi c’è una festa privata. - le disse un ragazzo parandosi davanti alla porta.

- Sì, lo so… mi ha invitata Castle.

- Ah, mi scusi, ma ci aveva detto che gli ospiti sarebbero arrivati più tardi, però se vuole può portare il suo bambino all’interno, è già quasi tutto pronto. - il ragazzo aveva cambiato tono, diventando più conciliante.

- Ehm no, sono sola, sono un’amica di Castle.

- Ok, ok faccia come vuole allora io devo finire di sistemare - le disse mostrandole alcune decorazioni che aveva tra le mani.

 

Sorrise guardando l’interno. Era tutto perfettamente già decorato con due grandi tavoli pieni di dolci e tante altre schifezze che era certa Castle avrebbe adorato, un deejay stava sistemando i suoi dischi ed altre ragazze si aggiravano a controllare gli ultimi dettagli. Si sarebbe immaginata decorazioni sul rosa o il lilla, i colori che a Joy piacevano di più e delle decorazioni fiabesche con sirene, cavalli volanti o farfalle, invece si guardava intorno perplessa di trovarsi immersa in un ambiente che ricordava quello di un college, con una serie di armadietti alle pareti, delle panche di legno, poltroncine rosse e nere in un angolo ed un palco con dei microfoni.

- Bello eh? - le chiese una ragazza con ai piedi un paio di pattini che si era avvicinata per portarle un badge che le mise al collo.

- Sì… bello… - rispose perplessa.

- Festa a tema High School Musical. Uno dei nostri pezzi forti, ma organizzarlo in così poco tempo è stata un’impresa, ma il signor Castle ci teneva molto per sua figlia! Lei è una parente?

-Io… no, sono solo un’amica… - disse mentre guardava il badge dove in caratteri dorati c’era una vistosa scritta “Party di Joy” e poi sotto in nero “ospite”. Sorrise e si andò a sedere in una delle poltroncine mentre i ragazzi finivano gli ultimi ritocchi.

Quando cominciarono ad arrivare gli altri bambini con i loro genitori, nella sala era tutto perfetto. Alcuni andarono verso il piccolo campo da basket, altre ballavano sul palco vicino al deejay cantando tutte le canzoni a memoria, segno che dovevano essere quelle più in voga nel momento almeno in quella fascia di età. Alcuni genitori si erano seduti dove era lei, con intenti quasi subito bloccati di fare una conversazione di cui non aveva voglia e si cominciava a sentire a disagio mentre tutti sembravo divertirsi sorseggiando dei cocktail, solo per adulti, serviti da ragazzi che si muovevano veloci per la sala con i pattini. Quando cominciò a realizzare perché era lì le salì un profondo senso di inquietudine, soprattutto nel sentir parlare le altre madri dei propri figli, di nascite, baby shower e compleanni. 23 giugno 1999, quella data era scritta nel foglio che aveva firmato contro il parere dei medici, quando se ne era andata dall’ospedale, quando aveva parlato con quell’infermiera che aveva raccolto il suo suggerimento per il nome di sua figlia, quando l’aveva vista per la prima e credeva per l’ultima volta. Si sentì a disagio e pensò che lei, lì, non ci sarebbe mai dovuta essere, che non era il suo posto, che non lo meritava. Si era alzata decisa ad andarsene prima di dover affrontare tutto ed era già vicina all’uscita, quando la porta si aprì.

   
 
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