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Autore: Beverly Marshall    02/06/2017    2 recensioni
“[...] Streak, Swordsgirl e Lady Ice erano La Dannata Trinità, i tre criminali più ricercati d’America. Ovviamente finché non vennero scelti per far parte della Task Force X. E da Amanda Waller non si scappa.”
Una fanfiction senza troppe pretese, per ora solo “in prova”, spero vi piaccia!
Nel primo capitolo la Suicide Squad non è presente perché dovevo introdurre i miei OC (è una sorta di prologo-presentazione, ecco), ma ovviamente a partire dal secondo – se deciderò di continuare – ci saranno tutti i nostri cattivi ragazzi!
Genere: Azione, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per la lettura di questo capitolo è preferibile – e soprattutto utile alla comprensione rileggere il capitolo numero quattro (The Labyrinth). 
 
Harley sedeva a terra imbronciata, dopo qualche minuto Akito l’aveva imitata, sedendosi anche lui nella pietra fredda che era il pavimento del labirinto. La differenza tra i due era che la bionda stava masticando rumorosamente una gomma, pensando probabilmente a quando il suo Mister J sarebbe venuto a portarla via con sua figlia, mentre il ragazzo meditava su quale fosse la soluzione dell’indovinello. 
Ormai i pensieri lo stavano torturando, non solo per il modo in cui si arrovellava per capire come risolvere il rompicapo, ma anche per le parole di Harley che gli ritornavano in testa continuamente, i suoi tentativi di scacciarle per concentrarsi erano vani, nonostante lui non avesse problemi a trovare la concentrazione, dopotutto era un maestro di arti marziali, viveva per quello, eppure la criminale fuori di testa era riuscita ad insinuarsi nei suoi pensieri con una facilità che lui stesso – prima di quel momento – non credeva possibile. 
La ragazza sbuffò, «Non hai ancora capito?» domandò, la solita luce allegra nei suoi occhi era stata sostituita dalla noia. Akito alzò gli occhi al cielo, maledicendo la criminale, «Siccome per te è tutto così semplice perché non fai un tentativo? Risolvi l’indovinello se è davvero così scontato.» le disse con una certa irritazione, ma senza preoccuparsi troppo di nascondere la nota provocatoria nella sua voce. 
Harley stava giocando con lui da quando erano entrati in quell’assurdo labirinto, mettendolo in difficoltà, il ragazzo dai tratti asiatici non aspettava altro che la sua rivincita. Osservò attento la donna alzarsi in piedi per raggiungere con passo svogliato la parete dove era stato inciso l’enigma, leggerlo ripetutamente – gli occhi azzurri guizzarono rapidi da un estremo all’altro, su e giù, diverse volte – e poi voltarsi con un sorrisetto a guardarlo. «Facile! La risposta è l’uomo. È giusto, non è vero?» chiese senza nemmeno guardarlo, come se si stesse rivolgendo direttamente alla pietra fredda. La parete si spostò, lasciando loro lo spazio per proseguire nel cammino. Facile
 
L’acqua le era arrivata ormai ai fianchi, ma il che era accaduto nell’arco di dieci secondi dato che l’aumento di livello si verificava in modo abbastanza repentino, portando Jolly al panico e la mente di Floyd a lavorare sempre più veloce per trovare una soluzione che li levasse da quella situazione pericolosa, se non mortale. 
Giulia sembrava essersi calmata improvvisamente, non poteva morire affogata perché il labirinto era a cielo aperto e di conseguenza, se fosse rimasta a galla, avrebbe semplicemente raggiunto l’altezza del muro per poi saltare e arrivare con facilità in un altro percorso. Tutte le sue speranze vennero soffocate da ciò che vide alzando lo sguardo: improvvisamente quel punto del labirinto era stato coperto da una lastra di vetro. 
L’acqua era diventata abbastanza alta da sollevarli da terra, le loro teste erano separate dalla lastra di vetro da circa mezzo metro di distanza. «Okay, senti, adesso vado là sotto per vedere da dove arriva quest’acqua, il livello sembra essersi stabilizzato o almeno sta andando più lentamente, quindi stai a galla e aspettami, hai capito? Niente pazzie per ora.» si raccomandò pazientemente Deadshot, aspettando che la ragazza annuisse convinta prima di tuffarsi in quella piscina che li avrebbe uccisi di cui, inspiegabilmente, non si vedeva il fondo.  
Floyd aprì gli occhi per guardarsi intorno, la visuale appannata si rischiarò gradualmente, lasciando che, secondo dopo secondo, riuscisse a mettere a fuoco. Notò immediatamente il buco nella pietra da cui proveniva l’acqua, non molto lontano da esso un altro buco, ma molto più profondo e più grande, comunque non da farlo passare, doveva essere il buco per risucchiare l’acqua. Certo lui non sarebbe mai riuscito a entrare, ma Jolly sicuramente sì. Chiuse con un calcio il condotto che lasciava entrare l’acqua e si diede la spinta per tornare in superficie. 
Riemerse accanto alla ragazza, «Bambolina, serve il tuo aiuto.»  
«Uh! Che devo fare?» 
«Andare sotto e aprire il condotto che risucchierà l’acqua.»  
«Non so nuotare! Come dovrei riuscirci?!» 
«Vogliamo uscirne entrambi vivi, muoviti!»   
Jolly prese un respiro profondo. Suo padre stava arrivando a salvarla e lei non poteva morire, ma con l’acqua non era mai andata troppo d’accordo, così come sua madre d’altronde. Deadshot la guardava come ad esortarla, gli occhi scuri che passavano dall’acqua in cui erano immersi alla principessa di Gotham. Jolly fece ciò che la sua pazzia la portava a fare spesso: smise di pensare. Si spinse sott’acqua e nuotò fino al condotto, quello più incavato era quello da cui il cecchino non era riuscito a passare, l’aria nei polmoni era sempre meno e l’agitazione la spinse a fare più veloce, si infilò nella cavità del condotto e con tutta la forza che aveva ruotò la grande manopola in ferro, aprendo l’apertura che permise all’acqua di fluire verso l’esterno. 
Quando entrambi furono con i piedi a terra e il muro si spostò per lasciarli proseguire, Floyd strinse la ragazza in un abbraccio: «Ce l’hai fatta!» esclamò, sollevandola e facendola girare tra le sue braccia, «Ce l’ho fatta!» esclamò lei di rimando, ancora più entusiasta. Jolly riprese il suo andamento saltellante durante il cammino, stava completamente ignorando il fatto di essere fradicia da capo a piedi. 
 
Sheila non era una che andava nel panico, lo yoga serviva anche a quello, ma quando si trattava della sua parte interiore, di quella sua parte interiore, non era in grado di preservare il suo temperamento rilassato. 
Chato aveva reagito scattante, cercando immediatamente di capire cosa avesse a che fare quel mostro con la sirena e soprattutto perché sembrava esserne così terrorizzata. 
L’ispanico si prese un attimo per osservare l’essere che stava spaventando Sirena, e si accorse della palese somiglianza con Incantatrice solo molto più terrificante. Il viso era mostruoso, la bocca irta di denti aguzzi distorta in un sorriso maligno, gli occhi erano due pozzi neri e l’intera figura era sporca di sabbia marina. Anche El Diablo rabbrividì alla vista di quel mostro.  
Poi la sua forma mutò, divenne una bellissima donna bionda dagli occhi neri, il suo fascino era palese ma Chato non poté soffermarsi ad osservare più di qualche secondo perché l’essere cambiò di nuovo, questa volta diventando tre figure distinte: una donna e due bambini. La sua famiglia. 
Sheila guardò il compagno che fissava i tre come incantato, anch’essi, come Randelën, non facevano nulla, stavano lì, a guardare El Diablo negli occhi con sguardi del tutto vacui.  
La ragazza a quel punto ebbe un dubbio, si avvicinò e quando tentò di toccare il bambino piccolo questo si dissolse nell’aria, come le altre due figure, per poi ricrearsi poco dopo. Illusioni
«Chato! Dobbiamo andare… non sono veri! Dobbiamo continuare!» disse la sirena, afferrandogli istintivamente la mano, ma lui si ritrasse, allontanandosi, «Sono la mia famiglia, non posso abbandonarli.» 
«No, non lo sono! Sono solo delle illusioni.» 
«Cazzate.» 
«Allora se è così abbraccia tua moglie, no? Abbraccia i tuoi bambini, avanti!» lo esortò con un tono di voce decisamente troppo alto per i suoi standard, l’ispanico sembrò risvegliarsi da uno stato di trance e poi scosse lentamente la testa, abbassando lo sguardo, «…No. Loro sono morti. Io li ho uccisi.»  
Sheila restò a bocca aperta, l’uomo davanti a lei si era dimostrato pacato, silenzioso e perfino gentile – così fuori posto in una banda di criminali come quella – come poteva uno come lui aver ucciso la propria famiglia? 
L’illusione, dopo le sue ultime parole, scomparve del tutto, lasciandoli proseguire in una lunga strada, fredda, buia e vuota
 
Calma e sangue freddo, Killer Croc gestiva bene qualunque tipo di situazione in cui ci fosse da combattere, ma non aveva mai incontrato un avversario della sua stessa stazza e la cosa lo spiazzò. Certo per Sarah non era diverso, ma fece l’unica cosa che faceva sempre, istintivamente, quando si trovava a doversi difendere, prese un coltello dalla tasca interna del gilet in pelle e lo lanciò, mirando alla fronte dell’altra se stessa che, poco prima che la lama potesse perforarle la scatola cranica, fermò il coltello, lanciandolo a sua volta. Sarah riuscì a schivarlo per un pelo. 
 
Il quartier generale non era altro che un vecchio magazzino abbandonato, dai lucchetti arrugginiti e rotti, le finestre distrutte e un buco su una delle pareti laterali tappato con delle malmesse assi di legno, in pratica un posto facile in cui entrare. Quartier generale per il giorno, rifugio sicuro per la notte. 
Era lì che Stephan e Sarah davano luogo ai loro allenamenti, indispensabili per la riuscita di ogni furto 
«Il combattimento vero è il tuo problema. Finché puoi lanciare i coltelli sei forte, ma se ti trovi senza non sai che fare, dobbiamo lavorarci.» sentenziò Stephan dopo aver buttato a terra la sua partner in poche mosse veloci e ben studiate. La ragazza si rialzò con un balzo in avanti, «Mh, lo so, ma non è facile…» borbottò, scrollandosi di dosso la polvere. «Questo è il tuo punto debole. Riproviamo.» disse, preparandosi a scagliare un altro colpo. 
 
Il flashback passò davanti agli occhi di Swordsgirl come un lampo, se quella Sarah davanti a lei era davvero una sua copia esatta, anche lei non era abile nel corpo a corpo, dunque era necessario mettere in pratica i consigli di Stephan. 
Sarah scattò rapidamente, e prima ancora che la sua copia potesse accorgersene, aveva già tirato un destro dritto sul suo naso con tutta la forza che possedeva, facendola indietreggiare stordita. Poi un altro arrivò allo stomaco, e si piegò in due riparandosi l’addome con le braccia, sputacchiando del sangue. L’altra Sarah cadde a terra, e un potente calcio sul fianco le diede il colpo di grazia, facendola sparire completamente.  
Swordsgirl si voltò verso il suo compagno, che continuava a combattere contro la sua copia senza giungere ad una conclusione, solo che l’originale s’indeboliva ma l’altro no. «Waylon! Il tuo punto debole, devi usarlo contro di lui!» urlò. Killer Croc inizialmente non capì, poi realizzò che non poteva esserci altro modo per sconfiggere se stesso.  
Ma qual era il suo punto debole?  
KC non ci pensò a lungo, e proprio quello fu il problema, decise di non pensare. Sarah, nel bel mezzo della lotta, riuscì ad indentificare il vero Waylon, poiché la copia creata da chissà cosa o chi all’interno del labirinto per lei era intoccabile, l’attraversava come se fosse uno spettro.  
La ragazza, con un abile salto, riuscì ad aggrapparsi alle spalle dell’uomo-coccodrillo, poi parlò al suo orecchio. «Strategia, Waylon. Non usare la forza, usa la testa.» gli consigliò, per poi saltare giù e allontanarsi per osservare. 
Passò dell’altro tempo, Killer Croc sembrava non stancarsi, o almeno, dava l’impressione di poter resistere ancora a lungo, ma Sarah non poteva aspettare perché aveva capito che avrebbero potuto continuare a combattere in eterno, nessuno dei due avrebbe sopraffatto l’altro… a meno che qualcuno, o meglio, qualcosa si fosse messo in mezzo, e quel qualcosa doveva essere uno dei coltelli di Swordsgirl. La suddetta scagliò velocemente una delle lame, facendo sì che la copia si distrasse e KC potesse, con un unico balzo, arrivare alle sue spalle e stenderlo con un calcio alla schiena. La copia cadde a terra con un tonfo, dissolvendosi subito dopo. La strada era nuovamente libera, così ripresero a camminare in silenzio. 
«Grazie.» borbottò ad un tratto l’uomo-coccodrillo, Sarah si voltò verso di lui: «Cosa?» 
«Ho detto grazie.» disse una seconda volta, senza posare lo sguardo su di lei nemmeno per un istante. Swordsgirl annuì con un sorriso, «Quando vuoi.» si limitò a dire, scrollando poi le spalle.  
 
Something I Need To Say 
SINTS, quando gli autori giocano sporco. 
 
Ciao a tutti! 
Probabilmente pensavate di esservi liberati di me e della mia noiosa storia ma… assolutamente no! Scherzo ;) i vostri personaggi la rendono speciale! 
Dunque, come al solito chiedo venia per il ritardo ma sono stata in vacanza e poi ho avuto alcune materie scolastiche da recuperare (eheh, chi ha detto che l’artistico è una scuola “facile”?), quindi trovare il tempo sufficiente è stato impossibile, nei pochi minuti qua e là scrivevo qualche riga ma niente che portasse realmente avanti la storia (o almeno non a passo di lumaca col raffreddore). 
Come avrete notato ho cambiato il titolo dei capitoli, da “Broken” è diventato “Weaknesses” perché, durante la scrittura, mi è sembrato più appropriato.  
Ultima cosa prima di passare alle curiosità: il personaggio di Randelën non è di mia creazione, bensì è opera di Dawn_Scott402 ed è il demone che possiede il corpo di Sheila (diciamo che mi è arrivata in omaggio con Sirena LOL). 
Oggi le chiacchiere sono poche quindi passo senza indugio alle curiosità! Il tema di questo capitolo è “Origini”, quindi mi sono fatta raccontare un po’ del cosiddetto background dei nostri personaggi dalle loro autrici, ed è venuto fuori questo. Enjoy! 
 
Angolo Curiosità 
Origini 
Stephan 
Karen Baston aveva eseguito diversi esami prima di decidere di concepire il primo figlio con l’amore della sua vita: James Doyle. 
Sfortunatamente gli esiti della maggior parte degli esami non furono quelli sperati, c’erano probabilità che il bambino nascesse con patologie, che morisse dopo pochi giorni di vita o peggio, che non nascesse affatto. Ma Karen e James erano innamorati, Karen e James, a soli vent’anni, volevano a tutti i costi il loro bambino, nemmeno i medici e i vari specialisti sarebbero riusciti a fermarli. 
Passò qualche mese, lunghi mesi di tentativi, finché, un bel giorno, la ginecologa informò la signora Doyle che nel suo ventre, il cuore di suo figlio, aveva iniziato a battere. La notizia riempì i genitori di gioia, ma non durò per molto, altri esami e visite avevano dimostrato che il bambino sarebbe nato morto o si sarebbe verificato un aborto spontaneo prima dei sei mesi di gravidanza. 
Karen si sentì morire, e James, sopraffatto dal dolore, fece una scelta di cui si sarebbe pentito: chiese aiuto alla magia nera. Una potente strega discendente dalla stirpe degli indiani d’America fece rituali, lanciò incantesimi e pronunciò parole in una lingua sconosciuta ai due, per far sì che il piccolo Doyle nascesse e fosse in salute. Solo una cosa i due dimenticarono: la magia ha sempre un prezzo, e non è il denaro. 
Stephan James Doyle fu maledetto, nacque con uno spirito dentro di sé, lo spirito di una volpe di cui poteva prendere le sembianze e le abilità. I signori Doyle, scioccati e spaventati, iniziarono ad odiare Stephan, quel bambino tanto desiderato era diventato il bersaglio di tutte le loro frustrazioni, della rabbia e dell’astio che provavano per lo stesso e per se stessi. A sedici anni, dopo diverse sedute inutili con uno psicologo e vari incontri con la polizia locale, Stephan scappò, lasciando il posto a Streak. 
Sarah 
Sarah è nata in un circo con il nome di Zarya Roksana Sakharov (vedi “Curiosità”, capitolo cinque), fin da piccola i genitori e gli altri artisti del circo si accorsero del suo talento: la mira perfetta nel lancio, in genere di qualunque oggetto, ma per gli spettacoli vennero scelti i coltelli in modo da attirare più pubblico. Non si vedeva spesso una bimba di otto anni lanciare lame così affilate e di un certo peso senza sbagliare mai nemmeno un colpo. 
Scappò all’età di diciotto anni per scoprire il mondo, solo suo fratello la scoprì, lasciandola andare in modo che fosse lei stessa a scegliere il proprio destino. Ma la durezza del mondo reale non era fatta per una ragazzina cresciuta tra le illusioni e le abbaglianti luci dell’insegna di un circo, così in poco tempo Sarah, non trovando nessun altro modo per procacciarsi da vivere, ricorse alla sua abilità per piccoli furti, che con la conoscenza di Stephan, diventarono rapine nelle banche di tutti gli Stati Uniti. 
Ho creato Sarah per dare vita ad un miscuglio tra i miei due migliori amici, e anche perché mi serviva un personaggio con una storia originale, forse un po’ triste, ma abbastanza forte da renderlo un badass! Non so ancora se sono riuscita nell’intento. 
Lucille 
Lucille Anderson venne lasciata in un orfanotrofio alla periferia di Los Angeles con i suoi tre fratelli quando aveva appena un anno, in pratica quando il suo nome non era ancora Lucille, scelto infatti dalla direttrice dell’orfanotrofio in accordo con i fratelli maggiori. 
Il suo potere è nato con lei, nessuno sa come né perché. All’età di quindici anni, durante una crisi esistenziale, fuggì dalla struttura e nessuno ebbe più notizie di lei. Classificata come meta-umana per comodità, Lucille ha sempre sentito nel profondo che i suoi poteri derivavano da qualcosa di molto più grande di una semplice anomalia genetica, e si promise che, dopo essersi ricongiunta con i suoi fratelli, avrebbe fatto delle ricerche e avrebbe capito. 
Lady Ice è nata molto prima di Suicide Squad, o almeno del film, e anche prima che io stessa conoscessi Killer Frost. Il mio professore di Laboratorio Artistico ha chiesto, come attività in classe, di creare un personaggio dei fumetti, preferibilmente un supereroe. Quando gli ho mostrato le prime bozze di Lady Ice e aver descritto i suoi poteri, presentandola come una supereroina, mi ha detto che secondo lui era più una super cattiva, e quando mi sono cimentata nello scrivere questa fanfiction ho ripescato quegli sketch e quei progetti, creando la versione definitiva di Lady Ice. 
 
Sheila 
“Sheila è nata ad Atlantide, piano piano che crebbe divenne una delle sirene più belle della città, con grande soddisfazione della sorella minore Moana e quella della sorella maggiore Seirè, e anche con grande orgoglio dei genitori data la bellezza sia interiore che esteriore della ragazza. Tutti in famiglia l’adoravano meno la gemella Leila, molto invidiosa della sorella. Ma, quando era una piccola tredicenne si avvicinò troppo ad una strana conchiglia, l’aprì e...da là partì il dover convivere con il demone-dea più potente che il mare abbia mai conosciuto: Randelën.  
Tuttavia questa sua particolarità non compromise la natura buona e generosa di Sheila, che, diventava ogni giorno sempre più bella. 
Un giorno, quando era una ragazza diciannovenne nel fiore della giovinezza tornò a casa e dovette affrontare una forte discussione con i propri genitori.  
A casa erano presenti Dafne (sua madre), Triton (suo padre) e la sorellina dodicenne Moana.  
Nel bel mezzo della discussione, che si faceva mano a mano più violenta fra grida in spagnolo del padre, rimproveri in atlantideo della madre e il pianto della sorellina la pazienza enorme di Sheila si annullò e il demone Randelën uscì fuori, massacrando e facendo letteralmente a pezzi i genitori e la sorella della ragazza. La cosa agghiacciante fu che si cibò pure delle loro carni e, quando Sheila tornò se stessa cadde in un profondo spavento.  
Gli atlantidei la bandirono dalla città e la marchiarono con il tatuaggio della fata-demone che la ragazza ostina tanto a nascondere.  
Arrivata sulla terra era sola, spaventata e tartassata dal rimorso. Ma questo non la buttò giù e decise di cercare perdono attraverso opere buone.  
In poco tempo imparò correttamente l’inglese e praticò molto la lingua spagnola nei quartieri poveri della città dove era solita fare volontariato. Purtroppo un giorno, nei pressi di un centro commerciale, un gruppo di ragazzi l’aggredì.  
Sheila sapeva (e sentiva) perfettamente che Randelën da lì a poco avrebbe scatenato la sua furia e cercò di mantenere la calma e il sangue freddo, intimando agli assalitori di smetterla.  
Essi, però, non smisero e Randelën saltò fuori di nuovo. Questa volta, però, scatenò un violento tsunami che travolse anche il centro commerciale vicino ove era Sheila, uccidendo uomini, donne, anziani e bambini.  
Tornata se stessa la sirena, rendendosi conto della strage, andò dalla polizia e si autoconsegnò. Intimando loro di rinchiuderla in un posto “il più possibile simile all’inferno”. Così finì a Belle Reve, e tra i corridoi del carcere si incominciò a parlare di Sirena, la ragazza pesce bella come il sole e dal passato oscuro come le tenebre.  
Così Sheila visse in quella cella dalle pareti in stagno, con i suoi piatti vegetariani e le sue bevande analcoliche e sì, anche con i suoi rimorsi e le sue allucinazioni delle persone e dei bambini che uccise quel fatidico giorno.  
Purtroppo Amanda Waller la prese nella Task Force, la sirena inizialmente rifiutò ma la Waller la minacciò dicendole che se mai avesse rifiutato avrebbe spifferato al mondo intero il segreto sulla dea che sopiva dentro di lei. Così, anche se molto spaventata per paura di uccidere o fare del male a qualcun altro, Sirena accettò.” 
Dawn_Scott402 
 
Giulia 
“Giulia nacque che era sana di mente, questo il Joker l’aveva capito subito appena aveva dato uno sguardo agli occhi della neonata, che per essere gli occhi di una bambina erano già piuttosto svegli, ma mancavano di quella scintilla folle che caratterizzava i genitori.  
Lui aveva già progettato tutto, fu per questo che scelse il nome Giulia che in latino significa “Sacra a Giove” il dio che lanciava fulmini.  
I suoi genitori le tinsero i capelli fin dalla più tenera età, tanto che lei non ricorda quale sia il suo colore originale e, anzi, è convinta di essere nata con i capelli rosa shocking. 
Quando Giulia aveva cinque anni, durante un temporale estivo, il Joker la rivestì di placche di metallo e la portò sul tetto della casa di campagna in cui vivevano in quel periodo, legandola all’antenna per tutta la notte. Fu colpita da più di un fulmine, sia l’esperienza in se che il forte shock psicologico per come l’aveva tratta il padre la fecero impazzire; ma lei attribuisce tutta la colpa al fulmine.  
In seguito l’esercito scoprì il loro nascondiglio, Harley e il Joker furono spediti a Arkham, mentre la piccola Giulia fu consegnata alle autorità e in seguito chiusa in un ospedale psichiatrico.  
Ci rimase dai sei a i tredici anni, quando scappò (commettendo il suo primo omicidio, uccidendo un bel po’ di guardie senza rimorsi) e tornò nella casa di campagna in cui era cominciato tutto.  
La casa era abbandonata, ma la ragazza riuscì a trovare la gemma che suo padre aveva creato con svariate sostanze chimiche solo per lei. Dopodiché, grazie ai poteri telecinetici della gemma, liberò i genitori e loro per premiarla perché era stata una “brava bambina”; le regalarono il suo amato kunai.” 
_Jupiter_ 
 
Akito 
“Katana prima di diventare quella che conosciamo viveva felice con suo marito e i suoi figli Akito e Yuki, ma un giorno il rivale del padre di Akito in un scatto d’ira uccise il padre, ferì Katana e Akito che protesse la sorella. Vedendo Katana in quelle condizioni credettero che fosse morta, quindi i bambini scapparono e la polizia locale li trovò all’orfanotrofio da cui scapparono e vagarono per tutto il Giappone finché un giorno incontrarono un ex agente della ARGUS ormai anziano che addestrò Katana quando compì la sua vendetta e si unì alla Suicide Squad dopo essere andata in America, e quindi scoprirono che la loro madre era viva, tradirono il povero anziano e Akito prese le due katane e scapparono in America dove la seguirono e scoprirono che Katana aveva un figlia di sei anni, Yuki si affezionò subito invece Akito la odiava ma Ayame gli sciolse il cuore.” 
Evie Frances Free 
 
Preciso che la curiosità di Akito è, per così dire, provvisoria. Siccome mi è stata mandata da Dawn_Scott402 per garantire l’aggiornamento entro oggi – la curiosità è stata scritta comunque dall’autrice ed era stata inviata per la scheda di una storia ad OC, quando avrò la sua risposta mi preoccuperò di modificare il capitolo (in caso mi confermi questa ovviamente rimarrà così ed eliminerò questo messaggio). 
Detto questo vi saluto e spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate nelle recensioni! 
Baci, 
Beverly.
   
 
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