ciao a tutti,
mi scuso per l'enorme ritardo nel pubblicare il capitolo, ma gli impicci lavorativi e personali sono tantissimi
e ho grosse difficoltà nella gestione del tempo.
Vi lascio al capitolo!
Buona lettura
Lella
Capitolo XII
Genitori per caso
La bambina sembrava tranquilla, anche se aveva cominciato ad agitarsi e a
gorgogliare corrucciata. Nicole aveva stampata sul suo visino pallido e
paffuto, la stessa espressione severa della madre, probabilmente lo stava
rimproverando in bambinese. Giacomo ringraziò il cielo che la nipotina non
parlasse ancora, non avrebbe tollerato le ramanzina di una Agnese in
miniatura.
*
Dopo solo due giorni di fittizia paternità, Giacomo Ferri si rese subito
conto che crescere un bambino non era affatto una cosa facile. Non che si
aspettasse una passeggiata di salute, ma era sicuramente più complicato di
quanto avesse lontanamente immaginato. Nicole era con loro da solo due
giorni, ma a lui sembrava che fossero nati praticamente insieme! Forse sua
sorella l'aveva istruita a dovere per fargli cambiare idea, non c'era altra
spiegazione. Quella piccola peste non dormiva praticamente mai, anzi, a
essere precisi dormiva quando loro erano svegli ed era sveglia quando loro
stavano cascando dal sonno. E quando piangeva non si poteva di certo
ignorarla, perché sembrava posseduta dal demonio. Michela le aveva provate
tutte, ma Nicole aveva degli evidenti problemi di fotoperiodo oppure aveva
un piano ben preciso che lui non aveva ancora capito. Piccola peste!
* Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde. Romanzo pubblicato nel 1886 dallo scrittore scozzese
Robert Louis Stevenson.
NdA: Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo in tempi più brevi, ma
non assicuro nulla, purtroppo ho veramente tantissimo da fare. Mi scuso, soprattutto, con chi recensisce la storia,
farò di tutto per terminarla, sviluppandola al meglio.
Sospirò profondamente, sistemò il grosso borsone verde sulla spalla destra
e si rivolse alla nipotina con aria preoccupata. “Ok, tesoro, sei tu
l'attrice protagonista questa volta, quindi mi raccomando fai del tuo
meglio per convincere zia Michi che noi saremo dei fantasmagorici genitori”
Giacomo spinse l'indice sull'interruttore del campanello d'ingresso “Cerca
di non fare quelle cose che fanno solitamente i bambini” la pregò in un
timido sorriso
Il ragazzo era preoccupatissimo. Agnese gli aveva fatto mille
raccomandazioni, aveva elencato una serie di cose che sembravano
tutte essenziali per la sopravvivenza della bambina, erano talmente tante
le informazioni ricevute in una sola mattinata che aveva dovuto appuntarle
sull'agenda che usava per il lavoro. Mentre sua sorella spiegava con fare
cattedratico e lui prendeva rapidamente appunti, come se fosse ritornato a
quegli estenuanti corsi universitari, aveva pensato che Agnese stava
decisamente esagerando. La cosa più difficile sembrava essere lo
svezzamento, anzi l'alimentazione complementare. La donna gli aveva
fatto una lezione magistrale sulla differenza tra svezzamento e
alimentazione complementare.
Nel periodo dai quattro mesi in poi la quantità di latte che il neonato
può assumere non è più in grado di soddisfare il fabbisogno crescente
di nutrienti di cui ha bisogno. Si parla quindi di alimentazione
complementare, perché gli alimenti solidi vanno a completare, ma non a
sostituire, il latte.
Quelle parole gli rimbombavano ancora nella testa. Agnese sembrava aver
mangiato dei libri di pedagogia e di educazione alimentare infantile a
colazione. Quella pazzoide gli aveva persino proposto delle ricette ad hoc, accompagnate da decisi suggerimenti che incitassero la
bambina a mangiare cose che gradiva poco, magari proponendogliele a
ripetizione, fino a quindici volte e poi... un fiume di parole sulle
coliche, sul ruttino, su un maledetto ruttino! Cristo era una bambina,
aveva bisogni essenziali: mangiare, cagare e dormire. A sentir lei
servivano un master e quattro lauree per riuscire ad occuparsi di un
esserino di quattro mesi che pesava meno di una boccia da bowling. Era
esagerata, proprio come tutte le mamme! Giacomo Ferri aveva fatto cose
molto più complicate nella sua vita ed aveva sempre eccelso, sarebbe
riuscito alla grande anche in una cosa in cui sembravano riuscire tutti,
persino gli animali. Era sicuro che non avrebbe fallito, ma nel contempo
temeva che il suo piano si sarebbe trasformato in un boomerang. Michela
aveva posto una distanza tra loro che sembrava incolmabile e
quell'atteggiamento oppositivo che continuava ad ostentare lo faceva
tentennare anche su un qualcosa di cui si sentiva sicuro.
La porta si aprì, mentre lui era ancora immerso in quei pensieri. Scorse lo
sguardo sgomento di Michela che lo fissava, ritta sulla porta. Le passò
distrattamente davanti.
La ragazza si strinse nel largo golfino di cotone viola. “Hai portato un
bambino?” domandò incerta
“No, ti sbagli” replicò Giacomo in un sorriso sarcastico, mentre cercava di
evitare che Pallottola lo scaraventasse a terra con la nipotina; se la
bambina si fosse fatta un solo graffio sua sorella lo avrebbe ucciso, così
il suo bambino quasi nato avrebbe avuto un padre decisamente morto.
“A me sembra proprio un bambino” insistette la ragazza, chiudendo la porta,
senza distogliere lo sguardo dal ragazzo
“E invece ti sbagli” Pallottola saltellava per attirare la sua attenzione,
mentre lui cercava di scansarlo “Stai giù!” ordinò secco, ma senza urlare
“Buono. Accuccia!”
Il cane si sedette ubbidiente e scodinzolante, mentre continuava a fissarlo
con la lingua penzoloni in cerca di coccole. Giacomo gli sorrise e gli
carezzò il fulvo testone. Sarebbe stata una prova anche per il loro
cagnolone; persino Pallottola avrebbe dovuto abituarsi alla presenza di un
bambino in casa.
“Guarda che non sono mica cieca” insistette la ragazza preoccupata
“Invece mi sa proprio di sì, tesorino bello. Non vedi che è vestita di
rosa? Chi vestirebbe di rosa un bambino?” argomentò divertito “È una
femminuccia, una bambina”
Michela scosse la testa infastidita. “Idiota!” sospirò profondamente “Che
ci fai con una bambina?” domandò cercando di ricomporsi
“Ci occuperemo di lei per una settimana. Io, te, lei e Pallottola saremo
una famiglia per sette giorni. Ti dimostrerò che saremo degli ottimi
genitori” spiegò in un largo sorriso di compiacimento
Nonostante Agnese avesse provato a dissuaderlo, più ci pensava più
quell'idea gli sembrava brillante. Era veramente un genio! Michela aveva sempre desiderato dei figli. Era quel suo desiderio
che lo aveva spinto lontano da lei, quello sguardo intenerito di fronte ad
un bambina incrociata nei giardini di Villa Pamphili quattro anni prima che
lo aveva convinto a lasciarla.
Quella mattina di un tempo ormai lontano, stavano correndo all'interno del
più grande parco pubblico urbano di Roma, appena fuori le mura del
quartiere Giannicolense. Era estate e, anche se era presto, faceva molto
caldo. La ragazza indossava degli strettissimi shorts neri, la sua pelle
ambrata era lucida e brillante, per il sottile strato di sudore che le
ricopriva il corpo. Cristo se era sensuale! Era ebbro di desiderio
nonostante il caldo. Si erano fermati a bere alla fontanella su viale Otto
Marzo, di fronte alle serre ottocentesche. Lui era chino sul beccuccio
della fontana in pietra, abbeverandosi con voracità nel tentativo di
placare l'arsura. In quel momento si era avvicinata una donna sulla
trentina, con corti capelli rossi, che stringeva la mano di una bambina di
cinque, forse sei anni. La bambina aveva grandi occhi verdi, vivide
lentiggini e capelli ramati come quelli della madre. Giacomo aveva
sollevato appena lo sguardo e aveva osservato Michela stringersi la coda e,
con sul viso stampato uno strano sorriso che lui non aveva mai scorto
prima, si era chinata, principiando a parlare con troppo vivo interesse con
una ragazzina mai vista prima. Sentiva la squillante voce della ragazza
mentre si informava del nome e dell'età della bambina, confondersi con il
gorgoglio dell'acqua che zampillava dalla fontana. Dopo essersi dissetato
si era allontanato per fare spazio alla bambina e aveva osservato con
attenzione Michela mentre la aiutava ad abbeverarsi, cercando di evitare
che si bagnasse e continuando a parlottare allegramente con la madre che
teneva lo sguardo vigile sulla figlia. Quando la donna e la bambina si
erano allontanate, lei gli aveva sorriso e, allora, lo aveva scorto ed era
rimasto folgorato. Quello sguardo da cuccioli e gattini, da oggi sposi, da
vuoi passare il resto della tua vita con me e rinunciare a tutte le altre
scopate ed in cambio ti darò una bambina puzzolente e piagnucolosa. Quella
notte non era riuscito nemmeno a scopare al pensiero di quello sguardo
carico di promesse che lui non avrebbe mai potuto mantenere, quella notte
aveva deciso di lasciarla per quello sguardo che non riusciva a reggere. Michela desiderava dei figli! Quando erano diventati amici, lei gli
aveva raccontato spesso del suo desiderio di famiglia, di maternità; lui la
ascoltava paziente, da buon amico, ma ogni volta esultava dentro di sé per
la decisione presa e si dava immaginare sonore pacche sulle spalle per
essere riuscito ad evitare che lei lo ingabbiasse in quel suo desiderio.
Sospirò profondamente. Poteva farcela. Doveva solo ricordare a Michela che
lei desiderava dei figli.
Il suo piano era geniale!
“Sei impazzito?” ululò la ragazza furente
Impazzito?
Michela non sembrava molto entusiasta di quella sua geniale trovata.
“Michi, stai tranquilla, la terremo solo per una settimana” la rassicurò
pacato, cercando di chetare la bambina che aveva cominciato ad agitarsi tra
le sue braccia. “
Nicole, ti prego, non cominciare con il piagnisteo, vuoi che zia Michi
ci sbatta fuori di casa?” pensò preoccupato
“Chi ti ha affidato una bambina così piccola? L'hai rapita?” squittì
ansiosa
“Non essere stupida!” la ragazza lo fissava sgomenta, con le braccia
serrate al petto e la fronte corrucciata “Una mia cara amica assistente
sociale aveva per le mani una bambina e me l'ha data in affidamento per una
settimana” spiegò il ragazzo serio e senza esitazione
“Cosa?” esclamò la ragazza, sbattendo le palpebre
“Oggi è andata con i carabinieri e un'ambulanza a casa della madre per
revocarle l'affido. Le avevo detto che mi serviva un bambino per questo
esperimento e piuttosto che portarla in una casa famiglia l'ha affidata a
me. Stamattina quando mi ha chiamato non riuscivo a crederci. Ero
contentissimo”
“Non dici sul serio, vero?” domandò Michela spaventata
“Avrei preferito un maschietto, ma per una settimana ci faremo andare bene
una femminuccia. Se ci piace dice che possiamo tenercela”
“Mio Dio, Giacomo, ma che cazzo di problemi hai?” squittì, strappandogli la
bambina dalle braccia e stringendola al petto “Povera bambina. Tu e quella assistente sociale siete due pazzi. Lei è una criminale e tu sei il
suo complice; anzi, siete due criminali. Ora noi andiamo alla polizia a
denunciarla e riportiamo la bambina a sua madre” la sistemò su un fianco
“Tranquilla piccolina. Ci peno io a te” si volse nuovamente al ragazzo che
la fissava impassibile “Possiamo tenercela? Possiamo tenercela! È
una bambina non è mica un cane! Sei completamente fuori di testa. Tu sei un
avvocato sai benissimo che potresti andare in galera per questa bravata.
Come ti è saltato in mente? Tu...”
Giacomo esplose in una sonora risata, interrompendo la ramanzina
dell'amica. La sua risata rimbombava nella stanza. Aveva provato a
trattenersi, perché trovava il gioco estremamente divertente, ma la faccia
di Michela era uno spettacolo senza eguali. Il ragazzo non riusciva a
smettere di ridere, mentre Michela lo fissava spaesata. “Gesù, piccola,
avevo dimenticato quanto fosse facile farti credere l'inverosimile” scosse
la testa e si asciugò gli occhi “Lei è Nicole, mia nipote! La figlia di mia
sorella” riprese la bambina dalle braccia dell'amica e la sollevò sopra la
sua testa “vero piccolina che tu vuoi stare con zio Giacomo e zia Michela?”
la bambina sorrideva gioiosa “Michi, tu le piaci un botto. Appena l'hai
presa in braccio ha smesso di agitarsi. Sono quasi certo che emani una
specie di fluido materno. Tu sei una che piace ai bambini”
“Mi stai di nuovo prendendo in giro?” indagò la ragazza stringendo gli
occhi
“Tu ci sai veramente fare con i bambini, Michi. Non ti sto prendendo in
giro questa volta!” la rassicurò in un largo sorriso
“Non intendevo questo, brutto deficiente! Questa bambina è davvero tua
nipote?”
“Ti ho detto la verità” replicò secco “Perché dovrei mentirti?”
“Non so, perché lo trovi divertente? Non ho mai compreso il tuo senso
dell'umorismo”
“Un vero peccato! Probabilmente perché è un po' british”
“Tu di british non hai proprio niente” lo canzonò la ragazza,
giocherellando nervosamente con i corti capelli “E poi, mi sembra veramente
strano! Agnese non darebbe mai la sua unica e desiderata figlia al fratello
scapestrato, io non ti affiderei nemmeno il mio gatto”
“Noi abbiamo un cane, non un gatto” puntualizzò il ragazzo
“Appunto”
Scosse la testa. Cos'era un deja vou? Forse doveva curarsi, visto
che aveva una voglia matta di fare sesso con una donna che praticamente era
identica a sua sorella. “Scusa, ma mi hai creduto quando ti ho detto che
avevo praticamente rapito un bambino insieme ad un'assistente sociale
scellerata e metti in dubbio la storia più banale della terra?” osservò
basito
“Dovresti proprio cominciare a farti qualche domanda, mio caro” perseverò
la ragazza con aria seria
Giacomo sistemò la bambina meglio sul braccio destro e tirò fuori il
cellulare, cercando il contatto della sorella maggiore tra le ultime
chiamate. Il suo dito scivolava rapido sullo schermo, spinse il pollice
della mano destra sul contatto e porse il cellulare all'amica “Parlane
direttamente con lei, se non mi credi” la esortò sicuro
Michela afferrò con titubanza il cellulare e lo portò all'orecchio destro.
“Giacomo come sta mia figlia?” urlò la sorella dall'altro capo del
telefono. Riusciva a sentire quel grido strozzato anche senza il viva voce.
Cristo, era troppo agitata. Cosa poteva mai aver fatto alla bambina dopo
solo un'ora?
“Ciao Agnese, sono Michela. Già! Bene, anche se un po' spaventata. A me non
sembra proprio, pare quasi non aspettasse altro. Non capisco cosa abbia in
mente!” stavano sicuramente parlando di lui “Ma perché ti sei
prestata a questa follia? Non cambierà niente. Lo capisco” ma di cosa stavano parlando? “Tranquilla, ci penso io. Sì, starò
attenta e te la riporto prestissimo” sorrideva. Si era finalmente rilassata
“molto meno. Direi tre giorni al massimo! Se li dovrà far bastare. Allora
ci vediamo al tuo rientro” la ragazza rimase in silenzio per un po',
ascoltando Agnese che stava sicuramente pontificando come era solita fare.
O era anche peggio, forse aveva cominciato a parlare di pappe, ruttini e
coliche. Che palle! Proprio non aveva più argomenti di conversazione sua sorella “Ci
proverò. Lo sto già facendo! Buon viaggio. Te la abbraccio stretta stretta”
riagganciò e rimase a fissare lo schermo ancora retroilluminato del
cellulare
“Tutto bene?” domandò Giacomo preoccupato. L'amica aveva una strana
espressione stampata sul suo bellissimo viso ambrato. Si mordicchiava
nervosa il labbro inferiore. Era evidentemente turbata. D'altronde come
poteva non esserlo visto che Agnese le aveva sicuramente fatto l'elenco
delle difficoltà che si celavano dietro quel fagottino paffuto e profumato.
Arricciò il naso disgustato; forse non era poi così profumato.
“Tutto bene!”
“Sicura?”
“Sicura” gli porse il cellulare “Nicole resterà per qualche giorno”
cominciò a spiegare senza ammettere repliche “Tua sorella e suo marito
partiranno domani mattina presto per un lungo week-end e noi saremo i suoi
baby sitter in questi tre giorni”
Detto in quel modo e con quel tono suonava un po' diverso da come lui
lo aveva immaginato. Sembrava decisamente meno geniale
“Domani ho il turno di pomeriggio a lavoro. Tua madre verrà a prendere
Nicole un po' prima di pranzo e tu andrai a riprenderla verso le sei del
pomeriggio”
“Mamma non può tenerla fino alle otto? Io domani ho un impegno con una
cliente alle sette e mezzo” si lagnò. Non che avesse molta voglia di vedere
quella pazza di Katia Tesone che stava divorziando dal marito, ma non gli
andava di sentire gli ululati di Petroli per aver saltato l'appuntamento
con una cliente benestante.
“Dovrai anticipare” sentenziò lei compiaciuta “Tua sorella mi ha detto che
tua madre domani ha una visita medica. Posso chiedere due ore di permesso e
uscire per le sette, ma non prima. Quindi, visto che tu hai cominciato
questa pantomima, dovrai trovare una soluzione” sollevò le spalle “Vuoi
giocare a fare il genitore? Beh, non è un mestiere facile, mio caro!”
“Ok, tranquilla, troverò una soluzione” fece lui pacato. Aveva deciso di
giocare quel gioco fino alla fine. Giacomo Ferri non era il tipo di uomo
che si sottraeva agli impegni presi, non si sarebbe tirato indietro, anche
se il gioco diventava difficile “Passo da mamma entro le sei. Altre
indicazioni?”
“Riportiamo Nicole a tua sorella lunedì mattina prima di andare a lavoro”
“Mi avevi concesso una settimana” si indispettì il ragazzo “Lo avevi
promesso” sentì la sua voce uscire dalla gola simile a quella di un bambino
deluso
“Non mi sembra di averti detto il contrario. Ho solo detto che Nicole
ritornerà da sua madre e suo padre lunedì. Resteremo noi tre a giocare alla
famiglia felice. Io, te e Pallottola” lo schernì sarcastica “Sono sicura
che le nausee mattutine, l'intolleranza a quasi tutti gli odori forti, la
stanchezza cronica, la sonnolenza perenne e i miei esuberanti sbalzi di
umore saranno più che sufficienti. Dimenticavo, niente più caffè. So che ti
piace tanto, ma anche solo l'odore mi fa rabbrividire”
“Ne farò tranquillamente a meno” sostenne il ragazzo sorridente. Si
avvicinò e passò la mano libera attorno agli stretti fianchi della ragazza
“Senza Nicole potremmo approfittarne per avere un po' di intimità” Cristo quanto la desiderava! Il pensiero che Michela fosse già
incinta e che, quindi, poteva fare sesso con lei senza alcuna
preoccupazione lo eccitava terribilmente “Mi manca il tuo odore, il tuo
sapore” chiuse gli occhi e si inumidì le labbra “E una cosa che non mi sono
mai chiesto, ma credi che la bambina sia abituata ai mugolii di piacere?
Non vorrei turbarla, altrimenti mia sorella mi scuoia, ma ne ho proprio una
gran voglia”
“Mi punge vaghezza che tu abbia fatto recentemente sesso con la tua
fidanzata, quindi credo tu sia in grado di sopportare una breve astinenza.
Comunque voglio rassicurati sul fatto che se vuoi stare con lei non sarò di
certo io ad impedire la vostra unione” si divincolò e lo allontanò
bruscamente. Il tono sembrava pacato, ma era chiaramente arrabbiata “Non
c'è necessità di un'astinenza forzata”
“Valeria non è la mia fidanzata e io ho scelto di stare con te, Michi” la
rassicurò, cercando di avvicinarsi nuovamente
Michela indietreggiò. “Non è quello che ti ho chiesto”
“Io voglio stare con te. Voglio di nuovo fare l'amore con te. Voglio
sentire di nuovo il tuo odore confondersi con il mio”
Nonostante l'ardore delle sue parole, la ragazza sembrava contrariata e
stizzita da quella confessione. “Senti Giacomo, mi spiace, ma proprio non
posso aiutarti a sedare le tue voglie” gesticolava con troppa enfasi “Ti
concederò di giocare all'allegra famiglia per tre giorni, ti concederò la
settimana che tanto desideri, ma se vuoi che non ti sbatta fuori di casa
non devi provarci”
“Non capisco” sostenne il ragazzo confuso
“Nella settimana non è inclusa nessuna prestazione di tipo sessuale, né
baci o carezze e, fossi in te, eviterei anche parole gentili”
“Nemmeno parole gentili? Cioè vuoi che ti prenda a calci e ti riempia di
parolacce?” domandò provocatorio
“Voglio solo che tu non ci provi. Vuoi convincermi che sarai un buon
genitore? Vuoi convincermi che possiamo riuscire a crescere un bambino?
Bene. Ci sto! Ma per convincermi di questo non è necessario che tu mi
seduca. Io non voglio stare con te! Semmai cambiassi idea e decidessi di
crescere il bambino con te, non significherebbe che noi staremo insieme”
Cazzo!
Non sarebbe mai riuscito a convincerla senza sedurla. Lui sapeva fare
praticamente solo quello, come avrebbe fatto a convincerla che poteva
funzionare tra loro se lei non gli permetteva di avvicinarsi? “Michi, non
voglio dimostrarti solo che posso essere affidabile, ma anche che posso
essere un compagno appassionato”
“Sono incinta, so bene quanto tu sia appassionato, non è necessario che me
lo ricordi” sbottò lei risoluta
“Non sei rimasta incinta perché ero appassionato, ma perché abbiamo scopato
senza preservativo” puntualizzò risentito “Io non voglio solo il bambino,
ma voglio anche te”. Anzi, forse voleva il bambino solo perché voleva lei. La voleva davvero? Stava impazzendo e Michela non lo aiutava con
quella inutile ritrosia da adolescente ferita. “Io voglio che noi siamo una
famiglia” Era questo che voleva?
Lei sorrise e gli carezzò il viso, fissando per un attimo lo sguardo sui
delicati lineamenti della bambina che si agitava nervosa tra le braccia
dello zio. “Dovrai seguire le mie regole questa volta”
“Perché?” insistette lagnoso
“Perché ho smesso di nascondermi dietro alte mura. Te l'ho detto, basta
muri fra noi, solo un sottile ed invalicabile lembo di terra” lui serrò gli
occhi, proprio non capiva dove l'amica volesse andare a parare “Mi hai
ferita profondamente e questo non voglio dimenticarlo, ma non posso negare
che tu continui ad esercitare un certo ascendente su di me. Ho imparato che
l'unico modo per difendermi da te e smettere di negare l'evidenza” serrò la
mano al petto “Sono molto attratta da te, Giacomo, ed è questo il mio
tallone di Achille”
“Quindi abbiamo entrambi voglia di scopare, ma non lo faremo?”
“Sei veramente un maniaco. È questa l'unica cosa che hai capito di tutto
quello che ho detto?” sbottò la ragazza spazientita
“No” replicò lui piccato “ma ho fatto una precisa sintesi” i brillanti
occhi verdi della ragazza erano scintillanti, simili a pericolose saette
“Michi, ho capito, ho capito!” farfugliò innervosito “Non vuoi ricascare
nelle vecchie abitudini, perché pensi che io ti ferirò di nuovo. Ora ho
riassunto meglio?”
“Alla perfezione” assentì lei compiaciuta “Ora va' a cambiare il pannolino
a tua nipote, perché mi pare chi si stia agitando un po' troppo, credo che
abbia fatto la cacca” prese il grosso borsone verde pistacchio che il
ragazzo aveva sulla spalla sinistra e lo poggiò a terra “Agnese mi ha detto
che ti ha messo tutto l'occorrente nel borsone” si chinò, aprì la lampo e
scavò con premura in cerca di qualcosa “Prendi questi” gli porse dei
pannolini “Io vado a preparare la pappa per lei e per Pallottola” osservò
il cane che era rimasto silenzioso e immobile “È stato veramente bravo il
nostro cucciolone. Si è comportato benissimo” lo lodò accarezzandogli il
fulvo testone “Si merita un'abbondante pappa buonissima”
“Perché devo cambiarle io il pannolino? Preferisco preparare da mangiare”
“Lo so, ma l'idea è stata tua e se vuoi dimostrarmi che sarai un buon
genitore non hai molta scelta, mi pare” fece lei divertita, voltandogli le
spalle. Si girò solo per un attimo, mentre lui riprendeva il borsone e
andava verso la camera da letto “Giacomo, c'è una piccola inesattezza nel
tuo riassunto. Io non penso che tu mi ferirai di nuovo. Io ne sono certa!”
A quelle parole, formulate con tanta fermezza, il cuore di Giacomo si fermò
nel petto. Lui non l'avrebbe più ferita. Lo aveva promesso a se stesso
quando quella notte l'aveva stretta al suo corpo tremante di desiderio.
Quei due giorni erano stati lunghi al pari di una settimana.
Dopo la prima notte insonne, il venerdì mattina avevano mollato la nipote
alla madre ed erano andati a lavoro. Michela sembrava più sfatta del solito
e il fatto di non poter bere caffè al mattino lo aveva messo decisamente di
cattivo umore. Era talmente stanco che sarebbe svenuto sul volante se
Michela non si fosse lagnata per tutto il tempo di tutte le puzze del
pianeta terra; sembrava essersi trasformata in una specie di cane da
tartufo. Le urla notturne della nipotina gli rimbombavano ancora nel
cervello. E pensare che appena faceva l'alba la bambina si trasformava
nuovamente in un paffuto, sorridente e silenzioso frugoletto; era proprio
come il dottor Jekyll di Stevenson che di notte si trasformava nel
diabolico Mister Hyde*.
Giacomo era distrutto. Era talmente stanco che non riusciva a spiccicare
parola. Aveva, praticamente, lanciato la bambina alla madre fuori dal
finestrino e aveva mollato Michela al call center con l'auto quasi in
corsa. Aveva bisogno di un po' di silenzio per pensare! Prima di andare in
tribunale per depositare l'ennesimo fascicolo del divorzio più comico del
mondo, aveva deciso di comprare una culla nel più famoso mobilificio
svedese. Forse se avesse avuto un posto tutto suo, sua nipote avrebbe
dormito almeno qualche ora. Avrebbe dormito con loro solo altre due notti,
ma lui voleva davvero convincere Michela che crescere un bambino non era
un'impresa complicata. Lei non riusciva a capirlo, ma d'altronde come
poteva spiegare a lei quello che non riusciva a spiegare nemmeno a se
stesso. Sapeva solo che gli serviva di tentarle tutte prima di arrendersi.
Aveva anche smesso di chiedersi le ragioni di quello strenuo lottare. Era
spaventato e pieno di dubbi, eppure voleva il bambino e voleva Michela.
Forse sua sorella aveva ragione, forse non significava un bel niente quel
suo desiderio, forse anche Michela aveva ragione e si stava impuntando solo
perché lei gli negava un suo diritto sacrosanto, decidere insieme della
vita del bambino, ma il fatto che lui proprio non riuscisse a rinunciare
aveva un significato, di questo ne era sicuro. E dopo quella notte insonne
se ne era persuaso sempre di più. Vedere Michela che cullava la bambina nel
tentativo di chetarne il pianto, osservarle entrambe esauste, accoccolate
sul divano una accanto all'altra, lo aveva intenerito e non spaventato come
quel giorno a villa Pamphili. Era rimasto a fissarle con il cuore stretto
nel petto, poi aveva preso la bambina dalle braccia della ragazza e l'aveva
sistemata al centro del lettone, mentre Michela lo seguiva come uno zombi.
Si era addormentato cullato dal respiro veloce di Nicole e da quello lento
e cadenzato di Michela. Era stanco, ma una stanchezza che non gli dava
peso.
Era entrato nell'enorme mobilificio sull'Anagnina con il cuore gonfio nel
petto. Mentre percorreva a grossi e rapidi passi il percorso verso la zona
dedicata all'infanzia, cominciò a voltarsi incuriosito e si rese conto che
ciò che lo incuriosiva era lo strano silenzio. Non c'era la solita calca
del sabato pomeriggio. Non era mai stato in quel posto in una mattina di un
giorno infrasettimanale. Pensò che se Michela avesse dato una possibilità a
loro e al bambino la sua vita sarebbe irrimediabilmente cambiata, non per
un giorno, una settimana, un mese o un anno, ma per sempre. Per un attimo
fu di nuovo assalito da quella sensazione di panico, asfissia e angoscia
che lo avevano pervaso nel momento in cui Filippo gli aveva confidato della
gravidanza di Michela. Appoggiò la mano al petto e fece dei lunghi sospiri.
Un bambino prima dei trent'anni non era assolutamente nei suoi programmi.
Michela aveva parlato di feste, di divertimento, ma a quello avrebbe saputo
rinunciare, quello che lo angustiava di più era rivoluzionare la sua
esistenza, i suoi orari, le sue abitudini. Lo angustiava il pensiero di non
dormire di notte, svegliarsi presto anche quando non sarebbe stato
necessario, correre contro il tempo ed essere perennemente in ritardo,
organizzare gli appuntamenti di lavoro sulla base di chi poteva occuparsi
del bambino, sperare di ottenere un posto al nido, alla materna,
organizzare le vacanze in posti adatti ai bambini. Quelle erano cose che
gli avrebbero radicalmente rivoluzionato l'esistenza. Se tentennava lui che
voleva il bambino, immaginò che per Michela sarebbe stato solo più semplice
perseguire la sua decisione dopo quella forzata esperienza.
Si era fermato davanti ad una culla in legno bianca, con delle
coloratissime lenzuola arancioni che ben si sarebbero intonate con quelle
del loro letto. Michela amava quel genere di cose, amava arredare la casa,
avere tutto pulito, ordinato e in tono. Comprare una culla solo per due
giorni forse non era una grande idea; per un attimo pensò che Michela si
sarebbe arrabbiata, che l'avrebbe presa per l'ennesima forzatura, che
probabilmente lo avrebbe preso per matto, ma, alla fine, decise di prendere
sia la culla che le lenzuola. Se Michela avesse cambiato idea sull'aborto,
il loro bambino avrebbe avuto un letto già pronto ad aspettarlo. Caricò
tutto in auto e lungo la strada verso il tribunale cominciò a pensare che
avrebbero dovuto comprare una nuova auto, una macchina più grande, e anche
una casa più grande. I loro rispettivi appartamenti erano troppo piccoli
per due persone, un bambino e un cane. Avrebbe potuto vendere il suo
appartamento, aveva anche dei soldi da parte, forse anche i genitori di
Michela potevano aiutarli in qualche modo, forse anche suo padre
avrebbe potuto aiutarlo. Suo padre. Il solo pensiero gli fece salire
l'ansia alle stelle. Una volta scoperto della gravidanza gli avrebbe
attaccato uno di quei sermoni infiniti sulla responsabilità, sulla
genitorialità, sulla difficoltà di essere padre. Lo aveva già sentito in
anteprima da Agnese, ma suo padre avrebbe usato quel tono accusatorio e
pontificante che gli avrebbe fatto saltare i nervi, avrebbero litigato a
morte e sarebbe anche stato diseredato, perché sarebbero volate parole
inimmaginabili, suo padre si sarebbe offeso mortalmente, lui avrebbe
incassato ogni colpo, ma non avrebbe dimenticato le parole accusatorie del
severo genitore. Aveva litigato una sola volta con suo padre e non lo
avrebbe più dimenticato. Il pensiero di una nuovo scontro lo annichiliva.
Se Michela fosse rimasta persuasa della sua decisione di abortire non ci
sarebbe stato nessun motivo di lite, ma se lui fosse riuscito a farle
cambiare idea le probabilità aumentavano esponenzialmente. Poteva sempre
dirlo a suo padre quando il bambino avesse avuto due o tre anni, o anche
dieci, cifra tonda, magari all'università; se fosse diventato un medico suo
padre sarebbe stato talmente felice che avrebbe dimenticato il fatto che
lui aveva messo incinta una tizia che loro avevano visto una sola volta
quattro anni prima.
Quando Michela era rientrata e aveva visto la culla montata, non aveva
fatto nessun commento. Era andata a farsi una lunga doccia e poi aveva
cominciato la sua serata di mamma lavoratrice stanca morta. Aveva lavato
Nicole, le aveva dato da mangiare e poi l'aveva messa sul seggiolino. Lui
aveva cucinato del riso bianco e delle verdure lesse, le uniche cose di cui
Michela riusciva a tollerare l'odore. Osservandola mangiare pensò che
sembrava così stanca e terribilmente sfatta. La ragazza passava metà della
mattinata a vomitare e il resto della giornata con violente nausee che non
le solleticavano di certo l'appetito. Nonostante la magrezza, Michela era
sempre stata una buona forchetta e vederla mangiare quel cibo da ospedale
gli fece tristezza.
Dopo la cena più triste dell'universo, avevano messo la bambina nella nuova
culla, sistemata accanto al letto. Il silenzio era piombato
improvvisamente. Pallottola si era accucciato nello spazio tra la culla e
il letto e Michela si era rannicchiata nel suo lato del letto, crollando in
un sonno profondo. Era stanco, avrebbe voluto riposare, approfittando di
quell'inaspettato silenzio, ma con la schiena appoggiata alla testata del
letto, aveva cominciato a studiare, sul suo tablet, tutto sulla gravidanza.
Aveva letto che le nausee, di solito, terminavano alla fine del terzo mese,
che l'umore sarebbe migliorato, che le tette sarebbero cresciute, la qual
cosa lo rese particolarmente gioioso. Lesse che per la gravidanza andavano
prese delle vitamine, sopratutto dell'acido folico o vitamina b9, che
serviva per evitare che il bambino nascesse con la spina bifida.
Dopo quella lettura, il mattino dopo, aveva notato che Michela aveva preso
una compressa e aveva ricordato che la mattina precedente aveva fatto lo
stesso. Incuriosito, il sabato pomeriggio, mentre la ragazza era crollata
sul divano, cullando la bambina ormai addormentata nella carrozzina, aveva
spiato nel mobile dei medicinali e aveva trovato l'acido folico.
Se era intenzionata ad abortire, perché prendeva l'acido folico?
Giacomo aveva passato l'intero pomeriggio con quella domanda che gli
rimbalzava tra i neuroni. Avevano portato la bambina al parco, come due
attenti genitori, ma lui era stato distratto per tutto il tempo. Forse
Michela aveva cambiato idea, forse aveva deciso di tenere il bambino.
Se era quella la sua intenzione perché non glielo diceva? E se aveva
cambiato idea, lui cosa doveva fare? Sarebbe diventato per davvero un
padre. Era terrorizzato al solo pensiero. Il gioco si stava trasformando
lentamente in realtà.
Anche la notte del sabato era passata interamente in bianco. La domenica
mattina si era svegliato con il corpo di Michela che premeva contro il suo.
La strinse al petto, avrebbe voluto baciarla, ma aveva promesso. Rimase
immobile con il corpo della donna che era accoccolato contro suo fianco.
Fissò il soffitto e pensò che l'indomani avrebbero riportato la bambina dai
suoi genitori. Gioì al solo pensiero di ritornare a dormire come tutti gli
esseri umani normali di sua conoscenza, anche se non era stato poi così
male essere genitore. Stancante, ma non impossibile.
“Sono stanchissima” si lagnò la ragazza, parlando al suo fianco
“Perché stai prendendo il folico?” domandò Giacomo a bruciapelo
“Mi controlli?” domandò la ragazza sedendosi a gambe incrociate e
stiracchiandosi “Ho sempre mal di schiena da quando...”
“Da quando sei incinta?” terminò il ragazzo “Non è che se non lo dici ad
alta voce non lo sei”
“Ti sei svegliato nervoso?” lo stuzzicò Michela “Forse perché dormi poco?”
Giacomo appoggiò il braccio sugli occhi. “Perché prendi il folico, Michi?”
“Me lo ha prescritto il medico per prevenire la spina bifida” spiegò lei
tranquilla “viene dato a tutte le gestanti”
“Per avere la spina bifida il bambino dovrebbe nascere” osservò il ragazzo
pratico. Michela rimase in silenzio. Lui sollevò il braccio e osservò il
viso pensoso di lei. Avrebbe dovuto mollare la presa, ma proprio non
riusciva; quella domanda premeva con troppa insistenza nella sua testa
“Devo aspettare ancora tanto una risposta?”
“Cosa vuoi sapere, se puoi cominciare a preparare la valigia?” replicò
acida
Era terrorizzato dalla risposta che lei stava per dargli, ma non voleva
scappare, voleva solo sapere. “Non mi sembra che stia scappando, mi pare”
osservò serafico, senza mostrare cedimenti
“Solo perché sei sicuro che abortirò”
“Perché tutti sapete quello che voglio, quando io non sono sicuro di un
cazzo” ululò mettendosi a sedere accanto a lei
“Forse se tutti pensiamo la stessa cosa dovresti cominciare a farti un po'
di domande”
“Hai deciso di tenerlo?” domandò sicuro “Hai cambiato idea?”
“Prendo l'acido folico dal giorno in cui ho saputo di essere incinta”
spiegò la ragazza riprendendo il controllo “Non l'ho mai interrotto,
nemmeno la mattina dell'intervento”
“Perché?” Non aveva alcun senso!
“Perché per me non è una cosa facile. Perché abortire non è mai una cosa
facile, ma devo fare quello che è giusto” sospirò profondamente “questo
bambino ci rovinerà la vita e giocare qualche giorno alla famiglia felice
non ci rende una famiglia” si sedette sul bordo del letto, dandogli le
spalle “Ho superato il test d'ammissione al Master della Bocconi” perché non glielo aveva detto prima? “Mi sono licenziata il mese
scorso. Sto formando una nuova persona prima di andarmene”
“E i soldi?” domandò titubante
“Me li anticipa papà. Gli ho fatto promettere che si tratta di un prestito”
portò le mani al petto “parto per Milano il mese prossimo. Voglio tentare,
non mi va di lavorare in un call center per tutta la vita” si alzò e
appoggiò entrambe le mani sulla barra in legno della culla “Non possiamo
tenerlo, Giacomo. I bambini si pianificano non si fanno così”
“Sì, invece. Noi possiamo farcela” sostenne Giacomo senza esitazione, anche
se proprio non capiva da dove gli veniva tutta quella sicurezza “Troveremo
una soluzione. Michi, ti prego” Perché continuava a supplicarla?
“Non possiamo arrenderci alla prima difficoltà”
“Hai ancora quattro giorni per farmi cambiare idea e io continuo a prendere
l'acido folico”
Lo prendeva nella speranza di cambiare idea non perché lo avesse fatto. Con
un bambino da accudire la loro vita sarebbe stata diversa, avrebbero dovuto
fare scelte diverse, scelte difficili. Si alzò e si avvicinò a lei. “So che
ti ho promesso che non ti avrei sedotta e ti giuro che non è nelle mie
intenzioni, ma...” le avvolse le braccia attorno alle spalle e la strinse
al suo corpo “ho solo voglia di stringerti” affondò la testa nei profumati
capelli della ragazza “Dacci una possibilità, Michi!”
La ragazza si divincolò dalla stretta dell'uomo e carezzò il viso della
bambina.
“È quello che sto facendo” sussurrò
(spero) a presto!
Raffa
PS: risponderò quanto prima anche alle vostre recensioni. Un abbraccio