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Autore: RaffaLella    03/06/2017    5 recensioni
Michela Pergolesi, aveva ventisette anni, tanta voglia di realizzare i suoi sogni e poche possibilità di farlo, ma poi...
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“Mi serve una finta fidanzata” Oh no! Che piano stupido! “E quindi noi due dobbiamo fingere di stare insieme, così lui si convincerà che sono solo voci quelle assurde chiacchiere su me e sua moglie!” espose raggiante, come se l'avesse messa a conoscenza di un piano brillante
“Giacomo, sei veramente un cretino! Da dove hai preso questa idea, da un libro di serie C, D, E? Spero che come principe del foro le tue strategie siano migliori di questa, perché questa fa veramente schifo!”
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“Michi, io potrei ricompensarti per questo grosso favore, con un favore altrettanto grosso” propose ammiccante, avvicinandosi nuovamente a lei
“Non sono interessata a nessun genere di prestazione sessuale. Faccio benissimo da sola, grazie” replicò la ragazza, indietreggiando ancora.
“Effettivamente da quando il rincoglione ti ha lasciata, fai molto da sola!” la schernì gongolante
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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ciao a tutti,
mi scuso per l'enorme ritardo nel pubblicare il capitolo, ma gli impicci lavorativi e personali sono tantissimi e ho grosse difficoltà nella gestione del tempo.
Vi lascio al capitolo!
Buona lettura
Lella


Capitolo XII
Genitori per caso


La bambina sembrava tranquilla, anche se aveva cominciato ad agitarsi e a gorgogliare corrucciata. Nicole aveva stampata sul suo visino pallido e paffuto, la stessa espressione severa della madre, probabilmente lo stava rimproverando in bambinese. Giacomo ringraziò il cielo che la nipotina non parlasse ancora, non avrebbe tollerato le ramanzina di una Agnese in miniatura.
Sospirò profondamente, sistemò il grosso borsone verde sulla spalla destra e si rivolse alla nipotina con aria preoccupata. “Ok, tesoro, sei tu l'attrice protagonista questa volta, quindi mi raccomando fai del tuo meglio per convincere zia Michi che noi saremo dei fantasmagorici genitori” Giacomo spinse l'indice sull'interruttore del campanello d'ingresso “Cerca di non fare quelle cose che fanno solitamente i bambini” la pregò in un timido sorriso
Il ragazzo era preoccupatissimo. Agnese gli aveva fatto mille raccomandazioni, aveva elencato una serie di cose che sembravano tutte essenziali per la sopravvivenza della bambina, erano talmente tante le informazioni ricevute in una sola mattinata che aveva dovuto appuntarle sull'agenda che usava per il lavoro. Mentre sua sorella spiegava con fare cattedratico e lui prendeva rapidamente appunti, come se fosse ritornato a quegli estenuanti corsi universitari, aveva pensato che Agnese stava decisamente esagerando. La cosa più difficile sembrava essere lo svezzamento, anzi l'alimentazione complementare. La donna gli aveva fatto una lezione magistrale sulla differenza tra svezzamento e alimentazione complementare.
Nel periodo dai quattro mesi in poi la quantità di latte che il neonato può assumere non è più in grado di soddisfare il fabbisogno crescente di nutrienti di cui ha bisogno. Si parla quindi di alimentazione complementare, perché gli alimenti solidi vanno a completare, ma non a sostituire, il latte.
Quelle parole gli rimbombavano ancora nella testa. Agnese sembrava aver mangiato dei libri di pedagogia e di educazione alimentare infantile a colazione. Quella pazzoide gli aveva persino proposto delle ricette ad hoc, accompagnate da decisi suggerimenti che incitassero la bambina a mangiare cose che gradiva poco, magari proponendogliele a ripetizione, fino a quindici volte e poi... un fiume di parole sulle coliche, sul ruttino, su un maledetto ruttino! Cristo era una bambina, aveva bisogni essenziali: mangiare, cagare e dormire. A sentir lei servivano un master e quattro lauree per riuscire ad occuparsi di un esserino di quattro mesi che pesava meno di una boccia da bowling. Era esagerata, proprio come tutte le mamme! Giacomo Ferri aveva fatto cose molto più complicate nella sua vita ed aveva sempre eccelso, sarebbe riuscito alla grande anche in una cosa in cui sembravano riuscire tutti, persino gli animali. Era sicuro che non avrebbe fallito, ma nel contempo temeva che il suo piano si sarebbe trasformato in un boomerang. Michela aveva posto una distanza tra loro che sembrava incolmabile e quell'atteggiamento oppositivo che continuava ad ostentare lo faceva tentennare anche su un qualcosa di cui si sentiva sicuro.
La porta si aprì, mentre lui era ancora immerso in quei pensieri. Scorse lo sguardo sgomento di Michela che lo fissava, ritta sulla porta. Le passò distrattamente davanti.
La ragazza si strinse nel largo golfino di cotone viola. “Hai portato un bambino?” domandò incerta
“No, ti sbagli” replicò Giacomo in un sorriso sarcastico, mentre cercava di evitare che Pallottola lo scaraventasse a terra con la nipotina; se la bambina si fosse fatta un solo graffio sua sorella lo avrebbe ucciso, così il suo bambino quasi nato avrebbe avuto un padre decisamente morto.
“A me sembra proprio un bambino” insistette la ragazza, chiudendo la porta, senza distogliere lo sguardo dal ragazzo
“E invece ti sbagli” Pallottola saltellava per attirare la sua attenzione, mentre lui cercava di scansarlo “Stai giù!” ordinò secco, ma senza urlare “Buono. Accuccia!”
Il cane si sedette ubbidiente e scodinzolante, mentre continuava a fissarlo con la lingua penzoloni in cerca di coccole. Giacomo gli sorrise e gli carezzò il fulvo testone. Sarebbe stata una prova anche per il loro cagnolone; persino Pallottola avrebbe dovuto abituarsi alla presenza di un bambino in casa.
“Guarda che non sono mica cieca” insistette la ragazza preoccupata
“Invece mi sa proprio di sì, tesorino bello. Non vedi che è vestita di rosa? Chi vestirebbe di rosa un bambino?” argomentò divertito “È una femminuccia, una bambina”
Michela scosse la testa infastidita. “Idiota!” sospirò profondamente “Che ci fai con una bambina?” domandò cercando di ricomporsi
“Ci occuperemo di lei per una settimana. Io, te, lei e Pallottola saremo una famiglia per sette giorni. Ti dimostrerò che saremo degli ottimi genitori” spiegò in un largo sorriso di compiacimento
Nonostante Agnese avesse provato a dissuaderlo, più ci pensava più quell'idea gli sembrava brillante. Era veramente un genio! Michela aveva sempre desiderato dei figli. Era quel suo desiderio che lo aveva spinto lontano da lei, quello sguardo intenerito di fronte ad un bambina incrociata nei giardini di Villa Pamphili quattro anni prima che lo aveva convinto a lasciarla.
Quella mattina di un tempo ormai lontano, stavano correndo all'interno del più grande parco pubblico urbano di Roma, appena fuori le mura del quartiere Giannicolense. Era estate e, anche se era presto, faceva molto caldo. La ragazza indossava degli strettissimi shorts neri, la sua pelle ambrata era lucida e brillante, per il sottile strato di sudore che le ricopriva il corpo. Cristo se era sensuale! Era ebbro di desiderio nonostante il caldo. Si erano fermati a bere alla fontanella su viale Otto Marzo, di fronte alle serre ottocentesche. Lui era chino sul beccuccio della fontana in pietra, abbeverandosi con voracità nel tentativo di placare l'arsura. In quel momento si era avvicinata una donna sulla trentina, con corti capelli rossi, che stringeva la mano di una bambina di cinque, forse sei anni. La bambina aveva grandi occhi verdi, vivide lentiggini e capelli ramati come quelli della madre. Giacomo aveva sollevato appena lo sguardo e aveva osservato Michela stringersi la coda e, con sul viso stampato uno strano sorriso che lui non aveva mai scorto prima, si era chinata, principiando a parlare con troppo vivo interesse con una ragazzina mai vista prima. Sentiva la squillante voce della ragazza mentre si informava del nome e dell'età della bambina, confondersi con il gorgoglio dell'acqua che zampillava dalla fontana. Dopo essersi dissetato si era allontanato per fare spazio alla bambina e aveva osservato con attenzione Michela mentre la aiutava ad abbeverarsi, cercando di evitare che si bagnasse e continuando a parlottare allegramente con la madre che teneva lo sguardo vigile sulla figlia. Quando la donna e la bambina si erano allontanate, lei gli aveva sorriso e, allora, lo aveva scorto ed era rimasto folgorato. Quello sguardo da cuccioli e gattini, da oggi sposi, da vuoi passare il resto della tua vita con me e rinunciare a tutte le altre scopate ed in cambio ti darò una bambina puzzolente e piagnucolosa. Quella notte non era riuscito nemmeno a scopare al pensiero di quello sguardo carico di promesse che lui non avrebbe mai potuto mantenere, quella notte aveva deciso di lasciarla per quello sguardo che non riusciva a reggere. Michela desiderava dei figli! Quando erano diventati amici, lei gli aveva raccontato spesso del suo desiderio di famiglia, di maternità; lui la ascoltava paziente, da buon amico, ma ogni volta esultava dentro di sé per la decisione presa e si dava immaginare sonore pacche sulle spalle per essere riuscito ad evitare che lei lo ingabbiasse in quel suo desiderio.
Sospirò profondamente. Poteva farcela. Doveva solo ricordare a Michela che lei desiderava dei figli.
Il suo piano era geniale!
“Sei impazzito?” ululò la ragazza furente
Impazzito? Michela non sembrava molto entusiasta di quella sua geniale trovata.
“Michi, stai tranquilla, la terremo solo per una settimana” la rassicurò pacato, cercando di chetare la bambina che aveva cominciato ad agitarsi tra le sue braccia. “ Nicole, ti prego, non cominciare con il piagnisteo, vuoi che zia Michi ci sbatta fuori di casa?” pensò preoccupato
“Chi ti ha affidato una bambina così piccola? L'hai rapita?” squittì ansiosa
“Non essere stupida!” la ragazza lo fissava sgomenta, con le braccia serrate al petto e la fronte corrucciata “Una mia cara amica assistente sociale aveva per le mani una bambina e me l'ha data in affidamento per una settimana” spiegò il ragazzo serio e senza esitazione
“Cosa?” esclamò la ragazza, sbattendo le palpebre
“Oggi è andata con i carabinieri e un'ambulanza a casa della madre per revocarle l'affido. Le avevo detto che mi serviva un bambino per questo esperimento e piuttosto che portarla in una casa famiglia l'ha affidata a me. Stamattina quando mi ha chiamato non riuscivo a crederci. Ero contentissimo”
“Non dici sul serio, vero?” domandò Michela spaventata
“Avrei preferito un maschietto, ma per una settimana ci faremo andare bene una femminuccia. Se ci piace dice che possiamo tenercela”
“Mio Dio, Giacomo, ma che cazzo di problemi hai?” squittì, strappandogli la bambina dalle braccia e stringendola al petto “Povera bambina. Tu e quella assistente sociale siete due pazzi. Lei è una criminale e tu sei il suo complice; anzi, siete due criminali. Ora noi andiamo alla polizia a denunciarla e riportiamo la bambina a sua madre” la sistemò su un fianco “Tranquilla piccolina. Ci peno io a te” si volse nuovamente al ragazzo che la fissava impassibile “Possiamo tenercela? Possiamo tenercela! È una bambina non è mica un cane! Sei completamente fuori di testa. Tu sei un avvocato sai benissimo che potresti andare in galera per questa bravata. Come ti è saltato in mente? Tu...”
Giacomo esplose in una sonora risata, interrompendo la ramanzina dell'amica. La sua risata rimbombava nella stanza. Aveva provato a trattenersi, perché trovava il gioco estremamente divertente, ma la faccia di Michela era uno spettacolo senza eguali. Il ragazzo non riusciva a smettere di ridere, mentre Michela lo fissava spaesata. “Gesù, piccola, avevo dimenticato quanto fosse facile farti credere l'inverosimile” scosse la testa e si asciugò gli occhi “Lei è Nicole, mia nipote! La figlia di mia sorella” riprese la bambina dalle braccia dell'amica e la sollevò sopra la sua testa “vero piccolina che tu vuoi stare con zio Giacomo e zia Michela?” la bambina sorrideva gioiosa “Michi, tu le piaci un botto. Appena l'hai presa in braccio ha smesso di agitarsi. Sono quasi certo che emani una specie di fluido materno. Tu sei una che piace ai bambini”
“Mi stai di nuovo prendendo in giro?” indagò la ragazza stringendo gli occhi
“Tu ci sai veramente fare con i bambini, Michi. Non ti sto prendendo in giro questa volta!” la rassicurò in un largo sorriso
“Non intendevo questo, brutto deficiente! Questa bambina è davvero tua nipote?”
“Ti ho detto la verità” replicò secco “Perché dovrei mentirti?”
“Non so, perché lo trovi divertente? Non ho mai compreso il tuo senso dell'umorismo”
“Un vero peccato! Probabilmente perché è un po' british
“Tu di british non hai proprio niente” lo canzonò la ragazza, giocherellando nervosamente con i corti capelli “E poi, mi sembra veramente strano! Agnese non darebbe mai la sua unica e desiderata figlia al fratello scapestrato, io non ti affiderei nemmeno il mio gatto”
“Noi abbiamo un cane, non un gatto” puntualizzò il ragazzo
“Appunto”
Scosse la testa. Cos'era un deja vou? Forse doveva curarsi, visto che aveva una voglia matta di fare sesso con una donna che praticamente era identica a sua sorella. “Scusa, ma mi hai creduto quando ti ho detto che avevo praticamente rapito un bambino insieme ad un'assistente sociale scellerata e metti in dubbio la storia più banale della terra?” osservò basito
“Dovresti proprio cominciare a farti qualche domanda, mio caro” perseverò la ragazza con aria seria
Giacomo sistemò la bambina meglio sul braccio destro e tirò fuori il cellulare, cercando il contatto della sorella maggiore tra le ultime chiamate. Il suo dito scivolava rapido sullo schermo, spinse il pollice della mano destra sul contatto e porse il cellulare all'amica “Parlane direttamente con lei, se non mi credi” la esortò sicuro
Michela afferrò con titubanza il cellulare e lo portò all'orecchio destro.
“Giacomo come sta mia figlia?” urlò la sorella dall'altro capo del telefono. Riusciva a sentire quel grido strozzato anche senza il viva voce. Cristo, era troppo agitata. Cosa poteva mai aver fatto alla bambina dopo solo un'ora?
“Ciao Agnese, sono Michela. Già! Bene, anche se un po' spaventata. A me non sembra proprio, pare quasi non aspettasse altro. Non capisco cosa abbia in mente!” stavano sicuramente parlando di lui “Ma perché ti sei prestata a questa follia? Non cambierà niente. Lo capisco” ma di cosa stavano parlando? “Tranquilla, ci penso io. Sì, starò attenta e te la riporto prestissimo” sorrideva. Si era finalmente rilassata “molto meno. Direi tre giorni al massimo! Se li dovrà far bastare. Allora ci vediamo al tuo rientro” la ragazza rimase in silenzio per un po', ascoltando Agnese che stava sicuramente pontificando come era solita fare. O era anche peggio, forse aveva cominciato a parlare di pappe, ruttini e coliche. Che palle! Proprio non aveva più argomenti di conversazione sua sorella “Ci proverò. Lo sto già facendo! Buon viaggio. Te la abbraccio stretta stretta” riagganciò e rimase a fissare lo schermo ancora retroilluminato del cellulare
“Tutto bene?” domandò Giacomo preoccupato. L'amica aveva una strana espressione stampata sul suo bellissimo viso ambrato. Si mordicchiava nervosa il labbro inferiore. Era evidentemente turbata. D'altronde come poteva non esserlo visto che Agnese le aveva sicuramente fatto l'elenco delle difficoltà che si celavano dietro quel fagottino paffuto e profumato. Arricciò il naso disgustato; forse non era poi così profumato.
“Tutto bene!”
“Sicura?”
“Sicura” gli porse il cellulare “Nicole resterà per qualche giorno” cominciò a spiegare senza ammettere repliche “Tua sorella e suo marito partiranno domani mattina presto per un lungo week-end e noi saremo i suoi baby sitter in questi tre giorni” Detto in quel modo e con quel tono suonava un po' diverso da come lui lo aveva immaginato. Sembrava decisamente meno geniale “Domani ho il turno di pomeriggio a lavoro. Tua madre verrà a prendere Nicole un po' prima di pranzo e tu andrai a riprenderla verso le sei del pomeriggio”
“Mamma non può tenerla fino alle otto? Io domani ho un impegno con una cliente alle sette e mezzo” si lagnò. Non che avesse molta voglia di vedere quella pazza di Katia Tesone che stava divorziando dal marito, ma non gli andava di sentire gli ululati di Petroli per aver saltato l'appuntamento con una cliente benestante.
“Dovrai anticipare” sentenziò lei compiaciuta “Tua sorella mi ha detto che tua madre domani ha una visita medica. Posso chiedere due ore di permesso e uscire per le sette, ma non prima. Quindi, visto che tu hai cominciato questa pantomima, dovrai trovare una soluzione” sollevò le spalle “Vuoi giocare a fare il genitore? Beh, non è un mestiere facile, mio caro!”
“Ok, tranquilla, troverò una soluzione” fece lui pacato. Aveva deciso di giocare quel gioco fino alla fine. Giacomo Ferri non era il tipo di uomo che si sottraeva agli impegni presi, non si sarebbe tirato indietro, anche se il gioco diventava difficile “Passo da mamma entro le sei. Altre indicazioni?”
“Riportiamo Nicole a tua sorella lunedì mattina prima di andare a lavoro”
“Mi avevi concesso una settimana” si indispettì il ragazzo “Lo avevi promesso” sentì la sua voce uscire dalla gola simile a quella di un bambino deluso
“Non mi sembra di averti detto il contrario. Ho solo detto che Nicole ritornerà da sua madre e suo padre lunedì. Resteremo noi tre a giocare alla famiglia felice. Io, te e Pallottola” lo schernì sarcastica “Sono sicura che le nausee mattutine, l'intolleranza a quasi tutti gli odori forti, la stanchezza cronica, la sonnolenza perenne e i miei esuberanti sbalzi di umore saranno più che sufficienti. Dimenticavo, niente più caffè. So che ti piace tanto, ma anche solo l'odore mi fa rabbrividire”
“Ne farò tranquillamente a meno” sostenne il ragazzo sorridente. Si avvicinò e passò la mano libera attorno agli stretti fianchi della ragazza “Senza Nicole potremmo approfittarne per avere un po' di intimità” Cristo quanto la desiderava! Il pensiero che Michela fosse già incinta e che, quindi, poteva fare sesso con lei senza alcuna preoccupazione lo eccitava terribilmente “Mi manca il tuo odore, il tuo sapore” chiuse gli occhi e si inumidì le labbra “E una cosa che non mi sono mai chiesto, ma credi che la bambina sia abituata ai mugolii di piacere? Non vorrei turbarla, altrimenti mia sorella mi scuoia, ma ne ho proprio una gran voglia”
“Mi punge vaghezza che tu abbia fatto recentemente sesso con la tua fidanzata, quindi credo tu sia in grado di sopportare una breve astinenza. Comunque voglio rassicurati sul fatto che se vuoi stare con lei non sarò di certo io ad impedire la vostra unione” si divincolò e lo allontanò bruscamente. Il tono sembrava pacato, ma era chiaramente arrabbiata “Non c'è necessità di un'astinenza forzata”
“Valeria non è la mia fidanzata e io ho scelto di stare con te, Michi” la rassicurò, cercando di avvicinarsi nuovamente
Michela indietreggiò. “Non è quello che ti ho chiesto”
“Io voglio stare con te. Voglio di nuovo fare l'amore con te. Voglio sentire di nuovo il tuo odore confondersi con il mio”
Nonostante l'ardore delle sue parole, la ragazza sembrava contrariata e stizzita da quella confessione. “Senti Giacomo, mi spiace, ma proprio non posso aiutarti a sedare le tue voglie” gesticolava con troppa enfasi “Ti concederò di giocare all'allegra famiglia per tre giorni, ti concederò la settimana che tanto desideri, ma se vuoi che non ti sbatta fuori di casa non devi provarci”
“Non capisco” sostenne il ragazzo confuso
“Nella settimana non è inclusa nessuna prestazione di tipo sessuale, né baci o carezze e, fossi in te, eviterei anche parole gentili”
“Nemmeno parole gentili? Cioè vuoi che ti prenda a calci e ti riempia di parolacce?” domandò provocatorio
“Voglio solo che tu non ci provi. Vuoi convincermi che sarai un buon genitore? Vuoi convincermi che possiamo riuscire a crescere un bambino? Bene. Ci sto! Ma per convincermi di questo non è necessario che tu mi seduca. Io non voglio stare con te! Semmai cambiassi idea e decidessi di crescere il bambino con te, non significherebbe che noi staremo insieme”
Cazzo! Non sarebbe mai riuscito a convincerla senza sedurla. Lui sapeva fare praticamente solo quello, come avrebbe fatto a convincerla che poteva funzionare tra loro se lei non gli permetteva di avvicinarsi? “Michi, non voglio dimostrarti solo che posso essere affidabile, ma anche che posso essere un compagno appassionato”
“Sono incinta, so bene quanto tu sia appassionato, non è necessario che me lo ricordi” sbottò lei risoluta
“Non sei rimasta incinta perché ero appassionato, ma perché abbiamo scopato senza preservativo” puntualizzò risentito “Io non voglio solo il bambino, ma voglio anche te”. Anzi, forse voleva il bambino solo perché voleva lei. La voleva davvero? Stava impazzendo e Michela non lo aiutava con quella inutile ritrosia da adolescente ferita. “Io voglio che noi siamo una famiglia” Era questo che voleva?
Lei sorrise e gli carezzò il viso, fissando per un attimo lo sguardo sui delicati lineamenti della bambina che si agitava nervosa tra le braccia dello zio. “Dovrai seguire le mie regole questa volta”
“Perché?” insistette lagnoso
“Perché ho smesso di nascondermi dietro alte mura. Te l'ho detto, basta muri fra noi, solo un sottile ed invalicabile lembo di terra” lui serrò gli occhi, proprio non capiva dove l'amica volesse andare a parare “Mi hai ferita profondamente e questo non voglio dimenticarlo, ma non posso negare che tu continui ad esercitare un certo ascendente su di me. Ho imparato che l'unico modo per difendermi da te e smettere di negare l'evidenza” serrò la mano al petto “Sono molto attratta da te, Giacomo, ed è questo il mio tallone di Achille”
“Quindi abbiamo entrambi voglia di scopare, ma non lo faremo?”
“Sei veramente un maniaco. È questa l'unica cosa che hai capito di tutto quello che ho detto?” sbottò la ragazza spazientita
“No” replicò lui piccato “ma ho fatto una precisa sintesi” i brillanti occhi verdi della ragazza erano scintillanti, simili a pericolose saette “Michi, ho capito, ho capito!” farfugliò innervosito “Non vuoi ricascare nelle vecchie abitudini, perché pensi che io ti ferirò di nuovo. Ora ho riassunto meglio?”
“Alla perfezione” assentì lei compiaciuta “Ora va' a cambiare il pannolino a tua nipote, perché mi pare chi si stia agitando un po' troppo, credo che abbia fatto la cacca” prese il grosso borsone verde pistacchio che il ragazzo aveva sulla spalla sinistra e lo poggiò a terra “Agnese mi ha detto che ti ha messo tutto l'occorrente nel borsone” si chinò, aprì la lampo e scavò con premura in cerca di qualcosa “Prendi questi” gli porse dei pannolini “Io vado a preparare la pappa per lei e per Pallottola” osservò il cane che era rimasto silenzioso e immobile “È stato veramente bravo il nostro cucciolone. Si è comportato benissimo” lo lodò accarezzandogli il fulvo testone “Si merita un'abbondante pappa buonissima”
“Perché devo cambiarle io il pannolino? Preferisco preparare da mangiare”
“Lo so, ma l'idea è stata tua e se vuoi dimostrarmi che sarai un buon genitore non hai molta scelta, mi pare” fece lei divertita, voltandogli le spalle. Si girò solo per un attimo, mentre lui riprendeva il borsone e andava verso la camera da letto “Giacomo, c'è una piccola inesattezza nel tuo riassunto. Io non penso che tu mi ferirai di nuovo. Io ne sono certa!”
A quelle parole, formulate con tanta fermezza, il cuore di Giacomo si fermò nel petto. Lui non l'avrebbe più ferita. Lo aveva promesso a se stesso quando quella notte l'aveva stretta al suo corpo tremante di desiderio.

*

Dopo solo due giorni di fittizia paternità, Giacomo Ferri si rese subito conto che crescere un bambino non era affatto una cosa facile. Non che si aspettasse una passeggiata di salute, ma era sicuramente più complicato di quanto avesse lontanamente immaginato. Nicole era con loro da solo due giorni, ma a lui sembrava che fossero nati praticamente insieme! Forse sua sorella l'aveva istruita a dovere per fargli cambiare idea, non c'era altra spiegazione. Quella piccola peste non dormiva praticamente mai, anzi, a essere precisi dormiva quando loro erano svegli ed era sveglia quando loro stavano cascando dal sonno. E quando piangeva non si poteva di certo ignorarla, perché sembrava posseduta dal demonio. Michela le aveva provate tutte, ma Nicole aveva degli evidenti problemi di fotoperiodo oppure aveva un piano ben preciso che lui non aveva ancora capito. Piccola peste!
Quei due giorni erano stati lunghi al pari di una settimana.
Dopo la prima notte insonne, il venerdì mattina avevano mollato la nipote alla madre ed erano andati a lavoro. Michela sembrava più sfatta del solito e il fatto di non poter bere caffè al mattino lo aveva messo decisamente di cattivo umore. Era talmente stanco che sarebbe svenuto sul volante se Michela non si fosse lagnata per tutto il tempo di tutte le puzze del pianeta terra; sembrava essersi trasformata in una specie di cane da tartufo. Le urla notturne della nipotina gli rimbombavano ancora nel cervello. E pensare che appena faceva l'alba la bambina si trasformava nuovamente in un paffuto, sorridente e silenzioso frugoletto; era proprio come il dottor Jekyll di Stevenson che di notte si trasformava nel diabolico Mister Hyde*.
Giacomo era distrutto. Era talmente stanco che non riusciva a spiccicare parola. Aveva, praticamente, lanciato la bambina alla madre fuori dal finestrino e aveva mollato Michela al call center con l'auto quasi in corsa. Aveva bisogno di un po' di silenzio per pensare! Prima di andare in tribunale per depositare l'ennesimo fascicolo del divorzio più comico del mondo, aveva deciso di comprare una culla nel più famoso mobilificio svedese. Forse se avesse avuto un posto tutto suo, sua nipote avrebbe dormito almeno qualche ora. Avrebbe dormito con loro solo altre due notti, ma lui voleva davvero convincere Michela che crescere un bambino non era un'impresa complicata. Lei non riusciva a capirlo, ma d'altronde come poteva spiegare a lei quello che non riusciva a spiegare nemmeno a se stesso. Sapeva solo che gli serviva di tentarle tutte prima di arrendersi. Aveva anche smesso di chiedersi le ragioni di quello strenuo lottare. Era spaventato e pieno di dubbi, eppure voleva il bambino e voleva Michela. Forse sua sorella aveva ragione, forse non significava un bel niente quel suo desiderio, forse anche Michela aveva ragione e si stava impuntando solo perché lei gli negava un suo diritto sacrosanto, decidere insieme della vita del bambino, ma il fatto che lui proprio non riuscisse a rinunciare aveva un significato, di questo ne era sicuro. E dopo quella notte insonne se ne era persuaso sempre di più. Vedere Michela che cullava la bambina nel tentativo di chetarne il pianto, osservarle entrambe esauste, accoccolate sul divano una accanto all'altra, lo aveva intenerito e non spaventato come quel giorno a villa Pamphili. Era rimasto a fissarle con il cuore stretto nel petto, poi aveva preso la bambina dalle braccia della ragazza e l'aveva sistemata al centro del lettone, mentre Michela lo seguiva come uno zombi. Si era addormentato cullato dal respiro veloce di Nicole e da quello lento e cadenzato di Michela. Era stanco, ma una stanchezza che non gli dava peso.
Era entrato nell'enorme mobilificio sull'Anagnina con il cuore gonfio nel petto. Mentre percorreva a grossi e rapidi passi il percorso verso la zona dedicata all'infanzia, cominciò a voltarsi incuriosito e si rese conto che ciò che lo incuriosiva era lo strano silenzio. Non c'era la solita calca del sabato pomeriggio. Non era mai stato in quel posto in una mattina di un giorno infrasettimanale. Pensò che se Michela avesse dato una possibilità a loro e al bambino la sua vita sarebbe irrimediabilmente cambiata, non per un giorno, una settimana, un mese o un anno, ma per sempre. Per un attimo fu di nuovo assalito da quella sensazione di panico, asfissia e angoscia che lo avevano pervaso nel momento in cui Filippo gli aveva confidato della gravidanza di Michela. Appoggiò la mano al petto e fece dei lunghi sospiri. Un bambino prima dei trent'anni non era assolutamente nei suoi programmi. Michela aveva parlato di feste, di divertimento, ma a quello avrebbe saputo rinunciare, quello che lo angustiava di più era rivoluzionare la sua esistenza, i suoi orari, le sue abitudini. Lo angustiava il pensiero di non dormire di notte, svegliarsi presto anche quando non sarebbe stato necessario, correre contro il tempo ed essere perennemente in ritardo, organizzare gli appuntamenti di lavoro sulla base di chi poteva occuparsi del bambino, sperare di ottenere un posto al nido, alla materna, organizzare le vacanze in posti adatti ai bambini. Quelle erano cose che gli avrebbero radicalmente rivoluzionato l'esistenza. Se tentennava lui che voleva il bambino, immaginò che per Michela sarebbe stato solo più semplice perseguire la sua decisione dopo quella forzata esperienza.
Si era fermato davanti ad una culla in legno bianca, con delle coloratissime lenzuola arancioni che ben si sarebbero intonate con quelle del loro letto. Michela amava quel genere di cose, amava arredare la casa, avere tutto pulito, ordinato e in tono. Comprare una culla solo per due giorni forse non era una grande idea; per un attimo pensò che Michela si sarebbe arrabbiata, che l'avrebbe presa per l'ennesima forzatura, che probabilmente lo avrebbe preso per matto, ma, alla fine, decise di prendere sia la culla che le lenzuola. Se Michela avesse cambiato idea sull'aborto, il loro bambino avrebbe avuto un letto già pronto ad aspettarlo. Caricò tutto in auto e lungo la strada verso il tribunale cominciò a pensare che avrebbero dovuto comprare una nuova auto, una macchina più grande, e anche una casa più grande. I loro rispettivi appartamenti erano troppo piccoli per due persone, un bambino e un cane. Avrebbe potuto vendere il suo appartamento, aveva anche dei soldi da parte, forse anche i genitori di Michela potevano aiutarli in qualche modo, forse anche suo padre avrebbe potuto aiutarlo. Suo padre. Il solo pensiero gli fece salire l'ansia alle stelle. Una volta scoperto della gravidanza gli avrebbe attaccato uno di quei sermoni infiniti sulla responsabilità, sulla genitorialità, sulla difficoltà di essere padre. Lo aveva già sentito in anteprima da Agnese, ma suo padre avrebbe usato quel tono accusatorio e pontificante che gli avrebbe fatto saltare i nervi, avrebbero litigato a morte e sarebbe anche stato diseredato, perché sarebbero volate parole inimmaginabili, suo padre si sarebbe offeso mortalmente, lui avrebbe incassato ogni colpo, ma non avrebbe dimenticato le parole accusatorie del severo genitore. Aveva litigato una sola volta con suo padre e non lo avrebbe più dimenticato. Il pensiero di una nuovo scontro lo annichiliva. Se Michela fosse rimasta persuasa della sua decisione di abortire non ci sarebbe stato nessun motivo di lite, ma se lui fosse riuscito a farle cambiare idea le probabilità aumentavano esponenzialmente. Poteva sempre dirlo a suo padre quando il bambino avesse avuto due o tre anni, o anche dieci, cifra tonda, magari all'università; se fosse diventato un medico suo padre sarebbe stato talmente felice che avrebbe dimenticato il fatto che lui aveva messo incinta una tizia che loro avevano visto una sola volta quattro anni prima.
Quando Michela era rientrata e aveva visto la culla montata, non aveva fatto nessun commento. Era andata a farsi una lunga doccia e poi aveva cominciato la sua serata di mamma lavoratrice stanca morta. Aveva lavato Nicole, le aveva dato da mangiare e poi l'aveva messa sul seggiolino. Lui aveva cucinato del riso bianco e delle verdure lesse, le uniche cose di cui Michela riusciva a tollerare l'odore. Osservandola mangiare pensò che sembrava così stanca e terribilmente sfatta. La ragazza passava metà della mattinata a vomitare e il resto della giornata con violente nausee che non le solleticavano di certo l'appetito. Nonostante la magrezza, Michela era sempre stata una buona forchetta e vederla mangiare quel cibo da ospedale gli fece tristezza.
Dopo la cena più triste dell'universo, avevano messo la bambina nella nuova culla, sistemata accanto al letto. Il silenzio era piombato improvvisamente. Pallottola si era accucciato nello spazio tra la culla e il letto e Michela si era rannicchiata nel suo lato del letto, crollando in un sonno profondo. Era stanco, avrebbe voluto riposare, approfittando di quell'inaspettato silenzio, ma con la schiena appoggiata alla testata del letto, aveva cominciato a studiare, sul suo tablet, tutto sulla gravidanza. Aveva letto che le nausee, di solito, terminavano alla fine del terzo mese, che l'umore sarebbe migliorato, che le tette sarebbero cresciute, la qual cosa lo rese particolarmente gioioso. Lesse che per la gravidanza andavano prese delle vitamine, sopratutto dell'acido folico o vitamina b9, che serviva per evitare che il bambino nascesse con la spina bifida.
Dopo quella lettura, il mattino dopo, aveva notato che Michela aveva preso una compressa e aveva ricordato che la mattina precedente aveva fatto lo stesso. Incuriosito, il sabato pomeriggio, mentre la ragazza era crollata sul divano, cullando la bambina ormai addormentata nella carrozzina, aveva spiato nel mobile dei medicinali e aveva trovato l'acido folico. Se era intenzionata ad abortire, perché prendeva l'acido folico? Giacomo aveva passato l'intero pomeriggio con quella domanda che gli rimbalzava tra i neuroni. Avevano portato la bambina al parco, come due attenti genitori, ma lui era stato distratto per tutto il tempo. Forse Michela aveva cambiato idea, forse aveva deciso di tenere il bambino. Se era quella la sua intenzione perché non glielo diceva? E se aveva cambiato idea, lui cosa doveva fare? Sarebbe diventato per davvero un padre. Era terrorizzato al solo pensiero. Il gioco si stava trasformando lentamente in realtà.
Anche la notte del sabato era passata interamente in bianco. La domenica mattina si era svegliato con il corpo di Michela che premeva contro il suo. La strinse al petto, avrebbe voluto baciarla, ma aveva promesso. Rimase immobile con il corpo della donna che era accoccolato contro suo fianco. Fissò il soffitto e pensò che l'indomani avrebbero riportato la bambina dai suoi genitori. Gioì al solo pensiero di ritornare a dormire come tutti gli esseri umani normali di sua conoscenza, anche se non era stato poi così male essere genitore. Stancante, ma non impossibile.
“Sono stanchissima” si lagnò la ragazza, parlando al suo fianco
“Perché stai prendendo il folico?” domandò Giacomo a bruciapelo
“Mi controlli?” domandò la ragazza sedendosi a gambe incrociate e stiracchiandosi “Ho sempre mal di schiena da quando...”
“Da quando sei incinta?” terminò il ragazzo “Non è che se non lo dici ad alta voce non lo sei”
“Ti sei svegliato nervoso?” lo stuzzicò Michela “Forse perché dormi poco?”
Giacomo appoggiò il braccio sugli occhi. “Perché prendi il folico, Michi?”
“Me lo ha prescritto il medico per prevenire la spina bifida” spiegò lei tranquilla “viene dato a tutte le gestanti”
“Per avere la spina bifida il bambino dovrebbe nascere” osservò il ragazzo pratico. Michela rimase in silenzio. Lui sollevò il braccio e osservò il viso pensoso di lei. Avrebbe dovuto mollare la presa, ma proprio non riusciva; quella domanda premeva con troppa insistenza nella sua testa “Devo aspettare ancora tanto una risposta?”
“Cosa vuoi sapere, se puoi cominciare a preparare la valigia?” replicò acida
Era terrorizzato dalla risposta che lei stava per dargli, ma non voleva scappare, voleva solo sapere. “Non mi sembra che stia scappando, mi pare” osservò serafico, senza mostrare cedimenti
“Solo perché sei sicuro che abortirò”
“Perché tutti sapete quello che voglio, quando io non sono sicuro di un cazzo” ululò mettendosi a sedere accanto a lei
“Forse se tutti pensiamo la stessa cosa dovresti cominciare a farti un po' di domande”
“Hai deciso di tenerlo?” domandò sicuro “Hai cambiato idea?”
“Prendo l'acido folico dal giorno in cui ho saputo di essere incinta” spiegò la ragazza riprendendo il controllo “Non l'ho mai interrotto, nemmeno la mattina dell'intervento”
“Perché?” Non aveva alcun senso!
“Perché per me non è una cosa facile. Perché abortire non è mai una cosa facile, ma devo fare quello che è giusto” sospirò profondamente “questo bambino ci rovinerà la vita e giocare qualche giorno alla famiglia felice non ci rende una famiglia” si sedette sul bordo del letto, dandogli le spalle “Ho superato il test d'ammissione al Master della Bocconi” perché non glielo aveva detto prima? “Mi sono licenziata il mese scorso. Sto formando una nuova persona prima di andarmene”
“E i soldi?” domandò titubante
“Me li anticipa papà. Gli ho fatto promettere che si tratta di un prestito” portò le mani al petto “parto per Milano il mese prossimo. Voglio tentare, non mi va di lavorare in un call center per tutta la vita” si alzò e appoggiò entrambe le mani sulla barra in legno della culla “Non possiamo tenerlo, Giacomo. I bambini si pianificano non si fanno così”
“Sì, invece. Noi possiamo farcela” sostenne Giacomo senza esitazione, anche se proprio non capiva da dove gli veniva tutta quella sicurezza “Troveremo una soluzione. Michi, ti prego” Perché continuava a supplicarla? “Non possiamo arrenderci alla prima difficoltà”
“Hai ancora quattro giorni per farmi cambiare idea e io continuo a prendere l'acido folico”
Lo prendeva nella speranza di cambiare idea non perché lo avesse fatto. Con un bambino da accudire la loro vita sarebbe stata diversa, avrebbero dovuto fare scelte diverse, scelte difficili. Si alzò e si avvicinò a lei. “So che ti ho promesso che non ti avrei sedotta e ti giuro che non è nelle mie intenzioni, ma...” le avvolse le braccia attorno alle spalle e la strinse al suo corpo “ho solo voglia di stringerti” affondò la testa nei profumati capelli della ragazza “Dacci una possibilità, Michi!”
La ragazza si divincolò dalla stretta dell'uomo e carezzò il viso della bambina.
“È quello che sto facendo” sussurrò


* Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde. Romanzo pubblicato nel 1886 dallo scrittore scozzese Robert Louis Stevenson.



NdA: Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo in tempi più brevi, ma non assicuro nulla, purtroppo ho veramente tantissimo da fare. Mi scuso, soprattutto, con chi recensisce la storia, farò di tutto per terminarla, sviluppandola al meglio.
(spero) a presto!
Raffa

PS: risponderò quanto prima anche alle vostre recensioni. Un abbraccio

  
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