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Autore: indiceindaco    04/06/2017    1 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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XXXV. A casa.
 
“Non sai bene se la vita è un viaggio, se è sogno, se è attesa, se è un piano che si svolge giorno dopo giorno e non te ne accorgi, se non guardando all’indietro. In certi momenti il senso non conta. Contano i legami.”
Jorge Luis Borges
 
Draco, ancora una volta, si ritrovò per le vie di una Diagon Alley deserta, con Potter al suo fianco. La cosa però, aveva ormai smesso di sorprenderlo. Aveva ormai un che di familiare, sentire l’eco dei propri passi, accompagnato da quelli più decisi e meno ovattati. Che quei passi appartenessero ad Harry Potter, Draco aveva smesso di dirselo. Aveva smesso di pensare a quante volte quegli stessi passi erano stati assordanti, magari mentre lo fronteggiavano in un duello senza vincitori né vinti. A quante volte erano stati invadenti, indiscreti, insistenti, nel seguirlo per i corridoi di Hogwarts, o nel battere ritmicamente il tempo durante le lezioni. Quei passi erano ormai entrati a far parte di una routine alla quale Draco non era più in grado di rinunciare. Nel realizzarlo, per un istante, si spaventò. Ma, sorridendo automaticamente, si rese conto che non potesse turbarlo più di aver appena passato una serata fuori, che era stata più che semplicemente gradevole, con quella che era ormai diventata una costante quotidiana nella sua vita. Potter stava in silenzio, accanto a lui, seguendo dei passi senza meta, senza fare domande, come stesse affidandosi completamente a lui, ancora una volta. Quel pensiero accese qualcosa di piacevolmente tiepido da qualche parte nella sua cassa toracica, che cominciò a bruciare quando infine Potter interruppe il silenzio:
- Si sta facendo tardi, e domani abbiamo lezione in Arena. Dovremmo tornare a casa…
Tornare a casa”. Draco annuì velocemente, mentre senza che potesse farne a meno, rimuginava su quella frase. Potter, come al suo solito, era stato candido, senza filtri, e quasi ingenuamente s’era lasciato scappare quel plurale. Tornare a casa, cosa aveva sottointeso Potter? Probabilmente nulla, con buona probabilità non aveva neanche riflettuto sulla scelta di quelle parole. Probabilmente quelle parole s’erano formate nella sua mente e Potter le deliberatamente aveva lasciate sfuggire dalle proprie labbra. Draco si arrestò, percependo un repentino cambio di atmosfera fra loro. Che Potter avesse iniziato a realizzare quello che aveva detto e adesso stesse per ritrattare? In quel caso, Draco realizzò, era pronto ad accettarlo. In quel momento, Draco avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di non infrangere quella serata passata con l’altro, in quell’equilibrio fragile e perfetto che erano riusciti a costruire, non diventando estranei a se stessi. C’erano state le solite battutine sarcastiche, volte a divertire anziché ferire. C’erano stati aneddoti buffi provenienti dalla vecchia torre Grifondoro, o dalle stanze della Tana. C’erano state informazioni sull’infanzia di Draco, che erano scivolate fuori spontaneamente, senza che potesse trattenerle. C’era stato questo provenire da due rive opposte e percorrere lo stesso ponte, fermandosi a metà strada. Avevano istintivamente costruito un terreno comune, un posto da chiamare casa. Che intendesse quello, Potter, con la sua frase? No, Draco stava rimuginando troppo.
Adesso Potter lo fronteggiava, con uno sguardo un po’ perplesso, cercava di spiare l’espressione di Draco, i cui occhi erano fissi sui ciottoli sotto le proprie scarpe, il mento sul petto, assorto.
-Malfoy…? – la voce quasi tremante di Potter lo ridestò. Risuonò nelle sue orecchie come un richiamo docile, spaventato. Di nuovo, Potter temeva di aver detto qualcosa di sbagliato, qualcosa che avesse infranto il loro equilibrio, qualcosa che avrebbe potuto allontanare Draco. E adesso lo chiamava, come a chiedergli conferma che la loro speciale bolla non si fosse infranta intorno a loro. Draco alzò lo sguardo, e vide in quello di Potter una caotica confusione che quasi faceva tenerezza. Lo agguantò per l’orlo di quella vecchia t-shirt, e lo baciò, per fermare quell’ondata di pensieri, di interrogativi, che affollavano entrambe le loro menti. Lo baciò per lenire quell’attimo in cui si erano ritrovati smarriti, a non saper gestire l’uno i silenzi dell’altro, per dirgli che tutto andava bene, lo baciò perché non avrebbe saputo trovare le parole adatte per dirlo. E Potter lo accolse con un sorriso, quasi liberatorio, ed una mano si aggrappò al suo fianco, poggiandosi lì come per caso. Prima che Potter potesse, sorprendentemente, lasciar scivolare la lingua sulle sue labbra, Draco smaterializzò entrambi.
 
***
 
Hermione sosprirò pesantemente, tormentando una ciocca di capelli, mentre voltava una pagina del pesante tomo polveroso. Studiava i referti dei guaritori  ininterrottamente da cinque ore buone, senza quasi rendersi conto di ciò che accadeva intorno a lei. Di tanto in tanto un’infermiera entrava nella sala relax degli inservienti, si avvicinava al tavolo dove sedeva la ragazza, e senza proferire parola le riempiva la tazza di caffè. Ma Hermione era troppo assorta nel proprio lavoro per accorgersene. Erano ormai le undici passate, ma né lei né Blaise avevano degnato di uno sguardo l’anonimo orologio appeso alla parete. Da quando avevano iniziato, Zabini non aveva proferito parola, e lo si poteva sentire a mala pena respirare. Per qualche secondo, e solo di sfuggita, Hermione si lasciava sfuggire uno sguardo, per spiare di sottecchi il volto dell’altro. Blaise era il ritratto della concentrazione, le iridi scorrevano veloci tra le pagine, quasi frenetiche, quasi impedendosi di battere ciglio. Il suo collega sembrava quanto mai risoluto a trovare la soluzione. Dixon aveva promesso a chi avesse trovato la risposta, facendogli l’occhiolino, la possibilità di assisterlo durante un’operazione, in via del tutto straordinaria, dal momento che solo i tirocinanti del secondo anno erano ammessi in sala. Ma Hermione sapeva bene che non era lo spirito competitivo né l’ambizione, che pure erano decisamente pronunciati nell’ex-Serpeverde, ad alimentare la forza di volontà dell’altro. Sembrava la sua urgenza fosse puramente personale, e per un attimo Hermione si ritrovò a contestare la decisione di Dixon di coinvolgere Blaise. Se da una parte, avendo un paziente in stato d’incoscienza apparentemente permanente ed essendo privi di qualsiasi precedente medico, poter ricorrere alle informazioni fornite da Blaise poteva essere vantaggioso. Dall’altra, era parte del codice etico e morale dei medimaghi il totale divieto di esercitare la professione di guaritori nel caso si fossero trovati ad essere coinvolti con il paziente. Hermione registrò mentalmente di dover chiedere a Dixon il perché di quella decisione. Sospirò di nuovo, questa volta alzando apertamente lo sguardo verso Blaise.
-Vado ad avvisare Ron che farò tardi questa sera, e magari ne approfitto per prender su qualcosa da mangiare. Vuoi che avvisi qualcuno o che ti porti qualcosa?- disse, alzandosi in piedi e stiracchiandosi leggermente.
Blaise non alzò neppure lo sguardo dagli appunti che stava consultando, quando rispose bruscamente e con voce cupa:
-No, grazie.
Hermione fece per avvicinarsi, ma prima che potesse poggiare la mano sull’avambraccio dell’altro, vide Zabini ritrarsi.
-Blaise, credo che una pausa possa farci bene…
Finalmente l’altro alzò lo sguardo, e scosse la testa come in segno di ammenda:
-Scusami, Hermione. Non riesco a prendermi delle pause quando sono immerso in un caso. Finirei per pensarci comunque…ma tu va.
-Ti porto qualcosa da mettere sotto i denti però – rispose la ragazza, conciliante.
Mentre chiudeva la porta della saletta, Hermione si ritrovò a chiedersi come avrebbe reagito se, su al settimo piano, ci fosse stato qualcuno di sua conoscenza in quel lettino. Magari qualcuno che in passato aveva fatto del male ad Harry o a Ron. Era sicura che la determinazione di Blaise fosse esclusivamente dettata dall’impellente desiderio di vedere Nott di ritorno ad Azkban, senza che Draco sapesse nulla di tutta quella storia. Che Blaise temesse la notizia avrebbe destabilizzato Draco? Per un attimo, Hermione considerò di avvisare Harry, ma subito dopo, si ricordò dell’ammonimento che Blaise le aveva dato tempo addietro: mai intromettersi.
Mentre rimuginava, Hermione era giunta al piano terra, e avvicinandosi alla reception, chiese di poter contattare Ron via camino. Mentre aspettava che l’infermiera all’accoglienza le consentisse l’accesso, Hermione vide uno dei due Auror assegnati al caso Nott, dirigersi in tutta fretta verso il punto di smaterializzazione.
-Mi scusi? – chiamò cercando di ricordare il nome dell’Auror più alto fra i due
-Auror L-Lewis?
Quello, sentendosi chiamare, si voltò, ed Hermione si ritrovò a benedire la propria memoria.
-Signorina Granger, ancora di turno?- rispose quello, chiudendosi il mantello dell’uniforme sul petto. Hermione lo raggiunse dopo qualche passo, annuendo perplessa. L’Auror aveva tutta l’aria di star per lasciare il San Mungo, ed Hermione proprio non si spiegava come fosse possibile che, dopo tutte le misure di sicurezza, la segretezza, e la discrezione richiestale per gestire il caso, uno dei due Auror di guardia avesse abbandonato il settimo piano. Che stesse andando anche lui ad avvisare la famiglia o a prender da mangiare? Perché allora preoccuparsi di rimetter a posto l’uniforme?
-Non la invidio, sa? Pensi, anche mio figlio vorrebbe diventare guaritore, un giorno…Io gliel’ho detto: Sam, un Medimago non ha una vita al di fuori del San Mungo. Ma ad appena 10 anni cosa vuole che possa saperne…- prima che l’Auror potesse terminare la frase, Hermione lo interruppe, mentre assisteva incredula a quella che per il mago sembrava una routine: aveva persino messo i guanti, e tirato a lucido gli stivali, con un colpo di bacchetta.
-Mi scusi la domanda ma…sta andando via?
-Affermativo, signorina! Il mio turno è finito due ore fa, e adesso devo far ritorno al Ministero per compilare il rapporto. Ma non si preoccupi, il mio collega di sopra è perfettamente in grado di gestire la situazione da solo. È tutto sotto controllo- disse l’altro facendole l’occhiolino, e poi abbassando il tono della voce: -Non sembra che quello lì abbia intenzione di andare da nessuna parte, comunque.
E prima che Hermione potesse controbattere, l’Auror si era già smaterializzato.
 
***
 
Harry non fece in tempo a realizzare dove fossero, e non se ne preoccupò, perché Malfoy si era nuovamente avventato sulle sue labbra. Una parte di lui era ben consapevole, e fremeva di aspettativa persino, che la serata si sarebbe conclusa in quel modo. Era tutto esattamente come Harry aveva sperato fosse. Durante la cena, sebbene dapprima gli era sembrato tutto decisamente irreale e sconnesso, ad un certo punto aveva cominciato a prendere familiarità con l’ambiente e con quel Malfoy sempre pungente ma meno schivo, aperto e docile. Vedendolo deglutire era rimasto ipnotizzato dal suo pomo d’Adamo, dalla concentrazione nei movimenti calcolati mentre tagliava la bistecca, nella premura che aveva nel non fare il minimo rumore. Quando poi si era leccato le labbra, avendo finito il dessert al cioccolato, Harry aveva dovuto addirittura trattenersi dallo sporgersi e facilitargli il compito. Era stata una serata rilassante, piacevole ed Harry si era divertito a sentire le storie d’infanzia di Malfoy, cresciuto al Manor come un vero mago in erba. Aveva fatto delle domande, e l’altro aveva risposto con sincerità e schiettezza, come se ricevere una scopa per il proprio ottavo compleanno fosse assolutamente naturale. Poi era stata la volta di Harry di raccontare delle bizzarre serate nella sala comune di Grifondoro, delle ramanzine di Hermione, delle partite a Quidditch e della caccia agli gnomi alla Tana. Malfoy lo aveva ascoltato assorto, il mento abbandonato sul dorso della mano, lasciandosi sfuggire qualche risata spontanea di tanto in tanto, o qualche battuta spiritosa che aveva finito per far ridere a crepapelle entrambi. Harry si era sorpreso nel trovare non solo piacevole, ma addirittura essenziale la compagnia di Malfoy. E mentre l’altro gli accarezzava la schiena e scendeva a baciargli il collo, Harry sentì il bisogno di comunicargli quanto si fosse sentito a proprio agio, e quanto fosse stato felice di passare quel paio d’ore insieme. Gettò uno sguardo aldilà della propria spalla, realizzando finalmente che Malfoy li aveva smaterializzati in Grimmauld Place, e proprio sul pianerottolo del numero 12.  
-Sono stato davvero bene, stasera – sussurrò all’orecchio dell’altro, guadagnandosi un mugugno soddisfatto sulla propria giugulare, -Non credevo…voglio dire…Credo che per la prima volta nella mia vita io abbia fatto qualcosa di normale.
Malfoy gli depositò delicatamente un bacio sulla mandibola, prima di guardarlo negli occhi, serio, come per spronarlo ad andare avanti con quel suo discorso assurdo, e a rassicurarlo insieme: non sarebbe scappato. Qualsiasi cosa Harry avesse detto, Malfoy sarebbe rimasto lì.
-Non che io abbia chissà quale esperienza con questo genere di cose ma…voglio dire, non so nemmeno com’è che dovrebbe essere un appuntamento però…- Harry si bloccò un attimo, rendendosi conto di essere troppo distratto dallo sguardo di Malfoy che continuava a scivolare, quasi famelico, dai suoi occhi alle sue labbra -Io sì, insomma, sono stato bene e…- di nuovo si interruppe, vedendo il viso di Malfoy assumere una sfumatura divertita, e desiderando solo di togliergli quel ghignetto saccente, Harry lo baciò velocemente, serrandogli le mani sui fianchi. Malfoy si scostò poggiando la fronte alla sua, allontanandosi dispettoso se Harry si sporgeva per cercare di baciarlo, mentre sussurrava:
-E…?
Harry roteò gli occhi, sporgendosi di nuovo per baciarlo, mentre con una mano sulla nuca dell’altro cercava di trattenerlo, senza successo, dal momento che, sibillino, Malfoy era riuscito a distrarlo, cominciando ad accarezzargli il fianco, giocando con l’orlo della sua maglia e sfiorandogli la pelle di sfuggita.
-E…beh, insomma…grazie, Draco
Harry si congratulò mentalmente per quel colpo di genio, che non sapeva in realtà ben identificare. Perché prima di allora non aveva mai potuto immaginare che un semplice “grazie” potesse portare a Malfoy che lo travolgeva, baciandolo con impeto, e attirandolo a sé come a voler scomparire sul corpo di Harry. La lingua di Malfoy era tornata esattamente dove doveva essere, contro quella di Harry, a stuzzicarla e tormentarla, mentre le mani dell’altro non si facevano più attendere sulla pelle nuda dei suoi fianchi. Harry lasciò scorrere le dita fra i sottili capelli biondi, raccogliendo con più fermezza la nuca dell’altro nella propria mano destra. Malfoy prese a mordicchiargli il labbro inferiore, ed Harry sentì il suo sguardo aldilà delle palpebre chiuse, come se lo stesse studiando.
-Draco…- gli sfuggì dalle labbra come in un singhiozzo, quando una mano gli accarezzò il cavallo dei pantaloni, che cominciavano già a farsi incredibilmente fastidiosi. Malfoy si scostò, non premurandosi di interrompere quella carezza, anzi, quasi raccogliendolo in una presa più salda, poi, guardandolo negli occhi disse con fermezza:
-Punto primo, ho bisogno che tu apra la porta di casa tua. Punto secondo, non chiamarmi così.
Harry spinse arrendevolmente i fianchi contro la mano dell’altro, e mentre il proprio respiro si faceva più corto, assunse un’espressione interrogativa e cercò di sussurrare qualcosa. Malfoy poggiò nuovamente le labbra sulle sue, parlandogli contro il labbro superiore:
-Se apri la porta puoi entrare e mandarmi via, se ti riesce – iniziò con aria di sfida l’altro, - E, se mi chiami per nome, potrei non preoccuparmi né che la porta sia aperta, né che qualcuno stia guardando. Quindi…
Il resto della frase fu prima soffocato da una mezza risata che Harry registrò come propria, e poi dal sorriso famelico di Malfoy su quella stessa risata.
 
***
 
-Miseriaccia, Herm, ma possono tenerti rinchiusa lì dentro per più di 12 ore?!
- Te l’ho già detto, Ron. Stiamo lavorando su un paziente che si trova in una condizione delicata. Queste sono ore cruciali, e non è il mio supervisore ad obbligarmi a stare qui ma…
-Sì, lo so…lo so. Cerca solo di non strafare. Vuoi che ti mandi un gufo con qualcosa da mangiare e che ne so…dei vestiti puliti?
Hermione sorrise, mentre il Ron tra le fiamme del camino assumeva un’espressione ed un tono che assomigliavano pericolosamente a quelli di Molly. Tutte quelle premure la facevano sentire coccolata e protetta, e sebbene Ron lo dicesse con leggerezza e come fosse quasi scontato, era rassicurante pensare che il suo ragazzo sentiva il bisogno di occuparsi di lei. Per Ron era sempre stato così, d’altra parte. Hermione sapeva che lo aspettava una giornataccia, con l’addestramento e le lezioni già alle otto del mattino, eppure eccolo lì: a mezzanotte passata, nella casa vuota della sua ragazza, subito pronto ad arrangiare qualcosa che potesse semplificarle il lavoro.
-Ho la mia roba qui, e le inservienti avranno messo qualcosa da parte giù alla mensa dell’ospedale. Sul serio, Ron, non preoccuparti!
-Ho controllato nel frigerifelo, quando sono arrivato, sai…così domani posso prender qualcosa, perché non avrai tempo di far la spesa e…tutto. E mia madre mi ha dato anche un cesto di roba per te…Insomma, ti mando qualcosa.
Hermione annuì arrendevolmente, ben consapevole che non l’avrebbe spuntata, mentre Ron passava ad aggiornarla su altre incombenze, come una “feletonata” dei signori Granger, la posta ricevuta o altre piccole premure.
-Ah, e ho anche dato una pulita all’appartamento. Sarai sfinita dopo questo turno interminabile…così…
Hermione lo interruppe, semplicemente alzando il palmo della mano, come per zittirlo. Nelle ultime settimane, si rese conto, aveva passato la maggior parte del suo tempo tra l’ospedale e quel monolocale nella Londra babbana. Troppo stremata durante la settimana per aver il tempo di far altro, e troppo bisognosa di un po’ di relax durante i weekend in cui era libera dai turni di tirocinio. Si era concessa la compagnia di qualche buon libro, ma raramente riusciva a occuparsi di altre faccende. Si dava dei rigidi programmi da rispettare, certo, ma si sentiva un po’ come durante il terzo anno, ma questa volta, sembrava che la sua Giratempo fosse Ron.
-Ron, ti andrebbe di trasferirti da me?
Il ragazzo alzò le sopracciglia, assumendo un espressione di puro stupore, ed Hermione constatò di averlo assolutamente preso in contropiede e, come se quella proposta fosse totalmente assurda, Ron cercò di articolare un pensiero coerente:
-Trasferirmi…vuoi dire che dormo qui, mangio qui, vivo…a casa tua. Con te. Qui, insieme. Intendi come…come…
-Sì, Ronald – disse divertita Hermione, - Come vivere insieme.
Il Ron dall’altra parte del camino doveva aver fatto un salto di gioia, perché per un attimo Hermione perse la connessione e si preoccupò di dover correre in fretta e furia al proprio appartamento per rianimare il suo ragazzo.
-Beh…praticamente vivo già qui, eh? Voglio dire…sì. Sì, Herm.
Hermione gli sorrise raggiante, sentendo un calore riempirle il petto:
-Adesso devo andare, Ron- disse dispiaciuta, mentre il proprio sguardo sembrava scusarsi al posto suo.
-Certo, certo. Ma non sperare che io abbia dimenticato del gufo, eh! Ti mando l’arrosto di mamma e dei vestiti puliti fra poco!- rispose l’altro con fare solenne ma canzonatorio, facendo sfuggire una risata ad Hermione. Decisamente, Ron andava somigliando a sua madre sempre di più, pensò la ragazza con affetto, mentre arresa rispondeva:
-D’accordo, d’accordo…
Fece un veloce saluto con la mano, e poi quando stava per alzarsi e interrompere la conversazione via camino, Ron la chiamò di nuovo:
-Ah e…Hermione? Ci sei ancora?
La ragazza annuì, percependo subito che il tono di Ron era tornato serio e sembrava si stesse stropicciando le mani:
-Sì, Ron…dimmi!
-Ti amo, Hermione Granger. 
  
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