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Autore: L S Blackrose    04/06/2017    0 recensioni
« Per sempre all'inverno ella apparterrà ».
Questa è la maledizione che grava su Gwen, splendida e impavida principessa del clan MacWarden. Da che ha memoria, il gelo che porta dentro di sé è sempre stato l'unica costante della sua vita.
Ma ci sono fuochi che nemmeno il ghiaccio può estinguere: ardono in segreto nel più freddo dei cuori e sciolgono ogni ostacolo imposto dal fato.
E se le fiamme destinate a salvare Gwen avessero i riflessi del cielo, il profumo della luce del sole...e la celebre caparbietà dei Vandemberg?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Axel Vandemberg, Bryce Vandemberg, Nuovo personaggio, Stephen Eldrige
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo III

 

I can be the cure
Let me be your remedy

Right beside you
I’ll never leave you


 

Il braccio gli doleva come se qualcuno glielo avesse trafitto con un attizzatoio arroventato. Bryce premette il palmo della mano sulla ferita e imprecò sottovoce. Aveva perso di vista Axel e gli altri subito dopo essere uscito dall'abitazione in cui la Fratellanza aveva fatto irruzione al calar della notte. Erano riusciti a trovare e portare in salvo due giovani fanciulle, imprigionate e denutrite. Raggirando i loschi figuri posti a guardia delle prigioniere, Stephen e Axel avevano aperto la porta della cella grazie ai geniali grimaldelli del giovane studente di medicina. Bryce e Gil aspettavano fuori, pronti ad aiutare le ragazze ad uscire dalla finestra del primo piano.

Disgraziatamente, i banditi si erano accorti della fuga e avevano iniziato a sparare alla cieca per fermarli. Durante la ritirata strategica Bryce era stato colpito al braccio, poco sotto il gomito, ma non si era fermato a controllare la gravità della ferita: aveva continuato a correre, per fare da esca alla banda di rapitori.

Il fiato si condensava in nuvolette davanti al suo viso e il freddo della notte gli ghiacciava il sudore sulla pelle. Questo, unito al dolore lancinante all'avambraccio, gli provocava brividi simili a spasmi lungo tutto il corpo. Bryce ripensò ai lavori ancora in corso al mausoleo di famiglia e digrignò i denti. Aveva sempre creduto di avere il tempo sufficiente per mettere a punto le disposizioni per la propria morte, invece ora, mentre correva a perdifiato per le stradine della Vecchia Capitale, si rendeva conto che tutti i progetti che aveva in mente sarebbero risultati vani. Avrebbe esalato l'ultimo respiro sui ciottoli di un vicolo buio, circondato da nemici e dall'odore ripugnante che fuoriusciva dai canaletti di scolo.

Dando una veloce occhiata alle proprie spalle, il terzogenito dei Vandemberg scoprì di avere i banditi ancora alle calcagna. Accelerando il passo, cercò di pensare ad un'alternativa che non comprendesse la sua imminente dipartita.

Doveva ancora scegliere la giusta sfumatura di nero per il proprio completo funebre, che diamine.

Le locande ai lati della via avevano porte e finestre sprangate; a quell'ora della notte le strade erano vuote, fatta eccezione per il gruppo di mascalzoni che si ostinava a inseguirlo. Bryce si morse un labbro per arginare un lamento di dolore. Sentiva il battito frenetico del proprio cuore e un sapore amaro in gola: doveva trovare una scappatoia, o i banditi l'avrebbero catturato. Erano sempre più vicini, ormai udiva distintamente le loro grida e gli scatti dei fucili che venivano ricaricati. Era questione di secondi e Bryce avrebbe avuto dei problemi più gravi di una ferita al braccio: rischiava davvero la morte.

Dove poteva andare? Chi avrebbe offerto riparo ad un giovane mascherato, ferito e inseguito da un manipolo di fuorilegge vendicativi? La risposta a quelle domande lampeggiò nella mente di Bryce: nessuno. Non uno degli abitanti della via l'avrebbe soccorso se quei banditi l'avessero colpito di nuovo, e questa volta in modo da lasciarlo agonizzante al suolo. No, l'unica alternativa che gli presentava era il fiume. Quelle acque putride che fiancheggiavano la strada erano la sua unica speranza di salvezza. Era già sul punto di girare a sinistra, verso il primo ponte disponibile, quando vide la luce.

E non in senso metaforico.

Oltre i vetri di una delle finestre del secondo piano di quella che sicuramente era una locanda di dubbia fama, una luce tremolante attirò la sua attenzione. Affannato e disperato, Bryce fermò bruscamente la propria corsa e si concesse di riprendere fiato. Quello era l'unico segnale di vita in quella stradina solitaria e silenziosa.

Non si era mai avventurato in quella parte della città, in genere poco frequentata dagli studenti e brulicante di individui misteriosi e dalla reputazione tutt'altro che immacolata. In quel momento, tuttavia, non poteva permettersi ulteriori indugi: se non voleva finire nelle grinfie di quei criminali, doveva implorare aiuto. E, se non gli fosse stato concesso spontaneamente, avrebbe dovuto pretenderlo, andando contro i propri principi e utilizzando le maniere poco educate che di solito aborriva.

Meglio comportarsi da barbaro che rischiare la vita come uno sciocco, si ripeté il ragazzo, cominciando ad arrampicarsi sulla solida grondaia ricoperta di edera. Le foglie e i rametti del rampicante gli fornivano i giusti appigli: si issò sul balconcino che apparteneva alla camera a cui puntava senza alcuna difficoltà.

Mise a tacere il dolore al braccio sinistro e strinse i denti quando dovette caricarvi buona parte del proprio peso per scavalcare la ringhiera di ferro della terrazza. Una goccia di sudore gli colò lungo il collo e Bryce represse un brivido. Trattenendo il respiro, si sporse con circospezione oltre la ringhiera e scoprì con sollievo che gli inseguitori non si erano accorti del suo diversivo: lo stavano ancora cercando, le punte dei fucili che scintillavano sotto la debole luce dei lampioni.

Dopo aver esalato un sospiro tremante, il Principe indietreggiò in direzione della finestra e sbirciò oltre i vetri e le sottili tende di pizzo. La stanza non era molto ampia e, seppur fosse arredata con gusto, il mobilio era essenziale. Ma, cosa più importante, pareva deserta: non vide nessuno seduto sul comodo divanetto, né steso sotto le coperte del piccolo letto. La luce che aveva attratto il suo sguardo proveniva dal caminetto acceso.

Bryce si sfregò le mani sulle braccia, ansioso di avvertire il calore del fuoco sulla pelle gelata. Si sentiva come una falena, abbagliata dalla luce di una fiamma che brilla nel buio, impossibilitata a distogliere gli occhi e attirata dal tepore anche contro il proprio istinto di sopravvivenza. Il ragazzo non si soffermò a pensare al rischio che comportava infilarsi in una stanza altrui nel cuore della notte. Aprì senza sforzo le ante della finestra e scostò le tende, l'ultimo ostacolo che lo separava dal calore del fuoco. Non prestò attenzione alla figura appostata nell'ombra, che aspettava soltanto un suo passo incauto per attaccare.

Il ragazzo non fece nemmeno in tempo a muovere un passo oltre il davanzale: appena i suoi stivali toccarono il pavimento, capì di essere caduto in trappola. Prima che potesse anche solo pensare ad una contromossa adeguata, una lama affilata premette contro la sua giugulare, impedendogli di avanzare e persino di deglutire.

Sentiva il battito veloce del proprio cuore pulsare sulle tempie e non perché fosse spaventato, ma perché, proprio come la proverbiale falena, la luce l'aveva catturato senza lasciargli scampo. «Finalmente», mormorò, prima di accasciarsi a terra e perdere i sensi.

 

*
 

As high as the highest mountain
As low as the deepest sea
Or wherever we settle down
Just let me be your gravity


 

Dopo più di due settimane trascorse in sua compagnia, Gwen decretò che Zara de Guyse, la proprietaria della locanda, era esattamente come aveva immaginato al primo sguardo. Diffidente per natura, la Principessa aveva mantenuto un educato riserbo sulla propria identità e, nel corso della prima settimana, aveva cercato di parlare il meno possibile. Nonostante tutto, Zara l'aveva conquistata: era la persona più eccentrica che avesse mai conosciuto, sempre col sorriso sulle labbra e trattava gli aristocratici con la stessa premura che riservava ai propri domestici. Era gentile e generosa, e Gwen si era lasciata incantare dalle sue maniere spontanee, tanto da accettare di trascorrere le serate nella sua biblioteca privata. Ovviamente sotto lo sguardo vigile di Gawain, che non interveniva nei loro discorsi se non per raccomandare a Gwen di non affaticarsi troppo. Dopo l'ennesima serata trascorsa in quel modo, la ragazza cominciò a rilassarsi e compiacersi di aver incontrato un'ospite così spiritosa e affabile.

In quel periodo dell'anno la locanda non era molto frequentata: oltre a lei e alle sue tre guardie, vi erano soltanto stranieri di passaggio che non si fermavano che per una o due notti. Mentre ascoltava la voce pacata di Zara declamare una delle sue poesie preferite, Gwen pensò che i suoi soldati non avrebbero potuto scegliere una sistemazione migliore. Aveva fatto bene ad affidarsi al gusto di Lancelot e Tristan, i migliori tra i sottoposti di Wain. Lasciando vagare lo sguardo nella stanza in penombra, Gwen incontrò gli occhi scuri del capitano e gli sorrise. Dopo l'episodio della serra, Wain aveva smesso di nominare il nome di Bryce e fatto in modo che anche lei se ne dimenticasse. L'aveva accompagnata dappertutto, organizzato gite in carrozza e a cavallo. Avevano visitato i luoghi più famosi della Vecchia Capitale e Arthur li aveva raggiunti molto spesso, trascorrendo con loro ogni minuto libero dallo studio.

Suo fratello era maturato molto, si disse Gwen, mentre ascoltava i versi letti ad alta voce da Zara. Era diventato più responsabile e studiava con impegno, senza lasciarsi distrarre troppo dagli amici che si ostinavano a trascinarlo nelle taverne ogni sera. Gwen, per mantenere segreta la propria identità, non aveva accettato i suoi numerosi inviti ad uscire con loro, ma lo osservava, nascosta, da lontano. Arthur stava diventando un uomo, e presto avrebbe preso il posto che gli spettava di diritto: il trono di Stormhold. Gwen aveva rinunciato alla corona molti anni prima, adducendo come giustificazione la sua salute cagionevole. Arthur era ignaro della maledizione che la condannava a morire prima di aver raggiunto l'età per regnare: non voleva che la magia contaminasse anche la sua vita, come era accaduto a lei da bambina. Arthur aveva un lato impulsivo come tutti i MacWarden e Gwen temeva avrebbe tentato di vendicarla, se avesse saputo quel che era accaduto pochi anni prima della sua nascita. Non era saggio inimicarsi gli Spiriti della Neve: la sorte di Gwen lo provava. Sperava con tutto il cuore che la propria morte sarebbe servita ad allontanare per sempre la minaccia della magia da Stormhold.

Riscuotendosi da quelle tristi riflessioni, la Principessa si alzò dalla poltrona che aveva occupato per più di due ore. Zara smise all'istante di leggere e si affrettò a chiederle se avesse bisogno di qualcosa. La proprietaria della locanda aveva regole molto ferree per quanto riguardava i propri clienti, che lei aveva riassunto nel Principio delle tre D: dedizione, disponibilità e discrezione. Con Gwen non aveva difficoltà a metterle in pratica perché la ragazza le piaceva, era educata e si offriva perfino di aiutarla in alcune faccende. Aveva curato con un infuso di sua conoscenza il figlio di una cameriera e dato una mano in cucina quando la cuoca si era presa un'infreddatura. Era una fanciulla a modo e non usava le proprie origini nobili – perché nobile era di certo, sebbene Zara non conoscesse il suo titolo – per ottenere privilegi speciali. Quindi la donna l'aveva presa sotto la propria ala e l'aveva protetta in segreto, quando alcuni giovani studenti erano passati alla locanda per mostrarle un suo ritratto e chiederle se per caso l'avesse vista. Zara aveva negato e pagato i ragazzini perché non facessero più domande in giro. Lo stesso era accaduto due giorni prima, ma in quell'occasione si trattava di due attempati becchini, non più di giovani studentelli. La donna aveva corrotto anche loro, assicurandosi che riferissero al mandante di quelle spedizioni di non riprovarci mai più.

Adesso, mentre la ragazza la salutava e si ritirava per la notte, non poté fare a meno di chiedersi da chi si stesse nascondendo. Non era sua abitudine porre domande indiscrete, quindi si limitò ad un lieve inchino. «Vi auguro dei sogni felici, mia signora. Volete che vi faccia portare una tazza di latte caldo?».

Gwen annuì. «Mi leggete nel pensiero, come ogni sera. Buonanotte a voi, Zara».

Come d'abitudine, il capitano si offrì di seguire la donna in cucina e portare lui stesso la bevanda alla Principessa. Era tardi e non voleva disturbare le cameriere che di sicuro dormivano già.

Lasciando dietro di sé una Zara intrigata dai modi galanti di Wain, Gwen salì le scale e augurò la buonanotte anche alle due fidate guardie prima di rifugiarsi nella propria stanza. Il caminetto era già stato acceso e Gwen allungò le mani verso le fiamme, ansiosa di avvertire un po' di calore sulla pelle perennemente fredda. Si affrettò a spogliarsi e indossare una comoda camicia da notte, per poi coprirla con un'ampia vestaglia di velluto blu. Sciolse i capelli, li pettinò con cura e lasciò che le onde biondo pallido le scendessero libere sulle spalle, creando un vivido contrasto col colore della vestaglia.

Si stava godendo in tranquillità il tepore del fuoco, quando udì un rumore. Non proveniva dall'interno della locanda, ma da fuori. Si alzò in piedi e aguzzò le orecchie: sentì distintamente un cigolio, poi un'imprecazione soffocata. Più sorpresa che spaventata, estrasse un pugnale dal cassetto della scrivania e si appostò in una nicchia della parete. Attese, in perfetto silenzio, finché non vide un'ombra stagliarsi contro i vetri della finestra. Con i muscoli pronti ad attaccare, portò lo stiletto davanti al viso e aspettò che il ladro – perché certamente di un ladro si trattava – entrasse.

Non appena lo vide muovere un passo nella stanza, uscì allo scoperto e gli puntò velocemente l'arma alla gola, cogliendolo di sorpresa. L'uomo era poco più alto di lei, ma dovette comunque alzare il viso per guardarlo negli occhi. Indossava abiti scuri come la notte e celava la propria identità dietro una maschera e sotto il cappuccio del mantello. Tuttavia, a Gwen bastarono due particolari per capire di chi si trattasse: il sorriso che le rivolse quando la riconobbe e il suo inconfondibile odore. Un profumo che l'aveva ammaliata in precedenza e al quale era riuscita a dare un nome solo dopo averci riflettuto con lucidità.

Rose in boccio e luce del sole posata sull'erba ancora umida di pioggia.

«Finalmente» le disse il giovane mascherato.

Gwen non ebbe il tempo di chiedersi il perché di quell'affermazione, ma solo la prontezza di sorreggergli il capo prima che toccasse terra.

 

 

*
 

I’ll let you be the one who can lean on me
I’ll catch you when you fall, when you’re falling free
Let me be, be your gravity


 

«Altezza, vi prego di ritornare in voi ed essere ragionevole».

«Wain, per favore».

«No, Gwen. Cosa direbbe vostro zio se sapesse che avete fatto entrare un ragazzo nella vostra camera da letto? Un ladro e per giunta mascherato».

«Veramente è stato lui ad entrare, non l'ho invitato io».

«Dettagli, Altezza. Ora permettetemi di fare il mio dovere e cacciarlo».

«No. E questo è un ordine, Wain».

Bryce riprese conoscenza poco a poco. Si trovava nella stanza nella quale aveva fatto irruzione, steso sul divano davanti al caminetto. Indossava ancora la maschera e il cappuccio, quindi dubitava che le due persone presenti l'avessero riconosciuto.

Doveva andarsene da lì. Immediatamente.

Ormai i banditi dovevano essersi arresi e concluso la loro infruttuosa caccia all'uomo.

Tentò di alzarsi dal divanetto, ma una mano si posò sulla sua spalla e lo invitò gentilmente a stendersi di nuovo. Dita fresche gli toccarono la fronte sudata, donandogli sollievo. Sentì una voce familiare sussurragli all'orecchio e un fuoco più ardente di quello che scoppiettava nel caminetto gli si accese nel petto. «So chi siete. Non muovetevi».

Bryce batté le palpebre e focalizzò un volto che aveva sperato di rivedere con tutto se stesso. Le labbra carnose di Gwen si piegarono in un sorriso che lo riscaldò più del calore emanato dal caminetto. «Non abbiate paura di Wain. Abbaia, ma non morde. Almeno non senza il mio permesso». Nel dirlo rivolse uno sguardo severo al capitano delle guardie, che incombeva su di lui e lo scrutava con disapprovazione da oltre lo schienale del divano. Aveva la mano stretta attorno l'elsa della spada e dal suo atteggiamento si intuiva che aspettava solo un cenno della sua signora per sguainarla e farlo a pezzetti.

Bryce deglutì rumorosamente e tornò a fissare la ragazza, che lo stava ancora toccando per accertarsi che stesse bene. «Siete ferito?» gli chiese, ansiosamente, vedendolo impallidire.

Temendo che il soldato potesse riconoscerlo dalla voce, il Principe non replicò, ma indicò con la mano il proprio braccio. Gwen ordinò alla guardia di andarle a prendere acqua calda e bende pulite. Pur controvoglia, Wain ubbidì e sparì oltre la porta della stanza.

Rimasti soli, la Principessa fissò i suoi seri occhi azzurro ghiaccio in quelli di Bryce, parzialmente celati dalla maschera. «Ora ascoltatemi bene: vi aiuterò e vi permetterò di passare la notte qui, in cambio del vostro silenzio. Fingerò di non avervi visto entrare da quella finestra, mascherato e ferito come un qualunque bandito, se mi giurate che non direte a nessuno di essere rimasto solo con me». La ragazza tacque e diede una veloce occhiata alla porta, per accertarsi che Wain non stesse tornando proprio in quel momento. «Non mi importa della mia reputazione, ma non voglio creare uno scandalo e rovinare quella della mia famiglia. E sono certa che lo stesso valga per voi, Principe Bryce».

Il ragazzo scosse la testa. «Potete stare tranquilla. Avete la mia parola, non lo dirò a nessuno». Gwen annuì e fece per togliere la mano dalla sua fronte, ma lui la trattenne. «Non smettete. Mi piace essere toccato da voi».

Nel vedere le guance della giovane tingersi di rosa, Bryce esultò tra sé. Allora aveva ragione: anche lei provava attrazione nei suoi confronti. Non gli era indifferente come aveva sostenuto – e ancora sosteneva – Axel. Quella consapevolezza gli diede coraggio e stava per lasciarsi sfuggire un altro commento disgustosamente sdolcinato, quando udì dei passi concitati in avvicinamento. Gwen si premette un dito sulle labbra per imporgli di restare in silenzio e accolse il ritorno del capitano con un sorriso gentile.

Gawain teneva tra le braccia un piccolo catino dal quale si innalzava una nuvoletta di vapore. Collocò il recipiente sul tavolino accanto al divano e porse alla ragazza un pacco di bende candide. «E' tutto quello che sono riuscito a trovare».

Lei lo ringraziò e si alzò dal divano. «Capitano Von Lear, ho un altro favore da chiedervi» ammise, e il soldato strinse gli occhi con sospetto. Ogni volta che Gwen lo interpellava per cognome, aveva in mente qualcosa che sapeva per certo lui non avrebbe approvato. Eppure, da bravo soldato, non poté che sottostare all'autorità della Principessa. «Sono ai vostri ordini, Altezza. Come sempre».

Gwen spostò gli occhi da lui al ragazzo che giaceva sul divano, per poi distoglierli in tutta fretta. «Questo giovane ha bisogno di cure e tu esegui le medicazioni molto meglio di me. Inoltre per curare la ferita, dovresti...ehm...togliergli gli abiti. Cosa che io non posso fare, per ovvie ragioni».

Gwen sorrise divertita alla vista delle espressioni imbarazzate dei due ragazzi. Wain guardò l'altro giovane con le palpebre ridotte a fessura e grugnì il proprio assenso. «Lo farò, ma dovrete togliervi quella maschera. Non intendo curare qualcuno che non posso guardare liberamente in viso».

Gwen e Bryce si scambiarono un'occhiata. Lei annuì, incoraggiante. «Mi fido di Gawain come di me stessa, forse anche di più. Non vi tradirà e vi tratterà con lo stesso rispetto che serberebbe a me. Dico bene, capitano?».

Wain confermò con un rigido cenno del capo e Bryce si lasciò sfilare la maschera. In quel momento, pur di poter godere ancora della compagnia di Gwen, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Anche farsi torturare da quel soldato, il cui sguardo truce non prometteva nulla di buono.

Nel riconoscere il Principe, a Wain scappò un'esclamazione di sincero stupore. «Voi? Cosa diavolo credete di ottenere, presentandovi di notte nella stanza della Principessa?».

Bryce emise un sospiro rassegnato. «Non sapevo chi avrei trovato in questa stanza. Mi stavano inseguendo, questa era l'unica finestra illuminata e così ho pensato di chiedere aiuto. L'alternativa era perire per mano dei banditi che mi stavano alle calcagna, ma non si sarebbe certo potuta definire una morte elegante. La proprietaria della locanda avrebbe impiegato settimane per togliere il mio sangue dal vialetto e i suoi ospiti si sarebbero scandalizzati irreparabilmente nel scoprire il mio cadavere davanti all'ingresso. Uno spettacolo che io stesso non gradirei, se avessi appena terminato di fare colazione».

Al termine del discorso, sulla stanza scese il silenzio. La prima a romperlo fu Gwen, che cominciò a ridere sottovoce. Bryce rimase talmente rapito da quel suono e dal guizzo divertito nei suoi occhi, da non accorgersi che anche il capitano stava cercando di dominare l'ilarità. «D'accordo, milord, mi prenderò cura di voi. Altezza, vi prego di uscire dalla stanza. Vi chiamerò non appena avrò finito».

Quando la ragazza si chiuse la porta alle spalle, Bryce notò con soddisfazione che stava ancora sorridendo. Il capitano non perse tempo: gli sfilò in fretta gli indumenti, lasciandogli addosso soltanto stivali e pantaloni. Esaminò con cura la ferita al braccio e, tenendo per sé qualsiasi domanda gli ronzasse in testa, cominciò a lavare via il sangue. La pallottola non l'aveva colpito che di striscio, quindi gli bastò spalmare un unguento che odorava di menta e fasciargli l'avambraccio. Una volta completata l'operazione, il soldato uscì dalla camera per prendergli una camicia pulita. Bryce approfittò di quegli attimi di solitudine per darsi una rapida sistemata. Non volle nemmeno pensare al proprio aspetto: sapeva che, se si fosse imbattuto in uno specchio, sarebbe scappato urlando in preda all'orrore. E alla mortificazione, dal momento che Gwen l'aveva visto in disordine, coperto di sangue, sudore, polvere e anche da un buon numero di foglie d'edera.

Quando Gawain entrò, Bryce aveva domato con successo i ricci che gli ricadevano sulla fronte. Il capitano lo aiutò ad indossare la camicia pulita e il Principe fece per ringraziarlo, ma il soldato lo anticipò, posandogli entrambe le mani sulle spalle.

Wain avvicinò il viso a quello dell'altro ragazzo, che avvertì immediatamente il pericolo e cercò di ritrarsi. Ma il soldato gli impedì la ritirata, aumentando la presa fino a farlo gemere. I suoi occhi color carbone erano alla stessa altezza di quelli di Bryce e lo fissavano con palese ostilità. Eppure, quando parlò, il suo tono fu estremamente controllato. «Ti avverto, Bryce Jason Vandemberg. Puoi anche essere un Principe, ma ti assicuro che per me non fa alcuna differenza. Falla soffrire e te la vedrai con me».

Il passaggio ai modi informali sottolineò la serietà della minaccia. Tuttavia, Bryce non batté ciglio e rispose allo sguardo del capitano con uno altrettanto tagliente. «Tu la ami» soffiò, e il morso della gelosia rese quelle parole quasi un'accusa. «Ho visto come la guardi. Temi forse che te la porti via?».

Wain trasalì, ma la sua stretta non diminuì. «Ti sbagli. La amo come amerei una sorella, se la vita me l'avesse concessa. Gwen e Arthur sono l'unica famiglia che mi è rimasta e non tollero che venga fatto loro del male. Sono disposto a difenderli con la mia vita, se necessario».

«Una lealtà ammirevole» ribatté Bryce, e nella sua voce si avvertiva una nota di puro rispetto. I suoi occhi non mollarono quelli del capitano. «Quindi la tua non è una dichiarazione di guerra, ho inteso bene? Non siamo rivali».

«No, non lo siamo» asserì Gawain, con decisione. «Al contrario, potremmo diventare alleati se mi prometti che non cercherai di nuocere a Gwen in nessun modo. Ho fatto delle ricerche sul tuo conto e so che cambi di frequente le tue...compagnie femminili».

Bryce sentì un fiotto d'imbarazzo colorargli gli zigomi. «Non so cosa tu possa aver sentito, ma ti assicuro che le cose non stanno come credi. E di certo non tratterei mai una fanciulla innocente in modo crudele. Gwen non ha nulla da temere da parte mia».

Come se potesse percepire la sincerità delle sue parole, Wain si rilassò e lentamente mollò la presa sulle spalle di Bryce. Mosse un passo indietro e accennò un sorriso. «Lo spero, visto che, se ho insistito tanto per condurla fin qui, è principalmente a causa tua». Gawain vide la domanda implicita negli occhi di Bryce e alzò una mano. «Non spetta a me rivelarti questo particolare. Lo farà la mia signora quando – e se – lo riterrà opportuno. Sappi che è solo grazie a quel motivo se ti ho risparmiato un incontro ravvicinato con la lama della mia spada».

Bryce era più confuso ad ogni secondo che passava. Forse a causa delle intense emozioni che gli agitavano l'animo, decise di ricambiare la franchezza del capitano con un'affermazione altrettanto sincera. «Non so come o perché, ma credo di essermi innamorato di lei a prima vista. E non intendo scusarmi per questo».

Il tono determinato del Principe fece sorridere Wain. «Dovrò farmene una ragione, suppongo». Passandosi una mano tra i corti capelli castani, il soldato gli strizzò l'occhio. «Ora sarà meglio andarla a chiamare, o penserà che ci stiamo uccidendo a vicenda».

Bryce abbassò lo sguardo sul pavimento sotto i suoi piedi e fremette di raccapriccio. «Senza offesa, ma nemmeno questo è uno scenario adatto alla mia dipartita. Se proprio devo congedarmi da questo mondo nel fiore degli anni, tanto vale farlo con stile. Hai visto il pavimento? È pieno di macchie di ogni genere, nemmeno da morto oserei stendermici sopra».

Un discreto bussare interruppe la risata spontanea del capitano. Gwen azzardò un'occhiata all'interno della stanza: nel vedere il Principe vestito e ripulito, aprì del tutto la porta e sorrise. «Era da tanto che non ti sentivo ridere così, Wain. Noto con piacere che avete stretto amicizia».

Il soldato alzò le spalle. «Il Principe Bryce ha uno strano senso dell'umorismo».

Bryce evitò di precisare che nulla di ciò che aveva detto era uno scherzo. Pensava davvero che quella stanza rappresentasse un pessimo luogo nel quale esalare l'ultimo respiro. A meno che non si fosse trovato tra le braccia della Principessa: in quel caso sarebbe morto senza rimpianti e col sorriso sulle labbra.

Un caso pietoso e patetico, canticchiò una voce nel profondo della sua mente. E Bryce non poté che scuotere la testa, davanti all'evidenza dei propri sentimenti.

 

*
 

Attached inseperately
It’s all we’ll ever be
You, me, gravity


 

Bryce si girò su un fianco ed emise un sospiro sconfortato. Non sapeva quanto tempo era trascorso da quando il capitano Von Lear aveva lasciato la stanza, ma, a giudicare dalle braci ormai quasi del tutto spente, dovevano essere trascorse diverse ore. Il Principe, però, continuava a rigirarsi su quel divano come se, invece di aver sotto la schiena dei morbidi cuscini, si fosse adagiato su una superficie disseminata di chiodi e frammenti di vetro. Pareva che il suo corpo fosse cosciente della presenza di Gwen, addormentata sotto vari strati di coperte nel letto adiacente, e fremesse per la voglia di raggiungerla.

Imponendosi una calma che era lungi dal provare, Bryce allungò le gambe e portò le braccia sotto la testa.

Doveva dare ragione al capitano, il quale aveva tentato di impedirgli di dormire in quella stanza, adducendo scuse quali la possibile compromissione della reputazione di Gwen e il disonore che ne sarebbe derivato. Alla fine si era dovuto arrendere alla logica inappuntabile della sua signora: se avessero condotto il Principe nella stanza che Gawain condivideva con Tristan e Lancelot, o in un'altra, avevano più probabilità di essere scoperti. Una cameriera poteva vederli e mandare in fumo il loro intento di segretezza. D'altronde era questione di poche ore: al sorgere del sole, Bryce sarebbe sgattaiolato fuori da lì esattamente com'era entrato e non avrebbe corso il rischio di imbattersi di nuovo nei suoi inseguitori.

Così il Principe era stato fatto accomodare sul divano, dal momento che si era rifiutato con decisione di prendere il posto di Gwen sul letto. Anche se la sua ferita fosse stata tanto grave da giustificare quell'offerta, Bryce si sarebbe ugualmente opposto: non avrebbe sottratto il letto alla fanciulla nemmeno se si fosse trovato in punto di morte.

Troppo stanco per pensare ad un'opzione che non comprendesse far dormire Gwen e Bryce da soli nella stessa camera, Wain aveva ammesso la sconfitta e si era diretto verso la propria stanza, borbottando sottovoce. Non prima, però, di aver messo in guardia il Principe con un'occhiata.

Bryce si tolse di dosso la ruvida coperta di lana che Gwen gli aveva procurato e sfilò i primi bottoni della camicia dalle asole. Il fuoco non bruciava più, ma nella stanza aleggiava ancora un calore che impediva al giovane di lasciarsi andare al sonno. Abituato com'era ai rigidi inverni di Aldenor, di certo non aveva bisogno di...

Un gemito improvviso infranse il corso dei suoi pensieri. Bryce scattò a sedere come se la fodera del divano si fosse d'un tratto ricoperta di spine e una di esse l'avesse punto. Un altro lamento e il Principe si ritrovò in piedi senza rendersene conto.

Ai piedi del letto scorse un fagotto fatto di coperte e lenzuola, da cui sbucava una mano bianca come la neve, protesa verso il caminetto.

«Gwen» mormorò, precipitandosi a soccorrere la ragazza.

Era lei ad emettere quei gemiti di dolore: quando la liberò dai vari strati di coperte, Bryce si accorse che tremava convulsamente e aveva le guance striate di lacrime.

Da ipocondriaco qual era, il Principe non poteva che formulare delle ipotesi sulle cause di quegli spasmi e le alternative che si affollarono nella sua mente erano una più inquietante dell'altra. Agì d'istinto: prese Gwen tra le braccia e l'adagiò sul divano, che provvide a trascinare più vicino al caminetto. Dopo di che prese dei ciocchi di legna e l'attizzatoio, e tentò, con successo, di alimentare le poche braci rimaste.

La ragazza non smetteva di tremare: sembrava ancora addormentata e non protestò quando Bryce si tolse la camicia per mettergliela sulle spalle. Fece lo stesso con la propria coperta, che conservava ancora il calore del suo corpo. Gwen non aprì gli occhi, ma si raggomitolò in quel bozzolo di tessuto come un cucciolo appena nato accanto al ventre della propria madre. «Ho tanto freddo» sussurrò, e Bryce prese una decisione senza soffermarsi a chiedersi se fosse appropriata o meno.

Sistemò la ragazza sulle proprie ginocchia e cominciò a cullarla dolcemente, sentendosi esaltato e ridicolo al tempo stesso. «Va tutto bene, Gwen, ci sono io. Non sono sicuro che la mia presenza faccia miracoli, di solito scappo a gambe levate quando ci sono di mezzo malattie, o donne in lacrime. Tuttavia sono certo che sarai felice di avermi accanto a te quando ti sveglierai. Almeno avrai qualcosa di bello su cui posare gli occhi. Ora cerca di dormire, mia Principessa».

Il suo discorso mormorato parve sortire l'effetto sperato: la ragazza smise gradualmente di tremare ed emise un sospiro di pura beatitudine. Orgoglioso di se stesso anche se un po' a disagio, Bryce osservò la pelle della giovane riprendere colore alla luce del fuoco.

Non resistette all'impulso di passare le dita tra quei capelli d'oro bianco, come aveva desiderato fare dalla prima volta che l'aveva vista. Gwen appoggiò la testa nell'incavo del suo collo e smise del tutto di muoversi.

Bryce rimase immobile, cercando di respirare il più lentamente possibile per non svegliarla. Ma il suo cuore non voleva saperne di calmarsi: pulsava talmente forte che gli sembrava di sentirlo riecheggiare nella stanza.

Nonostante avesse la fronte imperlata di sudore a causa del calore soffocante del fuoco e il braccio gli dolesse per la scomoda posizione, Bryce pensò che non si era mai sentivo vivo come in quel momento.

Avvicinò la fronte a quella di Gwen e lasciò che il sonno vincesse le sue ultime resistenze.

 

 

 

 

 

 

* * * * * * *

 

Ciao a tutti!
Mi sentivo molto ispirata mentre terminavo questo capitolo, quindi spero vi sia piaciuto leggerlo tanto quanto è piaciuto a me scriverlo.

Un bacio da Lizz

 

n.b. i versi che ho disseminato nel capitolo appartengono alla canzone Gravity di Hovig. Mi sembrava una colonna sonora perfetta per Bryce e Gwen.

   
 
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