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Autore: Sarck    05/06/2017    4 recensioni
È notte. Iwaizumi sta pedalando da ore, Tōru, da dietro, lancia Mochi ad uno sconosciuto che ha iniziato a rincorrerli. Quasi sicuramente arriveranno in ritardo, e la colpa - ovviamente - è di Oikawa.
Era da due anni che non si vedevano, comunque.
***
Seconda classificata al ‘ Fortune coockies… contest’ indetto da Emanuela.Emy sul forum di efp
[future!IwaOi]
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Issei Matsukawa, Takehiro Hanamaki, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sai chuumon no'
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Prompt: Non cercare guai: saranno loro a trovarti
Titolo: Container for troubles
Tipo di coppia: shonen’ai, yaoi
Pairing: Oikawa x Iwaizumi
Rating: giallo
Parole: 2.800
Note: Partecipante al ‘ Fortune coockies… contest’ indetto da Emanuela.Emy sul forum di efp

 

 

 

 

Container for troubles

 

Stringe così forte le mani sul manubrio che sente la gomma modellarsi sotto i suoi palmi, sempre più callosi con il passare degli anni. Trattiene un’imprecazione tra i denti, perché sarebbe la terza, ed è sicuro che la voce gli uscirebbe così alta da svegliare l’intera periferia. Ringhia, però, sicuro che Oikawa possa sentirlo, mentre aumenta il ritmo della pedalata. Sente la mano che stringe il tessuto della sua maglietta, a livello dello stomaco, artigliarlo più forte, poi la risata infantile dietro di lui.

“Più veloce, Iwa-chan!”

Davvero, tra poco lo butta giù e lo lascia lì in mezzo alla strada, con il tipo a rincorrerlo e tutto.

Vuole sinceramente tirargli un pugno, perché tutta quella situazione – tutta – è dannatamente colpa sua, eppure lui sembra non accorgersi della tragicità della cosa. Ingoia l’insulto, mandandolo giù per la cavità orale e si limita a “ci sta ancora inseguendo?” chiedere, il tempo di un affanno, mentre inclina la testa per provare a guardare indietro, ma le spalle di Oikawa gli limitano la visuale. C’è qualcosa che quel ragazzo sappia fare senza creare danni?

“Ha smesso di correre ora, gli ho lanciato addosso due Mochi e…” quasi sbandano, ma Iwaizumi riesce a poggiare il piede a terra in tempo – il peso di una bicicletta e due persone a gravargli su metà suola della scarpa – e Tōru si incolla ancora di più alla sua schiena e “riparti, riparti, riparti” inizia ad agitarsi, acuto ed irritante. Iwaizumi sta letteralmente disintegrando quel manubrio, mentre riprende a pedalare e “merda Oikawa, puoi evitare di istigarlo ancora? Non ti basta che lo hai fatto incazzare al supermarket?” urla, la vena sul collo minaccia di scoppiargli per l’eccessivo afflusso di sangue. A questo punto non gliene frega più molto di svegliare qualcuno, tanto la situazione sfiora già i limiti dell’assurdo. Sono in precario equilibrio su quella bicicletta scassata, Oikawa seduto di lato sul portapacchi, artigliato a lui con un braccio, mentre cerca di tenere piegate le gambe lunghe per non far strisciare i piedi a terra. Oltre all'immagine già di per sé strana si aggiunge l'uomo, decisamente un volto poco raccomandabile, che li ha inseguiti per quasi un chilometro fino ad ora, offeso nell'orgoglio da tutta una serie di atteggiamenti irritanti di Tōru (ultimo dei quali il fatto di essersi appropriato del suo sgabello esattamente mentre quello era in procinto di sedersi, facendolo ruzzolare a terra e scoppiando a ridere senza ritegno di conseguenza). Ci mancavano i Mochi da lanciargli addosso, davvero, sono quel tocco di classe in più che rendono Oikawa un perfetto idiota, anche all’età di venticinque anni.

Si sta perdendo in pensieri circa la possibilità di misurare il livello di infantilità di quel mostro pallavolista – dopotutto è stato nella squadra nazione, anche se solo per un anno – quando percepisce la presa sulla sua maglietta farsi più morbida e la testa pesargli piano sulla spalla. Può sentire il suo alito infrangersi contro il collo, tiepido in confronto all'aria fresca delle quattro di notte. È un calore che gli mancava, piacevole in mezzo quell'aria sporca di smog e alla violenza con la quale il vento continua a sferzargli le braccia, la faccia, le nocche tese. Era da troppo che non lo sentiva così fisicamente vicino (la vena sul collo sta già pulsando un po’​ meno).
Quando il suono discontinuo e basso della sua risata gli vibra nell’orecchio, quasi sorride anche lui, dimentico di tutto il resto: dell’uomo totalmente incazzato che li ha rincorsi per un chilometro buono, della macchina ancora ferma nel fosso ormai a due ore da lì – ha pedalato per due ore? Tra poco Tōru dovrà dargli il cambio –, del fatto che è notte e funziona solo il led anteriore di quella bicicletta vecchia, dei cellulari morti da un pezzo e del matrimonio di Makki a cui quasi certamente arriveranno in ritardo. Tutto, tutto quanto, diventa un anonimo retroscena.
Iwaizumi ha gli occhi che si chiudono dal sonno. Sotto le ciglia stanche si riflette, nelle sue iridi verdi, la luce dei lampioni tondi che costeggiano lo stradone. Eppure, l’unica cosa che riesce a percepire distintamente, che lo tiene sveglio, è la vicinanza di Oikawa, la sola cosa importante tra quelle strade di una città sconosciuta ed addormentata.

 

***

Tutto era iniziato, ovviamente, per uno sbaglio di Oikawa. Avrebbero dovuto prendere il primo treno ad alta velocità della mattina, quello delle 5.13 e arrivare a sud del Giappone per le nove. La cerimonia, come recitava la scritta oro su carta di riso, era programmata per le dieci.
Iwaizumi stava per andare a letto quando il suo cellulare aveva vibrato. Le pupille si erano dilatate un poco, non più abituate a leggere ‘Crappykawa’ sotto l’icona lampeggiante dei messaggi. Ad ogni modo, qualsiasi possibile pensiero sentimentale sulla reazione che il fatto gli aveva provocato era stato spazzato via dal contenuto del messaggio: Tōru aveva sbagliato a prendere i biglietti, se ne era accorto solo quella sera e aveva provato in tutti modi a trovare altri posti, anche con itinerari diversi, senza successo. L'unica soluzione era andare in macchina, partendo immediatamente.
Alla fine Iwaizumi si era ritrovato in tuta, con lo zaino contenente i vestiti e le scarpe da cerimonia a pendergli sulla spalla, davanti al portone del palazzo di Oikawa (l’indirizzo, fortunatamente, glielo aveva lasciato Matsukawa non molto tempo prima). I tre piani di ascensore se li era fatti con gli occhi fissi sulle porte automatiche, le dita arricciate dentro alle tasche dei pantaloni, a torturarsi a vicenda, e le labbra serratissime.

Quando Oikawa gli aveva aperto la porta, il labbro inferiore era scivolato fuori dalla morsa di quello superiore e le ciglia avevano tremato un attimo, nell’esplorargli il volto, alla ricerca di un qualche cambiamento.
In qualche modo, non sembrava diverso da come lo ricordava, se non per una lieve sfumatura nelle iridi grandi. Aveva sinceramente temuto che quel ragazzo fosse cambiato troppo, senza di lui. Dopotutto, era due anni che non si vedevano.

“Combini sempre casini, o sbaglio?”

 

***

“Senti, Iwa-chan…”

“Mh?”

“Sei stanco?”. Certo che lo è, sta pedalando incessantemente da troppo tempo, hanno passato la notte in viaggio ed è letteralmente esausto.

“No.”

Oikawa sfrega le labbra contro il suo collo e Iwaizumi trasalisce, colto improvvisamente da un calore che si propaga per tutto il corpo, fino a rendergli i palmi sudati. “Mi sei mancato così tanto” mugugna Tōru dietro di lui, facendo strusciare il labbro inferiore umido sulla pelle sensibile sotto l’orecchio. “Te lo avevo detto che dovevamo farlo in macchina” continua, totalmente serio, mentre lascia che i mignoli delle mani gli sollevino l’orlo della maglietta e si infilino sotto, solleticandogli la pelle nuda del ventre contratto. Hajime ingoia.

“Chi ti dice che sarei stato d’accordo?”

Oikawa ride piano e infila entrambe le mani sotto il cotone ruvido della maglietta, accarezzando gli addominali e risalendo fino ai pettorali. Il tocco dei polpastrelli è fresco sulla sua pelle e Iwaizumi si ritrova a soffiare fuori un respiro troppo forte, ma continua a pedalare imperterrito.

“Non ti sono mancato anche io?”

Sì che gli è mancato, certo che sì. Avrebbe voluto sbatterlo contro il letto già quando gli aveva aperto la porta di casa, in pigiama e con una maglietta troppo larga a lasciare scoperta buona parte delle clavicole. Durante il tragitto in auto si era dovuto trattenere più volte dal non farlo accostare, afferrargli la testa e baciarlo. Le sue labbra erano sempre state così piene? Forse era il fatto di non averlo mai visto guidare, con gli occhi concentrati e la lingua a passare sopra la carne tenera delle labbra, di tanto in tanto. Due anni senza vedersi lo avevano mandato fuori di testa, perché gli sarebbe andato bene anche nei bagni del minimarket, ad afferrargli i glutei e spingerlo contro le pareti sporche.

“No.” Risponde, per la seconda volta, troppo fedele a se stesso per ammettere quello che è già ovvio.

Un sospiro frustrato, che gli cade dritto sul lobo dell’orecchio e le unghie che gli graffiano il petto, lente e controllate. Non si sono neanche baciati, da quando si sono rivisti, se non per uno sfioramento di labbra veloce che Oikawa gli aveva lasciato in ascensore.
“Comunque”, le mani sono tornate sopra alla maglietta ora, la guancia appoggiata in modo innocuo sulla sua spalla, “posso darti il cambio? Hai pedalato solo tu per ora”.

Hajime sta per annuire, grato, quando si ricorda di una cosa: “il tuo ginocchio” dice, “Matsukawa mi ha detto che ti sei fatto ancora male”.

Oikawa sfrega la guancia e brontola “è per questo che mi sono dovuto dimettere dalle nazionali, dopo un anno. Comunque ti sei tenuto aggiornato su di me?”. L’ultima frase la pronuncia con voce più acuta, allegra.

“Non mentre ero in Etiopia, me lo ha raccontato quando sono tornato”.

“Quindi ora posso domandartelo, Iwa-chan?”

“Cosa?”

“Quello che ti stavo chiedendo prima che finissimo nel fosso con l’auto”.

Ha un brutto presentimento, sente la voce di Oikawa farsi seria, assumere quel tono forte che precede un servizio terrificante – probabilmente gli occhi gli si sono assottigliati, riesce quasi ad immaginarseli –  mentre ripropone la domanda.

È assolutamente un servizio perfetto, un punto per Oikawa Tōru e un respiro trattenuto da Iwaizumi Hajime, con i capelli ancora scossi dallo spostamento d'aria creato dalla palla. O forse, è soltanto il vento.

“Perché non ti sei più fatto sentire, una volta tornato?”

 

***

Una volta, Iwaizumi aveva visto il temporale negli occhi di Tōru. Si era fatto tetto e lo aveva coperto in un abbraccio, un parafulmine di nove anni. Perché se non riusciva ad impedire all’acqua di raggiungere gli occhi del suo amico, almeno poteva evitare che si rompessero.

“Hajime-chan”, voce impastata da muco, corde vocali sottili che tremano, “tu non mi abbandonerai vero?”.

Hajime è un tetto, una capanna, un parafulmine e una casa. “Scemo” dice, impedendo al temporale di scavare negli occhi del compagno che tiene tra le braccia, più di quanto non abbia già fatto. “Certo che no”.

Devono uscire di lì, comunque. Gli afferra la mano, piccola come la sua e lo tira su in piedi.

“Torniamo a casa”.

Iwaizumi è un tetto, una capanna, un parafulmine, una casa e un recipiente; Oikawa sa che si prenderà lui la colpa del ritardo.

“Hajime-chan, se mai mi abbandonerai”, tira sul col naso, stringe di più le dita “ti odierò per sempre”.

Iwaizumi non risponde neanche. Si sta domando come sia possibile che in cielo non ci siano nuvole, mentre negli occhi del suo migliore amico piove.

 

***

“Non pensavo ci saremmo ritrovati così”.

Iwaizumi, testa reclinata all’indietro, nuca contro il portone in legno e gambe abbandonate sugli scalini d’ingresso, stringe di più le palpebre, mentre aspetta che il respiro torni regolare.

“Insomma, siamo addirittura in anticipo, possibile?”.

La bici è abbandonata davanti a loro, contro l’inferriata dell’appartamento di Hanamaki. È troppo presto per suonare al citofono e svegliarlo, dopotutto è la notte prima del suo matrimonio.
Passa un furgoncino arancione davanti a loro, rumoroso in mezzo alla via ancora assonnata, e il guidatore continua a guardarli dallo specchietto retrovisore per un buon pezzo, incuriosito. Iwaizumi spera solo che Oikawa abbia finito i Mochi e non inizi a lanciarli anche a lui, giusto per divertimento.

“Iwa-chan?”

Hajime apre un occhio solo e lo guarda di traverso, scorrendo con lo sguardo tra i ciuffi castani sulla sua fronte, per arrivare agli occhi. Fuori, una prima striscia rosata ha iniziato a schiarire il nero del cielo, la vede riflessa negli occhi grandi di Tōru, intorno alle pupille dilatate.

“Che vuoi?”. Apre anche l’altro occhio ora e li punta in alto, con le braccia incrociate al petto.

“Sai che sei davvero stupido?”

I polpastrelli affondano nelle sue stesse braccia e il suono gli esce cupo dalla gola: “fottiti”. Poi ci ripensa, non soddisfatto della sua scarsa loquacità e “come se tutti questi casini non fossero stati colpa tua, devo ricordarti che hai anche dimenticato in macchina lo zaino con i vestiti per la cerimonia?” continua, con le sopracciglia così aggrottate da mostrare tutto il loro disappunto.

Oikawa ride, uno di quei suoni bassi, come quelle note che gli vibravano nell’orecchio mentre pedalava, con il suo fiato sul collo. Iwaizumi non lo guarda, perché ha lo stomaco accartocciato su se stesso e un cuore disobbediente, che batte irregolare dentro all’ampia gabbia toracica. Si lecca il labbro inferiore, mentre prende un respiro più grosso del solito e dà la colpa all’affanno, non alle mani che fremono, agli occhi che continuano a gravare sul ragazzo al suo fianco, all’anima che sembra voglia uscire dal suo corpo e arrotolarsi su quello di Tōru.

Tutto è un po’ meno buio di prima, tra poco non sarà più notte e Oikawa “come quando eravamo piccoli”, sa dicendo, “anche allora ti coinvolgevo sempre nei mei pasticci. Nonostante tu cercassi sempre di tenerti lontano dai guai ci finivi dentro, solo perché ti ci trascinavo io”.

Si è spostato, ora si è piantato davanti a lui, egocentrico nel suo tentativo di occupargli tutto il campo visivo. Iwaizumi quasi non respira. Troppo occupato a pedalare per ore, con l’altro dietro di lui, non aveva avuto modo di guardarlo, di godere di quelle ciglia che sbattono piano sugli occhi o delle labbra tese, ora serie, che impastano parole importanti, quelle che è sicuro stia per dire.
Rimane con la nuca contro la parete, il pomo d’Adamo scende lento lungo il collo esposto e poi risale. Oikawa, accovacciato sui talloni, tra le sue gambe, tiene poggiati i palmi sulle sue ginocchia per mantenersi in equilibrio. Con le guance arrossate da una lieve sfumatura di collera, dà forma a quel pensiero che rendeva la sua bocca una linea rigida.
“Non mi hai mai abbandonato”, un pugnetto sul petto che gli fa perdere l’equilibrio per un attimo, “per questo sei stupido e non capisci niente! Non ero arrabbiato con te perché te ne sei andato per un anno e mezzo in missione umanitaria, quello non significa abbandonarmi!”. Oikawa ha quella sua solita voce alta fastidiosa e muove la testa, concitato. Nel mentre Iwaizumi gli ha afferrato i capelli, li tiene stretti nel palmo, mentre continua a non respirare e vedere solo quella luce arancione dell’alba che si infila tra i ciuffi di capelli di Tōru e lo rende, in qualche modo assurdo, il centro assoluto di quel cielo. È così che stringe di più la presa sulla sua nuca e mentre quello “bastava che appena tornato venissi da me subito, perché mi mancavi da morire e-”  sta ancora blaterando, lo tira verso di sé e “sta zitto” grugnisce, impaziente. Fa in tempo a sentirlo farfugliare un “mai” di protesta, prima di far scivolare la lingua nella sua bocca e zittirlo.

Dopotutto, due anni senza respirare sono troppi.

 

***

Hanamaki quasi sputa lo champagne, ma riesce ad ingoiare il tutto prima e scoppiare a ridere con la bocca ormai libera. Matsukawa gli sta porgendo un tovagliolo, mentre Iwaizumi ingoia una tartina, innervosito solo dal dover raccontare – e quindi ricordare – tutto quello che ha passato e il motivo per cui si ritrova con delle occhiaie pesanti sulla faccia.

“Quindi, spiegami meglio, quel tipo ha iniziato a rincorrervi?”

“Esattamente e mentre io pedalavo come un matto quel cretino di Oikawa lo beffeggiava lanciandogli cose addosso, ma ti sembra?”

Hanamaki ride ancora più forte, finché un invitato non gli picchietta sulla spalla per catturare la sua attenzione e allora cerca di ricomporsi, si liscia la cravatta e fa cenno ai due amici di aspettare un attimo.

La giacca che Iwaizumi indossa gli sta un po’ troppo stretta sulle spalle, ma non può lamentarsi, perché se non fosse stato per Hanamaki che gli aveva permesso di farsi una doccia a casa sua e gli aveva consigliato dove comprarsi degli abiti eleganti, a quest’ora sarebbe lì ancora sudato e in tuta.

“Ti sei mai accorto” si gira verso Matsukawa quando lo sente parlare, smettendo di cercare la testa di Tōru tra gli invitati, “che ogni volta che ti capita qualche guaio c’è sempre di mezzo Oikawa?”. Lo sguardo del suo amico è fermo, tranquillo, le sopracciglia leggermente alzate, come a voler dire qualcosa di più, dentro a quella frase. Iwaizumi in qualche modo si sente a disagio mentre “maledetto il giorno in cui l’ho incontrato”, borbotta, con la faccia nascosta per metà dietro un bicchiere appena tirato su dal tavolo.

La verità è che Hajime sa che la sua vita sarebbe stata tremendamente noiosa se non ci fosse stato quel piccolo cerca guai di Oikawa, a condirgliela. Era entrato nella sua vita di corsa, spalancando una porta troppo grande per le sue manine piccole, da bambino, e si era trascinato dentro tutto: foglie, neve, problemi, passioni ed esperienze.

Iwaizumi è un tetto, una capanna, un parafulmine, una casa e un recipiente: accoglie tutto, anche le esperienze più frustranti, difficili, tristi o assurde.

Senza Oikawa, Iwaizumi è un recipiente vuoto.

 


 

 

 

 

  
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