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Autore: Najara    10/06/2017    8 recensioni
Un cappio si sta stringendo attorno al collo di Lena, il destino della Luthor Corporation, ora, è nelle sue mani, la sua libertà è finita, il suo destino tracciato. Kara sente quel cappio come se il collo fosse il suo, perché e com'è possibile?
Kara e Lena: due persone, due menti, due entità distinte, destinate, però, a vedere il loro destino intrecciarsi, così come a intrecciarsi sono le loro menti.
Un'avventura SuperCorp.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fredda solitudine

 

Lena aprì lentamente gli occhi e una fitta intensa alla testa le diede il benvenuto nel mondo. Alzò la mano e notò che vi era una flebo attaccata.

“Come ti senti?” La voce le era famigliare, ma quando l’aveva udita direttamente non era stata mai così dolce. Per un attimo pensò di essere nella mente di Kara, ma con un sussulto doloroso seppe che era sola. “Lena, riesci a sentirmi?” Insistette Alex, piegandosi su di lei per poi voltarsi preoccupata verso un monitor il cui ritmico suono si era improvvisamente accelerato.

Sola, terribilmente sola. Lena scosse la testa provocandosi un’altra violenta fitta. Dov’era Kara?

“Kara?” Chiamò, questa volta a voce alta, cercando, spingendo la propria mente verso qualcosa che, istintivamente, sapeva non esserci più.

“Calmati, Lena!” Due mani forti la trattennero mentre lei si agitava sul lettino.

“Sedatela.” Ordinò la voce profonda di un uomo.

“Kara!” Urlò, mentre il suo cuore esplodeva per il dolore della perdita. Sentiva le lacrime calde scenderle lungo il volto, ma non riuscì più ad agitarsi, il sedativo stava facendo effetto.

“Andrà tutto bene…” Mormorò la stessa voce maschile di prima, sulla sua fronte si appoggiò una mano fresca e la sua mente ricadde nel buio.

 

Kara si premette le mani sulle orecchie. Sentire Lena urlare il suo nome la stava straziando e il non poter andare da lei le spezzava il cuore. Strinse il pugno contro la sua testa e poi lo abbatté con violenza contro la massa di cemento spezzandola in due.

“Ok… direi che ti serve una pausa.” Si voltò, il respiro accelerato, le lacrime che le scendevano lungo il viso e fissò Maggie che, nel notare la sua espressione, sospirò e si sedette sulle scale della palestra del DEO.

“Come sta?” Chiese. Kara si asciugò il viso lasciandosi cadere accanto alla ragazza. Vuota.

“Sono tre giorni che si sveglia e mi chiama… i sedativi e J’onn la rimettono a dormire, ma…”

“Ma nessuno mette a dormire te, giusto? Tu devi sentirla urlare e non puoi fare nulla.” Kara scosse la testa.

“Me lo merito, io mi merito questo dolore, non lei… lei non ha potuto opporsi, io…” Nuove lacrime iniziarono a scenderle lungo il viso, incontrollate.

“Non è colpa tua!” La sgridò Maggie, passandole il braccio attorno alle spalle. “Alex mi ha detto tutto, finalmente e, mai, neppure una volta, ha accennato a una tua colpa.”

“Alex si sente in difetto per aver dubitato di Lena, non lascia l’infermeria.” Commentò. Sentiva il cuore della sorella battere regolare accanto a quello più lento di Lena.

“Vedrai che starà presto meglio e allora potrai parlarle.” Tentò di rassicurarla, Maggie.

“No, non potrò.” Kara si voltò, gli occhi gonfi dal pianto, un’amara smorfia sulle labbra. “J’onn dice che ci vorranno mesi, forse anni prima che la sua mente si liberi di me… sono come una droga per lei, non può avermi accanto, rischierebbe di ricadere nel…” Un singhiozzo le portò via l’ultima parola. “Nell’errore.” Riuscì a dire. Maggie scosse la testa.

“Non sei un errore, Kara, non dire così.”

“Ci sono termini peggiori per definire quello che ho fatto.” Assicurò, con la voce spezzata dai singhiozzi. “Quando si sveglierà Alex le dirà tutto e lei mi odierà!”

“No, saprà usare le parole giuste…” Kara appoggiò la testa contro la spalla della detective lasciandosi andare, scossa dai singhiozzi, mentre Maggie la stringeva cercando di darle il conforto di cui aveva bisogno, anche se era conscia che non sarebbe mai bastato.

 

Questa volta il dolore alla testa era solo un lontano pulsare. Lena aprì gli occhi ritrovandosi a guardare lo stesso panorama che ormai conosceva bene. Non si agitò, non urlò il suo nome, sapeva che non sarebbe venuta. Perché avrebbe dovuto farlo quella volta quando non era venuta in tutte quelle precedenti?

“Lena?” La chiamò la voce che aveva imparato ad associare al risveglio.

“Agente Danvers.” Mormorò rendendosi conto di quanto fosse roca la sua voce.

“Tieni.” La donna le diede un bicchiere d’acqua e Lena ne bevve un sorso. Fingendo di ignorare il dolore sordo al centro del suo petto e quel terribile silenzio nella sua mente, un silenzio che urlava il suo nome.

“Come ti senti?” Le chiese quando lei le riconsegnò il bicchiere. “La testa ti fa ancora male?”

“No.” Mentì, non le importava, anzi, il dolore era… qualcosa, almeno.

Alex annuì osservando il tracciato di uno dei tanti monitor.

“Quando potrò andarmene di qua? O sono ancora accusata di terrorismo?”

“Le accuse sono state ritirate, non ti devi preoccupare…”

“Non mi preoccupo.” Rispose secca. Si sentiva distante, fredda, vuota. Sì, vuota.

“Abbiamo smentito la voce del tuo arresto e spiegato che stavi collaborando con l’FBI riguardo all’identificazione e al recupero delle armi della Luthor Corporation finite sul mercato nero all’arresto di tuo fratello.” Spiegò Alex prendendo uno sgabello e sedendosi accanto a lei. Aveva il volto stanco, probabilmente non dormiva da parecchio.

“Non ci crederanno, sono una Luthor, ma è una bugia che può reggere.” Affermò, gli occhi che si allontanavano dal viso di Alex per fissarsi sul soffitto, indifferenti. “Dimmi, come siete riusciti a togliermela?” La domanda bruciava nella sua mente, ma lei la buttò lì, come se non avesse importanza.

Alex rimase in silenzio e lei ruotò di nuovo lo sguardo fissandolo su di lei. “E come l’avete convinta a starmi lontana?” Ora nei suoi occhi bruciò un fuoco intenso e Alex lo vide perché si tirò indietro, come se si preparasse ad un colpo. Non che lei volesse colpirla, era sua sorella.

“Il vostro legame era dovuto ad un’esposizione al composto chimico XV-439.” Iniziò la donna risistemandosi sullo sgabello.

“Dimmi qualcosa che non so, agente.” Mormorò lei, di nuovo fredda.

“Sei rimasta incosciente per tre giorni, quando ti sei svegliati non eri… stabile, così abbiamo dovuto sedarti, è successo cinque volte.” Alex prese la cartella e gliela passò. “So che puoi capire da sola, dopo tutto hai studiato tu stessa l’XV-439.”

Lena lesse i dati, i diagrammi le erano stranamente familiari, ma era impossibile che provenissero da letture della sua attività celebrale.

“Non hanno senso.” Affermò. “Se avessi presentato simili danni me ne sarei accorta.”

“I sintomi sono forti dolori alla testa, fino ad arrivare al sanguinamento del naso e, in casi davvero gravi, anche dalle orecchie e dalla bocca. Kara mi ha detto che avevi spesso mal di testa e che è capitato che ti sanguinasse il naso.” Al sentir pronunciare il nome di Kara, Lena ebbe un sussulto che soffocò con fatica, cercando di dipanarsi tra le menzogne della donna. Non aveva senso a meno che… “Il dolore passava quando eri in contatto con lei, come se…”

“Fosse una droga.” Comprese lei e per la prima volta dubitò delle proprie convinzioni.

“Sì.” Confermò Alex. Lena sollevò di nuovo il dossier capendo cosa avesse colpito la sua memoria. Quei diagrammi ricordavano sorprendentemente quelli di pazienti affetti da dipendenze alle droghe.

“Va bene…” Acconsentì anche se una parte del suo cervello continuava a rifiutare quell’informazione. “Perché non posso vederla, perché non è qui? Lei non è mai stata male, ne deduco che il nostro legame abbia danneggiato solo me.” Quell’idea, espressa ad alta voce, le fece corrugare la fronte. “Si sente in colpa? È per questo che non è qui? Potresti dirle di non essere sciocca? È ovvio che non è colpa sua.” Alex abbassò lo sguardo e lei sentì una stretta al cuore. “Alex, perché non posso vederla? Dimmelo!” La ragazza si alzò preoccupata osservando il monitor che segnalava l’innalzarsi del suo battito cardiaco.

“Calmati.” Le ordinò, poi si sfiorò l’orecchio e sembrò ascoltare qualcuno. “Dimmi le cifre del pi greco.” Chiese e lei sbatté le palpebre stupita dalla domanda.

“Co…cosa?” Chiese, il cuore che continuava a batterle veloce nel petto.

“Se non ti calmi dovrò di nuovo sedarti. Quindi: dimmi le cifre del pi greco.”

“3,14159265358979323846264338327950…” Iniziò in una lenta litania, mentre il suo cuore si calmava.

“Ti senti meglio?” Le chiese Alex dopo un poco.

“Sì…” Ammise. “È stata lei a dirtelo, non è vero?” Chiese voltandosi verso la parete. “Può sentirmi, può vedermi. Ma io non posso vedere e sentire lei, perché?” Intuì, si voltò verso Alex e lesse nei suoi occhi che aveva posto la domanda giusta.

“Vorrebbe dirtelo lei, ma non può.”

“Perché?” Forse il suo cuore non batteva più veloce, ma sembrava lo stesso un peso rovente all’interno del suo petto in netto contrasto con la sua mente, di nuovo fredda.

“È difficile da accettare, ma… il legame tra voi due non era paritario.”

“Certo che era paritario, io entravo nella sua mente e lei nella mia, io sentivo quello che provava e lei sentiva quello che provavo.” Affermò, decisa.

“La sua mente kryptoniana è più forte di qualunque mente umana. Lei ha… riscritto, grazie all’XV-439 nel tuo corpo, la chimica del tuo cervello ferendoti a livello fisico, ma ha anche influenzato i tuoi sentimenti, li ha, involontariamente, plagiati in sintonia con i suoi.”

“È ridicolo. So cosa provo.”

“Cosa provi per me?” Domandò la donna a bruciapelo. Lena la guardò sbattendo le palpebre confusa. Cosa provava? Si sentiva tradita, perché lei l’aveva sempre protetta. Scosse la testa, proteggeva Kara. “Senti dell’affetto per me, non  è vero?”

“Kara prova dell’affetto per te, mi ha parlato spesso di te, ti ho vista attraverso i suoi occhi e ho imparato a conoscerti a mia volta, per questo sento di…” Scosse la testa incapace di comprendere cosa fosse un suo sentimento e cosa provenisse dai ricordi di Kara.

“Mi conosci da così poco tempo eppure senti per me un sentimento forte e al contempo mi detesti, perché ti ho tradita, come ti ha tradito Lex.” A quelle parole Lena scosse la testa, ma sapeva che stava mentendo anche a se stessa. “E se quello che provi per me è artefatto allora…”

“Anche quello che provo per lei lo è.” Ora il suo cuore non bruciava più, vi era solo freddo ghiaccio in tutto il suo corpo. Calma e fredda immobilità.

“Per questo Kara non può essere qua, devi dimenticarla e, con il tempo, ritroverai le tue emozioni, dimenticando le sue.” Rimase in silenzio, il suo sguardo tornò al soffitto, bianco e perfetto.

“Quando potrò uscire da qui?” Alex rimase in silenzio, forse era stupita dal suo contegno, dalla sua accettazione passiva, non le importava.

“Non appena starai meglio. Le analisi mostrano una rapida ripresa ora che le crisi peggiori sono passate, ma potresti avere delle ricadute e soprattutto…”

“L’astinenza.” Concluse lei. “Immagino che non ci si uno speciale metadone per astinenza da legame mentale, dico bene?”

“C’è una persona che può aiutarti.” Affermò lei e Lena ricordò una mano fresca sulla sua pelle e una presenza calma, ma lontana, nella sua mente. Strinse la mascella all’idea di avere qualcuno che non era lei nella sua mente e provò un senso di profonda repulsione quando comprese che lo desiderava, perché qualsiasi cosa era meglio di quel vuoto.

“Non credo che ne avrò bisogno.” Affermò decisa, cercando di contrastare quella parte di lei che invece implorava una comunione simile. “Ci vorranno giorni, settimane? Ho una compagnia da dirigere e non posso rimanere a letto a dormire.” L’agente Danvers sospirò.

“Potrai essere dimessa tra qualche giorno.”

“Bene. Ora vorrei rimanere sola.” Chiuse la discussione e la ragazza annuì, ma prima di uscire si voltò sulla porta.

“Lei… è molto dispiaciuta.” Disse alla fine. Lena non rispose, lo sguardo rivolto verso l’alto. Alex annuì piano e se ne andò, solo allora Lena permise ad una lacrima di scivolare lungo il suo viso.

 

Una singola lacrima scivolò lungo il viso di Kara. Poteva sentire i passi di Alex che si allontanavano dalla stanza di Lena e poteva sentire il battito calmo della donna. Ora sapeva tutto. Era finita.

Presto Lena sarebbe tornata alla sua compagnia e avrebbe potuto ricominciare a vivere la sua vita, senza che lei soffocasse le sue emozioni obbligandola verso sentimenti che non provava.

Quel pensiero la portò a stringere forte gli occhi, non riusciva a sopportare che i loro ricordi insieme fosse frutto di una forzatura. Non riusciva ad accettare che mentre facevano l’amore era solo lei quella che amava, Lena era un corpo vuoto riempito da quelli che erano i suoi sentimenti.

Quei pensieri le diedero la nausea, per l’ennesima volta. Si meritava ogni dolore, ogni sofferenza per quello che aveva fatto. L’unica volta che erano rimaste lontane Lena era finita tra le braccia di un’altra donna, perché non aveva capito all’ora che il suo sentimento era unilaterale? Perché non aveva capito che stava stringendo un cappio attorno a Lena? Perché era stata così stupida dal credere che una donna così meravigliosa potesse amare lei? Oh, certo, lei era l’eroina di National City, Supergirl! Ma Lena la conosceva come l’impacciata ragazza che arrossiva e parlava troppo quando era tesa, quella che amava mangiare e adorava guardare le stelle nel cielo, a cui mancava casa e che per rilassarsi volava: la vera lei, né Supergirl, né Kara Danvers, solo lei, Kara.

“Va tutto bene?” Scosse la testa e Alex sospirò. “Starà meglio…”

“Ha perso tutto nella sua vita, la madre quando aveva quattro anni, il padre a sedici, la sua madre adottiva non l’ha mai amata e LexLex l’ha tradita più di tutti. Ora… ora ha scoperto che anche la sua stessa mente l’ha tradita. Riesci ad immaginare? Io sì, la mia mente sotto l’influenza della Black Mercy ha creduto davvero a quello che vivevo, scoprire che era tutto falso non mi ha impedito di sentire il dolore per quello che avevo perso. Ora lei si ritrova a dover combattere con il dolore di avermi persa e la consapevolezza che era tutto falso. Come potrà stare meglio?” Domandò e Alex non seppe risponderle.

 

Maggie prese il telefono e attese, pochi squilli e Alex rispose.

“Non è un buon momento.” Affermò la donna.

“Ho scoperto chi guida Cadmus.” Le disse però lei e quasi poté immaginare lo stupore della compagna. “Il missile, la bomba, avevi ragione, erano collegati e proprio attraverso la Luthor Corporation, ma, avevi puntato alla Luthor sbagliata. Non si tratta della figlia, ma della madre.” Sorrise osservando la confessione firmata che aveva appena strappato a uno dei membri del laboratorio che studiava XV-439, aveva avuto ragione a non mollare la presa e, finalmente, dopo giorni di interrogatori aveva trovato la talpa.

Lillian Luthor è al comando di Cadmus e, di certo, sta progettando qualcosa di grosso.”

“Ti amo, lo sai questo?” Le chiese Alex e lei annuì.

“Certo Danvers, ora prepara una squadra, perché abbiamo un’irruzione da fare.” Chiuse la chiamata e afferrò in giubbotto antiproiettile, era ora di mettere la parola fine a quella storia.

 

 

 

Note: E ora sappiamo come l’ha presa Lena…

Non ho molto da dirvi, il capitolo parla da sé, purtroppo. Dolore e sofferenza su ogni fronte.

La storia tra Kara e Lena sembra finita perché nessuna delle due ha deciso di battersi per essa. Kara incastrata dal senso di colpa e Lena dall’idea di essere stata usata, ancora una volta.

Il finale riapre di nuovo i giochi o forse li chiude. Maggie avrà ragione? Ha davvero trovato il capo di Cadmus? E a cosa ci porterà questa nuova informazione?

 

Vi lascio con queste domande, scrivetemi cosa ne pensate!

  
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