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Autore: ___Page    10/06/2017    2 recensioni
Sorgeva spontaneo chiedersi cosa ci facesse un caffeinomane come Law in un luogo simile. Se doveva essere completamente sincero, se lo stava chiedendo anche lui.
*Fanfiction partecipante al contest "Caffè o Tè" a cura di Fanwriter.it*
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Clown, Koala, Monet, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Caffè o Tè?” a cura di Fanwriter.it! 
Numero Parole: 2.594
Prompt/Traccia: 28) “Se non riesci a risolverlo con una tazza di tè allora è un problema serio”







 
TRIMETILXANTINA
*Niente che non si possa risolvere...*







 
Si chiamava P.H. Lab. e già dal nome, anche senza guardare la vetrina, pareva molte cose ma di certo non un luogo accogliente dove recarsi a bere qualcosa di caldo e confortante o di fresco e rigenerante, a seconda della stagione.
La maggior parte di coloro che varcavano la soglia lo faceva per mera curiosità che di rado veniva saziata, perché diventava ancora più complicato capire dove si fosse finiti, di fronte alle innumerevoli ampolle e beute, disposte ordinatamente sugli scaffali zancati al muro, che contenevano polveri di ogni sorta e variopinti liquidi di difficile identificazione.
Solo i più coraggiosi, quelli che prendevano posto e qualcosa di bere, scoprivano che il P.H. Lab. era una sala da the dei cui prodotti diventava difficile fare a meno una volta provati. Una sala da the sperimentale, dove ogni giorno o quasi si poteva provare una nuova miscela o proporne una di propria invenzione. Un luogo per estimatori della bevanda non troppo attaccati alle tradizioni ma anzi vogliosi di ampliare i propri orizzonti.
Ragion per cui sorgeva spontaneo chiedersi cosa ci facesse un caffeinomane come Law in un luogo simile. Se doveva essere completamente sincero, se lo stava chiedendo anche lui. Il punto era che, quando era entrato, aveva anche una risposta più che valida a suddetta domanda ma ora, dopo appena cinque minuti immerso nei fumi di quel tempio pagano, la sua motivazione non sembrava più così inattaccabile.
 «Shurororororo.»
Di certo, lui non aiutava.
«Shurororororo.»
Law fece appena lo sforzo di lanciare un’occhiata in tralice verso il distillatore che borbottava pigramente nell’angolo, rilasciando un odore amarognolo nell’aria e provocando quel poco di vapore che bastava a dare l’impressione che Caesar fosse capace di fluttuare.
«Shurororororo.»
«Che ha da fissarmi?» chiese alla fine in quella che era la sua interpretazione dello “sbottare”, che consisteva sostanzialmente nello smettere di ignorare un qualcosa che aveva ignorato fino a un attimo prima senza abbandonare il suo tono perennemente strascicato e calmo.
Monet sorrise da sopra il bordo della sua tazza di the, sollevata a mezz’aria a due mani,
«Qual è il problema, Law?»  
Il sorriso era tanto materno quanto psicotico ma non era certo questo il motivo per cui il moro si irrigidì. Dopotutto era un tratto che avevano in comune.
«Chi ti dice che ho un problema?»
Monet posò la tazza di the sul piattino con un lieve tintinnare di porcellana prima di piegare il capo di lato e posare la guancia sul palmo con algida eleganza. «La tua presenza qui, cugino. Questo mi dice che hai un problema.»
«Insomma non hai contemplato nemmeno per un momento la possibilità che potrei essere passato solo per farti un saluto.» concluse Law, senza lasciar trasparire nulla dalla propria espressione, colpa o fastidio che fosse. «È bello sapere che hai quest’opinione di me.»
«Io sono felicissima di vederti, Law. Ma sarei ancora più felice se tu mi raccontassi cosa c’è che non va.»
Law roteò gli occhi e scrollò le spalle contro la sedia. Non gli piaceva mentire. Da uomo tutto d’un pezzo qual era, Law cercava di essere sempre il più sincero possibile ma questa sua nobile abitudine si rivelava a volte un’arma a doppio taglio. Come in quel momento, ad esempio. Perché se voleva rimanere fedele al proprio codice d’onore non poteva negare che Monet avesse fatto centro pieno.
Era lì perché, come sempre quando andava al P.H. Lab., aveva un problema. Un problema troppo impellente per poter aspettare di incontrarla fuori dall’orario di apertura della sua sala da the. Ma non era come se avesse poi molta fretta di ammettere che aveva ragione.
Un’altra cosa che a Law non piaceva affatto era essere prevedibile.
«Posso offrirti qualcosa da bere?» domandò la giovane dopo una manciata di secondi di caparbio silenzio.
«Puoi. Non è detto che io accetti.» ribatté Law, sollevando un sopracciglio.
Monet si sporse in avanti con il busto, gli occhi accesi da una luce complice ed elettrizzata. «Vorresti del caffè?»  
Qualcosa si tese dentro Law, un filo di speranza che lo lasciò per un millesimo di secondo senza fiato. «Ne hai?» chiese, cercando disperatamente di suonare più scettico che speranzoso.
«Ovviamente no.» rispose prontamente la verdina, rimettendosi dritta e tornando a sorridere con una punta di soddisfazione nel vedere l’espressione di suo cugino smontarsi e tornare atona come sempre. «Ma giusto stamattina Caesar ha pensato a una nuova miscela che sembra molto interessante. Potresti farci da cavia.» propose indicando con un gesto fluido della mano verso il distillatore, dentro le cui ampolle gorgogliava un liquido rosa acceso con riflessi rossastri dall’aspetto alquanto poco rassicurante.
Law odiava profondamente quando arrivava al punto di dover andare a chiedere aiuto a Monet alla sua sala da the. E questo perché Law odiava chiedere aiuto ma soprattutto odiava il the. E odiava dover parlare dei propri problemi senza poter sorseggiare una tazza di caffè nero. Sui suoi nervi  la caffeina aveva un effetto calmante e non poterne avere un po’ lo rendeva terribilmente nervoso. Ragion per cui risultava estremamente complicato mantenere la calma mentre veniva scandagliato dagli occhi indagatori e ambrati di Monet senza nemmeno poter contare su un po’ di quel che sua cugina amava chiamare eresia in tazza.
Se poi Monet aveva anche in animo di prenderlo per il culo la sua voglia di prendere Caesar e infilarlo nel distillatore diventava sempre più difficile da tenere a bada.
«Monet lo sai che io odio…»
«Shurorororo!» la risata di quel pagliaccio del socio di Monet esplose nell’orecchio del moro. Una tazza identica a quella posata di fronte a sua cugina ma contenente un liquido color magenta spuntò sotto il suo naso. «L’ho chiamata “Smiley” Law-kun. Poi dimmi che ne pensi.»
«…il the.» concluse Law, lanciando un’occhiata assassina a Caesar che continuò imperterrito a sorridere inquietante e ignaro del rischio concreto di diventare lui la cavia di Law per il suo primo esperimento di vivisezione umana.
«Purtroppo non ho altro da offrirti se non il mio aiuto e il mio affetto e, qualora fosse necessario, la mia spalla su cui piangere.»
«Non sono e mai sarò a quei livelli, dovessi campare cent’anni.» commentò atono Law.
«Io sto ancora aspettando di sentire qual è il problema che ti ha portato qui.»
«Sarebbe più facile parlartene se si potesse avere una tazza di caffè.» ribatté Law con un sorrisetto sarcastico.
«Allora è vero che hai un problema.» fu tutto ciò che ottenne in risposta da Monet, che come, ciliegina sulla torta, aveva anche sollevato un sopracciglio sottile e color lime in una perfetta e impeccabile imitazione del cugino.
Law la fissò cinque secondi abbondanti, le iridi sbiancate e la mascella contratta prima di ritrovare il suo mai del tutto perduto self-control. Cambiò posizione sulla sedia, svaccandosi per simulare una tranquillità e una serenità che erano quanto di più lontano dal suo reale stato d’animo in quel momento. «Semplicemente non potevo restare a casa e ho pensato che passare a trovarti fosse un buon modo per ammazzare il tempo.»
«Non potevi restare a casa?»
«Esatto.»
«Non vedo come sia possibile che tu non possa stare a casa tua.»
«Non vedo come il fatto che tu non lo trovi possibile sia un mio problema.»
«Se non hai intenzione di spiegarmi dovrò tirare a indovinare e non è detto che le mie ipotesi ti piacciano.»
«Non è detto nemmeno che io stia ad ascoltarti. Si può sapere perché continua a fissarmi?» sbottò di nuovo Law – nel suo modo pacato di sbottare – indicando con il pollice la faccia di Caesar a pochi centimetri dalla sua.
Monet si strinse nelle spalle. «Sta aspettando che assaggi il nuovo the.»
«Non ho nessuna intenzione di assaggiarlo.»
«Allora non credo si sposterà da lì tanto presto. Qualcosa non va con Koala?» domandò, aggrottando le sopracciglia mentre si portava nuovamente la tazza di the alle labbra. Quello che colse i muscoli di Law fu meno di uno spasmo e durò meno di un secondo ma fu sufficiente per venire captato dagli occhi ormai esperti di Monet che seppe, con assoluta e totale certezza di avere appena trovato il bandolo della matassa. Con estrema calma sorbì ancora un po’ di the e riappoggiò la tazza, il tutto senza smettere di fissare il cugino, prima di parlare di nuovo: «Non ti ha lasciato vero?»
Law socchiuse gli occhi omicida. «Non dirlo. Nemmeno. Per scherzo.»
«Questo è un sollievo. Non oso immaginare cosa ci saremmo dovuti inventare per raccogliere i tuoi cocci e rimetterti insieme, nel caso.» affermò soave, senza notare o forse ignorando deliberatamente l’occhiata del cugino. «Tuttavia c’entra Koala e forse ora è il momento che tu mi dica cosa succede perché le ipotesi che stanno affiorando nel mio cervello non sono affatto belle e non credo tu voglia stare a sentirle. Senza caffè.» mise in chiaro quando intuì che Law aveva aperto bocca per provare, ancora una volta e contro ogni logica, a chiederne una tazza.
L’astinenza da caffeina lo faceva sragionare.
Law richiuse la bocca e sospirò rassegnato, lanciò un’occhiataccia a Caesar che non aveva ancora lasciato il suo fianco, si rigirò verso Monet e si passò una mano tra i capelli. «Sta studiando per quella promozione al lavoro.» disse, semplicemente, sperando che Monet fosse abbastanza arguta da cogliere tutte le implicazioni senza obbligarlo ad approfondire ulteriormente la questione.   
Purtroppo le sue aspettative non sembravano destinate a venire soddisfatte. «E quindi?»  
«Beh, hai presente me all’università?»
«Sì, assolutamente.»
Law le lanciò un’occhiata eloquente.   
«Oh.» commentò Monet, riordinando per un attimo i pensieri. «Quindi mi stai dicendo che vive sui libri, è intrattabile, mangia poco, dorme niente e beve litri di caffè?»
«Già…» confermò Law, mordendo un sospiro prima che lasciasse le sue labbra, con un tono rassegnato e sollevato in ugual misura. Sentir elencare ad alta voce quella che era la sua realtà domestica da tre settimane a quella parte non era molto piacevole ma avere finalmente qualcuno con cui poterne parlare era quasi rigenerante. Anche se, per poterne parlare senza sentirsi in torto era giusto precisare un paio di punti. «Non è intrattabile come lo ero io. Il vero problema è il caffè. Le picchia sui nervi, la porta al limite e il risultato è che esplode per ogni minima cosa. Sono tre settimane che litighiamo per ogni stronzata.»
«Perché non vai a stare da Lamy fino a dopo il suo esame?»
«E invadere il nido d’amore dei due piccioncini?» ribatté gelido e lievemente disgustato all’idea di assistere ai tentativi di Pen di divorare la faccia di sua sorella.
«Da Sabo allora.»
«Scartiamo l’ipotesi trasferimento, okay?»
Monet lo scrutò silenziosamente per alcuni istanti prima di socchiudere le palpebre in un’espressione dolce e, in qualche contorto modo, estremamente saccente, che fece rabbrividire Law di fastidio. Faceva fatica a sopportare le persone saccenti che non fossero lui. «Che dolce. Non vuoi lasciarla sola. Quella donna ti ha veramente fregato, cuginetto.»
Law si chiese per l’ennesima volta quanto dovesse essere disperato per aver pensato seriamente che andare lì fosse una buona idea. Ogni minuto che trascorreva a quel tavolo si sentiva sempre più sotto esame e sempre più messo a nudo. Monet adorava avere ragione, le dava una soddisfazione indicibile trovare conferma alle proprie ipotesi e nel caso specifico della relazione tra Law e Koala andava particolarmente fiera della propria lungimiranza. La prima volta che Law gliel’aveva presentata, incrociandola per puro caso fuori dal cinema, Monet gli aveva sussurrato all’orecchio “Questa volta sei fregato, cuginetto” e da allora non perdeva occasione per ripetere quelle parole e ribadire il concetto che lei lo aveva capito alla prima occhiata.
La sola strategia praticabile per non cedere all’impulso omicida che quel lato di sua cugina risvegliava in lui era ignorarla e continuare per la propria strada.
«Sarebbe davvero scomodo dover spostare metà della mia roba quando ormai mancano solo dieci giorni alla fine di questo calvario.»
«Dieci giorni possono essere molto lunghi.» gli fece notare Monet con aria saputa.
«Ti ho detto che non mi trasferisco.»
«In effetti c’è una soluzione molto più semplice al problema.» continuò a sorridere la verdina, portando la tazza alle labbra. Law deglutì a vuoto, invidioso e risentito di non poter avere anche lui la propria dose di trimetilxantina, nella forma però a lui più congeniale. «Hai detto che il caffè la rende intrattabile.»
Law si limitò ad annuire. Solo sentire la parola “caffè” gli faceva ribollire il sangue da tanto ne sentiva il bisogno e non si fidava nemmeno della sa voce.
«Disfati di qualunque traccia di caffè fino al giorno dell’esame. Butta via quello che hai in casa e non comprarne finché Koala non avrà finito di studiare.»
Questa volta, Law non riuscì a impedirsi di sgranare gli occhi inorridito. Che eresia avevano appena sentito le sue orecchie?
«È l’idea più idiota che abbia mai sentito. E Koala mi smembra se provo a privarla della sua fonte di salvezza. Senza qualcosa che la tenga sveglia fino alle due non riuscirà a finire il programma di ripasso che si è prefissata.»  
Monet socchiuse gli occhi indagatrice. «È la sua fonte di salvezza o la tua?»
Law si sporse in avanti con aria di sfida. «Monet se per risolvere il problema mi fosse bastato del caffè sarei qui ora? Caesar, piantala di fissarmi.» sbottò per la terza volta, sempre pacatamente, stavolta girandosi del tutto verso di lui.
«Ti è piaciuto “Smiley” Law-kun?»
«No, mi fa schifo.» ribatté lapidario e insensibile.
«Shurororororo! Lo sapevo, lo sapevo! Sono un genio, un genio a inventare the nuovi!» si esaltò Caesar fluttuando finalmente via dal tavolo, verso il distillatore e lasciando Law con un’espressione incredula e la conferma – come se poi ce ne fosse bisogno – che sua cugina si era scelta un socio con dei grossi e incurabili disagi.
Scosse piano il capo per tornare in sé e tornare ad affrontare il sangue del proprio sangue, seduta di fronte a lui, in attesa. «Che c’è?»
«Hai un problema serio.» affermò decisa Monet.
Law fece schioccare la lingua. «Non esagerare.» la ammonì, infastidito dall’idea che sua cugina potesse avere, anche solo lontanamente e anche solo in parte, ragione.
«Non esagero. Se non puoi risolverlo con una tazza di the, allora hai un problema serio.» ribadì Monet, sollevando il braccio per prendere un altro sorso di the.
La tazza si bloccò a metà strada tra il tavolo e le sue labbra nello stesso momento in cui un lampo attraversò gli occhi di Law. Per un momento tutto parve fermarsi.
Law e Monet erano cresciuti insieme e questo non aveva fatto che rafforzare la naturale alchimia che derivava in primis dal fatto di condividere una ben precisa e identica sequenza di D.N.A. che, non si sapeva bene come, Law doveva avere necessariamente ereditato da suo padre, sebbene in lui molte delle qualità con cui quella sequenza aveva benedetto la famiglia Donquijote fossero rimaste sempre quiescenti.
Di certo Rocinante non era noto per essere sagace nonostante fosse un uomo molto intelligente, adattabile e, soprattutto, altruista. E fortuna aveva voluto che almeno Lamy ereditasse questa sua ultima qualità senza dover rinunciare per questo  all’arguzia di cui zio Dofla era l’indiscussa fonte genetica della famiglia.
Ed era quindi perfettamente normale per loro avere avuto la stessa idea nello stesso momento. E se Monet si sentiva molto soddisfatta della trovata, Law si sentiva un cretino per non averci pensato da solo e prima. Ma tardi era meglio che mai e ciò che contava era essere arrivato al dunque.
«Credi che potresti…» Law non riuscì nemmeno a finire la domanda quando Monet si alzò in piedi decisa.
«Seguimi.» mormorò semplicemente, avviandosi verso il retro della sala da the, la risata di Caesar in sottofondo.
 
    

 
 
  
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