Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    13/06/2017    2 recensioni
Sono tante le cose che si fanno per amore.
E Mycroft Holmes lo sa bene, anche se non riesce a comprendere cosa spinga le persone a gesti tanto estremi.
Ha visto suo fratello gettarsi da un tetto per proteggere i suoi amici da James Moriarty, rinunciare alla sua vita per due anni per proteggere John Watson, prendersi un proiettile per il suo migliore amico, morendo per mano di sua moglie, soltanto per saperlo al sicuro.
E tutto solo per amore. Quel sentimento che per Mycroft sembra così complicato da comprendere.
Tuttavia, quando Magnussen arriverà a minacciare Sherlock, sarà proprio l’amore a spingere Mycroft a offrirsi al suo posto, mettendo a rischio la propria vita e la propria libertà, per preservare quelle del suo fratellino. La persona che Mycroft Holmes ama più della sua stessa vita.
Perché l'amore ci spinge dove non ci saremo mai aspettati di poter arrivare.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amore
 

Capitolo V
Crollo
 
 
 Dopo un’operazione durata quasi due ore, i medici informarono Sherlock che suo fratello era fuori pericolo. Erano servite due trasfusioni, ma alla fine Mycroft ce l’aveva fatta e in poco tempo, e rimanendo a riposo, si sarebbe ripreso.
 Sherlock e John, a quella notizia, si erano scambiati uno sguardo sollevato e Watson aveva accarezzato la schiena dell’amico con dolcezza, sorridendogli rassicurante, felice di sapere che Mycroft si sarebbe rimesso.
 Il medico diede loro il permesso di raggiungerlo nella stanza in cui era stato trasferito, dato che ben presto si sarebbe svegliato dall’anestesia, e, dopo aver consigliato a Sherlock di ricorrere ad un aiuto psicologico per aiutare Mycroft a superare qualsiasi cosa lo stesse tormentando, si congedò, facendo sapere loro che per qualsiasi cosa sarebbe bastato chiamarlo.
 
 Non appena varcarono la soglia della stanza, Sherlock si avvicinò al materasso.
 Mycroft era sdraiato sul letto, una mascherina per l’ossigeno poggiata sul volto, l’ago di una flebo collegato al braccio sinistro, entrambi i polsi fasciati e il petto coperto da elettrodi; il suo volto era pallido e segnato dalla stanchezza e dai lividi lasciati da Magnussen, e il suo corpo magro e deperito dopo mesi di digiuni continui e autoimposti.
 Sherlock poggiò la mano su quella del fratello e la strinse, quasi per assicurarsi che fosse realmente lì, sano e salvo. Un sospiro tremante lasciò le sue labbra, al pensiero di quanto suo fratello stesse soffrendo in quel momento, e subito gli occhi si colmarono di lacrime.
 John gli poggiò una mano sulla spalla e il consulente investigativo si voltò verso di lui, incrociando i suoi occhi, a pochi centimetri dai propri.
 «Vuoi che aspetti fuori?» chiese il medico, a bassa voce.
 Sherlock scosse il capo. «Rimani qui.» sussurrò. «Ho bisogno di te, John. Resta con me.»
 John annuì e fece scivolare la mano nella sua.
 
 Mycroft riprese conoscenza lentamente.
 Aprì gli occhi e dovette sbattere più volte le palpebre per capire dove si trovasse.
 Pareti di un azzurro pallido e smunto. Lenzuola bianche. Odore di disinfettante.
 Un ospedale.
 Ma come ci era arrivato in un ospedale?
 Il suo cuore accelerò.
 Si mosse sul materasso, sentendo le gambe e le braccia indolenzite. Sentendosi disorientato, essendosi mosso troppo velocemente, inspirò profondamente, tentando di recuperare la lucidità necessaria a capire come fosse finito lì e perché.
 Scostò la mascherina d’ossigeno che aveva poggiata sul viso e inclinò il capo a destra e a sinistra.
 E solo allora si accorse della presenza di Sherlock e John.
 Entrambi erano profondamente addormentati, il capo poggiato sulle braccia, incrociate sul materasso. Sherlock aveva una mano chiusa intorno a quella di John e l’altra poggiata sulla sua.
 E Mycroft ricordò.
 Sherlock e John fuori da Appledore.
 Il ritorno alla sua villa.
 La visita.
 Lo specchio in frantumi.
 Il sangue.
 Il buio.
 Il politico chiuse gli occhi.
 Come si erano accorti in tempo di ciò che aveva fatto?
 Come avevano fatto a salvarlo prima che morisse dissanguato?
 Perché l’avevano salvato?
 Perché era ancora vivo?
 Mycroft strinse i pugni e una fitta di dolore gli attraversò le braccia, partendo dai polsi e propagandosi fino alla spalle.
 Un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra e il suo respiro accelerò di colpo.
 Nello stesso instante, l’ECG prese a gracchiare rumorosamente, svegliando Sherlock e John; i due sollevarono il capo di scatto, aprendo gli occhi e voltandosi verso di lui.
 Sherlock ci mise qualche secondo per realizzare, ma quando vide che suo fratello era sveglio, la stanchezza scomparve immediatamente dal suo volto, lasciando spazio soltanto al sollievo.
 «Myc» disse, accarezzandogli un braccio. «Come ti senti?»
 Mycroft volse lo sguardo verso il soffitto, sentendo gli occhi inumidirsi.
 Non voleva vedere Sherlock. Non voleva vedere la delusione nei suoi occhi dopo ciò che aveva fatto. Non voleva vedere quanto fosse deluso e disgustato dalle sue azioni.
 Era già abbastanza convivere con se stesso e il proprio senso di colpa… non avrebbe sopportato di vedere suo fratello distrutto a causa delle sue scelte.
 
 Il minore, captando la razione di suo fratello, si voltò verso John.
 «Puoi lasciarci soli un momento, John?»
 Watson annuì e dopo aver preso la giacca poggiata sullo schienale della sedia, uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
 Sherlock, una volta rimasti soli, sollevò una mano e accarezzò il capo di suo fratello. «Mi hai fatto preoccupare.» affermò, parlando con estrema dolcezza. «Credevo di averti perso.» un sospiro tremante lasciò le sue labbra. Poi sospirò. «Perché l’hai fatto, Myc?» domandò. «Perché?»
 Le lacrime rigarono le guance del politico, che tuttavia non rispose.
 «È davvero questo che vuoi?» proseguì il minore. «Farla finita e permettere a Magnussen di vincere?» chiese, poi poggiò una mano su quella di lui, sperando di attirare la sua attenzione. «Non permettergli di farti questo, Mycroft. Devi essere forte e reagire.»
 «Non posso.» gemette il politico, fra le lacrime.
 «Sì, invece.»
 «No, Sherlock. Non posso.» replicò, voltandosi verso di lui e incrociando il suo sguardo. «Guardami. Guarda cosa mi ha fatto…» singhiozzò. «Mi ha portato via tutto. E io non posso più vivere così. Non riesco nemmeno più a guardarmi allo specchio. Ogni volta in cui penso a quello che mi ha fatto, io…»
 Sherlock scosse il capo. «Devi darti del tempo.» affermò. «Tutto tornerà alla normalità se ti concederai del tempo per superarlo.»
 «Non è vero, Sherlock. E lo sai anche tu.» replicò Mycroft.
 Sherlock ripensò al suo ritorno dalla missione per distruggere la rete di Moriarty. Nei due anni passati lontano da Londra aveva sofferto così tanto che una volta tornato, nulla sembrava più lo stesso.
 Londra era diversa.
 La sua vita era diversa.
 Lui era diverso. Era cambiato in quei due anni passati lontani dall’Inghilterra e da John, e nulla, nemmeno il tornare alla sua vita e ai casi, o il calore e l’affetto dei suoi amici erano riusciti a fare tornare tutto come prima.
 «Io non sarò mai più lo stesso. Sono distrutto.» proseguì Mycroft. «Magnussen ha ragione… non sono nient’altro che un giocattolo rotto.»
 «Quindi cosa pensi di fare?» sbottò il consulente investigativo, colpito in pieno da quelle parole. «Uscire di qui e buttarti dal tetto del Bart’s? Tagliarti le vene ancora una volta?» chiese, più duramente di quanto avrebbe voluto. «Non capisci che in questo modo stai facendo il suo gioco?»
 «Non mi importa!» esplose Mycroft, il volto rigato dalle lacrime, il corpo scosso dai singhiozzi. «Non voglio continuare vivere! Non se dovrò farlo così.» gemette. «Non voglio vivere sapendo di essere inutile e di essere un peso per chiunque mi stia accanto. Non voglio vivere sapendo che dovrò convivere fino alla fine dei miei giorni con ciò che Magnussen mi ha fatto! Voglio solo che tutto questo dolore finisca.» concluse. «Voglio finirla qui.»
 «Non te lo lascerò fare.» dichiarò Sherlock. «Non permetterò che tu ti uccida.»
 «Non puoi impedirmelo. È una mia scelta, Sherlock. Non tua.» replicò il politico. Il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore. «Avresti dovuto lasciarmi morire in quel bagno. Avresti dovuto lasciarmi morire…»
 A quelle parole, le lacrime rigarono le guance del minore. «Smettila.»
 «Perché mi hai salvato, Sherlock? Io non lo volevo…» singhiozzò l’altro. «Avresti dovuto lasciarmi morire. Volevo uccidermi… volevo morire… perché mi hai salvato?»
 Sherlock indietreggiò, colpito da quelle parole, che furono come un pugno nello stomaco. Ansimò, sentendo il suo cuore andare definitivamente in pezzi nel vedere suo fratello così e nel sentirlo pronunciare quelle parole così cariche di dolore e sofferenza.
 E per la prima volta nella sua vita comprese ciò che Mycroft, la sua famiglia e i suoi amici avevano provato quando lo avevano trovato in overdose in qualche covo di drogati o sudicio vicolo.
 Dolore.
 Paura.
 Senso di colpa.
 Con la mente sovraccaricata da tutte quelle emozioni, Sherlock lasciò la stanza.
 Uscì e imboccò il corridoio, percorrendolo di corsa mentre le lacrime gli rigavano le guance con violenza, togliendogli il fiato e quel briciolo di speranza che gli era rimasta.
 Lui era stato la rovina di suo fratello.
 Lui era stato la causa del suo dolore.
 Lui era l’unico responsabile di ciò che era accaduto.
 
 John stava percorrendo i corridoi dell’ospedale in cerca di Sherlock.
 Era stato da Mycroft per sapere come stesse, ma quando era arrivato, non aveva trovato il suo amico. Il politico gli aveva detto, senza tradire alcuna emozione, che suo fratello se n’era andato quasi mezz’ora prima e che non sapeva dove si fosse diretto.
 Il medico aveva immaginato che fosse accaduto qualcosa fra loro, perciò si era messo immediatamente alla ricerca del consulente investigativo, perlustrando tutti i corridoi dell’ospedale.
 Dopo aver vagato per quasi un’ora nei corridoio di ogni reparto del Bart’s, senza risultati, decise di raggiungere il laboratorio, l’unico posto che non avesse ancora controllato.
 Una volta arrivato all’ultimo piano interrato, percorse il corridoio camminando velocemente. Se non avesse trovato Sherlock lì, considerato che nemmeno rispondeva al cellulare, non avrebbe davvero saputo dove continuare a cercare. Perciò avrebbe dovuto contattare Scotland Yard e Lestrade, sperando che lui potesse rintracciarlo in qualche modo.
 Nel tragitto verso il laboratorio, John quasi si scontrò con Molly, diretta in obitorio con una pila di documenti fra le mani.
 «John» esclamò lei, bloccandosi per non andargli addosso.
 «Ciao, Molly.» replicò lui. «Hai visto Sherlock?»
 Lei annuì. «È in laboratorio.» rispose, indicando le porte alle sue spalle.
 John sospirò di sollievo. Finalmente l’aveva trovato.
 «Grazie al cielo…» si lasciò sfuggire.
 «Cosa sta succedendo?» domandò la donna, aggrottò le sopracciglia. «Prima stava piangendo, ma non ha voluto dirmi cos’era successo. Sembrava sconvolto.»
 Watson esitò. «Ehm…» esordì, incerto su cosa poter rivelare e cosa tenere segreto. «Lui… questa notte suo fratello si è sentito male, e Sherlock si è spaventato.» spiegò, sperando di suonare convincente. Poi sorrise rassicurante. «Ma adesso Mycroft sta bene. Si è svegliato e sono venuto a cercarlo per farglielo sapere.»
 Molly annuì. «Sono contenta che stia bene.» concluse con un sorriso accennato. «Digli che può rimanere tutto il tempo che vuole, comunque.»
 John sorrise. «Grazie, Mol.»
 Lei sorrise di rimando, poi indicò la porta dell’obitorio. «Devo tornare al lavoro.»
 «Certo.» disse il medico. «Grazie.» la salutò con un cenno della mano, poi si avviò verso la porta del laboratorio e la spalancò con una spinta.
 
 All’interno le luci erano accese, ma quando John entrò, era completamente vuoto.
 Aggrottò le sopracciglia, confuso. Poi udì un ansito leggero, seguito da un singhiozzo. Perciò chiuse le porte e oltrepassò i banconi da lavoro. E lo vide.
 Sherlock era seduto a terra, la schiena poggiata al bancone, il capo poggiato sulle ginocchia, che teneva strette al petto. Il suo corpo era scosso da potenti tremori e i suoi singhiozzi stavano rimbombando all’interno della stanza, perdendosi nel vuoto.
 Il cuore del medico si spezzò.
 Cosa poteva essere successo per scatenare in lui una reazione del genere?
 Prima sembrava così sollevato nel vedere che suo fratello stava bene… eppure adesso era in lacrime, nascosto nel laboratorio, lontano da tutti.
 John si inginocchiò accanto a lui e gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla.
 Holmes a quel contatto sobbalzò e sollevò lo sguardo di scatto.
 I loro sguardi si incrociarono, gli occhi di Holmes colmi di lacrime e quelli di Watson di apprensione. Poi Sherlock si accasciò contro l’amico, poggiando la testa contro il suo petto, e John lo strinse a sé, accarezzandogli il capo e cullandolo dolcemente fra le sue braccia, sperando in quel modo di alleviare almeno un po’ il dolore che lo stava affliggendo.
 
 Sherlock e John erano seduti uno accanto all’altro, immersi nel più completo silenzio. Il consulente investigativo aveva il capo poggiato sulla spalla dell’amico e il medico gli stava tenendo la mano, accarezzandone il dorso con il pollice.
 Quando Holmes aveva smesso di singhiozzare aveva raccontato a Watson tutto ciò che Mycroft gli aveva detto poco prima.
 Il medico aveva ascoltato senza interromperlo e alla fine gli aveva preso la mano, lasciando che poggiasse il capo sulla sua spalla, sapendo quanto in quel momento avesse bisogno di quella vicinanza più che di parole di conforto.
 Ed erano rimasti avvolti in quel silenzio per lungo tempo.
 
 «Grazie.» sbottò Sherlock ad un tratto.
 «Per cosa?» domandò John.
 Il consulente investigativo sollevò il capo e si voltò per incontrare il suo sguardo.
 «Tutto.» rispose. 
 Watson aggrottò le sopracciglia, confuso.
 «Per essere qui quando ho bisogno di te. E per essere il mio migliore amico, anche se non lo meriterei.» proseguì Sherlock, abbassando lo sguardo.
 Il medico si prese qualche secondo per osservarlo, poi sollevò una mano e la poggiò sul suo viso, sollevandolo, in modo da poterlo guardare negli occhi. Quando i loro sguardi si agganciarono, John riprese.
 «Perché non dovresti meritarlo?» chiese.
 Sherlock sospirò. «Ti ho fatto soffrire così tante volte da averne perso il conto.» spiegò, incrociando il suo sguardo. «Quando mi sono buttato dal tetto del Bart’s, quando ho ricominciato a drogarmi, e milioni di altre volte… E solo adesso… solo adesso ho capito quanto ciò che ti ho fatto sia stato terribile e quanto io ti abbia fatto male.» le lacrime gli rigarono le guance e lui abbassò nuovamente il capo per tentare di nasconderle. «E ho capito di non meritare la tua amicizia. Non dopo tutto ciò che ti ho fatto passare…»
 Il medico sentì il cuore mancare un battito.
 Dopo ciò che era successo, Watson aveva tentato più volte di far capire al suo amico quanto ciò che aveva fatto lo avesse ferito e fatto preoccupare, ma per il consulente investigativo sembrava impossibile da comprendere. Però, con il tentativo di suicidio di Mycroft e tutto ciò che gli aveva detto poco prima, sembrava che Sherlock avesse capito quanto l’avesse fatto soffrire nei due anni in cui aveva finto la sua morte e dopo aver ricominciato a fare uso di droghe.
 Tuttavia, il dottore si ritrovò a pensare, sarebbe stato meglio che non lo avesse scoperto così, a spese di suo fratello e sue.
 «Non è vero che non lo meriti, Sherlock.» affermò John, scuotendo il capo.
 Sherlock singhiozzò. «Non ho fatto altro che ferirti da quando ci siamo conosciuti. Non è questo che un amico dovrebbe fare.»
 «Non è vero. E comunque, anche se mi avessi ferito, di certo non avrei smesso di tenere a te.» fece notare Watson. «Dopo tutto ciò che è successo, hai forse smesso di tenere a Mycroft?»
 Holmes sollevò lo sguardo di scatto. «No. Certo che no.» rispose con ovvietà. «Perché avrei dovuto?»
 Il medico annuì. «Infatti.» confermò. «E la stessa cosa vale per me.» disse, accarezzandogli le guance per asciugare le lacrime che gli stavano rigando il volto. «Non smetterò di essere tuo amico per qualcosa del genere. Sì, è vero, ho sofferto, ma quello che importa è che tu adesso stia bene e sia qui. Nient’altro ha importanza.» accennò un sorriso. «Per quanto potrai farmi soffrire, non riuscirai ad allontanarmi da te, Sherlock.»
 Altre lacrime traboccarono dagli occhi del consulente investigativo, che le asciugò con un rapido gesto della mano.
 John esalò un lungo respiro, poi tirò l’amico verso di sé, in modo che avesse il capo poggiato sulla sua spalla. Gli accarezzò i capelli e la gamba, tenendolo stretto a sé, lasciando che si sfogasse e versasse le sue lacrime per liberarsi dal peso che gli opprimeva il cuore.
 
 Mycroft aprì gli occhi sentendo una mano premere sulla propria.
 Non pensava che Sherlock potesse tornare dopo ciò che gli aveva detto poco prima, eppure eccolo lì, nuovamente pronto a convincerlo a cambiare idea su ciò che era successo.
 Ma lui non avrebbe cambiato idea. Nemmeno se fosse stato suo fratello a chiederglielo.
 Tuttavia, quando inclinò il capo non furono gli occhi di Sherlock quelli che incontrò, ma quelli freddi e vuoti di Magnussen.
 Il suo cuore si fermò, ma prima che potesse muoversi o chiamare aiuto, Magnussen aveva già premuto la sua mano sulla sua bocca, intimandogli di fare silenzio, il volto fermo a pochi centimetri dal suo.
 Mycroft prese a respirare affannosamente.
 Come aveva scoperto che si trovava lì?
 Come aveva fatto a trovarlo?
 E soprattutto: cosa gli avrebbe fatto?
 Era solo e nessuno avrebbe potuto aiutarlo, né avrebbe potuto fuggire o difendersi.
 Il politico gemette contro la mano dell’uomo, mentre il suo petto prendeva ad alzarsi e abbassarsi convulsamente man mano che il suo respiro aumentava, insieme all’insistente gracchiare dell’ECG accanto al suo orecchio.
 «A quanto pare suo fratello e il dottor Watson hanno scoperto ogni cosa.» esordì Magnussen. Accennò un sorriso freddo e privo di ogni traccia di gioia. «Sbaglio o le avevo detto che nessuno avrebbe dovuto sapere nulla e che questo sarebbe dovuto essere il nostro piccolo segreto?» chiese, premendo maggiormente la mano sulla sua bocca.
 Le lacrime sgorgarono dagli occhi di Mycroft, infrangendosi sulle dita di Magnussen, che le ignorò, continuando a tenere gli occhi, minacciosi e freddi, puntati in quelli di Holmes.
 «Quante volte dovrò ancora punirla prima che arrivi a capire che nessuno deve sapere di noi?» ringhiò.
 E per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Mycroft riuscì a scorgere nei suoi occhi una scintilla di pura rabbia.
 «Fin dove dovrò spingermi per costringerla a obbedirmi?» sibilò, poggiando le labbra sull’orecchio di Holmes. Affondò le dita nelle sue guance.
 Mycroft gemette dal dolore, sentendo il suo corpo tremare involontariamente sotto il tocco di Magnussen.
 Un singhiozzo lasciò le sue labbra e rimbombò nella stanza.
 A quel suono, Magnussen aumentò la presa sul suo viso e le sue unghie penetrarono nella sua carne. Alcune gocce di sangue gli percorsero le guance, perdendosi nella sua barba e scivolando lungo la sua pelle.
 In quell’istante, la porta della stanza si aprì con uno sbuffo.
 Magnussen si voltò e quando si scostò, Mycroft vide Sherlock e John in piedi sulla soglia.
 «Si allontani immediatamente da mio fratello.» ringhiò Sherlock, avanzando, sul volto l’ombra della rabbia crescente.
 Magnussen si voltò completamente, lasciando andare il politico.
 Mycroft annaspò, come se fino a quel momento avesse trattenuto il respiro.
 «Altrimenti, signor Holmes?» lo sfidò Magnussen. «Si ricordi che lei e il dottor Watson avete commesso un reato violando il mio domicilio e proteggendo la donna che aveva tentato di uccidermi. Mi basterebbe una parola, e voi verreste arrestati.»
 «Si allontani da lui.» ripeté John, affiancando l’amico, gli occhi fiammeggianti per la rabbia. «Non ce lo faccia ripetere, o potrebbe pentirsene.»
 «Oppure?» chiese l’uomo. «Mi denuncerete per violenza sessuale, distruggendo la dignità di Mycroft Holmes?» chiese, ridendo. Poi rivolse un’occhiata al politico, ancora sconvolto e sotto shock. «Sempre che gliene sia rimasta…»
 Sherlock serrò i pugni e un ringhio gutturale gli sfuggì dalle labbra. «Se ne vada, o la uccido con le mie mani.»
 «È una minaccia?» chiese Magnussen, avvicinandosi a lui.
 I loro volti si fermarono a pochi centimetri l’uno dall’altro e i loro sguardi si agganciarono. Gli occhi di Magnussen glaciali e imperturbabili e quelli di Sherlock fiammeggianti per la rabbia.
 «È una promessa.» sibilò Sherlock.
 Magnussen sollevò un sopracciglio, poi sorrise, divertito. «D’accordo.» concesse, poi tornò a voltarsi verso Mycroft e dopo aver stretto una mano intorno ai suoi capelli, si chinò su di lui. «Tornerò, signor Holmes.» disse. «E farò in modo di farla pentire per ciò che ha fatto.»
 Il politico gemette.
 Magnussen si allontanò da lui, rivolse uno sguardo a Sherlock e John, poi li oltrepassò e lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
 Mycroft annaspò, sentendo l’aria bloccarsi nella sua gola prima di riuscire ad arrivare ai polmoni, e impedendogli di respirare. Un singhiozzo lasciò le sue labbra e il suo respiro accelerò sempre di più, divenendo singhiozzante e rotto.
 Sherlock si avvicinò e gli accarezzò il capo. «Va tutto bene, Myc.» assicurò. «Va tutto bene, sei al sicuro adesso.» poi si voltò e prese la mascherina dell’ossigeno, attivando la bombola.
 John aiutò Mycroft a mettersi seduto e quando Sherlock si fu posizionato alle sue spalle, il medico lo aiutò a poggiare la schiena al suo petto, in modo da poter rimanere seduto.
 Il consulente investigativo gli poggiò la mascherina sul volto. «Respira, Myc.» disse, accarezzandogli il petto. «Respira.» poggiò il capo contro il suo, muovendo la tempia contro quella di lui per accarezzarla.
 Mycroft gemette, tentando di fare respiri profondi e regolari, mentre le lacrime gli rigavano le guance. Chiuse una mano intorno al polso del fratello, quasi quel contatto gli servisse per rimanere ancorato alla realtà.
 John gli accarezzò dolcemente il braccio per tentare di tranquillizzarlo, poi sollevò lo sguardo sull’amico. «Vado a cercare un dottore, così può dargli un calmante.»
 Sherlock annuì, osservando Watson lasciare la stanza, e continuò ad accarezzare il petto di suo fratello, tenendo la mascherina dell’ossigeno premuta sul suo volto.
 E lentamente Mycroft tornò a respirare normalmente. I respiri si calmarono, divenendo nuovamente regolari e lenti, ma le lacrime continuarono a rigargli le guance senza sosta, mentre i singhiozzi lo scuotevano, facendo tremare il suo corpo, ancora a contatto con quello di suo fratello.
 Mycroft ansimò. «Non lasciare che mi faccia del male…» singhiozzò, la voce ovattata dalla mascherina. «Per favore, Sherlock… ti prego… non lasciare che lo faccia ancora…»
 Sherlock gli circondò il petto con un braccio e lo strinse maggiormente a sé. «Non glielo permetterò, Mycroft.» assicurò. «Lui non ti toccherà più. Te lo prometto.»
 Il politico singhiozzò e il suo corpo tremò violentemente.
 Perché Magnussen non poteva semplicemente lasciarlo in pace? Perché doveva continuare a tormentarlo in quel modo? Non era già abbastanza tutto ciò che gli aveva fatto passare?
 Il minore mosse la tempia contro quella di lui, accarezzandola. «Shh…» sussurrò per tranquillizzarlo. «Va tutto bene. Sono qui, andrà tutto bene.»
 
 Quando John tornò insieme al medico, l’uomo somministrò un calmante a Mycroft in modo da abbassare il suo battito cardiaco ed evitare eventuali crisi respiratorie, date le sue momentanee condizioni precarie.
 Tuttavia, quando si avvicinò per curare le ferite lasciate da Magnussen sul volto del politico, Mycroft si agitò e le lacrime gli rigarono nuovamente le guance. Implorò il medico di non toccarlo e nonostante le rassicurazioni di Sherlock, non volle farsi aiutare da lui.
 A quel punto intervenne John, che si offrì di occuparsi delle ferite del politico personalmente, dato che durante la prima visita il maggiore degli Holmes gli era sembrato tranquillo e ben disposto a farsi avvicinare da lui.
 Vedendo Holmes decisamente più tranquillo, il dottore accettò; gli fece avere l’occorrete da uno degli infermieri, poi lasciò la stanza, informandoli che se avessero avuto bisogno di qualcosa, avrebbero potuto chiamarlo in qualsiasi momento.
 Sherlock a quel punto si avvicinò a John e gli disse che sarebbe uscito per chiamare Anthea per fare in modo che mettesse degli uomini a guardia dell’ospedale, in modo che Magnussen non potesse più arrivare a suo fratello.
 John annuì, assicurando che si sarebbe preso cura di suo fratello e il consulente investigativo uscì.
 Quando John e Mycroft rimasero soli, il medico si avvicinò al carrello con l’occorrente per le medicazioni; indossò i guanti, poi prese un batuffolo di cotone, lo imbevve di disinfettante e si voltò verso il maggiore degli Holmes.
 «Potrebbe bruciare un po’.» lo avvertì. «Ma prometto di fare attenzione.»
 Mycroft annuì, gli occhi ancora lucidi di lacrime.
 A quel punto John si sedette accanto a lui sul materasso, gli poggiò una mano sul viso e con l’altra cominciò a pulire le ferite lasciate dalle unghie di Magnussen.
 Il politico ansimò un paio di volte ma non si lamentò, nonostante le lacrime gli stessero rigando le guance.
 Watson si prese cura di lui con perizia e delicatezza, asciugandogli le lacrime di tanto in tanto e rivolgendogli sguardi rassicuranti, in modo da metterlo a suo agio. Poi quando ebbe finito, accennò un sorriso.
 «Guariranno presto.» assicurò. «A parte questo ti ha fatto del male?»
 Mycroft scosse il capo, abbassando lo sguardo.
 «Ok.» concesse John. «Adesso ti aiuto a sdraiarti, così puoi riposare.» si tolse i guanti e li gettò nell’immondizia.
 Si avvicinò nuovamente a Mycroft e dopo avergli posto una mano dietro il capo e una sul petto, lo aiutò a sdraiarsi sulla schiena.
 «Cerca di dormire un po’. Quando ti sveglierai ti sentirai molto meglio.» assicurò.
 Mycroft annuì.
 John si voltò, prese il carrello e si avviò verso la porta, pronto a riportarlo agli infermieri, ma la voce di Mycroft lo richiamò prima che potesse lasciare la stanza.
 «John?»
 Il dottore si voltò. «Che succede?»
 «Puoi rimanere?» sussurrò il politico con voce tremante. «Almeno fino a che Sherlock non torna.» ansimò, il viso nuovamente rigato dalle lacrime. «Non voglio rimanere solo…»
 «Ma certo.» rispose Watson, dolcemente, accennando un sorriso e annuendo. «Certo che rimango.»
 Tornò accanto a lui e vedendo che aveva ripreso a respirare affannosamente, aprì la bombola d’ossigeno e sostituì la mascherina con gli occhialini, poi glieli sistemò sul viso, accarezzandogli delicatamente le guance.
 «Respira profondamente.» disse, prendendo posto sulla seggiola accanto al materasso e poggiando una mano sul braccio di Mycroft per accarezzarlo. «Sei al sicuro. Nessuno di noi permetterà che ti accada nulla di male.»
 «Grazie.» sussurrò il politico.
 John gli sorrise, poi lo osservò scivolare in un sonno profondo.
 
 Quando Sherlock rientrò nella stanza, vide che John era seduto sulla seggiola accanto al materasso e che stava tenendo la mano di Mycroft. Suo fratello era profondamente addormentato, gli occhialini dell’ossigeno ad aiutarlo a respirare e delle leggere cicatrici a segnargli il volto, nei punti in cui Magnussen l’aveva ferito.
 John, accortosi della sua presenza, si voltò.
 «Tutto ok?» chiese, incontrando i suoi occhi. 
 Lui, in risposta, annuì.
 Il medico si mise in piedi, lasciando la mano di Mycroft – che ormai era profondamente addormentato – e si avvicinò al consulente investigativo, in modo da non disturbare il politico.
 «Anthea manderà degli uomini entro breve.» spiegò Sherlock, parlando sottovoce. «Non lasceranno mio fratello nemmeno un secondo, e Magnussen non potrà più avvicinarsi a lui.»
 «Credi che riuscirai a convincere Mycroft a denunciarlo?» chiese Watson.
 Sherlock si voltò verso di lui e i loro sguardi si incrociarono. Sospirò e scosse il capo. «Non accetterà mai di farlo.» affermò. «Non vuole perdere il rispetto che si è guadagnato in tanti anni passati al governo. E se denunciasse Magnussen, tutti verrebbero a sapere la verità.»
 «Ma non può lasciare che la passi liscia.» replicò John. «Ha subito cose terribili e Magnussen va punito per ciò che gli ha fatto passare.»
 «Non possiamo nemmeno costringerlo a denunciarlo.»
 Il dottore sospirò. «Allora dobbiamo fermarlo. Dobbiamo trovare il modo di fermarlo e impedirgli di fare ancora una cosa del genere.» dichiarò. «Non possiamo permettere che la faccia franca anche questa volta. Qualcuno deve fargliela pagare per ciò che ha fatto a tuo fratello.»
 Sherlock annuì, voltandosi verso Mycroft. «Lo fermeremo.» assicurò.
 In ogni caso non avrebbe mai permesso a Magnussen di avvicinarsi ancora a Mycroft. E se per fermarlo avesse dovuto ucciderlo con le proprie mani come gli aveva promesso, lo avrebbe fatto. Gliel’avrebbe fatta pagare per tutto ciò che aveva fatto passare a suo fratello, non gli importavano le conseguenze che il suo gesto avrebbe comportato.
 Il corso dei suoi pensieri venne interrotto dalla mano di John, che scivolò nella sua e la strinse delicatamente.
 Sherlock abbassò lo sguardo sulle loro mani a contatto, poi lo sollevò sul volto dell’amico; i loro sguardi si agganciarono e i loro occhi si persero gli uni negli altri, blu nei blu, per un lungo momento. Nessuno dei due ebbe il coraggio di distogliere lo sguardo o interrompere quel contatto così intimo e speciale.
 Le loro dita si intrecciarono, sfiorandosi con dolcezza.
 «Dovresti andare a riposare.» mormorò Sherlock. «Rimango io con Mycroft.»
 Il medico scosse il capo. «Non me ne vado.»
 «Sei distrutto, John.» ribatté il moro. «Hai bisogno di dormire.»
 «Anche tu.» fece notare Watson.
 «Sì, ma non posso lasciare mio fratello, lo sai.»
 «E io non voglio lasciare te.»
 Holmes sospirò, avendo capito che qualsiasi argomento avesse proposto, il suo migliore amico non si sarebbe mosso da lì e non gli avrebbe dato ascolto.
 John fece spallucce, accennando un sorriso. «Non riuscirai a convincermi.»
 Sherlock sorrise. «Lo so.» concluse, poi esalò un lungo respiro e si voltò verso suo fratello, osservandolo per un lungo istante, gli occhi carichi di un dolore troppo grande per essere celato.
 John aumentò la pressione intorno alla sua mano e cercò il suo sguardo. «Ehi…» mormorò. «Andrà tutto bene.»
 Holmes si voltò verso di lui. «Come lo sai?»
 «Ha te.» rispose il medico.
 Sherlock aggrottò le sopracciglia, perplesso di fronte a quell’affermazione.
 John sorrise. «Sei riuscito a eliminare il mio disturbo psicosomatico in poche ore e a farmi sentire a casa in una città che non avevo mai sentito mia, facendomi dimenticare la guerra e tutti gli orrori che avevo vissuto.» spiegò. «Se gli rimarrai accanto come hai fatto con me, in poco tempo tutto tornerà alla normalità anche per lui.»
 «Riponi una grande fiducia in me.» replicò Sherlock. «Non so se lo merito. »
 «Non tentare di spacciarti per qualcuno che non sei, Sherlock Holmes. Non con me.» disse John, accennando un sorriso. «Io ti ho visto. Ti ho visto davvero. So come sei veramente e so che sei capace di cose straordinarie.»
 A Sherlock sfuggì una leggera risata. Abbassò lo sguardo.
 In quel momento Mycroft gemette.
 «Sherlock?» mormorò il politico, ansimando e agitandosi sul materasso.
 Il consulente investigativo lasciò la mano del medico e si voltò, avvicinandosi al letto per entrare nel campo visivo del fratello.
 «Sono qui.» disse, sorridendogli rassicurante. «Stai tranquillo.»
 Mycroft gemette, annaspando per cercare aria, nonostante l’ossigeno lo stesse aiutando a respirare. «Credevo…» sussurrò. «Credevo che te ne fossi andato…»
 Sherlock scosse il capo e gli prese la mano. «Non me ne andrò.» assicurò, sedendosi sul materasso. «Non ti lascerò solo mai più, te lo prometto.»
 Il maggiore annuì.
 E Sherlock gli sorrise, accarezzandogli il capo.
 
 Quella sera, Anthea si presentò in ospedale e si offrì di rimanere insieme a Mycroft durante la notte, per permettere a Sherlock e John di tornare a casa e riposare. Il consulente investigativo non sembrava tranquillo nel lasciare Mycroft solo con la sua segretaria – che in ogni caso avrebbe potuto fare poco nell’eventualità in cui Magnussen si fosse ripresentato in ospedale – ma grazie all’insistenza di John e dopo l’arrivo degli uomini che si sarebbero occupati della sicurezza di suo fratello, si convinse a tornare a Baker Street per dormire per qualche ora.
 Si raccomandò con Anthea di non lasciare mai solo suo fratello, di mettere almeno due uomini a guardia della stanza e di chiamarlo se si fosse presentato qualche problema, e la donna assicurò che lo avrebbe fatto.
 A quel punto Sherlock tornò all’interno della stanza, si avvicinò al materasso e prese la mano di suo fratello. Si chinò su di lui per parlargli all’orecchio e poggiò la tempia contro la sua, muovendola per accarezzarla.
 «Ci sono i tuoi uomini qui fuori dalla porta e all’esterno dell’ospedale, e Anthea rimarrà con te, questa notte.» disse. «Lui non si avvicinerà più a te. Nessuno glielo permetterà. Ok?»
 «Ok.» replicò il maggiore, con voce incerta.
 Sherlock si allontanò da lui e incontrò i suoi occhi. «Andrà tutto bene.» assicurò, poggiandogli una mano sul viso e accarezzandolo. «Finirà tutto molto presto, te lo prometto.»
 Mycroft, captando i suoi pensieri, gli circondò il polso con una mano. «Non metterti contro di lui, Sherlock.» mormorò. «Non voglio che ti faccia del male.»
 «Non lo farà.» replicò il minore.
 «Ti prego… stai firmando la tua condanna…» lo implorò, gli occhi colmi di lacrime e paura. «Lui ti distruggerà… non vale la pena fare tutto questo solo per…»
 Il consulente investigativo non lo lasciò concludere. «Per te?» chiese. «Sì, invece. Ne vale la pena. Perché sei mio fratello, e Magnussen la pagherà per tutto il dolore che ti ha causato. Non la passerà liscia, puoi contarci.»
 «Sherlock…»
 «Lascia fare a me.» disse, prendendogli la mano. «Ti prego, per una volta, lascia che sia io a proteggere te, Myc. È il mio turno di prendermi cura di te, adesso.»
 Il maggiore lo osservò per un lungo istante, poi annuì flebilmente. «Sii prudente.»
 Sherlock accennò un sorriso e annuì. Poi prese il volto di suo fratello fra le mani e gli baciò la fronte. «Riposa.» sussurrò sulla sua pelle.
 «Tornerai?»
 «Presto.» assicurò Sherlock. «Te lo prometto.» disse allontanandosi da lui e rivolgendogli un sorriso accennato. Poi indossò la sua sciarpa e lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Con un cenno fece capire ad Anthea che avrebbe potuto entrare, poi affiancò John.
 «Andiamo?» chiese il medico.
 Lui annuì e insieme si avviarono fuori dall’ospedale.
 
 
 ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! ;) Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione, ma ieri non ho proprio trovato il tempo per rivedere e pubblicare il capitolo, perciò ho preferito prendermi il tempo di farlo oggi e per rivederlo meglio.
È un capitolo molto molto angst, perché se non lo aveste ancora capito amo l’angst. xD
Spero che nonostante ciò vi sia piaciuto! :)
Pubblicherò il prossimo giovedì. ;)
A presto, Eli♥
 
   
 
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