Film > Suicide Squad
Segui la storia  |       
Autore: EcateC    14/06/2017    5 recensioni
La vera storia di Harleen Frances Quinzel, la rigida dottoressa newyorkese che si lasciò sedurre da Joker per diventare la famigerata Harley Quinn, la pagliaccetta bella e simpatica che tutti conosciamo.
Ma da lasciarsi alle spalle una vita di privazioni a conquistare il cuore del super criminale di Gotham c'è una bella differenza, ed è qui che riposa la vera inversione dei ruoli. Provare per credere.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Standing in the rain

 

 

Batman procedette cautamente per il corridoio, stando ben attento a ogni minimo rumore o odore sospetto. Si guardò il polso, il suo captatore  informatico segnava indefesso la presenza di una vita umana, finalmente a pochi metri di distanza da dove si trovava lui. Ormai stava cercando da mezz’ora quell’isolata forma di vita, l’unica rimasta nel cimitero desolato di quel manicomio.

Chiunque fosse quel sopravvissuto, buono o cattivo che fosse, aveva senza dubbio bisogno di cure.

Ma quando arrivò a destinazione e vide di chi si trattava, ne rimase alquanto sorpreso: la dottoressa Quinzel, svenuta su un lettino con lo stampo di due labbra rosse sulla fronte.

Batman le toccò il collo con le dita inguantate, il battito cardiaco era debole ma c’era eccome. Incredulo e stupefatto, prese il corpo di Harleen in braccio e uscì, chiedendosi a che cosa fosse dovuta tanta clemenza da parte del Joker.




________________________________________

 

 

Una luce accecante le abbagliò gli occhi. Harleen cercò di chiudere le palpebre, ma le dita di un uomo glielo impedirono.

-Mi sente, dottoressa?- udì una voce maschile, lontana e sconosciuta

-Dottoressa Quinzel? Mi riesce a sentire?-

Piano piano, le immagini iniziarono a prendere fuoco. Vide una piccola televisione appesa al muro, scese con lo sguardo e notò un tavolino di linoleum con sotto una sedia dello stesso colore.

-Sta cominciando a riprendere conoscenza- esclamò la voce maschile e sconosciuta -Dottoressa Quinzel? Riesce a vedermi?-

Harleen cercò di guardare davanti a sé. Un uomo col camice bianco e una mini torcia tra le dita le stava sorridendo bonariamente… Un medico, registrò la sua mente, e di fianco a lui c’era un’infermiera e ancora, in secondo piano, un altro soggetto con un impermeabile da detective.

-Ben tornata tra noi, Harleen- le disse il medico -Riesce a muovere la mano?-

Harleen, che si rese conto di essere sdraiata su un letto di ospedale, obbedì e mosse le cinque dita della mano destra.

-Molto bene, molto bene. Ho buone notizie, sa?- le disse -Lo shock cerebrale non ha riportato particolari danni, due giorni e potremo dimetterla-

-Cosa è successo?- riuscì a chiedere, stupendosi del tono bassissimo della sua voce

-È stata coinvolta in un grave incidente, ma starà bene, tornerà come nuova-

“Un grave incidente? In… macchina?” si sforzò di ricordare “Mi hanno aggredita?”

Poi, del tutto all’improvviso, nella sua mente balenò un sorriso argentato.

Harleen strizzò gli occhi e si toccò subito le tempie. Solo ora che stava rinsavendo si era accorta di quanto le facesse assurdamente male la testa. 

-Sente molto male, dottoressa?- le chiese il medico, ma quella parola, male, le suscitò un’altra visione lampo. Vide chiaramente due grandi occhi azzurri e udì una voce echeggiante, persa nell’inconscio della sua mente “Voglio solo farti male, molto, molto male…”

 -Mr J!- esclamò a voce alta, cercando subito di sedersi sul letto. L’uomo con l’impermeabile si alzò dalla sedia di cortesia e si avvicinò.

-Si calmi, Harleen, va tutto bene- le dissero in coro sia il medico l’infermiera, cercando di distenderla sul materasso.

-No, devo… Mi serve il cellulare, devo chiamarlo- esclamò, esagitata -Devo partire per l’Europa…-

-Ma certo, appena starà meglio partirà, ne siamo sicuri- la liquidò il medico -Joan, inserisci nella flebo due dosi di tranquillante, per cortesia-

-Sì, dottore-

Il cuore di Harleen batteva troppo in fretta. Ora ricordava, ricordava tutto! Joker, la fuga, gli spari, gli uomini con le maschere da animali… Ricordava tutto. Doveva assolutamente uscire dall’ospedale e andare da Joker. Magari i suoi uomini la stavano cercando, magari lui la stava chiamando proprio in quel momento…

-Devo andarmene- esclamò, cercando di apparire il più possibile lucida e perentoria -Sto bene, giuro che sto bene-

-Dottoressa, non può uscire adesso, non è nelle condizione adatte…-

-Invece sì- protestò Harleen -Sto bene e voglio andarmene!!-

-Non prima di aver scambiato due parole con me-

Hareen si voltò, l’uomo misterioso con l’impermeabile si fece avanti. Era un signore sulla cinquantina, mediamente alto, con due grossi baffi e un paio di occhiali squadrati sul naso.

-Mi presento, dottoressa. Mi chiamo James Gordon, sono un alto ufficiale della polizia di Gotham City- le mostrò il distintivo -Sono venuto qui per scambiare due parole con lei, se me lo consente-

-Gordon, la signorina è ancora troppo provata per essere sottoposta a un interrogatorio- lo rimproverò il medico, stancamente 

-A me sembra in perfetta salute- lo contraddisse, alzando le spalle.

Il dottore alzò gli occhi al cielo, c’era poco da contrattare con quel soggetto.

-Se vede che queste due linee scendono sotto il limite- gli disse il medico, indicandogli il monitor sanitario collegato tramite cavi ad Harleen -Mi chiami-

-Senza alcun dubbio-

Appena i due sanitari uscirono, il commissario prese la sedia di cortesia e si sedette accanto al letto di Harleen.

-Allora, dottoressa Quinzel- esordì -Come ci si sente a essere la sola sopravvissuta all’assalto dell’Arkham Asylum? È diventata famosa, lo sa?-

-Famosa?- ripeté lei, alzandosi a sedere come poteva sul letto. La testa le faceva un male insopportabile.

-Sì. Joker nel suo percorso verso l’uscita si è lasciato alle spalle una lunga lista di morti, ma ha incredibilmente risparmiato lei. Questo è bastato per renderla famosa in tutto il mondo… - le accennò un sorriso

Harleen deglutì a vuoto, stringendosi forte le mani sotto il lenzuolo.

-Sono morti tutti?- gli chiese, con un filo di voce.

-Tutti quelli che erano di turno quel pomeriggio, sì. Eccetto lei- enfatizzò, sistemandosi gli occhiali -Un miracolo, eh?-

Era chiaro come sole il fatto che lo sbirro nutriva dei sospetti su di lei. D’altronde, essere risparmiati dal Joker non è esattamente una cosa che capita tutti i giorni.

-Già…- esclamò, cercando di non sorridere. Si sentiva inopportunamente felice e orgogliosa.

-In che rapporti era con Joker?- esordì nuovamente il commissario.

-In buoni rapporti-

-Questo l’avevo immaginato, ma cosa intende per buoni rapporti?-

-Buoni rapporti- ripeté lei, restando sul vago -Amichevoli-

-Amichevoli, però- esclamò, incrociando le braccia -Egli si confidava con lei?-

-Ero la sua psichiatra, certo che si confidava-

-Naturalmente. E il fatto che vi siete baciati durante una seduta fa parte dei rapporti amichevoli o delle normali implicazioni terapeutiche della sua cura?-

Il suo tono era pungente, quasi beffardo, ma Harleen non si lasciò intimidire. Si mise una mano alla testa dolente, cercando di riflettere.

-Non dovevamo parlare dell’assalto?- gli chiese, affaticata

-Sono io che decido le domande, dottoressa Quinzel- le rispose a tono, sorridendo -Dunque, può rispondermi?-

-Entrambe le cose…- soggiunse, arrossendo

-Entrambe le cose- ripeté l’uomo, fingendosi sorpreso -E lo dice così, con tanta tranquillità? Non prova neanche un minimo di vergogna?-

-No- gli rispose calma, guardandolo negli occhi -Se sono viva è anche per questo motivo-

-Anche? Ci sono altri motivi?- la interruppe lui, senza battere ciglio. Il suo sguardo penetrante la metteva a disagio

-Beh, sì… Io, ecco… Gli ho reso la permanenza all’Arkham più piacevole, sì. Gli ho prescritto degli antidolorifici, gli portavo qualcosa di buono da mangiare e cose così-

-Cose così. Quindi ritiene che Joker l’abbia risparmiata per spirito di riconoscenza?-

-Più o meno- gli rispose, cercando di apparire sicura

-Mi può dire cosa intende per il più e cosa per il meno?-

La sua calma era proverbiale. Harleen sospirò, sapeva che doveva stare attenta a ogni singola parola, quel segugio intercettava ogni minima traccia o risvolto inespresso.

-Gli piacevo, forse- gli rispose sentendosi in imbarazzo. Gordon invece sorrise soddisfatto.

-Ah, ecco, quindi fondamentalmente è questo l’aspetto focale, catalizzante. Non lo spirito di riconoscenza, bensì una tresca nel luogo di lavoro-

-Non ho parlato di tresche-

-Beh, l’ha lasciato intendere, dottoressa- le disse, quieto -Ma guardi, non sono certo qui per giudicarla, ognuno ha le proprie perversioni e io non sono mai stato il tipo d’uomo che si scandalizza… Certo, mi sorprende il fatto che una signorina per bene come lei abbia potuto provare interesse per un conclamato delinquente psicopatico. Evidentemente i casi sono due. O Joker ha giocato bene le sue carte, o lei è scesa a compromessi con se stessa-

-Non sono scesa a nessun compromesso- gli rispose Harleen, in difficoltà. Riusciva a stento a negare quello che lui diceva, non era un buon segno.

-Quindi, Joker ha giocato bene le sue carte-

-No, neanche- gli rispose, sentendosi arrossire.

-Dottoressa, non era una domanda, questo lo so io senza bisogno di chiederle conferma. Resta solo da capire quali sono state le mosse che ha fatto-

“Non ha fatto nessuna mossa, ci piacevamo e basta” avrebbe voluto ribattere, ma preferì tacere. Anche perché, sinceramente, non era ancora così sicura di piacergli.

-Personalmente, mi sono già fatto un’idea- disse Gordon in conclusione, alzandosi dalla sedia -E credo di non sbagliarmi. Per me è sufficiente, la ringrazio per la collaborazione e mi permetto di darle un consiglio spassionato: non vada a cercare Joker quando uscirà da qui. Le ha già risparmiato la vita una volta, non lo farà di nuovo. Arrivederci-

Harleen abbassò lo sguardo, senza rispondere. Se c’era una cosa di cui era sicura, quella era che presto avrebbe cercato Puddin’.

 

______________________________


 

Ritrovare il cellulare non fu difficile per Harleen.

A differenza della sua macchina, che era andata completamente distrutta, il cellulare era rimasto incolume e completamente scarico nel cassetto della sua scrivania. L’ufficio oggetti scomparsi gliel’aveva consegnato dentro una busta trasparente, e prima di arrivare al suo, le aveva mostrato almeno altri dieci cellulari andati persi durante l’assalto… Tutti appartenenti a delle vittime, evidentemente.

Molti però non erano di turno quel giorno, pensò Harleen, mentre tornava a casa sulla metro. La segretaria Rebecca e il tenente Griggs, ad esempio, l’avevano scampata, e Harley non poteva dirsi particolarmente entusiasta. I reclusi del manicomio invece erano rimasti nelle loro camere, ma gli unici sopravvissuti erano, guarda caso, i sottoposti al reparto intensivo di massima sicurezza.
Comunque, appena il cellulare fu sufficientemente carico, Harleen chiamò subito il numero di Joker, o presunto tale. Ma invece del clown le rispose una voce metallica.

“Attenzione: Il numero da lei chiamato è inesistente”.

Harleen sorrise nervosamente, sicuramente doveva esserci stato un errore, non era possibile. Riprovò a chiamare.

“Attenzione: Il numero da lei chiamato è inesistente”.

-Non può essere- sussurrò, iniziando a preoccuparsi -Non è possibile, ci siamo parlati una settimana fa…-

Riprovò a chiamare, una, due, tre volte, ma la voce metallica diceva sempre lo stessa cosa.

La ragazza in preda a un raptus lanciò il suo cellulare a terra, che si aprì in due perdendo la batteria.

Fu invasa dal panico. E adesso come faceva a trovarlo, a comunicare con lui?

-Respira, Harleen- si impose, prendendosi la testa pulsante fra le mani -Respira, va tutto bene, tutto bene-

Con mani tremanti cercò di rimontare il cellulare, lo accese e provò a richiamare. Ma di nuovo, ottenne la stessa identica risposta.

“Attenzione: Il numero da lei chiamato è inesistente”.

-No, oddio, no…- gemette, angosciata -Come faccio adesso?-

Il cuore iniziò a pomparle forsennatamente. Per riprendere fiato, si diresse nel balcone di casa sua, sotto la pioggia battente e nella coltre di quel freddo anomalo. Harleen si sporse e guardò verso il basso, la minacciosa e oscura città di Gotham.

Il paesaggio erano nero, bagnato e nuvoloso. Numerosi elicotteri, macchine della polizia a sirene spiegate, ambulanze, vigili del fuoco e auto private inquinavano l’atmosfera con la loro cacofonia di rumori, e malgrado fosse stato impartito l’ordine di restare in casa, le persone erano quasi tutte uscite. Oramai, infatti, gli abitanti di Gotham si erano abituati alla presenza di Joker. Si poteva dire perfino che la sua ennesima evasione avesse creato molto più scalpore mediatico all’estero che nell’isola stessa.

Joker dopotutto era introvabile. Se la CIA, L’FBI e, non ultimo, Batman, lo stavano cercando da giorni, come poteva trovarlo lei da sola? Era impossibile… A meno che lui non volesse farsi trovare, naturalmente.

“Sa dove abito, forse devo solo restare qui” si disse, cercando di auto calmarsi “Forse deve sistemare le sue cose, è uscito due giorni fa dal manicomio, sarebbe normale…”

Doveva solo aspettare, Puddin’ presto sarebbe tornato da lei...

 

 

 

 

Dieci giorni dopo. 

Crime Alley, periferia di Gotham City

 

 

Harleen scese dal taxi e iniziò a camminare a passo svelto. Era buio in quel quartiere, c’era puzza di alcool, di acqua stantia e non volava una mosca. A destra, due auto della polizia giacevano semi distrutte e ricoperte di graffiti, a sinistra un vecchio cinema abbandonato aveva due grosse spranghe di legno sulla porta e all’insegna del supermarket erano state rubate almeno tre lettere.

Crime Alley Sembrava un quartiere fantasma, e forse lo era. 

Nessuno ci metteva piede e ciò che le avevano detto appena sbarcata sull’isola fu proprio di evitare, per quanto possibile, quel famigerato quartiere. Lo stesso Joker evitava di andarci, non tanto per il pericolo naturalmente, quanto perché lui, da buon amante del lusso, ne era altezzosamente disgustato. In compenso, giocare all’allegro chirurgo non gli faceva affatto schifo…

Harleen cercò di non pensare a lui e continuò a camminare per le vie più pericolose e buie di tutta Gotham City. Aveva bellamente ignorato tutti gli avvertimenti del tassista “Non puoi andarci da sola, è troppo pericoloso, ti farai ammazzare…”

Non che lei volesse suicidarsi, teneva infatti nascosta la revolver di Irina sotto la maglietta, ma non aveva più lacrime per piangere e il suo livello di disperazione aveva raggiunto dei picchi talmente alti che l’idea di farla finita le era balenata alla mente un paio di volte. 

Perché Joker, naturalmente, non si era fatto vivo. Harleen aveva perfino dormito con la porta e la finestra aperta, ma del super criminale di Gotham nessuna traccia. 

Ma la ragazza non si diede per vinta. Il clown l’aveva usata e piano piano stava iniziando a capirlo, ma lei e la sua tenacia non avevano alcuna intenzione di rinunciare a lui, non senza combattere.

Decise quindi di agire e cercarlo, e l’idea che aveva era tanto folle quanto geniale.

Camminare da sola, di notte, nel quartiere più pericoloso dello stato più pericoloso del mondo. Non poteva non incontrare qualcuno che conoscesse il Joker.

E infatti, puntuale come la morte arrivò il primo apprezzamento volgare e non richiesto.

-Ehi bambola, dove te ne vai?-

Harleen si voltò, con la coda dell’occhio notò un uomo con una bottiglia di birra che si stava avvicinando. Sorrise e velocizzò il passo, era esattamente quello che sperava.

-Ehi, Ashim, hai visto che bel bocconcino solitario?-

Il tizio di nome Ashim, un uomo basso e dai tratti marocchini, fischiò -Ma che spettacolo. Possiamo unirci a lei, signorina?-

Harleen continuò a camminare a passo svelto. Iniziava a sentire paura, molta paura, ma d’altronde era un risvolto negativo che aveva messo in conto.

-Ehi, topolino, fermati! Perché tanta fretta?- le disse l’uomo, prendendola per un braccio.

-Non mi toccare- gli ordinò gelida. L’uomo fischiò di nuovo.

-E perché non dovrei? Chi me lo impedisce? Tu?-

-Io no, ma Joker sì-

-Joker?- ripeté questi, esterrefatto -Quel Joker che l’anno scorso mi ha fottuto cinquanta mila bigliettoni?-

-Direi che è lui- concordò Harleen, compiaciuta.

I due ceffi la guardarono increduli. Ashim, il più basso, si fece subito indietro.

-Sei una delle sue puttane?- le domandò, alzando le mani in alto in segno di resa, ma ad Harleen questa domanda non piacque affatto

-Non sono una puttana, sono la sua ragazza- gli rispose, indignata - E voi state commettendo un grosso errore a prendervela con me-.

-Seeeh, e io sono Cat Woman!- rise il più grasso, a differenza di Ashim che aveva una faccia decisamente preoccupata.

-È la verità. Chiedeteglielo se non mi credete-

-Hart, io lascerei perdere…- gli suggerì Ashim, intelligentemente -Quello ci ammazza-

-Ma figurati, ti pare che questa sia la sua fidanzata?- la offese l’uomo, guardandola da capo a piedi -Lo sai che lui è molto peggio di noi, vero? Se è una balla, ti taglia in due come un limone-

-Portatemi da lui- ordinò loro, semplicemente -Portatemi da lui se non mi credete. Anzi, mi starà cercando, se lo fate ve ne sarà riconoscente. E se io ho mentito, allora potrete farmi tutto quello che volete-

Hart esitò un attimo a pensare, poi sorrise. 

-Ci sto- le disse, tendendole la mano.

-Io non vengo- decise invece Ashim -Joker mi mette i brividi-


 

_____________________________
 


 

Luci bluastre intermittenti, fumo che non lasciava respiro, canzoni dance e techno mischiate insieme a un volume assordante e soprattutto puzza di alcool, di canne e di sudore.

Ecco dove si trovava Joker in quel momento, in una discoteca di basso livello nella periferia della città. Mai Harleen avrebbe pensato a un posto del genere, nel suo immaginario vedeva Joker vincere a una partita di Black Jack nel casinò di Monte Carlo oppure lo immaginava disteso a prendere il sole… O meglio, l’ombra, su uno lussuoso yacht a Portofino. 

Niente a che vedere con quella bettola di ultima categoria, che oltretutto la faceva sentire terribilmente fuori luogo. A parte il suo abbigliamento casual che cozzava inesorabilmente con tutti i micro vestitini e i maxi tacchi che vedeva in giro, le discoteche non erano mai stati luoghi adatti a lei.

Non si sentiva a suo agio dentro di esse, non le trovava particolarmente divertenti né, soprattutto, aveva mai avuto amici con cui andarci.

Velocemente, lei e l’uomo oltrepassarono i cubi con le ballerine e scesero una rampa di scale dai gradini illuminati, e più si allontanavano, più la musica si faceva ovattata e il cattivo odore diminuiva.

Harleen strinse forte la pistola di Irina, caso mai quel lurido mostro avesse cercato di metterle le mani addosso.

Davanti a una porta bianca c’era possente un afro americano in smoking, serio e immobile come una statua.

-Questa è un’ala riservata- disse loro con voce profonda, calma. 

-Sono qui parlare con lui- spiegò Hart, facendo un cenno verso la porta.

-Non è possibile. Il Joker non vuole essere disturbato-

Joker! Lì dentro c’era davvero Joker!

-Riguarda lei- continuò Hart, spingendo Harleen in avanti come se fosse un trofeo -La sua “fidanzata”- fece le virgolette con le dita.

-Marleen- la salutò l'afro.

-Harleen, prego-

-La conosci!?- gli chiese subito Hart, preoccupato

-Di vista- rispose lui.

-Mi ha chiuso dentro un armadio- chiarì tranquillamente la ragazza, senza rancore.

-Ti ho anche portato un bigliettino con i fiori…-

-Allora, possiamo entrare o no?-

-Attendete un attimo- gli rispose il guardiano, entrando dentro la sala.

Harleen allungò subito il collo oltre alla porta, sempre nella morsa ferrea del suo aguzzino. Quel privè era decisamente più esclusivo, sembrava quasi un altro locale. La musica c’era ma era tenuta a un volume piacevole che permetteva di conversare, le luci soffuse avevano un colore sofisticato che andava dal bluette al viola e le poltroncine trapuntate erano di pelle bianca. Soprattutto, le persone dentro erano poche ed erano radunate intorno un uomo con una sorta di corona sulla testa.

Fu così che vide Joker, comodamente seduto con un flute di champagne in mano, in mezzo a due bellissime ragazze in bikini. Indossava una camicia alla coreana, una giacca nera e un paio di pantaloni argentati a sigaretta. Gesticolava e raccontava sicuramente qualcosa di molto avvincente, perché tutti avevano gli occhi puntati su di lui. 

L’uomo con la pelle scura comunque entrò e sussurrò qualcosa nell’orecchio a Jonny Frost, il quale lo comunicò a sua volta al Joker.

-LA MIA FIDANZATA?- lo sentì gridare e ridere, divertito -E chi sarebbe la mia fidanzata!?-

-Mi sa che qualcuno ha detto una bugia…- le sussurrò Hart, ridacchiando. In quel momento, Harleen avrebbe voluto scappare.

Vide Jonny piegarsi di nuovo sull’orecchio di Joker, e fu allora che quest’ultimo puntò subito gli occhi in avanti, verso di lei. Come la vide, il suo tipico sorriso folle gli allargò le labbra.

Si alzò in piedi e spalancò le braccia, come un re che riceve i suoi sudditi.

-Prego, prego, signori! Accomodatevi!- esclamò loro, facendo a lei l’occhiolino -Qual è il problema, buon uomo?-

L’uomo di nome Hart si schiarì la voce -Questa qui va a dire in giro di essere la tua ragazza, signor Joker. L’abbiamo beccata che girovagava tutta sola per Crime Alley e te l’ho portata per sapere se diceva la verità. Perché se ha mentito…- lasciò cadere la frase a metà e gli lanciò un’inequivocabile occhiata d’intesa, che Joker non ricambiò.

-Se ha mentito? Continua pure- dispose tranquillamente, incrociando le braccia.

-Beh, se ha mentito… Lo sai, insomma…- Hart continuava a lanciargli delle occhiate maliziose.

Joker si guardò intorno con aria interrogativa.

-Signor Joker…-

-Jonny, tu capisci a cosa si sta riferendo questo signore?-

-No, capo, non riesco proprio a capirlo- gli rispose subito lo scagnozzo, tenendogli il gioco -Credo che il nostro ospite debba spiegarsi un po' meglio-

-Ehm… Forse c’è stato un equivoco, signor Joker- si corresse subito Hart, con un sorriso intimorito -Io non farei niente di male a questa ragazza-

-Ahh…- gli sorrise il clown -E perché non l’hai detto subito, allora? Ci voleva tanto? Lo sai che mi infastidiscono le persone che mi fanno perdere tempo?-

Nel locale piombò un silenzio assoluto, il poveretto iniziò a sudare.

-Certo, hai… Hai ragione- balbettò, mentre Joker lo guardava senza battere ciglio, facendo roteare la pistola sul pollice come se fosse un giocattolo -Ho avuto solo un momento di… Di vuoto-

-I momenti di vuoto capitano a chi ha la testa vuota!- lo prese in giro, puntandosi la sua stessa pistola sulla tempia.

-Non è certo il suo caso, signor Joker-

-Lo so. La chica, gracias- gli ordinò in spagnolo, e quello subito gli lanciò Harleen tra le braccia.

-Eccola, tutta tua- ansimò Hart, ormai in un bagno di sudore -Abbiamo risolto, vero?-

Joker gli sorrise dolcemente, già circondato dalle braccia di Harleen -Ma certo, amico, tutto apposto-

-Davvero?-

-Perbacco-

-Bene… Io allora me ne andrei…-

-Conosci la strada-

Hart si girò di schiena e fece subito qualche metro, ma come si voltò un secondo a guardare, Joker gli sparò in pieno petto. Molti urlarono, alcuni applaudirono e altri ancora scapparono.

Harleen si era tappata forte le orecchie, il frastuono dello sparo fu come uno squarcio sul suo cervello ancora provato dall’elettroshock. Senza rendersene conto aveva nascosto la testa nell’incavo de suo collo. Non poté fare a meno di sentire quanto fosse profumato… Un’ acqua di colonia molto fresca, pensò.

-Chiedo scusa a tutte le signorine per il disguido! Mi perdoni, Frou Frou?- lo sentì parlare, in modo ovattato -Ragazzi! Pulite il pavimento, su, su!-

-La mia testa…- sussurrò Harleen, addolorata -Non ci sento…-

-La prima volta è sempre la peggiore. I mal di testa iniziano a passare dopo un mese o due…- le disse Joker, togliendole le mani dalle orecchie -Ti ha importunato, baby?-

Parlava e sembrava dannatamente normale, nessuna inflessione nella voce e nessuna luce folle nello sguardo.

-Non troppo- gli rispose imbarazzata, faticando perfino a guardarlo -Grazie-

-Hmm, e tu cosa ci facevi lì?-

-Ti stavo cercando. Perché non ti sei fatto più vivo?- gli domandò, cominciando a dare sfogo all’angoscia -Ho provato a chiamarti mille volte, a cercarti… Ho girato tutta Gotham City e mi sono quasi fatta ammazzare, e ora che ti trovo, sei con due…-

-Matilde, Frou Frou- la interruppe Joker -Vi presento Harley, la vostra nuova amichetta!-

Le due bellissime ragazze la salutarono con la mano e poi risero tra loro. Harleen scosse la testa.

-Sono tanto carine, sicuramente diventerete grandi amiche- fece l’atto di sistemarle i capelli, ma lei gli scacciò la mano. Le veniva da piangere.

-Eh, no, dottoressa Quinzel! Questo è il ringraziamento per non averti fatto stuprare da quel ciccione, hm?- esclamò insinuante, stringendole la vita.

-Avevamo detto niente puttane- gli sussurrò appena, in modo che solo lui potesse sentirla. Joker annuì e schioccò le dita, sempre con il sorriso stampato in faccia.

Subito, Frost fu da lui. 

-J-

-Ascolta, dai ad Harley…- la voce del clown fu un diminuendo tonale, tanto che la ragazza non riuscì a sentire la fine. Vide Jonny Frost sorridere e annuire, poi estrarre dalla tasca una tessera dorata, simile a una lunga carta di credito. 

Gliela porse.

Quando Harleen capì che non era una carta di credito bensì la chiave di una camera d’albergo di lusso, avvampò e guardò Joker, che ricambiò subito il suo sguardo con un sorriso malizioso.

-A casa mia vale la regola del chi rompe paga, dottoressa- le spiegò a voce alta, sempre con quel suo modo teatrale -Irina necessita di essere sostituita…-

E detto questo, infilò rapidamente una mano sotto la sua maglietta e le sfilò la pistola dai pantaloni, solleticandole la pancia con le dita.

Appena gli uomini videro l’arma, presero a ridere e a fischiare, uno applaudì. Le ragazze invece si guardarono fra loro con un’espressione incredula.

-Non sono una puttana, Mr. J- chiarì freddamente Harleen, mentre lui sventolava la pistola con un sorriso esultante.

-Infatti non saresti una puttana qualunque, saresti la mia puttana! C’è una bella differenza-

Harleen si guardò intorno, gli uomini del locale la guardavano e ridevano fra loro, mentre le ballerine e le spogliarelliste la stavano letteralmente fulminando con lo sguardo. Di nuovo, guardò Joker. La sua testa annuiva leggermente e i suoi occhi verdi la fissavano speranzosi, quasi volessero incoraggiarla a dire di sì.

-No- gli disse con tono inflessibile, guardandolo dritto negli occhi -Mi dispiace, ma la risposta è no.Trovatene un’altra-

E detto questo, gettò la tessera dell’albergo di lusso per terra. Subito, la musica smise di suonare e nel locale piombò un totale, inquietante silenzio assoluto.

Tutti gli occhi erano puntati su Joker, che guardava Harleen andare via, con lo sguardo fisso e la bocca semi aperta, offeso e scandalizzato all’inverosimile. Senza cambiare espressione, aprì il palmo della mano e subito qualcuno ci mise sopra una revolver.

Serrò forte la mascella e strinse l’impugnatura compatta, puntando contro all’unica donna che aveva osato rifiutarlo. Nel locale non volava una mosca, tutti fissavano la scena rapiti e spaventati.

Joker premette il grilletto. Il proiettile di adamantio colpì in pieno un calice di champagne, a mezzo centimetro di distanza da lei.

-L’ho mancata- esclamò con nonchalance, ma come si voltò, si trovò davanti le facce biasimevoli e deluse dei suoi uomini.

 

 

 

 
 
 
 
 
Note
Hola chicas y chicos! Scusate il ritardo, il fatto è che mi sono occupata più del capitolo successivo che di questo (quando lo leggerete, capirete perché…) e perciò sono rimasta indietro, tanto per cambiare. 
Volevo solo dirvi che rispetto alla trama di Suicide Squad, ho pensato che prima delle scena inedita con la moto, Harleen e Joker avessero avuto altri incontri interessanti anche fuori dall’Arkham, non tanti, ma significativi…  ;)
Grazie come sempre a chi recensisce e a chi si è aggiunto nelle liste!
Un bacio, Ecate
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Suicide Squad / Vai alla pagina dell'autore: EcateC