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Autore: in rotta per il paradiso    15/06/2017    3 recensioni
Cecco e Max sono due ragazzi figli della strada. Sono cresciuti tra risse e droga e ne sono diventati campioni. L'unica cosa che può salvare Max è la piccola Benedetta, la sorellina del suo migliore amico. E quando tutto sembrava​ andare bene, qualcosa li travolge.
Dedicato a coloro che hanno qualcosa per cui vivere e talvolta anche per morire...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tra le mani stringeva un bicchiere di vetro, mentre fissava il liquido trasparente all'interno. Gli occhi venivano offuscati dalle lacrime, senza che lei riuscisse ad impedire al dolore di sgorgare all’esterno. Dopo l'accaduto, aveva giurato a sé stessa che sarebbe cambiata e avrebbe impedito qualsiasi azione potesse mettere Max in imbarazzo.
Ora, osservando l'ennesimo bicchiere che si scolava, percepiva il suo fallimento e la sua promessa infranta. Forse era questo il motivo per il quale Massimiliano non trovava la forza di svegliarsi. Lo sguardo le cadde su una cornice che ritraeva quella famiglia unita e sorridente. Erano trascorsi solo sei anni, non tantissimi, eppure non c’era cosa che non fosse rimasta inalterata: i suoi figli non erano più accanto a lei, uno non sarebbe più tornato e l'altro avrebbe seguito la stessa strada; suo marito non la stringeva più come nella foto; lei era diventata brutta, con qualche capello bianco e delle rughe precoci rispetto ai suoi quarant'anni.
Una lacrima le sporcò la guancia di trucco nero, finché quella singola goccia divenne un pianto impetuoso carico di dolore e amarezza. Raccolse dal comodino la piccola foto, guardandola con disprezzo; se tutto era cambiato in peggio, lo stesso destino avrebbe dovuto patire quel piccolo scatto di felicità. In preda a una crisi di nervi, la scagliò contro la parete ingiallita dal tempo e, a causa dell'urto, il vetro andò in una decina di frammenti che squarciavano i loro volti e le loro labbra distese. Rabbrividì… Che gesto folle degno di una donna folle! Cercò di ricomporre i vetri, provocandosi tagli sulle mani, il suo sangue era rosso scuro, le sembrava sangue marcio, cattivo… Ascoltò il battito frenetico del suo cuore, chiuse gli occhi: le sembrò di non riuscire a resistere oltre, l'accarezzò in modo vellutato l'idea di chiudere gli occhi e lasciarsi invadere da una pace mai provata. Si alzò barcollando, la testa le girava vorticosamente a causa dell'alcol, tuttavia cercò di raggiungere il piccolo balcone. Soffiava un vento fresco, forse troppo, considerando che fosse primavera; il cielo era coperto solo da nuvole bianche che non facevano filtrare i raggi del Sole, quel bianco era apatico, riusciva solo a dare una sensazione di soffocamento. Volse gli occhi in basso: non avrebbe avuto scampo se si fosse buttata. Quella era l’unica certezza che le serviva per darle il coraggio per compiere quell'ultimo e folle gesto…

Benedetta sentiva il cuore frammentarsi ogni qualvolta pensava a Max. A volte la invadeva il pensiero di dimenticare anche solo un piccolo particolare che lo rendeva speciale e diverso, come la sfumatura delle iridi castane quando il Sole mostrava la sua maestosità, il tono della voce che si addolciva quando le parlava, il sorriso sarcastico quando Cecco la sgridava… Quanto le mancava… Ogni attimo, ogni secondo malediceva il coraggio mancato nel dimostrargli i suoi sentimenti. Aveva versato lacrime giorno e notte finché non le erano terminate.
Trascorreva le mattine a scuola evitando le domande degli insegnanti, curiosi di conoscere la motivazione del suo miglioramento che, tuttavia, comprendevano non fosse dovuta a un fatto piacevole. Aveva riempito i quaderni di appunti, dal momento che i genitori non erano riusciti ad acquistarle tutti i libri che le servivano; si sforzava di rimanere concentrata, finché le parole iniziavano a dissolversi e si limitava ad ascoltare mormorii distanti anni luce. Non c’era mattina alcuna che non si pentisse di essere entrata in classe, nonostante ciò il giorno seguente era sempre la prima.
Massimiliano sarebbe stato fiero di lei: le aveva sempre ripetuto che aveva la testa per continuare a studiare, che così facendo sarebbe diventata qualcuno e che sarebbe riuscita a cambiare vita. Lei rideva non credendo alle sue parole, però quando Max mutava la voce in un tono autoritario, Benedetta gli assicurava che, se ce l’avesse fatta, lo avrebbe portato via e gli avrebbe donato un nuovo inizio. A sentire quelle parole, Max s'incupiva ma cercava di abbozzare comunque un sorriso, dicendo che il proprio era un destino già segnato, ma il suo poteva cambiarlo, riscriverlo e cambiargli la trama. La ragazzina pensava che preferiva non essere nessuno piuttosto che perderlo e, solo se lo avesse perso si sarebbe impegnata per cambiare la sua vita. Ora percepiva la necessità di ripagare quella promessa e giurò che avrebbe studiato per diventare qualcuno di importante.

Cecco era sdraiato su una panchina al vecchio parco. Era la terza sigaretta che fumava nell'arco di venti minuti, tuttavia non riusciva davvero a calmarsi. Esattamente in quel posto, circa dieci anni prima, aveva conosciuto il suo migliore amico.
Erano i primi tempi che bazzicava per il quartiere dopo il trasferimento di tutta la famiglia. Aveva solo sette anni e tanta voglia di unirsi ai bambini che vedeva dirigersi da qualche parte con il pallone in mano. Ricordava di essere molto timido e di non aver trovato la forza di domandare al bambino, proprietario della palla da calcio, se avesse potuto giocare insieme a loro. Si limitava a guardarli sfilare sotto casa sua ogni giorno alle 16.30 del pomeriggio. Andò avanti così per dieci giorni, finché decise di aspettarli sotto casa con la speranza che qualcuno gli chiedesse di diventare loro amico; quando passarono nessuno fece caso a lui, tranne un bambino con i capelli ricci, il quale notò la tristezza e il broncio che il suo volto aveva intrapreso. Cecco pianse, perché non comprendeva il motivo per il quale nessuno lo invitasse a giocare, inoltre pensava che non si sarebbe mai fatto un amico in quel nuovo quartiere. Dopo un mese, tentò nuovamente di attenderli sotto casa e stavolta, quando passarono, si pose di fronte a loro.
«Chi sei?» gli domandò un bambino.
«Cecco! Sono nuovo…».
Gli altri ragazzini stettero in silenzio ad aspettare che continuasse, però la timidezza stava prendendo il sopravvento.
«Perché non vieni a giocare con noi?» gli propose uno di loro.
Quando alzò lo sguardo per incontrare quello di chi che gli era venuto in soccorso, riconobbe lo stesso sguardo curioso ed espressivo del bambino con il quale aveva scambiato uno sguardo quasi un mese prima.
Ora, di quello sguardo non era rimasto apparentemente nulla…
   
 
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