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Autore: Isara_94    15/06/2017    2 recensioni
La vita di John Watson è al servizio dell'Impero Britannico. Una notte incontra per caso uno strano pirata e lo arresta. Il famigerato capitano pirata Sherlock Holmes, invece, lo trascina nel suo mondo fatto di tesori, avventura e leggende.
John comincia a dubitare: è lui ad aver catturato capitan Holmes, oppure il contrario?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quel posto era più piccolo di quanto potesse sembrare a una prima vista. Il laboratorio era un angusto retrobottega dal cui soffitto pendevano mazzi d’erbe secche o ancora da essiccare coi banconi stipati di bilance di precisione, mortai, vetreria, fiale e perfino un microscopio di provenienza olandese, mensole e armadietti pieni di composti chimici e vasi che non avevano trovato posto nel lato aperto al pubblico. Si era risolto a spostarsi nella stanza accanto, la cucina che serviva l’appartamento dove conduceva la stretta rampa di scale che saliva al piano superiore, dove Sally aveva frettolosamente sgomberato il tavolo. La fermò prima che potesse coprirlo con un lenzuolo, così da evitare macchie di sangue che potessero mettere nei guai la padrona di casa nel dubbio ma sempre possibile caso le autorità decidessero di fare un’ispezione: aveva notato come non si fosse ancora lavata le mani dopo aver finito con il pesce. Molly fu più veloce di lui a spedirla fuori intimandole di non toccare niente e nessuno finchè non avesse fatto pace col sapone.
L’ufficiale non si curò delle proteste della creola così come non si curava di quanti colleghi medici consideravano la sua ossessione per la pulizia come una stramba convinzione priva di fondamento.
La scarica di adrenalina non aveva fatto miracoli solo alla gamba, notò recuperando da un piattino un pezzo di sapone scivoloso senza alcun problema, la sua mano non tremava e la presa era salda. Nemmeno il minimo tremore.
Si fece dire dove trovare gli strumenti chirurgici, immergendoli in acqua calda e alcol. Durante gli anni di servizio come medico di bordo aveva escogitato quel sistema, scoprendo che anche con del semplice rum strofinato sugli attrezzi oltre che sulla parte lesa il rischio di infezione calava sensibilmente. Aveva potuto constatare la differenza coi metodi di altri, come Stamford. Per una buona parte dei suoi pazienti sopravvivere all’intervento significava poi morire di setticemia. Da quando gli aveva imposto di disinfettare tutto prima di cominciare, da se stesso ai ferri passando per il paziente, i morti erano calati della metà.
Finì di allestire il vassoio che coprì con alcuni tovaglioli trovati in un cassetto. Per quanto magari un pirata non si meritasse troppe cerimonie, lui si considerava una persona civile quanto bastava da usargli la cortesia di non presentarsi con tutta la sfilza di roba che intendeva usare in bella mostra.
Dal tavolo alle sue spalle provenivano secche risposte, proteste, le esclamazioni soffocate di chi non vuol dar spettacolo e accuse di vario genere. Le liti coniugali erano e sarebbero sempre rimaste le stesse, poco importava chi erano gli sposi in questione o quanto poco sembrassero effettivamente due sposi. Già il solo fatto che Holmes le permettesse di dir la sua senza zittirla e basta come faceva gran parte dei mariti era indice di che relazione singolare si trattava.
John li ascoltò discutere, indeciso se fosse il caso di intromettersi o lasciare che risolvessero fra loro. Avevano divergenze riguardo l’anestesia, uno pretendeva “il solito” e l’altra non voleva accontentarlo perché “c’erano già passati”. Ricordò l’incontro della sera precedente, nei pressi della fumeria clandestina. Il tabacco non doveva essere l’unico vizio del pirata.
Affrontare un’operazione simile del tutto cosciente però non era neanche da prendersi in considerazione, per cui alla fine l’ebbe vinta lei riuscendo a fargli bere la modesta quantità di laudano che gli aveva diluito in un bicchiere d’acqua. Sufficiente a distrarlo dal peggio, ma meno di quanto sarebbe servito a stordirlo del tutto.
-Sally, acqua, bende nuove e stracci per favore- ordinò la farmacista, aiutando Sherlock a togliere la camicia zuppa di sangue e cominciando a pulire le ferite con dell’alcol che doveva bruciare parecchio se la smorfia sul volto del pirata era di qualche indicazione, per poi lavarsi ancora una volta le mani allo stesso modo del medico che non mancò di notare quel dettaglio. L’aveva già fatto altre volte e si vedeva dalla sicurezza dei suoi gesti, anche se non capiva come avesse potuto una donna studiare medicina se non veniva concesso loro di iscriversi in nessuna università. Osservò la quantità di lavoro che aveva davanti e la sentì aggiungere –Anche una candela, un ago e filo, avremo un bel po’ di ricamo da fare qui-
Estrarre la pallottola era stato semplice, un paio di mani in più e qualcuno che sapeva cosa farci tornava sempre utile quando bisognava fare lavori delicati. Soltanto non aveva preventivato che quella minuscola pallina di metallo era arrivata così in profondità da ledere il polmone. Tolta quella, il sangue si era riversato lì silenzioso e indisturbato mentre si concentravano sulle altre schegge sparpagliate tutt’intorno. Se ne accorsero solo quando il pirata aveva preso a sudar freddo, i respiri affaticati caratterizzati da un suono bagnato che non faceva ben sperare.
-Bisogna drenare il sangue, o è tutto inutile- decretò John, e scoprendo che non c’era mai stato bisogno di simili interventi la farmacista non aveva alcuno strumento adatto dovette ingegnarsi –Se avete una fialetta di vetro sottile posso improvvisare-
Molly era nervosa –L’avete già fatto altre volte?-
John annuì –Una soltanto- disse, decidendo d’esser onesto.
All’epoca il suo paziente non era sopravvissuto. Era una ferita troppo grave ed erano ancora nel mezzo della battaglia, non aveva avuto né il tempo né gli strumenti per salvarlo. Stavolta aveva fatto tutto con calma e a mente lucida, in condizioni ottimali, doveva necessariamente andar meglio.
La giovane però era restia a dargli il consenso.
-Lascialo provare…- aveva mormorato flebilmente Holmes. Molly non aveva osato contraddirlo a quel punto.
Avevano inciso il vetro con un bisturi, usando la fiamma della candela per romperlo mantenendo bordi netti e taglienti. Il medico trovò il punto migliore dove inserire la cannula improvvisata in pochi attimi –Farà male- avvertì, non volendo infilzarlo a tradimento e magari sentendosi dare pure del macellaio.
Prese un respiro, sforzandosi di parlare –E finora faceva bene…?-
John sentì un mezzo sorriso farsi strada sulle sue labbra e scosse la testa fra sé. Chissà perché aveva sospettato che fosse il tipo capace di fare dello spirito pure se stava lì in equilibrio sull’orlo della fossa. Quello fu il punto in cui il dolore e l’emorragia avevano vinto sulla resistenza. Holmes aveva perso i sensi, permettendo loro di finire di medicarlo senza ulteriori complicazioni.
 
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L’abitazione era più che soltanto decorosa. Mancava lo sfarzo e l’ostentazione tipici dell’alta borghesia di città, eppure non era difficile immaginare che chi abitava lì se la passasse bene. Il mercato dei medicinali non conosceva crisi e permetteva ottimi guadagni. Nonostante gli ambienti ristretti era accogliente, con le tende raccolte in ampi drappeggi abbinate alla tappezzeria di divani e poltrone e i fiori alle finestre. Non mancavano nemmeno oggetti di provenienza meno lecita frutto dei saccheggi di Sherlock, un paio di quadri, un arazzo francese, ninnoli sparsi un po’ dappertutto, tappeti orientali e un pianoforte trafugato da chissà quale ricca dimora, coi tasti in avorio ed ebano e gli intarsi di madreperla.
Dopo aver steso Sherlock sul letto della camera padronale, Molly gli aveva lasciato una brocca accanto al catino per lavarsi, un rasoio se avesse voluto darsi una sistemata e una camicia pulita con cui cambiarsi, posata sul baule ai piedi del letto accanto a cui stavano gli stivali del pirata e la sua sacca da viaggio. Per quanto fosse tentato di curiosare, e vedere perché la borsa dava l’idea di esser pesante, resistette. Si era reso presentabile con i pochi gesti spicci di un militare che ha sempre il tempo contato per far tutto, esitando appena quando fu il momento di rivestirsi. Era un indumento ampio di cotone nero, confezionato per esser prima di tutto comodo, fresco di bucato e della lavanda con cui era stato riposto per tener lontane le tarme. Gli faceva un certo effetto indossare gli abiti di un altro, sentirseli estranei sapendo che erano stati confezionati per adattarsi a un corpo diverso dal suo.
Rimboccò gli orli nei pantaloni, lo sguardo perso nel riflesso dello specchio. Il pirata era immobile, privo di sensi. Ed era quanto di più meraviglioso gli fosse capitato di vedere nella sua vita. Senza alcuna stoffa a coprirlo poteva osservare l’estesa collezione di disegni incisi nella carne, che occupava entrambe le braccia, dai polsi alle spalle. Strinse i pugni, desideroso di toccare e percorrere ogni centimetro di quella pelle trasformata in tela da svariati, per non dir fortunati, artisti. Voleva quello stesso diritto, poter saggiare con mano se davvero era setosa come sembrava. C’era sempre stato qualcosa a impedirgli di toccarlo direttamente, gli abiti prima e il metallo degli strumenti poi.
Aveva visto molti portare tatuaggi, donne e uomini, marinai e soldati, criminali e onesti cittadini. Ognuno di loro aveva avuto i suoi motivi per prendere la decisione di segnarsi a vita, anche se non tutti erano disposti a raccontare quale. Si domandava che motivo avesse il pirata di farsene così tanti. Avrebbe risposto se mai glielo avesse domandato? Ognuno aveva un significato preciso? Qualche tipo di prova di coraggio o una dimostrazione di quanta sopportazione aveva del dolore? Alcuni erano così complessi da aver sicuramente richiesto diverse sessioni per essere completati, occorreva forza di volontà per sottoporsi al continuo tocco invasivo dell’ago e al bruciore dell’inchiostro nella ferita aperta nei giorni a seguire.
A differenza di molti marinai e pirati però, Holmes si asteneva totalmente dai soggetti religiosi preferendone di più decorativi. Molti fiori, un paio di frasi latine e probabilmente un esempio di calligrafia orientale, un dragone dall’aspetto serpentino, alcuni motivi geometrici, un teschio circondato da rose, un motivo esagonale che ricordava un alveare che prendeva parte della spalla su cui spiccava un’ape, curiosamente anche una rappresentazione perfetta della costellazione dell’Orsa Minore, della quale il tatuatore aveva riportato il nome delle stelle principali marcando per bene ogni lettera ed evidenziando la Stella Polare, che doveva avere davvero un ottimo motivo per essere segnata proprio sull’avambraccio ad altezza occhi.
Di tutti però furono altri due disegni ad attrarre maggiormente la sua attenzione. Uno era semplice, una specie di bislacco asterisco decorato da glifi geometrici simile ad alcune delle incomprensibili rune dei temibili invasori vichinghi che ancora si potevano osservare in giro per l’Europa, sul braccio destro, di poco più in alto rispetto alla cicatrice rilevata lasciata dal ferro rovente. Aveva un colore bluastro, a indicare che inizialmente per ottenere il nero era stata usata cenere o fuliggine al posto della normale china e che era vecchio di anni. Nessuno degli altri tatuaggi aveva la stessa usura, il che lo portò a immaginare che fosse stato il primo in assoluto. L’altro era forse il più recente, guarito da poco, una piccola opera d’arte. Seguiva perfettamente la linea snella del fianco sinistro dalla vita fino alla coscia, alcuni dettagli celati sopra dalle bende e sotto dai pantaloni. Era insolito perfino per lo stile nipponico: una sinuosa lontra vestita con i succinti panni delle pescatrici di perle locali raffigurata a testa in giù impegnata nella stessa attività.
-Se disturbo ripasso dopo…-
John trasalì di spavento. Ferma sulla soglia c’era Sally, braccia conserte e un’espressione amichevole tanto quanto il suo commento impudente. Spiegò d’esser salita ad avvertire che potevano offrirgli il pranzo, se voleva fermarsi fino a sera aspettando di far calmare le acque.
Non poteva crederci, aveva continuato ad avvicinarsi al moro senza minimamente rendersene conto. Come l’ago di una bussola, inesorabilmente attratto verso il nord senza potersi opporre. Se non fosse arrivata la scostante cameriera di casa che avrebbe fatto, avrebbe proseguito fino a ritrovarsi sul letto a sua volta? Mise subito un po’ di distanza tra lui e la figura ancora profondamente addormentata, fingendo di non aver appena fatto una ben magra figura.
-Datemi retta- disse seccamente la donna, tornando bruscamente sui suoi passi come si avesse appena ricordato qualcosa –State lontano da Sherlock Holmes-
-È una minaccia?- volle sapere, gelido, raddrizzando la schiena quasi inconsciamente per mostrarsi in tutta la sua statura, lasciando parlare John Watson il soldato. Se fosse stato a bordo della sua nave, una tale palese mancanza di rispetto sarebbe costata almeno una notte al fresco al marinaio di turno.
-Un consiglio- chiarì lei, per nulla intimorita dal cambio d’atteggiamento del biondo –State prendendo una rotta pericolosa, signore, ci sono mostri lì-
-Considerami avvertito- replicò, congedandola altrettanto duramente –Immagino tu abbia da fare, non ti farò perdere altro tempo-
 
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Verso sera era tornato alla Northumberland, aggiornando i registri e controllando lo stato dei rifornimenti. Fu sollevato di notare come la sua assenza non avesse influito poi molto sulla disciplina, nulla era fuori posto e i turni di lavoro erano stati rispettati come sempre. La notizia della sua bravata però aveva già fatto il giro di tutto l’equipaggio. Dal primo ufficiale fino all’ultimo mozzo, tutti avevano saputo della scaramuccia in cui era rimasto coinvolto e parevano fieri di come il loro capitano fosse riuscito a tener testa alle truppe del cattolicissimo Re Ferdinando.
E l’umore a bordo migliorò ancora quando venne annunciato che aveva fermato un noto fuggitivo dalla giustizia. Meglio così, si disse, nessuno aveva avuto da ridire alla notizia di doversi muovere di primo mattino fino alla farmacia che aveva indicato. Tutt’altro, aveva dovuto intervenire per riportare l’ordine e scegliere di sua iniziativa chi doveva far parte del drappello che avrebbe preso in custodia Holmes perchè erano talmente tanti quelli desiderosi di partecipare che la discussione era presto degenerata.
I casi erano due: o tutti quanti avevano dei conti in sospeso da regolare, cosa di cui dubitava, oppure Holmes era davvero conosciuto ed esser presenti il giorno del suo arresto era qualcosa di cui potersi vantare nei mesi a venire, un uso comune quando si trattava di briganti o pirati celebri. Propendeva più per la seconda ipotesi, da quando aveva dato l’annuncio era cominciato un susseguirsi di storie raccontate in rapida successione invece delle chiacchiere che accompagnavano la cena, ognuno giurando su quello che aveva di più caro di star raccontando il vero. Dunque si spiegava come mai il pirata voleva ridurre al minimo il materiale utile per imbastire ulteriori dicerie sul suo conto: quelle che già circolavano trovava che fossero sufficienti.
John si ritrovò ad ascoltare con oziosa curiosità non avendo mai sentita alcuna di quelle storie, forse perché preferiva astenersi dal frequentare il tipo di locali in cui si era soliti narrarle. E trovava che fossero per buona parte inverosimili, per tacere di quelle davvero assurde . C’era chi raccontava avesse origini nobili inventandosi addirittura parentele reali e che con le sue belle maniere non avesse mai avuto bisogno della violenza per conquistare i suoi bottini, chi invece era decisamente più fantasioso e attribuiva la sua avvenenza al fatto che fosse figlio di una creatura marina innamoratasi di un essere umano al punto da seguirlo sulla terraferma. Esistevano diverse versioni a riguardo, una per ogni povera creatura dalle fattezze femminili avesse la sfortuna di vivere nell’oceano.
Era intenzionato a restare a bordo appena il tempo necessario, non volendo rischiare di tornare indietro solo per scoprire di essersi fatto sfuggire Holmes da sotto il naso. Anche nel suo stato debilitato avrebbe ugualmente tentato di far perdere le proprie tracce, i suoi uomini certo non sarebbero stati con le mani in mano e Molly Hooper avrebbe fatto quanto era in suo potere per coprirgli la fuga.
Prese a scartabellare fra i vari avvisi di taglia che conservava nello schedario della sua cabina, sapendo che da qualche parte doveva esserci anche quello del capitano appena catturato. Ne aveva ben due, uno stampato privatamente per conto della Compagnia delle Indie. John restò lì con quei due fogli in mano e una mezza intenzione di andare a farsi prestare un paio di occhiali, sicuro di averne bisogno perchè cominciava a leggere una cifra per un’altra. La Corona non si esponeva più di tanto promettendo non più di centocinquanta sterline per la cattura di William Sherlock Scott Holmes più noto come Sherlock o “Lock il Nero”, il soprannome che gli aveva guadagnato la sua dimestichezza con i grimaldelli. Una cifra tutto sommato onesta, nella media delle taglie adatte a quelli che venivano considerati dei pezzi grossi della pirateria caraibica. Dal canto suo la Compagnia era disposta a sborsare una somma che sconfinava ampiamente nell’osceno, trecento pezzi d’oro solo per la sua testa e cinquecento per chi fosse stato capace di consegnarlo ancora in vita. Aveva quasi timore di scoprire per quale crimine avessero deciso per quella somma, considerato che neanche il Re aveva il dente così tanto avvelenato nei suoi confronti. Con una cattura così poteva già cominciare a pensare che “Commodoro Watson” suonava decisamente bene.
Sedeva allo scrittoio, la penna in mano e davanti un foglio bianco che non riusciva a riempire. Immerse il pennino nel calamaio, stringendosi stancamente le tempie: l’immagine di quel corpo esanime e indifeso ancora vivida nella sua memoria era una fastidiosa stilettata al cuore. Il trentenne ferito che aveva lasciato in quella casa somigliava a malapena a quello che si era ripromesso di catturare nei bassifondi.
Durante la sua silenziosa ammirazione non aveva potuto fare a meno di ricordare una bambola che era appartenuta a sua sorella. I lineamenti fini, il viso innocente… il parallelo con una cosa eterea che poteva andare in mille pezzi se maneggiata senza le giuste precauzioni calzava spaventosamente a pennello.
Scosse la testa: innocente lo era stato magari da bambino, indifeso forse non lo era neanche quando dormiva e lui doveva smetterla di farsi distrarre in modo così poco professionale. La sua pelle poteva anche essere porcellana, si disse cominciando risolutamente a scrivere le prime righe del mandato, ma sotto si nascondeva insidioso acciaio.
 
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La casa di Molly era silenziosa, le scale scricchiolavano quiete mentre si orientava nella semioscurità rotta dal chiaro di luna che illuminava parti dei mobili in una delicata luce argentea ottima per evitare di inciamparci. Aveva potuto usare la porta principale perlomeno, risparmiandosi di dover fare il giro dai locali di servizio perennemente stipati di roba e pessima scelta di percorso se non vedeva dove andava.
Aveva dovuto farsi strada da sé, nonostante l’ora non fosse ancora così tarda della cameriera non v’era traccia da nessuna parte. Ci arrivò dopo, ragionando su come la facciata sopra al cosiddetto piano nobile con tanto di poggiolo fiorito affacciato sulla via, non aveva né un secondo piano nè alcun abbaino che facesse pensare a una stanza nel sottotetto. La cameriera dunque non era la cameriera, anche se aveva familiarità con quella peculiare casa e i relativi abitanti.
Dalla porta accostata della camera da letto veniva la fioca luce dorata di una lampada a olio e le voci dei due sposi. Restò nell’ombra accanto allo stipite, origliando e vergognandosi come un ladro. Non aveva alcun diritto di impicciarsi nella loro vita privata, specialmente dopo l’increscioso episodio di poche ore prima in cui aveva seriamente corso il rischio di mancare di rispetto alla padrona di casa seguendo la sua egoistica attrazione, ma doveva attenersi alla legge e assicurarsi che non stessero tramando qualcosa.
Un lamento a mezza voce indicò che Sherlock era sveglio, il telaio di ferro battuto tutto ghirigori del letto gemeva di disappunto mentre si spostava faticosamente. I passi affrettati di Molly e un morbido scricchiolio di piume sprimacciate. Doveva aver aggiunto dei guanciali per permettergli di stare comodamente seduto.
Si azzardò a sbirciare. Lui era come l’aveva lasciato, ancora leggermente intorpidito dalla droga ma tutto sommato lucido per sostenere una conversazione, con l’unica differenza delle bende macchiate. Quel movimento non previsto doveva aver tirato qualche punto, lasciando fluire il sangue. Affondò fra i suoi cuscini, restando per pochi attimi a occhi chiusi e con la testa rovesciata all’indietro nella tipica posa di chi ha appena avuto un capogiro.
Molly aveva aspettato gli passasse, sedendosi sull’altra piazza del materasso nella sua svolazzante camicia da notte di pregiato batista immacolato. Recuperò una ciotola di coccio dal comodino, simile a quelle in cui aveva consumato quell’ottima zuppa di pesce a pranzo, insistendo che mangiasse per nulla toccata dai commenti seccati che riceveva in cambio della sua preoccupazione come se ci avesse fatto l’abitudine da tempo.
Sherlock da parte sua non era felice del gatto che aveva preso a strofinarsi intorno alle sue cose -Fa’ spostare quella palla di pelo molesta…-
-Toby!- corresse lei, evidentemente affezionata all’animale.
-… il suddetto felino dai miei stivali- rielaborò il pirata, più gentilmente, vedendosi piazzare in mano la scodella avendo appena fornito alla farmacista un’ottima scusa per rifilargliela a tradimento.
John l’aveva ascoltata ridacchiare sottovoce, sporgendosi a sollevare il gatto per metterselo in grembo prendendo a coccolarlo. Era più seria ora –Non sono nata ieri, Sherlock-
-Non mi permetterei mai neanche di pensarlo-
-Allora perché non dirmi che quello era un capitano di Marina?!- scattò lei, quasi gridando –Ti ho sentito quando hai disposto gli ordini per domani, il tuo nostromo ha diritto di sapere le cose e io no?-
Sherlock diede uno sbuffo annoiato -Conoscendo la tua facilità alle ansie inutili, pensavo di fare i tuoi interessi sorvolando sui dettagli-
-Oh, bene, ospito uno di quelli che ti vuole morto ma mi preoccupo per niente…-
-Esattamente- confermò il pirata –L’ultima cosa che mi serve adesso è tu gli vada incontro a spada tratta. Non siamo più all’università, dove potevi farmi da secondo quando gli idioti come Wilkers mi sfidavano un giorno sì e l’altro pure per una deduzione di troppo-
Lei restò in silenzio, le dita affondate nella soffice pelliccia del gatto. Non seppe restar seria –Era divertente però, ricordo ancora la faccia di Sebastian quando mi ha fatto saltare un bottone-
Il biondo si allontanò dallo stipite, temendo di esser stato sorpreso a ficcanasare. Dalla stanza però venivano risolini soffocati mentre ricordavano quell’episodio in cui lo sfidante si era accorto di esser stato sconfitto da una donna indignandosi oltremodo. John sentì un’istintiva simpatia per il povero ragazzo che pensando di difendere il proprio onore si era visto prendere in giro due volte… dunque Holmes aveva aiutato quella che era attualmente sua moglie a travestirsi da uomo per poter frequentare le lezioni, e non considerandosi soddisfatto per meglio sfregiare la morale pubblica aveva pure accettato di insegnarle a tirar di spada arrivando a permetterle di duellare al posto suo se riteneva di esser stato sfidato da qualcuno che non meritava la sua considerazione.
Finita la sua cena, il pirata aveva preso a studiare un pendente raccolto dal portagioie sul comodino –Hai un nuovo corteggiatore, è evidente anche se nascondi i suoi regali- dedusse osservando il piccolo pegno d’amore, ma senza alcuna gelosia -Lo conosco?-
-Cielo, spero di no!- scherzò la giovane, ridendo di gusto mentre scostava i capelli -Quando un uomo ti conosce, per la mia vita sentimentale sono sempre cattive notizie-
Sherlock aveva sorriso a sua volta, tenendole il gioco –Non è detto, anche oggi si trattava di qualcuno che mi conosce e a dispetto di tutto è sulla buona strada del matrimonio- le allacciò la collana –Il tuo buonumore è notoriamente difficile da guastare, mi sento di poterti informare che non ha intenzioni così serie-
Molly aveva incrociato le braccia al petto, come a volerlo sfidare –Ah, no, stavolta è davvero impossibile. È nella Marina mercantile. Dovresti leggere cosa mi scrive, mi porta regali da posti esotici… e non fa esperimenti sul gatto!-
L’altro aveva sorriso –Bene, allora spiegami per quale motivo impegnarsi per camuffare della comune tormalina blu facendola tagliare e incastonare così da poterla spacciare per zaffiro se è un capitano che ha buoni profitti. Peccato, sarebbe stata la volta buona per firmare il benedetto divorzio-
La pungente deduzione gli era costata un buffetto, anche se con tutti i riguardi del caso. Ci fu un commento su come non sarebbe riuscito a liberarsi facilmente dal vincolo coniugale, al che rispose in modo piuttosto colorito su come alla fine l’avrebbe comunque vinta lui, perché dati gli ultimi avvenimenti poteva sempre riservarsi di lasciarla vedova.
-E tu allora? Sally aveva voglia di spettegolare prima di tornare alla Baker- fece la farmacista, preferendo non pensare alla situazione corrente e cambiando quindi argomento, in un tentativo di scherzare –Capitan Watson non riusciva proprio a toglierti gli occhi di dosso oggi-
-Vorrei ben vedere, dopo tutta la fatica che ha fatto per prendermi!- si schermì lui –Sarebbe antipatico se gli morissi prima-
-Intendevo dire, dopo Victor…- nel pronunciare quel nome mimò un paio di virgolette.
-La tua fantasia diventa più fervida di anno in anno. Conosci perfettamente che tipo di rapporto c’è tra lui e il sottoscritto- la fermò Sherlock, facendo intendere di non gradire la piega della discussione –Per quanto riguarda il caro Watson l’unica cosa di me che potrebbe interessargli è la mia taglia così da mettersi da parte una buona pensione per ritirarsi nell’agognata monotonia della vita domestica con una certa Mary. Come vedi, se anche fossi solito darmi alle sciocchezze sentimentali è chiaro che siamo su sponde diametralmente opposte, e tutto fa pensare che sulla sua ci si trovi più che bene-
L’ufficiale uscì sulla veranda nella placida notte tropicale profumata di gelsomino in fiore, in preda a sentimenti contrastanti. Si poteva provare avversione e ammirazione per la stessa persona? E poi quell’animosità nel parlare di lui, lo sguardo di sottecchi e la smorfia sprezzante del tutto inconscia nel solo pronunciare il nome della sua promessa sposa…
Gironzolò fra i vasi e le aiuole, ancora piacevolmente inebriato dalle ritrovate capacità motorie, provando a trovare una risposta logica. Se avesse udito un simile discorso da una donna, avrebbe pensato a un impeto di gelosia. Ma appunto, trattandosi di un uomo non capiva il motivo del suo scatto infastidito. Aveva già un anello al dito in senso figurato, fra i tanti veri e propri neanche uno che somigliasse a una fede, e non vedeva l’ora di sfilarselo… che senso aveva che s’andasse a crucciare per i matrimoni che volevano contrarre gli altri?
La finestra della camera da letto, quella affacciata sull’orto, era un baratro nero pece. Avevano spento il lume. John se li immaginò a condividere il talamo, ma nella sua mente andava formandosi un’immagine ben poco romantica dopo la discussione appena ascoltata. Non un abbraccio, un minimo cercarsi nell’oscurità. Era chiaro che erano solo buoni amici, incappati nella pratica piuttosto odiosa del matrimonio combinato tanto cara alle famiglie ricche per salvaguardare gli interessi, che s’erano decisi a vivere la propria vita e lasciarla vivere all’altro senza stare a farsi la guerra inutilmente. Anche doveva ammettere era la prima volta che vedeva i ruoli invertirsi. Le mogli erano quelle che pativano di più in quel tipo di unioni, Molly al contrario pareva non essere infelice ai livelli di Sherlock.
Ritenendo scongiurato il pericolo di una fuga, si ritagliò un buon paio d’ore di meritato riposo. Era stata una giornata pesante eppure se ne rendeva conto solo adesso. Si appisolò nella sua cabina, senza disturbarsi a infilarsi sotto le coperte. I sogni insanguinati che lo perseguitavano nel sonno dissolti, diradati come nebbia al primo sole. Dormì serenamente, rimembrando una caletta sassosa circondata da rocce scoscese non troppo lontano dal villaggio in cui era cresciuto e dove andava a rifugiarsi quando gli serviva un posto che fosse solo suo. Nel sogno non era solo ad ascoltare lo sciabordare delle onde che s’infrangevano a riva, sul basso fondale una lontra era tutta presa a raccogliere ostriche e infilarle nella sua borsina fatta di rete. Era a caccia di perle.
 
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Attendeva nell’angolo, rigidamente impettito nella sua impeccabile uniforme blu da capitano, una mano che riposava sull’impugnatura dorata della spada appesa al fianco pronto a sfoderarla a ogni movimento sospetto.
Di nuovo uno strappo alle regole, pensò amaramente ricordandosi del poco polso che aveva saputo dimostrare. Da quando in qua ai pirati si permetteva un colloquio privato? Anzi, da quando ai pirati si accordavano certi favori per pura bontà di cuore e basta.
E invece eccolo lì a mordersi l’interno delle guance, ad aspettare i comodi di Holmes che se n’era uscito con la bella idea di domandargli la cortesia di far aspettare gli altri fuori dalla stanza per fargli sistemare certi affari con i suoi consociati. Testuali parole, voleva sistemare i suoi affari prima di andare. Neanche fosse un mercante che vuol dare le ultime indicazioni su quanto investire in cosa prima di uscire e andare al club. Oh, e come dimenticare l’adorabile faccia da cucciolo bastonato che aveva messo su intuendo di stare per ricevere un sonoro, giustificatissimo “no”… chi l’avrebbe detto che sarebbe finito a farsi muovere a compassione da un simile manipolatore che riusciva a fargli fare sempre ciò che voleva.
-Dobbiamo proprio parlare con lui qua dentro?- aveva domandato un uomo dai capelli argentei di cui il moro tendeva sistematicamente a sbagliare il nome, che pareva una persona onesta e rispettabile. Doppiamente più anomalo del suo capitano, in pratica.
Accanto a lui, una Sally ora irriconoscibile dall’esotica indigena del giorno precedente con quel miscuglio di frusti abiti maschili indosso, si unì alle rimostranze. Se dovevano discutere dovevano farlo fra loro senza mettere di mezzo la Marina.
John sentì montare il nervoso –E la grazia che vi faccio a lasciarvi parlare, un altro avrebbe già rinchiuso tutti e tre- scoccò un’occhiataccia al giovane che ancora si gustava la sua tazza di tè al latte senza troppa fretta –Se tu e il resto della tua associazione a delinquere avete finito…-
-Ovviamente non abbiamo finito- rimarcò sardonicamente Sherlock –Voi due piantatela di distrarvi e pensate al vostro lavoro piuttosto. Ho lasciato un appunto sulla scrivania, è la baia dove aspetta il mio contrabbandiere. Se sbagliate rotta stavolta siete pregati di prendetevela con la vostra incapacità e non con la mia calligrafia. Andate, gli consegnate la mappa, gli dite che deve passarla a mio fratello e Donovan per l’amor del cielo evita di far aprire bocca ad Anderson o non posso garantire la sua integrità fisica. Quello sarà già abbastanza seccato di essersi dovuto spostare così a sud senza aggiungerci l’idiozia endemica del tuo compagno-
Dovendosi trovare qualcosa da fare nell’attesa, John aveva preso a studiare il suo nuovo aspetto. Non era il solo ad essersi messo in ghingheri quella mattina. Avendo trovato Sherlock trasandato nel vestire, non si era soffermato a considerare che forse era solamente sbarcato da poco quando l’aveva incontrato e quelli che gli aveva visto erano gli abiti che metteva per tutti i giorni, quando aveva bisogno di star comodo e lavorare senza doversi preoccupare di poter rovinare quel che indossava.
Si era rasato, i ricci che sfuggivano alla bandana da ogni parte erano vaporosi non più rigidi di sale e s’era cambiato d’abito. Così conciato aveva davvero l’aspetto di un vero capitano pirata, con una certa aria di studiata trascuratezza. Aveva attillati pantaloni neri infilati nei suoi soliti stivali e una camicia di fresco lino color avorio talmente leggero da rivelarsi semitrasparente se si metteva controluce, dal profondo scollo a v con una fila di minuscoli bottoni di madreperla che non aveva allacciato fino in fondo lasciando intravedere parte delle fasciature che gli costringevano il torace e alcune collane: un semplice laccetto nero di cotone cerato con un dente di squalo, che John non voleva assolutamente sapere in quali circostanze aveva rimediato, una collanina sottile con un ciondolo sferico minuziosamente filigranato solitamente usato dalle donne come porta essenze e una massiccia catena d’oro il cui pendente restava nascosto dalle pieghe del tessuto. I fianchi avvolti da una lunga fusciacca viola proveniente dall’India facilmente riconoscibile per l’elaborata decorazione tradizionale e ornata di frange che era stata annodata sul fianco destro per forza dell’abitudine a tenere la sinistra libera essendo il lato dove doveva trovar spazio il fodero, e aveva diverse cinture lasciate volutamente più o meno lasche in cui aveva infilato tutte le sue armi. Il cappotto non l’aveva ancora indossato solo perché Molly stava finendo di rammendarglielo, seduta lì accanto in uno dei suoi soliti graziosi abiti di mussola dalle tinte pastello.
-Sbagliato signorino, la mappa è in buone mani e verrà dal governatore con noi- gli ricordò John, sicuro di essersela messa in tasca quando erano fuggiti dal forte. Sospirò frustrato a scoprire che invece il pirata se n’era impossessato nuovamente -… dimmi che mi è caduta e l’hai solo raccolta, ti prego dimmi che non hai fatto quello che penso- gli suggerì, sperando di non sentirsi dire altro.
-Mi sembra ovvio, ti ho borseggiato mentre eri impegnato a guardare l’idiota a cui ho sparato e non te ne sei minimamente accorto- confermò imperterrito Sherlock, in tono piatto e monocorde –Sarai senz’altro la gioia dei borsaioli quando sei per strada…-
Respira John, resta calmo, pensa alle cinquecento sterline… se lo ripeteva come un mantra, l’unico modo per calmarsi dopo quella frecciata e non pensare che senza dubbio stava per sentirne molte altre lungo la traversata per arrivare in Giamaica. Se ci fosse arrivato senza strangolarlo durante il viaggio avrebbero dovuto farlo santo subito.
Intanto che sbolliva la stizza chiedendosi per intercessione di quale santo in particolare la sua ciurma non gli si fosse ancora ammutinata contro essendo chiaro che il suo atteggiamento con loro non era tanto diverso, Sherlock aveva continuato a tener banco.
-Fate uno striscio alla mia nave e vi mando dai pesci uno per uno. E Gavin- all’ennesima correzione da parte del diretto interessato rispose con un gesto noncurante –Quello che è, se pescate Wiggins con le mani nella mia scorta segreta, di nuovo, sei autorizzato a tagliargliele-
-E come facciamo a sapere che ha messo le mani nella tua scorta se è segreta?!- s’infervorò Donovan.
-Barcamenatevi- la liquidò lui senza mezzi termini –Domande?- nessuno fiatò –Dando per scontato che abbiate capito come al solito, ovvero niente, un’ultima cosa…-
Si sfilò dal collo la catena preziosa, e John potè finalmente risolversi la curiosità di sapere quale pendente necessitasse di una collana tanto massiccia per sostenerlo. Era un cristallo di rocca purissimo, pressoché indistinguibile dal vetro, piatto e di forma circolare con una montatura d’oro. Quell’oggetto lo impressionò, lasciandolo a domandarsi che uso avesse. Troppo pesante per avere un fine unicamente estetico. Ipotizzò fosse una lente di qualche tipo, anche se il proprietario non dava l’idea di doverla usare vedendoci già piuttosto bene.
L’aveva lanciata all’uomo di nome Lestrade che l’afferrò impacciato e sembrò non capire subito che doveva farci. Interrogativo che risolse in due secondi –Mi hai appena nominato capitano?!- prese a insistere, dicendo che gli stava bene d’esser primo ufficiale e che doveva riprendersi il suo “pezzo da otto”.
John lo squadrò confuso. E chi aveva toccato soldi lì? Che fosse un qualche gergo piratesco?
-Alla Baker serve un capitano che non sia invalido, il viaggio richiederà una certa velocità e a bordo sarei più d’impiccio che d’aiuto- dichiarò Sherlock col tono inflessibile di chi non ammetteva repliche, ammorbidendosi poco dopo –Non fate quella faccia, so benissimo quanto vi piace l’idea di non avermi attorno per un po’. Andrà bene-
Greg annuì, riluttante –E che dobbiamo fare se non va bene…?-
-Rispettate il Codice- lo congedò Sherlock, sibillino, indossando il cappello e gettandosi il soprabito sulle spalle a mo’ di mantella. Gli bastò uno sguardo per comunicare al militare di aver concluso.
John attese appena il tempo necessario per permettere ai due pirati di allontanarsi, come previsto dal patto, prima di richiamare i suoi uomini. Nonostante l’ora mattutina il caldo era già eccessivo, tuttavia in quel salotto non si percepì altro che gelo quando le giubbe rosse fecero irruzione.
Sherlock si era fatto trovare sulla sua sedia, nella posa che assumeva quando rifletteva. Restò impassibile e distaccato alla lettura della chilometrica lista di accuse per le quali stava venendo condotto davanti alle autorità e non parlò se non per correggere il numero delle navi da lui abbordate, avendo la faccia tosta di segnalare come la stima fosse stata fatta per difetto. Al momento di alzarsi faticò non poco a causa del dolore al petto, restando però testardamente deciso a farcela da solo rifiutando ogni tipo di aiuto.
Per un attimo John considerò di ordinare che non fosse messo ai ferri, in riguardo alla sua salute. Si ritrovò davanti un cipiglio talmente fiero e altezzoso che si fermò immediatamente, ben prima che aprire bocca. Colse il sottinteso e lasciò che si seguissero le normali procedure, accordandogli la dignità che riservava agli avversari. Sherlock si lasciò condurre via di buon grado a quel punto, a differenza di quanto aveva fatto con gli spagnoli.
Aveva ragione, pensò John, erano ognuno dal proprio lato della barricata in quella guerra, la pietà era fuori luogo.






Angolino dell'autrice (evviva la fantasia)
Per quanto riguarda i tatuaggi di cui ho parlato in maniera approfondita:
Uno fa parte dei simboli magici tradizionali islandesi, che si chiama col semplicissimo nome di Vegvisir (non sono riuscita a mettere un'immagine ma su internet si trova tranquillamente) che secondo le credenze popolari servirebbe a far sì che chi lo porta sia sempre capace di orientarsi anche col maltempo. Mi è parsa un'aggiunta diversa dai soliti tatuaggi riconducibili ai marinai, ma ugualmente in tema.

La lontra (s)vestita da ama (le pescatrici di perle giapponesi) invece un po' deriva dalla mia leggera ossessione per le fanart cosiddette "Otter!lock" (amo le lontre, c'è poco da fare!) ma non solo. Le lontre nella cultura giapponese sono spesso umanizzate come le kitsune e i tanuki (volpi e procioni rispettivamente) e come loro sono ritenute animali mutaforma che si divertono a ingannare gli esseri umani e a dare risposte criptiche se interrogati. Come vedete, similitudini con il nostro bel detective ce ne sono poche... ^_^
Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che mi stanno leggendo e mi hanno lasciato una recensione, grazie di cuore ^_^

 
   
 
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