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Autore: skonhet    16/06/2017    2 recensioni
Alice dormiva. Sotto l’ombra di un vecchio salice, sul bordo scuro del Lago Nero, il suo corpo rilassato, scomposto, posava sopra un tappeto di foglie umide. Si era addormentata con l’odore acre del fogliame putrescente, melmoso, ora incollato alla divisa da diligente Grifondoro. Poi si era svegliata, intorpidita dal sonno leggero. Senza alzarsi, aveva steso il braccio sulla sua destra, strusciando il gomito sulla terra bagnata, e aveva raggiunto il blocco da disegno.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Paciock, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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L'ombra della tua ombra



Alice dormiva. Sotto l’ombra di un vecchio salice, sul bordo scuro del Lago Nero, il suo corpo rilassato, scomposto, posava sopra un tappeto di foglie umide. Si era addormentata con l’odore acre del fogliame putrescente, melmoso, ora incollato alla divisa da diligente Grifondoro. Poi si era svegliata, intorpidita dal sonno leggero. Senza alzarsi, aveva steso il braccio sulla sua destra, strusciando il gomito sulla terra bagnata, e aveva raggiunto il blocco da disegno.

Cominciò a sfogliare pigramente tutti gli schizzi, le bozze, i disegni che aveva completato in un anno. Le prime pagine erano un esplosione di composizioni floreali, le linee leggere, alcune pagine erano completate con delle ombre di acquerello, una gioiosa esplosione di vita. Ricordava di averlo cominciato a Maggio, le lezioni stavano finendo e poteva passare più tempo in mezzo alla natura che circondava il castello. Poi con il passare dei mesi, mutavano anche i paesaggi: le acque scure del Mare del Nord, a giugno; i campi dorati delle campagne italiane dove trascorreva le vacanze con i genitori, a luglio ed agosto; e poi era giunto l’autunno, Hogwarts.

Fu più o meno in quel periodo che i soggetti dei suoi disegni si omologarono.



In una di quelle prime pagine aveva scolpito su carta la linea netta dei fianchi di Sirius, il suo boccolo scuro che gli lambiva le spalle, l’acqua che lo stringeva tra le sue spire, lo inghiottiva. L’aveva ritratto di schiena, immerso fino allo stomaco nel Lago Nero, il volto misterioso dietro il nulla della carta. Ricordava di averlo visto sparire nell’acqua torbida, e in attimo le piccole increspature, che avevano circondato la sua pelle, avevano trascinato via un cumulo di foglie leggere che si erano lasciate alla deriva nel lago.

Poi ancora: Sirius seduto sotto un abete, un ginocchio teso e l’altro piegato, che questa volta la osserva con la testa inclinata. Aveva tracciato i capelli sfregando sulla carta la terra umida intorno al viso di Sirius, l’unico marrone che ne replicava l’esatta sfumatura. Era così concentrata da non rendersi conto che lui le si era avvicinato a sfiorarle piano una guancia, per metterle dietro le orecchie una ciocca di capelli sfuggita alla sua coda.
Alice ricordava di aver trascorso nottate intere a cercare di riprodurre l’esatta curva delle sue labbra, l’espressione sorniona. Il foglio si era consumato sotto le decine di cancellature e la mina dura della matita, finché il suo volto assunse un’espressione tetra, che però Sirius apprezzò molto “Inconsapevolmente, hai ritratto la mia anima” ridacchiò, quando lei gli mostrò il risultato, mortificata.



Sfogliava quei vecchi ritratti di Sirius, con un sibilo che le sfuggiva tra le labbra rilasciate, ogni volta che espirava. A lui erano piaciuti tutti, le chiedeva spesso di poterli vedere. Si complimentava con lei anche per i paesaggi che era solita ridefinire con i vecchi acquerelli, e le chiedeva spesso di tenerli per sé. Alice non riusciva davvero a tornare a quei vecchi soggetti. Erano così spenti, senza vita. Sirius le sembrava la cosa più reale e tangibile che avesse mai ritratto, e anche l’unica vera arte mai prodotta.


Ognuno di quei disegni lo aveva abbozzato già durante i loro incontri, nelle zone limitrofe e accessibili della Foresta Proibita. Tra i cipressi Sirius le aveva preso per la prima volta la mano, e ad Alice sembrò di non riuscire più a respirare spontaneamente. Su un letto di foglie si erano amati la prima volta, alle porte di ottobre, l’autunno appena introdotto. Sirius poteva giurare di non riuscire a distinguere i capelli di Alice con lo sfondo compatto di foglie putrescenti e melma. Si erano poi divertiti a sporcarsi il volto con le dita umide, e da quel giorno quell’odore non la lasciò mai.

Ma da quel momento Alice sperimentò anche qualcosa di molto diverso dall’amore. Notte dopo notte, trascorse a perfezionare i suoi disegni nell’obiettivo di farlo rassomigliare il più possibile a lui, scoprì di aver contratto una vera e propria ossessione.
Sirius la abbracciava lungo i corridoi di Hogwarts, le portava tè caldo in sala comune quando restava a studiare fino a tardi, l’aveva presentata a tutti i suoi amici lodandola delle sue abilità artistiche. Ma Alice continuava a pensare a quanto lui attraesse le altre ragazze. Le vedeva volgergli quegli sguardi lascivi, toccarsi i capelli, sfruttare ogni occasione per tentare di avvicinarlo, parlargli. Alice sentiva tutte le sue insicurezze scalpitare impazzite. Anche un saluto innocente sembrava irretirla.
“Lei è meglio di me” era diventato il suo mantra. Qualunque parola pronunciata da Sirius ad un’altra le pareva una promessa d’amore, un sottile messaggio in codice per conquistarla. E lei invece di reagire, lasciarsi travolgere dalla gelosia, si richiudeva umiliata, si accostava a Sirius, diventava l’ombra della sua ombra, sperava di sparire pur di non sentirsi schiacciata dalla sua stessa mente.

Le giornate si fecero improvvisamente cupe. Quell’atmosfera tenue che sempre l’aveva attratta dell’autunno, assunse il tetro sentore di instabilità. Durante le lezioni osservava le foglie cadere come cadaveri, volteggiavano lente, stanche di restare aggrappate al loro ramo. Cominciò a vedere la fine della loro storia, quando tutto, invece, prometteva un bel futuro. Sirius la vedeva spegnersi accanto a lui giorno dopo giorno, senza capire realmente cosa le stesse accadendo. Lei rimaneva impenetrabile alle sue domande e incapace di comunicargli le sue sensazioni. Era come un albero che dopo aver dato spettacolo con tutto lo splendore dei suoi frutti maturi, si fosse lasciato trascinare dal freddo autunnale e avesse lasciato marcire i suoi prodotti ancora non colti. Era un visione desolante, con la nostalgia dei giorni in cui era ancora solo circondato da boccioli, da promesse di fiori ancora vergini.
Lei d’altra parte sentiva di non essere in grado di confessargli ciò che provava. Lasciava che le mortificazioni che subiva la minassero giorno dopo giorno. Sentiva come se le sue insicurezze avessero edificato un muro impenetrabile tra loro due. Non sapeva come comunicargli di quelle insinuazioni che la atterrivano giorno e notte, facendole desiderare di non alzarsi più dal letto, pur di non confrontarsi con nessun’altra donna.

“Non sei abbastanza”
“Lui è troppo bello per stare con una come te”
“Dovresti lasciarlo avere le sue esperienze”
“Qualunque ragazza è più bella di te”


Di pari passo al suo animo, così anche i suoi ritratti si fecero tormentati. Sirius che sedeva tra le zucche di Halloween divenne un’ombra scura circondata da teschi ghignanti, che tendevano le ossa verso di lui. Sirius annoiato sui compiti, una mano a tenersi la testa, era un uomo rannicchiato su se stesso, il volto dilaniato dall’urlo muto che usciva dalla sua bocca, immerso in un eterno nero.
Ogni volta che si incontravano, Alice cercava e stringeva la sua mano spasmodicamente, lo guardava muta incapace anche di chiedergli di non lasciarla mai. Sirius non poteva che abbracciarla tentando di rassicurarla, spronarla a parlare, ma capiva che le sue parole erano vane. Lei cominciò a non credere più ai suoi “ti amo” e quando le diceva che la trovava bellissima. Si convinse che lo faceva perché aveva pena di lei. Il demone che la divorava da dentro la allontanò sempre più della realtà oggettiva. Vedeva cose che non esistevano, sguardi d’intesa ad altre donne che Sirius non lanciava. Si chiuse nel suo silenzio e si distanziò sempre di più da lui, che continuava a inseguirla disperatamente.



Alice sfogliava il blocco. I disegni angosciosi finirono per accavallarsi l’uno su l’altro. Trovò una pagina in cui aveva tentato di ritrarre decine di soggetti diversi, finché non fu un unico blocco scuro impossibile da distinguere. In alcuni punti aveva calcato tanto da strappare il foglio. Si avvicinava il tramonto, cominciava a fare buio, e sentiva la terra sotto di sé ancora calda mentre l’aria si raffreddava. Alcune pagine erano solo sporche di terra, il colore dei suoi capelli. Ricordava di aver tracciato cerchi infiniti col dito infangato mentre ripercorreva con la mente quanto fossero belli i capelli color grano della cacciatrice di Corvonero, come fosse sinuosa la curva dei fianchi della sua compagna di classe, come fossero tutte così magre ed eteree, con le loro gote pesca, e la pelle porcellana. Lei, invece, un insignificante scherzo della natura, una pozzanghera scura, non abbastanza.

Arrivò all’ultimo disegno. Lasciò di nuovo che il blocco cadesse a terra e riprese ad osservare il cielo, che si faceva scuro. La terra non emanava più alcun calore, e la sua immobilità aveva persuaso alcuni insetti a tentare di esplorare il suo corpo, ormai tutt’uno con le foglie e la terra. Era di nuovo autunno, era trascorso un anno.
Alice chiuse gli occhi ed evocò il giorno in cui si arrese, definitivamente.



Si incontrarono dopo giorni di silenzio. Sirius era diverso, faticava a guardarla negli occhi. Non poteva sopportare di vederla così. Percepiva la sua sofferenza come se fosse lui a provarla, vedeva i segni dell’insonnia scavargli il bel volto tondo, scorgeva ossa invisibili fino a quel momento. Non voleva guardarla, per timore che quell’Alice potesse soppiantare il ricordo dell’Alice felice, sana e innamorata che aveva conservato dentro di sé in tutti quei mesi. Il pensiero di renderla felice era stato per lui un sentimento così inedito, ci rifletteva sopra come un bambino entusiasta di una recente, seppur banale, scoperta. Invece per Alice quello sguardo era la prova che lui non potesse sopportare oltre la sua bruttezza. Sapeva che lui avrebbe esitato a farlo, così prese in mano la situazione e gli confessò che voleva interrompere la loro relazione.

“Sirius, non possiamo più stare insieme”

Era stata tutto il pomeriggio a bordo del lago, aveva le suole delle scarpe infangate. Emanava un odore penetrante di umido, quel profumo che si sente quando l’estate sta per finire e le giornate cominciano a farsi più corte. Sirius quando era bambino adorava quel momento dell’anno: a fine agosto si sedeva sulle grandi finestre di Grimmauld Place, le gambe penzoloni, e restava ad annusare quel sentore dolcissimo che gli annunciava il ritorno ad Hogwarts, la sua via di fuga da quella casa orribile. Sentirlo su di lei, in quei mesi, aveva significato per lui rivivere quel momento magico che sapeva di promesse, di speranza di un futuro più roseo.

Ma adesso, improvvisamente sentì che Alice puzzava di rancido. I capelli impregnati di umidità gli davano la sensazione inesorabile della fine. La guardò e non le sembrò più lei. Sembrava che la Alice taciturna e sorridente di cui si era innamorato, l’unica vera ragazza che l’avesse attratto per lo splendore che aveva dentro di sé, fosse marcita e mutata in quella donna spenta che lo fissava come inconsapevole.
Tentò di scuoterla, urlò di amarla, la pregò di tornare sui suoi passi, chiese disperatamente perché.
Ma lei restava inerme a fissarlo, come vuota, perché finalmente le voci si erano ammutolite. Non sentiva più nulla. Il tanto agognato silenzio era quanto di più prezioso avesse mai posseduto, persino più prezioso di lui. A quel punto si allontanò senza aggiungere altro. Il blocco dei disegni rimase accanto a Sirius, che incredulo la vedeva andar via senza voltarsi indietro.

Per molte settimane non si videro neanche da lontano. Alice frequentava regolarmente le lezioni, mentre lui sembrava essersi volatilizzato. Nessuno commentò la loro separazione: alcuni pensavano fosse già terminata tempo prima. Le capitava di sorprendere delle volte soltanto James fissarla più a lungo di quanto stabilirebbe l’etichetta, ma non era chiaro a cosa pensasse. Non le importava.

Qualche mese dopo avrebbe accettato l’invito di Frank Paciock ad uscire. Malgrado avesse timore, non ne derivò nessun genere di frustrazione. Con lui si sentiva perfettamente a suo agio e non dubitò più della sua bellezza o di non poter competere con altre possibili concorrenti. Si amavano placidamente, parlavano di sciocchezze quotidiane, lui le coglieva sempre delle margherite di campo ed evitava di avvicinarsi al Lago Nero, perché aveva paura dell’acqua. La loro storia non fu molto chiacchierata, alcuni li considerarono come compatibili perché entrambi “insignificanti”, e ad Alice stava bene così.



Poi un giorno, molto tempo dopo, trovò un pacco davanti la porta della sua stanza; il suo nome era scritto con un tratto molto spesso, l’inchiostro sembrava ancora fresco. Quando lo prese in mano notò che invece era scritto con del terriccio umido, e le fu chiaro chi fosse il mandante. Nel pacco c’era il suo blocco dei disegni, e una foglia faceva da segnalibro in un punto preciso. Si rese conto che non aveva più disegnato.
Quando lo aprì, vide un ritratto che lei non aveva mai fatto: una distesa di foglie bronzee, un mosaico preciso che aveva sicuramente richiesto molto tempo all’artista, e sopra, distesa, c’era lei. I capelli, raggiunta una certa lunghezza, si espandevano come dei rampicanti che si fondevano con il terreno, si facevano tutt’uno con quel tappeto di foglie. Nel ritratto Alice era sorridente, gli occhi sottili in quella piega unica che assumevano quando era veramente felice, quella felicità che si prova solo quando si è totalmente immersi nel presente, nel qui e ora. Il ritratto era incantato, e i capelli si muovevano leggeri spostando quelle foglie brillanti e piene di luce. Il volto anche sembrava incresparsi appena, in istanti di risate più accese. Alice rimase a lungo ad osservarlo. Si vedeva bella, si vedeva rinata. E capì che era così che Sirius la vedeva, prima che tutto degenerasse.

Una Proserpina autunnale, una ninfa dei boschi, in comunione con la natura.

Era tornata sulla riva del Lago Nero, con il blocco sotto braccio. Si era seduta a sfogliare da capo il blocco, si era lasciata trascinare dai ricordi fino a stendersi di nuovo nella melma, come faceva con lui l’autunno precedente, fondendosi con la Alice del passato. Si erano ricongiunte come due sorelle disperse. In un attimo aveva cancellato i mesi di tormento, le lacrime, l’inadeguatezza. Se chiudeva gli occhi nell’aria c’era lo stesso odore, lo stesso fruscio di foglie che aveva sentito quando lui le aveva sorriso la prima volta.

Ricordò il sapore caldo delle sue labbra posarsi gentili, esitanti, timoroso di spaventarla.

Quel giorno Alice aveva finalmente colto il profondo mistero dell’amore, aveva percepito cosa muoveva il genere umano e cos’era quella scintilla che vedeva splendere negli occhi della madre, quando accarezzava suo padre. Sirius le era appartenuto per una parentesi minuscola della sua vita, ma era stato il motore scatenante di tutta la poesia che risiedeva in lei. L’aveva trascinata in un mondo ultraterreno, dove esistevano solo loro due e la natura.

Si era sentita un tutt’uno con lui quando la pelle dei loro petti si erano incontrati, si era scaldata con il calore di uomo che emanava, il suo sorriso aperto. Quel dono le aveva riconsegnato il ricordo dei giorni felici, e le aveva permesso di cancellare invece la sofferenza che era derivata, potendo rievocare ogni pomeriggio speso a tenersi per mano, sporchi di terra, i piedi nudi tra le foglie.



Si addormentò così, il braccio steso vicino, la sensazione che Sirius fosse ancora al suo fianco.




Note dell'autrice
Tengo molto a questa storia e spero che sia stata capace di trasmettervi il trasporto che ho provato scrivendola.
Grazie per chi la leggerà.
  
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