Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    16/06/2017    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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Vi chiedo scusa per la lunghezza del capitolo, ma ai fini narrativi spezzarlo non avrebbe avuto molto senso...
 
~ 36 ~ 
L’ITALIA CHIAMA
 
Alla fine era accaduto anche questo: l'Italia aveva richiesto la presenza del Drago Spaziale, per indagare su un insolito quanto pericoloso fenomeno rilevato dall’Osservatorio Vesuviano, l’istituzione fondata nel 1841, che si dedica alla ricerca vulcanologica e geofisica e al monitoraggio dei vulcani e che, dal 2000, è diventato una sezione dell’INGV – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
I Campi Flegrei, una zona di circa tredici chilometri di diametro situata a Nord-Ovest della città di Napoli, erano sempre stati considerati un vero e proprio vulcano in stato di quiescenza, ma ora, all’improvviso, tutto il territorio aveva dato segni inequivocabili di un probabile quanto rapidissimo risveglio. Il rischio di un’eruzione importante avrebbe portato conseguenze catastrofiche, essendo la zona altamente popolata.
Le operazioni di evacuazione della popolazione erano state organizzate e attuate in tempi sorprendentemente brevi, per i canoni italiani, e l’equipaggio del Drago Spaziale, una volta arrivato sul posto, non aveva potuto far altro che prendere atto della situazione: per l’ennesima volta, c’era sotto lo zampino dell’Orrore Nero.
Fabrizia aveva sperato con tutte le sue forze che non accadesse mai nulla del genere e che l’Italia venisse risparmiata da una tale prova, ma sapeva benissimo che non c'era nessun motivo per cui il suo Paese dovesse essere immune dalla furia dei loro nemici. 
Il Mostro Nero – che chissà da quanti secoli si trovava nelle profondità del sito, in attesa di venire risvegliato dai suoi artefici – era emerso dalle acque della Baia di Pozzuoli: una immensa creatura tozza, cornuta e dai canini inferiori sporgenti, dall’aspetto diabolico; a tutti loro ricordò un demone uscito dalle profondità infernali.
Le sembianze del nemico ben si addicevano alle caratteristiche del luogo, che anche Virgilio descrisse, nell’Eneide, collocando il Portale degli Inferi proprio in quella zona, in prossimità del cratere oggi conosciuto come Lago d’Averno.
La novità fu che anche Midori partecipò alla battaglia poiché, nelle ultime settimane, insieme a Daimonji, Sakon e Jamilah, aveva lavorato incessantemente per trasformare il guscio di salvataggio dell'astronave di Paul in un piccolo e agile caccia da guerra, che ora somigliava vagamente a uno Skylar più aggraziato di poco più piccolo. Il cannoncino del neutralizzatore di ghiaccio era stato potenziato con altre armi, ed erano stati montati lanciamissili e mitragliatori a onde di energia. Midori, senza una ragione particolare, lo aveva chiamato Infinity.
Sanshiro non aveva saputo niente di tutto ciò, finché lui e Midori non si erano ritrovati nell'hangar, prima della battaglia, pronti a partire insieme a Fabrizia e a Fan Lee. Si erano scambiati uno sguardo di fuoco, quando Sanshiro aveva visto l'Infinity e aveva capito tutto; Midori non gli aveva permesso di parlare, e lo aveva apostrofato con voce dura.
– Non guardarmi in quel modo, tu non hai nessun diritto di dirmi cosa devo fare. Non ti azzardare più, mai più, a dirmi di non starti tra i piedi in battaglia!
Sanshiro non aveva fiatato, l'aveva guardata mettersi il casco e salire, agile e determinata, sul suo caccia, e non aveva potuto fare altro che girarle le spalle e raggiungere il piccolo mezzo che lo avrebbe portato nell'abitacolo dentro alla testa del Drago. In fondo la ragazza aveva ragione: chi era lui per dirle cosa fare della sua vita?
Quello che il giovane non si sarebbe mai aspettato, fu che l'aiuto di Midori potesse risultare decisivo quanto quello di Fan Lee, per l'esito della battaglia: allontanato il più possibile il mostro dalla costa italiana, i due agili mezzi volanti gli misero i bastoni tra le ruote volandogli continuamente intorno, come due piccole vespe rompiscatole, anche correndo notevoli rischi, distraendolo e persino danneggiandolo. Al centro del Mediterraneo, il Gaiking e Balthazar poterono così attaccarlo insieme, uno di fronte e l'altro alle spalle, senza lasciargli scampo, e fu merito di Midori e delle sue manovre ai limiti della follia, se il mostro lasciò scoperto il punto debole alla base del collo, in cui il pugno perforante del Gaiking e i raggi verdi degli occhi di Balthazar lo colpirono simultaneamente, distruggendolo.
L'Infinity, ancora vicinissimo, fu investito dall'onda d'urto dell'esplosione e venne scagliato piuttosto lontano, ma Midori fu abilissima a riprenderne il controllo in pochi secondi.
Eliminata la minaccia aliena, tutto il territorio dei Campi Flegrei tornò alla normalità, ma non solo: con la scomparsa del Mostro Nero, anche la presunta pericolosità della zona, costantemente monitorata, incredibilmente parve attenuarsi, abbassando in maniera esponenziale i rischi per chi viveva nella regione circostante; come se, per tutti quei secoli, il pericolo incombente fosse stato causato più che altro dalla presenza del mostro nascosto nelle profondità della terra.
Adesso che si erano ritrovati tutti in plancia però, il dottor Daimonji, pur riconoscendo il coraggio di Midori, la rimproverò per la sua avventatezza. Midori accettò la lavata di capo in silenzio, consapevole di aver forse rischiato troppo, ma sapeva anche di essere stata un elemento importante per la vittoria.
– Ah, Daimonji può rimproverarti, e io no? – le disse Sanshiro, in tono seccato.
– Doc è mio padre, è normale che si preoccupi per me. Tu dovresti solo ringraziarmi per l'aiuto – fu la pungente replica della ragazza, prima di andare a sedersi alla sua postazione, ignorandolo.
Fabrizia guardò Midori, seduta accanto a lei sulla sinistra, e Sanshiro dall'altro lato, in fondo, sulla destra: il più lontano possibile l’uno dall’altro. Sospirò; non c'era più scampo, da quella situazione: i due non si consideravano, non si guardavano – se non per lanciarsi occhiate infuocate di risentimento – e non si parlavano, a meno che non fosse per scambiarsi battute taglienti. Salvo poi beccarli quando, uno all'insaputa dell'altro, si osservavano di sottecchi con una luce di disperato rimpianto negli occhi. Ma si poteva andare avanti così?
Il Drago raggiunse Fuorigrotta,1 quartiere della città partenopea in cui si trovavano i laboratori dell’Osservatorio Vesuviano; la sosta fu breve, giusto per scambiarsi informazioni, saluti e ringraziamenti con gli scienziati. Successivamente, il Capitano Richardson impostò la rotta per il rientro in Giappone e il Drago decollò nuovamente, sorvolando il Golfo di Napoli e stagliandosi imponente contro il cielo del Mediterraneo.
 
Drago-Spaziale-Napoli

Briz si alzò dalla sua postazione e raggiunse Pete, fermandosi accanto a lui, che era seduto alla guida, per godersi meglio la vista del suo paese dall’alto. Il pilota del Drago sollevò lo sguardo e i due si fissarono per qualche istante.
– Com’è andata la disconnessione? – le chiese lui, tornando poi a guardare davanti a sé.
– Mah, a parte l’armatura che sembrava mi urlasse di restare lì e mi trattenesse con cento mani, le successive nausee e febbre e un gran mal di testa e intontimento, tutto sommato… è stata uno schifo anche a ‘sto giro! Scusa se sono venuta a rompere, ma sai… volevo godermi un po’ di casa mia dallo… schermo panoramico. 
– Prego, fai pure – disse Pete in tono gentile, con un'altra rapida occhiata.
Entrambi non avevano potuto fare a meno di pensare al fatto che Tom e la famiglia Del Rio non fossero molto lontani di lì: con il Drago, sarebbero bastati pochi minuti verso nord, per raggiungerli.
Anche Daimonji aveva avuto lo stesso pensiero e, vedendo quello scambio di sguardi, si avvicinò all'altro fianco del pilota e impostò una nuova rotta. Fabrizia e Pete osservarono le nuove coordinate, si guardarono di nuovo e si sorrisero, mentre lei gli dava una amichevole stretta sulla spalla.
– Doc, mi sta davvero portando a fare un giro a casa? – chiese Briz speranzosa, euforica e persino commossa.
– Solo per poco, ma visto che siamo qui, una notte estiva italiana potrebbe essere una piacevole distrazione, dopotutto – buttò là Daimonji, con disinvoltura.
Erano solo le quattro del pomeriggio: l'idea di rimanere fino al mattino seguente entusiasmò tutti, Fabrizia in particolare, che non vedeva l'ora di posare di nuovo i piedi sulla sua terra, ma anche di rivedere la sua seconda famiglia.
Anche Pete sembrava impaziente: il pensiero di incontrare finalmente suo fratello Tom, dopo tutti quei mesi, lo emozionava.
– Grazie, Doc – risposero i due giovani con un'unica voce.
– Come si chiama il tuo paese, Briz? – chiese Bunta, curioso.
– Son quattro case attorno a una chiesa e una manciata di fattorie sparse tra le colline, una delle quali, casa Del Rio, è la nostra meta. Il paese… ha un nome che sembra uno scioglilingua… – cominciò a rispondere Briz, ma fu interrotta da Pete, che proseguì: – …ed è anche stato inventato da qualcuno con poca fantasia.
– Già, uno come te, probabilmente! – ridacchiò lei.
Poi stese una mano, ad indicare sul grande schermo i colli verdi, con un piccolo agglomerato attorno a una chiesa: effettivamente, quattro case in croce. All'intorno, boschi che creavano macchie di un verde scuro, fresco e lussureggiante.
– Signori, ecco a voi Boscombroso, frazione del comune di Marradi, provincia di Firenze, Italy.
 
* * *
 
A Fabrizia quella giornata sembrò rasentare il surreale: il Drago che atterrava sull’altura antistante la fattoria dei Del Rio era una scena al di là dei suoi sogni più sfrenati, almeno quanto le sembrò irreale ritrovarsi, mezz’ora più tardi, dopo essersi liberati delle uniformi e aver indossato abiti civili, fra le braccia di Anita e di Filippo.
Sebbene avessero seguito in TV le notizie riguardanti la battaglia appena conclusa – che, a causa della vicinanza, li aveva atterriti non poco – i Del Rio erano rimasti sbalorditi quando il sole di quella calda giornata estiva era stato parzialmente oscurato dalla mastodontica mole del Drago Spaziale. Né loro, né Tom, avrebbero mai immaginato di poter riabbracciare i loro cari, pur sapendoli poco lontani.
Quando Fabrizia riuscì a trovare la forza e la volontà per sciogliersi dall' abbraccio della coppia, fu solo per stringere a sé Jessica, la loro bellissima figlia, che per lei era come una sorellina. E mentre le due ragazze si abbracciavano, Pete andava incontro a uno sconcertato Tom.
Oltre la spalla di Jessica, Fabrizia vide i fratelli Richardson avvicinarsi, all'inizio parecchio impacciati. Nonostante si vedessero spesso tramite il computer, e avessero parlato ormai di tutto – dal loro tragico passato, fino agli ultimi risvolti rivelati da George Blackwood, passando per le avventure vissute dall'equipaggio del Drago – vedersi di persona dopo quasi un anno, consapevoli della confidenza e dell’affetto rinati tra loro, fu una profonda emozione per entrambi. Finalmente, dopo un paio di sorrisi indecisi, i due si abbracciarono, lasciandosi andare a risate, pacche sulle spalle e scrollate varie. Quando Pete scostò suo fratello da sé, per guardarlo in viso, rimase sbalordito da un paio di cose.
– Tom, ma che… come mai non devo più abbassare gli occhi, per guardarti in faccia? Ti hanno tirato per i piedi in quest'ultimo anno? E poi… cos'è questa roba sul mento? Non vorrai mica farmi credere che sia barba?
Tom si strofinò la mascella lievemente ispida, fingendosi offeso.
– Cos'hai da dire sui miei quattro peli che coltivo con dedizione? E tu, allora, hai litigato col barbiere? Io almeno i capelli li ho tagliati, non è ora che ci pensi anche tu? – rise Tom, scompigliando la zazzera di Pete con entrambe le mani, in un gesto che solo un anno prima non si sarebbe nemmeno sognato di fare, tanta era la soggezione che aveva avuto di lui. Pete gli rispose semiserio.
– Ho fatto… una specie di voto: quando la guerra finirà, me li farò tagliare, promesso.
Fabrizia si staccò da Jessica e insieme a lei si diresse verso i due fratelli, arrivando a sentire il loro scambio di battute.
– Sarà meglio che riusciamo a chiuderla in tempi brevi, allora, altrimenti ti dovrò insegnare a farti le trecce, bel pupone – ridacchiò, incontrando lo sguardo divertito di Tom, che lasciò il fratello maggiore per abbracciarla.
– Ciao, sorellina, sono felice di vederti qui – le disse accarezzandole la ciocca di capelli candidi, di cui sapeva già tutto.
Intanto Jessica, un po' intimidita, stringeva la mano di Pete che, fino a quel giorno, aveva visto solo un paio di volte via computer, pensando che di persona il maggiore dei due Richardson fosse pure più bello; ma anche Pete non poté fare a meno di notare la stessa cosa.
Jessica Del Rio, dal vivo, era ancora più carina: non era altissima, ma era proporzionata e snella, con lunghi capelli lisci di un nero corvino, la pelle chiara e due luminosi occhi azzurri. I suoi genitori, con lei, avevano creato l'incrocio perfetto: Filippo, a quarantasei anni, era alto e moro, anche se sfoggiava qualche filo d'argento nei capelli e nella corta barba curata; Anita aveva un paio d'anni in meno del marito ed era piccola, un po' rotondetta, con i capelli biondi e mossi, gli occhi azzurri, e un sorriso stupendo tutto fossette.
Briz sorrise quando i suoi compagni, in particolare Sanshiro, salutarono e abbracciarono Tom con calore.
Si ritrovò sommersa da una marea di emozioni e poi di nuovo da quella sensazione che rasentava l'irrealtà; si allontanò dagli altri di alcuni metri, guardando assorta la collinetta ad ovest della fattoria, con il sentiero che vi si arrampicava serpeggiando, sparendo poi oltre un gruppo di alberi verso la cima del crinale.
I suoi amici si accorsero subito del senso di straniamento che aveva colpito la ragazza. Pete e Daimonji le si avvicinarono, seguiti da Tom e dai tre Del Rio; Doc le mise una mano sulla spalla e cercò i suoi occhi, sapendo a cosa pensasse.
– Non so se avrò la forza di andare oltre quell'altura – confessò Briz.
Incontrò lo sguardo interrogativo di Pete, il quale passò quasi subito dall'incuriosito al consapevole.
– Briz… c'era… la tua casa, là. Vero?
La ragazza annuì silenziosamente. Filippo le si avvicinò e le disse:
– Non ti obbligherò mai a salire quel sentiero, se non vorrai, ma… sappi che, se decidessi di farlo, potresti trovare una sorpresa.
Briz si chiese quale sorpresa avrebbe mai potuto trovare nel luogo in cui, fino a non molto tempo prima, c'erano solo le macerie sotto le quali avevano trovato la morte suo padre e Alessandro. Lei non aveva mai visto i resti devastati della sua casa: non ne aveva mai avuto il coraggio e non si era mai vergognata di ammetterlo; ma il sorriso tranquillizzante e paterno di Filippo infuse in lei un po' di sicurezza.
– Una sorpresa, dici? Hai visto mai… Ho messo insieme una discreta riserva di coraggio, in quest'ultimo anno. Quasi quasi… potrei tentare di esorcizzare questa cosa.
Cercò di nuovo lo sguardo di Pete, trovandolo senza faticare, e a Filippo non sfuggì quella complicità; all'idea di affrontare una prova difficile come quella, Briz non aveva cercato sostegno in lui, Anita o Jessie, e nemmeno in Daimonji: l'aveva cercato nel pilota del Drago Spaziale, e l'aveva anche trovato.
– Vengo con te – disse semplicemente Pete.
Briz si guardò bene dal protestare: non aveva nemmeno preso in considerazione l'eventualità di non averlo al suo fianco, in quel frangente.
– Vi accompagnamo – disse Tom, prendendo per mano Jessica e facendo cenno a Fabrizia e Pete di seguirli.
Se, poco prima, Filippo aveva notato lo sguardo d'intesa tra Briz e il capitano Richardson, a questi ultimi non erano invece sfuggite le mani di Jessie e Tom, che si erano cercate e prese con meravigliosa spontaneità, come se fosse un gesto abituale. Anche Daimonji se ne accorse, e pensò fra sé: "Diavolo, i ragazzi Richardson subiscono il fascino dell'Italia, a quanto pare. E soprattutto delle sue abitanti".
A quel punto il dottore aveva gettato uno sguardo sconsolato alla sua amata figlioccia che parlava con Yamatake, e poi lo aveva spostato su Sanshiro, che a parecchi metri di distanza chiacchierava con Bunta; scosse la testa, addolorato per ciò che era accaduto tra loro. Midori ora lo chiamava quasi sempre papà, e lui si era sempre considerato tale, per lei… e voleva bene anche a Sanshiro. Non gli era dispiaciuto quando aveva scoperto che tra i due c'era qualcosa di più di un'amicizia, anche se lui stesso, dopo un certo periodo, si era accorto di come le cose non funzionassero nel modo giusto. E ora, dopo che Midori aveva conosciuto il suo passato e, in seguito, fatto scelte disastrose, fra i due giovani era finito tutto, fra l'altro in malo modo. Eppure, tutti e due soffrivano le pene dell'inferno, per questo, e si vedeva. Possibile che non ci fosse una soluzione? Scuotendo nuovamente la testa, un po' sconsolato, il dottore raggiunse gli altri ragazzi.
Jessie e Tom, nel frattempo, avevano guidato Fabrizia e Pete a un piccolo complesso di costruzioni in legno che sorgeva dietro la casa: alcuni box con dei cavalli, grandi recinti, persino un pollaio popolato di galline, oche e conigli; un paio di cagnoni meticci andarono loro incontro festosamente, annusandoli, e Fabrizia si lasciò volentieri travolgere dal loro entusiasmo: Thor e Loki l’avevano immediatamente riconosciuta!    
Dal capannone annesso, che conteneva un paio di auto, un trattore e altri macchinari agricoli, Tom e Jessica tirarono fuori due moto da enduro alquanto datate. In una di queste, Briz riconobbe quella che era appartenuta a lei e Ale e, preso il coraggio a due mani, montò in sella senza più esitazioni; accese il motore e Pete fu rapido a salire dietro di lei, mentre gli altri due facevano lo stesso con l’altro mezzo, ma con Tom alla guida.
Nel giro di un paio di minuti, le moto si inerpicavano per il sentiero, lungo il fianco scosceso del basso colle. A un certo punto lo sterrato scendeva appena infilandosi in un boschetto, al centro del quale una radura, ombreggiata dai lunghi rami degli alberi, ospitava dei tavoli di legno da pic-nic, un grande camino in pietra per la cucina alla griglia e una baita di legno di dimensioni modeste, ma che sembrava, così a occhio, molto ben attrezzata. Più defilata, un'ampia tettoia era adibita ad ospitare fino a una decina di cavalli, con tanto di mangiatoie e impianto per l'acqua. Sulla sinistra il sentiero risaliva uscendo dal boschetto, attraversato da un ruscelletto sormontato da un basso ponticello di legno, che mormorava allegramente e che, prima di continuare a scorrere giù per il fianco della collina, formava una piccola pozza più profonda e ferma, di un verde cristallino.2
– Io e Ale, da bravi appassionati di romanzi fantasy, chiamavamo questo posto Il rifugio degli Elfi – spiegò Briz – In realtà il motivo della sua esistenza è molto più pratico: è una tappa quasi obbligata per i gruppi che d'estate praticano trekking a cavallo, a cui i miei genitori glielo affittavano. Ora ci pensano i Del Rio, ma quando non era impegnato a tale scopo, io, Ale, Jessica e altri amici venivamo a farci campeggio, da ragazzini. Facevamo il bagno alla pozza e alla notte dormivamo nella baita: ci sono otto posti nei letti a castello lì dentro. Io e mio fratello ci abbiamo festeggiato tutti i nostri compleanni, finché lui… c'è stato.
Pete percepì la nota di tristezza, mentre Briz si sbrigava ad accelerare dietro agli altri due: non voleva lasciarsi prendere dalla nostalgia per quei luoghi. Si concentrò sulla sensazione che le davano le braccia di Pete attorno alla vita e il calore del suo corpo, solido e rassicurante, dietro di lei; poi pensò che anche quella fosse una cosa alla quale non doveva affezionarsi troppo.
All'improvviso il sentiero uscì dalla folta macchia di alberi e li condusse in un baleno sul crinale. Briz fermò la moto, tenendo lo sguardo sul cruscotto; smontò e si costrinse a fare due passi, affrontando l’inevitabile.
Il cuore le mancò un paio di battiti quando guardò in giù, nella piccola conca, dove era sempre stata la sua casa.
Ma com'era possibile? La fattoria… c’era!
Era lì, al solito posto, dove lei l'aveva sempre ricordata: grande, massiccia e intatta, con le mura di pietre a vista grigio chiaro e… nuova! Si sentì quasi barcollare, e si costrinse a respingere le lacrime di commozione, ma si rese conto di non esserci riuscita quando sentì che Pete, avvicinatosi a lei, le passava su una guancia il dorso delle dita e raccoglieva una solitaria goccia luccicante.
– Ehi… la sorpresa di Filippo è riuscita, eh? – le disse all'orecchio, passandole da dietro un braccio attorno alle spalle.
– Altroché – ansimò lei, senza riuscire a distogliere lo sguardo dall'edificio – Oddio, Jessie, ma che è saltato in mente a tuo padre?
– Niente di così strano, Briz – le spiegò la ragazza, avvicinandosi insieme a Tom – Papà e mamma vogliono aprirci un Bed & Breakfast, quello che sarebbe stato il sogno di tua mamma Serena e che purtroppo, per forza di cose, non si è mai concretizzato. I miei hanno pensato che non avesse senso perdersi nel ridisegnare di sana pianta il progetto di un edificio nuovo, quando quello della vostra vecchia fattoria sarebbe stato perfetto. Io… spero che non ti dispiaccia.
– Ma che dici? Come potrebbe mai dispiacermi vedere realizzato ciò che la mamma sognava? È… bellissimo. Soprattutto per il fatto che siate stati capaci di lavorare a tutto questo, nonostante la situazione che stiamo vivendo.
– Cerchiamo di continuare a vivere, come fa, per fortuna, la maggior parte della gente, perché pensiamo che sia anche un modo per far sentire a voi, agli eserciti dell'Alleanza Terrestre, e a chiunque combatta per difendere la Terra, che abbiamo fiducia in quello che fate, nel vostro impegno… e nel futuro, perché voi siete i nostri eroi e salverete questo pianeta. E papà vuole che tu sappia una cosa: non abbiamo idea di cosa sceglierai di fare quando questa guerra sarà finita… forse nemmeno tu ce l'hai… ma qui, in questa casa ricostruita, ci sarà sempre un posto per te, ogni volta che vorrai tornare… che sia per un po' o per sempre; da sola… o con chi vorrai tu – concluse Jessica, sbirciando di sottecchi il braccio di Pete che ciondolava ancora con naturalezza sulla spalla di Fabrizia.
– Maledizione, Jessica Del Rio, gli eroi non siamo noi: siete voi… – sussurrò quasi a sé stessa.
– Senti… – cominciò Tom, impacciato, sedendosi sull’erba imitato dagli altri – c'è qualcosa che forse dovreste sapere…
Pete si lasciò sfuggire una risatina e scambiò un'occhiata con Briz, che aveva avuto la stessa reazione.
– Che fra voi due c'è del tenero? Non per rovinarvi la sorpresa, ma si vede lontano un miglio.
– Cavoli, davvero? – fece Tom, rivolto a suo fratello.
– Davvero, e se me ne sono accorto persino io, figurati gli altri. A parte che mi ricordo il tuo primo messaggino a Briz, che lei si degnò di farmi leggere dopo ben tre mesi che eri arrivato qua, e io non sapevo nemmeno dove fosse, il qua. Comunque c'era scritto: "Perché non mi avevi detto che J. è così incredibilmente bella?" 
– Cosa? – fece Jessica sbalordita, guardando Tom – Già il primo giorno mi avevi… adocchiata?
– Ehm, no, in realtà… già il primo giorno ero innamorato perso.
– Tu stai diventando sempre più italiano, ogni giorno che passa! – disse la ragazza, schioccandogli un bacio su una guancia.
– Però, scusate… – indagò Pete – non so perché, ma ho come la strana sensazione che non fosse solo questo, che vorreste dirci.
– Diglielo, Jess – bisbigliò Tom all'orecchio della fidanzata.
– Bontà divina, Jessie! Non sarai mica… – cominciò Briz, allarmata.
– …incinta? No! Certo che no, cosa vai a pensare! – la tranquillizzò Jessica, avvampando.
– E che ne so, cosa vado a pensare! Sembra che nascondiate qualcosa di terribilmente importante, e che per qualche motivo dovrebbe… non so… turbarmi? Sconvolgermi?
– In realtà non sapevo se dirtelo o no… Non credo che ti dispiacerà, ma probabilmente ti rattristerà, o commuoverà. È una cosa di quasi tre anni fa e non te l'ho mai detta, perché allora eri… annientata dalla perdita di Alessandro.
– A dire la verità, tu non sembravi meno devastata di me, ma posso capirti: eravamo come tre fratelli…
– Ecco, è proprio questo il punto – la interruppe Jessie, avvicinandosi e accarezzandole una guancia – Per me Ale non era… un fratello; così come io non ero più una sorella, per lui.
Quelle parole colpirono Briz come un fulmine.
– Co… cosa? Tu… e Ale? Ma che… da quan… Oddio, Jessie! – balbettò Fabrizia senza alcuna coerenza – Ma perché non me lo avete detto?
– Ci eravamo messi insieme solo da un paio di settimane, e ci divertiva fare gli innamorati segreti, vederci di nascosto… Te lo avremmo detto nel giro di poco, solo che… non ci è stato concesso. E dopo… non ne ho avuto più il coraggio.
– Ti sei tenuta tutto dentro? Jessie, avevi solo sedici anni! Come hai fatto?
– Papà e mamma sapevano: sono stati loro a dirmi di non schiantarti ulteriormente con questa notizia, sapevamo che avresti finito per accollarti anche il mio dolore, ancora più di quanto già facessi.
– Oh, Dio… io non avrei mai immaginato… Ma hai ragione: non so se allora sarei riuscita a sopportare il fatto che tu… soffrissi anche per quello.
– Soffrivamo tutti, Briz: io, te, papà e mamma… È stato un periodo dolorosissimo e orribile per ognuno di noi. E poi, un giorno, te ne sei andata anche tu, per andare in Giappone a combattere con Balthazar. Ti capivo, anzi ero fiera di te, ma lo ammetto, non mi ero mai sentita così sola e disperata. Poi, l'anno scorso… mi hai mandato Tom… – Jessie cercò una mano del ragazzo, che intrecciò le dita con le sue, mentre lei proseguiva – …e con lui ho capito che sarei riuscita, non a dimenticare Alessandro, perché non potrò mai farlo, ma… a collocare il suo ricordo nella giusta prospettiva. Io non credo… insomma, spero di non avergli fatto un torto, innamorandomi di Tom. E spero di non farlo nemmeno a te.
Briz non riuscì a proferire parola per un po', poi abbracciò la sua amica-sorella.
– È di questo che ti preoccupi? Che amare Tom possa essere, ai miei occhi, un tradimento nei confronti di Ale? Oh, Jessie, no! Ale non c'è più… non qui in questo mondo, per lo meno. Lo abbiamo pianto a sufficienza, tutti; e se lo conosco bene, lui non vuole più vederci piangere! Non crederai che, da dov'è ora, lui possa desiderare di vederti sola per il resto della tua vita! Hai diciannove anni, santo cielo, e lui è là da qualche parte, insieme a papà e mamma, a proteggerci e ad augurarci felicità e lunga vita.  
E a quel punto, un pensiero improvviso fulminò la mente di Fabrizia.
– Adesso ho capito! – esclamò.
– Che cosa, Briz? – le chiese Pete.
– Meno di un anno fa, la sera del mio compleanno, quando mi trovasti in lacrime alle scuderie, ti raccontai che Ale, nelle ultime due settimane della sua vita, mi era sembrato più allegro e spensierato del solito, e non avevo mai capito perché. Ora lo so… Era per te, Jessie: era felice perché era innamorato!
Jessica non rispose, sorrise e si strinse di più a quella che per lei era come una sorella più grande.
Tom si alzò, scambiando un'occhiata con il fratello che lo imitò, e si allontanarono di pochi passi, lasciando le due ragazze a coccolarsi un po'. Pete guardò Tom, e non poté fare a meno di pensare che il suo fratellino, stavolta, fosse davvero diventato grande. Al giovane che gli stava di fronte, non sarebbe mai venuto in mente di fare la stupidaggine di un anno prima.
– Non sono stato un granché, come fratello maggiore – confessò Pete, senza guardarlo.
– Avevi le tue ragioni, e comunque non mi hai fatto mancare nulla.
– A parte l’affetto…
– Pete, basta, ne abbiamo già parlato. Avevi solo vent’anni, hai fatto del tuo meglio; e lo stai facendo anche ora: rischi la pelle tutti i giorni e… io sono orgoglioso di te, da sempre.
– Anch'io lo sono di te. Guardati un po': il futuro dottor Thomas Matthew Richardson. E ti sei pure scelto una ragazza da urlo: brava, saggia e bellissima.
– Beh, quello anche tu – disse Tom maliziosamente, con un impercettibile cenno del capo verso Briz.
– Tom, chiariamo subito: ne ho già abbastanza di Yamatake, di Sanshiro e persino di Sakon, con queste insinuazioni. Dacci un taglio subito e chiudiamo l'argomento.
– Come vuoi; tanto un giorno verrai da me, a dirmi che avevo ragione. Ce l'avevo già un anno fa, se è per questo, quando dicevo che lei era il microonde che ci voleva per scioglierti il cuore. Okay, sto zitto, tiro il freno, basta – concluse, vedendo l'espressione accigliata e fintamente minacciosa di Pete e facendo il gesto di chiudersi la bocca con una cerniera lampo.
Le ragazze si avvicinarono e Briz infilò un braccio sotto a quello di Pete, mentre Jessie faceva lo stesso con Tom. Fabrizia sollevò l'altra mano e indicò all'amico una collina proprio di fronte a loro, a sud della casa in pietra, non lontana ma piuttosto alta.
– Vedi quel pascolo verde, al di sopra della macchia di alberi? Ero lì, quel giorno.
Pete non ebbe bisogno di chiederle a quale giorno si riferisse: anche se era passato quasi un anno, dal suo racconto di come lei si fosse salvata dall'attentato alla sua famiglia, lui ricordava tutto.
– Lì, all'interno di quella grande collina, c'è il laboratorio che conteneva Balthazar – proseguì Briz.
– Ci sono davvero andati vicino, quei mostri – disse lui a voce bassa.
– Ma non abbastanza – replicò lei, dura – Io non sono schiattata! E adesso se la devono vedere anche con me: armata, tosta e incazzata!
– Whoa! Fossi in loro, non starei tranquillo – replicò Tom.
– Seh, mi sembra di vederlo, lo schifoso generale Ashmov: “Uh, paura mi fai, piccoletta!” 
– Beh, ormai ti conosco bene; nei suoi panni, non ti sottovaluterei – aggiunse Pete.
Quello scambio di battute strappò una risata leggera a tutti e quattro; la tensione si sciolse, e Jessica andò a prendere la moto prima di rivolgersi a Fabrizia.
– Te la senti di scendere a vedere da vicino?
– Perché no? A questo punto, facciamola compiuta! – esclamò Briz, avvicinandosi all'altra moto.
Poi si voltò verso Pete e gli disse a voce bassa:
– Posso chiederti un favore?
– Certo che puoi.
– Guida tu, ti prego.
– Tutto qui? Okay – concordò lui, montando in sella.
Briz salì dietro, senza una parola. Poteva anche essere armata, tosta e incazzata, e aver deciso di non lasciarsi andare a certe tentazioni, e non baciarlo più; ma in quel momento, aveva disperatamente bisogno di una scusa per abbracciarlo.
 
* * *
 
Quando le due coppie erano tornate alla fattoria dei Del Rio, avevano trovato Anita e Filippo che allestivano tutto, in giardino, per una cena in piedi, a base di panini e salsicce alla griglia. Briz, sempre più stranita, aveva dato una mano, aiutata nientemeno che da Yamatake che era, neanche a dirlo, il più entusiasta di assaggiare la cucina italiana.
– Briz, cos'è la roba in questo cestino? – chiese il ragazzone, indicando una focaccia sottile, di colore pallido e con piccole macchie marroni, tagliata a triangoli.
– Quella è una specialità dell'Emilia-Romagna, la regione da cui, fra l'altro, veniva mia nonna Doralice: era di Ravenna.
– Ravenna? Dove hanno regnato Teodorico, Giustiniano e Teodora? La città dei mosaici bizantini? Vuoi dire che tu li hai visti? – chiese di nuovo Pete, dimostrando ancora una volta la sua passione per la storia e l'arte antica.
– Se li ho visti? Senza nulla togliere a Firenze, che a livello artistico non ha nulla da invidiare a nessuno, Ravenna era la mia seconda città. E i mosaici… dire che sono meravigliosi è poco.
– Tornando alla focaccia, – fece Yamatake con la bocca piena – è una vera figata! Come si chiama?
– Piadina romagnola. Ma non chiedermi di cucinartela a Omaezaki: sono una pessima cuoca.
– Questa sì che è una stranezza: un'italiana che non sa cucinare! – esclamò Pete, prendendola un po' in giro.
– Già, quasi come un americano con sangue nativo che non sa andare a cavallo.
– Non ci provo nemmeno più, ad avere l’ultima parola con te – rise lui.
– Ragazzi, stasera è il trenta giugno! – annunciò Briz poco dopo, sollevando un bicchiere che conteneva un pochino di vino bianco – Direi di fare gli auguri a Sanshiro, che compie ventisei anni!
Sanshiro in realtà non aveva molta voglia di festeggiare, ma l'entusiasmo della sua amica lo contagiò, e finì per accettare di buon grado gli auguri e anche alcuni schioccanti baci sulle guance da parte di Briz, Jamilah e perfino Jessie.
Jamilah mise al polso di Sanshiro il loro regalo: un braccialetto di cuoio intrecciato, simile a quello che avevano regalato a Briz, al quale era agganciato, in acciaio cromato, il simbolo dell'infinito. Lo sguardo del ragazzo finì, inevitabilmente, su Midori, che se ne stava leggermente in disparte, appoggiata a uno steccato, e che riuscì a regalargli un lieve sorriso, che però non arrivò a coinvolgere gli occhi: lo sguardo era triste, almeno quanto lo era stata quell'espressione forzata sulle sue labbra. E lui, guardando il regalo degli amici, per il quale Midori aveva sicuramente messo una quota, non poté fare a meno di pensare che il caccia da guerra della ragazza si chiamava proprio così: Infinity… quello che loro due, e la loro storia, non sarebbero mai stati.
A quel punto intervenne Pete, a spezzare quello strano senso di commozione, cambiando argomento.
– So che c'è chi dice porti sfortuna fare gli auguri in anticipo, ma io sono troppo pratico e materiale per essere superstizioso, e siccome fra quattro giorni noi saremo di nuovo in Giappone, vorrei augurare buon compleanno anche al mio fratellino, che il quattro luglio compie vent'anni.
– Allora te lo ricordi, in che giorno sono nato! – fece Tom, rammentando il loro dialogo di un anno prima.
– L'ho sempre saputo, stupidone – disse Pete, arruffandogli i capelli – È il giorno della festa dell'Indipendenza americana, sarebbe difficile dimenticarlo – lo provocò poi, proprio come aveva fatto Briz un anno addietro con lui, quando sull'argomento avevano, come al solito, litigato.
– Tanto lo so che è solo per questo che te lo ricordi! – rise infatti Tom, stando al gioco.
– Non ho un regalo, però. Non potevo certo immaginare che oggi sarei stato qui – gli disse Pete, rammaricato.
– Ed è questo, il regalo: averti qui, Pete.
– Ehi, vuoi farmi commuovere?
– A te? La vedo dura.
– Meno di quel che credi – ghignò Briz.
A quel punto Fan Lee, sollevando il suo bicchiere che, come quello di Briz, conteneva ben poco di quell'ottimo prosecco, poiché nessuno di loro era abituato a bere, disse: – Io vorrei spendere due parole per la nostra amica Midori. È vero, oggi in battaglia è stata piuttosto avventata, ma per questo è già stata redarguita ampiamente. Ciò a cui voglio brindare è il suo coraggio, poiché il suo aiuto è stato fondamentale, e voglio spingerla ad imparare ad usare questa sua audacia in modo giusto e meditato. Il vero coraggio non è mancanza di paura, Dori; ma aver paura, e saperla dominare. Altrimenti non è più coraggio: è incoscienza.
Midori si avvicinò agli amici e accostò il suo bicchiere a quello dell'amico cinese.
– Ah, Fan Lee! Adoro i tuoi ragionamenti da meditazione zen. Hai ragione: cercherò di fare come mi hai consigliato, te lo prometto, ma… sappiate che da oggi, ho un nuovo motto, con cui affrontare la vita: “Vado dove mi porta il fegato. Perché con il cuore… ho fatto davvero un casino!” 
Mentre pronunciava quelle parole, che suonavano da un lato un po' spavalde e dall'altro un po' rassegnate, e che strapparono, nonostante tutto, un sorriso ai suoi amici, i suoi occhi furono inesorabilmente attratti da quelli di Sanshiro. Il modo in cui la guardò le fece venire voglia di piangere: il giovane aveva un'espressione tra il perplesso e il divertito, come se avesse quasi apprezzato la sua battuta. Midori bevve l'ultimo sorso di vino, poi posò il bicchiere su un tavolino e si avvicinò a Briz e Doc.
– Mi sta venendo un mal di testa bestiale, ho bisogno di fare due passi per schiarirmi le idee, scusatemi.
– Dori, sei sicura di non aver bevuto troppo? – le chiese Daimonji.
– Ma vuoi scherzare, papà? Non ho bevuto niente più di tutti voi, ho solo bisogno di allontanarmi un po'.
Da chi avesse bisogno di allontanarsi, non era nemmeno troppo sottinteso, ovviamente: anche per Daimonji era chiaro.
– Midori, non credi che… – cominciò Briz.
– Mi ha già detto che sono fuori tempo massimo – la interruppe l’amica, intuendo dove Briz volesse andare a parare – Sanshiro è un treno che ho perso, dovrò rassegnarmi, in qualche modo – rispose Midori e, afferrando il suo zainetto, si incamminò, seguita dagli sguardi pensierosi di Doc e Briz, ma anche da quello di Sanshiro.
– Dori! – la chiamò Briz – Se arrivi al Rifugio degli Elfi, sta' attenta alla ringhiera del ponticello: oggi ho visto che ha un palo rovinato, cerca di non cadermi a mollo, eh?
Midori annuì e sorrise; era un po' fusa, okay, ma non fino a quel punto! Briz le aveva parlato tante volte del Rifugio, le sembrava quasi di esserci vissuta, ma non pensava che ci sarebbe arrivata; aveva solo un disperato bisogno di fare due passi e stare da sola.
No, non era vero, naturalmente: aveva un disperato bisogno di Sanshiro, per questo doveva assolutamente allontanarsi da lui.
Un ragionamento di una coerenza perfetta.
 
* * *
 
La notte era arrivata lentamente da est, e Anita e Filippo avevano acceso i lampioni da giardino. Briz si diresse alle scuderie per vedere i cavalli dei Del Rio e si imbatté in Sanshiro, che scrutava pensieroso il sentiero lungo il quale si era incamminata Midori.
– Se sei preoccupato per Midori, tranquillizzati: non c'è nessun pericolo all'interno della proprietà – gli disse un po' dura.
– Per quale motivo dovrei preoccuparmi? – sbottò lui, altrettanto brusco.
– Perché sei ancora innamorato di lei? – suggerì Briz a bruciapelo.
Gli prese il viso tra le mani e proseguì più dolcemente:
– Sanshiro, mio bel somarone, apri bene le orecchie e ascoltami: io ti voglio bene, non puoi nemmeno immaginare quanto, ma voglio bene anche a Midori. È vero che lei ha commesso una marea di errori madornali, nel gestire la storia con te, non ne discuto! Ma è vero anche che tu continui a farle capire chiaramente che non gliene perdonerai mai nemmeno uno. Sei sicuro che sia giusto? Hai sentito quello che ha detto prima…
– Sì, che “va dove la porta il fegato, perché col cuore ha fatto un casino”… Ma c'entra davvero il cuore, nel disastro che ha combinato?
– Ah, non lo so! Dimmelo tu, visto che è proprio qui, che volevo arrivare: io ci indagherei sopra, fossi in te. Siamo esseri umani, Sanshiro, anche quando veniamo da un altro pianeta; a volte sbagliamo, ma possiamo essere anche abbastanza assennati da imparare, dai nostri errori e cercare di non farli più.
– Ho paura che sia come ha detto Midori: è un treno che ormai è passato – sospirò lui.
– Allora, per quel che può valere, posso regalarti una delle mie perle di saggezza, circa quel famoso treno? Lui potrà anche essere passato, ma ci sono cose, nella vita, per le quali vale la pena farsela a piedi. Midori lo è? È una di queste cose?
Sanshiro la guardò pensoso, con quei meravigliosi occhi di un castano scuro, caldo e luminoso.
– …se mi manda al diavolo…? – chiese, incerto.
– Visto come l'hai trattata tu ultimamente, temo sia un rischio che dovrai correre; ma almeno ci avrai provato e, dopo, non avrai più niente da rimproverarti.
Sanshiro annuì, in silenzio. Poi strinse Briz in un abbraccio affettuoso.
– Grazie, Cuordileone, ti adoro! E… sì, vale la pena di provare a farsela a piedi, per lei – affermò, staccandosi dalla ragazza e facendo per infilare il sentiero lungo il quale Midori era sparita da almeno tre quarti d'ora.
– Ehi, innamorato! – lo richiamò Briz divertita, facendo un cenno della testa verso la rimessa – Il farsela a piedi era metaforico: se prendi una moto, la raggiungi prima.
Sanshiro si bloccò, guardò la rimessa e tornò sui suoi passi.
– Giusto! La moto… Già! – bofonchiò impacciato, prima di appropriarsi di uno dei due mezzi, accendere il motore e sparire in pochi istanti dietro la prima curva dello sterrato, al di là degli alberi.
Briz si accorse di essere accaldata; tornò a prendere da bere e decise di strafare un po', concedendosi una bottiglietta di birra fresca, poi si diresse di nuovo verso le scuderie, dove poco prima aveva intravisto Jessica, per vedere i cavalli. Sulla porta della costruzione in legno, scorse Pete che stava per fare la stessa cosa: lo vide dare un’occhiata dentro, indugiare per qualche istante, e infine girarsi per tornare indietro.
– Che c'è, Pete, non sei convinto di entrare? Sono solo cavalli, come i nostri due a Omaezaki.
Si guardarono per un attimo, consapevoli di come fosse suonata quella frase, ma soprattutto quella parola: nostri. Da quando avevano cominciato a considerare Indy e Obi-wan una proprietà comune? Decisero entrambi che fosse meglio glissare su questo pensiero.
– No, è che… non voglio disturbare Tom e Jessie – rispose lui.
– Uh… Stanno parlando di cose importanti?
– Prima, forse. Li ho sentiti ridere, ma ora non stanno proprio… parlando, ecco – disse lui, alzando gli occhi al cielo.
Briz allungò lo sguardo dietro di lui, oltre la porta: Tom e Jessica erano appoggiati alla parete di legno di un box e si baciavano dolcemente, accarezzandosi il viso, e i capelli. Erano totalmente persi l'uno nell'altra e lei si sentì venire il batticuore: erano così belli… e teneri. I due si staccarono e continuarono a guardarsi e sorridersi.
 
Jessica-e-Tom
 
A Briz sembrarono incredibilmente giovani… ma perché, poi? In fondo avevano solo due o tre anni meno di lei. Cavolo, cominciava davvero a sentirsi vecchia a ventidue anni scarsi? Fu assalita da un impellente bisogno di… leggerezza, tenerezza, spensieratezza, dolcezza. Troppi ezza, decisamente! Scrollò la testa per riscuotersi e tese a Pete la bottiglietta di Beck's. 
– Ne vuoi un po'? Fa caldo ancora, ma io non la finisco.
– Briz, renditi conto: con tutto quello che sai di me, di mio padre e tutto… mi offri della birra? Non che bevessi molto nemmeno prima, ma ho smesso ogni tipo di alcolico, dopo quello che sai. Ai brindisi per Sanshiro e Tom, prima, ho bevuto dell’aranciata.
– Allora, bello mio, parliamone. Punto primo: ti ho offerto una mezza bottiglia da trentatré centilitri di Beck's, non una pinta di Jack Daniel's! Nemmeno un dodicenne si ubriaca con questa! Secondo: abbiamo mangiato come trichechi, più che a sufficienza per attutire questo ridicolo fondo di birra. Terzo: abbiamo scoperto da George che tuo padre non solo non aveva il vizio di bere, ma anche che, se era costretto a farlo, reggeva l'alcool come nessuno. Sei suo figlio, Richardson: se tanto mi dà tanto, ci vuole ben altro per farti perdere la testa!
Pete valutò le argomentazioni della ragazza, e non trovò nulla con cui ribattere.
– Odio quando riesci a essere così convincente – esclamò, prendendole la bottiglietta dalle mani e finendo in poche sorsate la birra fresca che era rimasta.
– Oh, wow, sì! Avevo dimenticato quanto fosse buona! – sospirò, passandosi il dorso di una mano sulle labbra e rendendole il vuoto.
– Ogni tanto non è poi così male, infrangere le regole, no? – disse la ragazza, pensando che il Capitano Richardson, quando si lasciava un po' andare, era meravigliosamente irresistibile.
Guardò verso il sentiero, dove Sanshiro era sparito con la moto, e cambiò argomento.
– Chissà se quei due riusciranno a risolvere, con le teste che hanno! Però ci spero.
Pete capì chi fossero i soggetti sottintesi, anche perché aveva sentito ciò che Briz aveva detto a Sanshiro.
– Anch'io, devo ammetterlo. È carina la storia del treno perso e del farsela a piedi.
– Sì, beh, mi è venuta bene… Son brava, eh? – disse lei, appoggiandosi allo steccato e guardando fra gli alberi, dove avevano cominciato a lampeggiare decine e decine di piccole luci.
– Guarda, Pete! Lucciole! Da quanto tempo non vedevi uno spettacolo così bello?
Pete osservò incuriosito i piccoli punti luminosi, ma poi spostò gli occhi sulla ragazza accanto a lui.
– A dire la verità… non molto – rispose a voce bassa.
Briz si voltò appena, come attirata dal suo sguardo e lui le accarezzò il volto e poi la ciocca bianca, affascinato dal disegno perfetto delle sue labbra.
– Sai… ci sono altre cose buone, delle quali ho dimenticato il sapore.
Briz non rispose. Sapeva che avrebbe dovuto farlo, forse anche con una certa durezza, visto che aveva capito perfettamente cosa intendesse Pete, ma non ci riuscì.
– Voglio baciarti, Briz – proseguì lui, tanto per chiarire.
– Anch'io… – sussurrò lei, maledicendosi per aver parlato di regole da infrangere.
Pete abbassò appena il viso verso il suo, ma si ritrovò con l'indice di Briz sulle labbra.
– No, no, ti prego! Dai, facciamo i bravi, abbiamo deciso, rammenti?
– Sì, lo so… Okay, facciamo i bravi – sospirò Pete, frustrato, indietreggiando di un passo, mentre Fabrizia faceva lo stesso.
Lo sguardo che si scambiarono fu talmente caldo e intenso, che diede loro la stessa emozione di un bacio.
E poi… con un ultimo, scanzonato sorriso, Briz gli voltò le spalle e col suo passo, agile e disinvolto, si allontanò, piantandolo lì come un idiota. Di nuovo! Quante volte era successo, ormai? Aveva perso il conto.
– Gnn, maledizione! – imprecò Pete fra i denti, mollando un calcio a un palo dello steccato – Hai ragione, non serve una Beck's del cavolo! Ma tu basti e avanzi, dannata streghetta, per farmi perdere la testa!
Si appoggiò coi gomiti alla recinzione e chinò il capo, passandosi le dita fra i folti capelli, nel suo solito gesto di quando era nervoso o esasperato, e se ne rimase lì, a guardare le lucciole che danzavano nel buio.
Tom e Jessie, fermi sulla porta della scuderia, si scambiarono uno sguardo perplesso.
– Tommy, amore mio… ma perché diavolo i nostri fratelli grandi si incasinano la vita in questo modo?
– Bella domanda, tesoro. E qualcosa mi dice che sono in parecchi, a chiederselo!3 
 
> Continua…
 
 
                                                           
 
Il capitolo è stato scritto una vita fa, quindi l’insana idea di far venire il Drago Spaziale in Italia, è mia. Quella di far partire l’allarme da un’insolita attività dei Campi Flegrei, invece, mi è stata data dalla solita Morghana, che ho scoperto essere più pazza furiosa di me, e neanche di poco. Ma siccome, come ho già detto a suo tempo, mi sento in debito con lei per essere stata la ragione grazie alla quale ho conosciuto EFP, (e di conseguenza anche tante altre persone simpatiche a cui voglio bene, tra le quali i miei recensori,) un altro piccolo omaggio se lo meritava. Un po’ perché questa squinternata mi cita continuamente nelle sue storie, e mi dedica one-shot demenziali dicendo che gliele ispiro, ma soprattutto perché lei è originaria di questa bellissima terra.
Quindi, Morghana, goditi il Drago Spaziale sul cielo di Napoli.

 
Anche l’idea di far diventare Midori una guerriera viene da me. Mi ero un po’ stufata di vederla sempre e solo alle prese con computer e telecomunicazioni. Aveva già dimostrato in più di un’occasione, nella serie, di essere perfettamente in grado di affiancare i compagni in combattimento. E se Sanshiro ne sarà felice o meno, di questa sua scelta, lo vedrete presto.
 

 2 Il Rifugio degli Elfi: questo posto mi è stato ispirato da un luogo davvero esistente, nei pressi di un maneggio a Marradi (comune che, anche questo, esiste davvero, in provincia di Firenze, anche se si trova sul versante romagnolo dell'Appennino).
Boscombroso, invece, lo ha partorito la mia mente bacata.
 
3 Perché Fabrizia e Pete si incasinano la vita…
Sì, come dice Tom, sono in parecchi a chiederselo. In particolare i lettori di questa storia… e forse anche la sua stessa autrice! Quindi, non fate domande. Non penserete mica che io abbia le risposte?

 
Per quanto riguarda Tom, che nell'anime sembrava un quindicenne, io ho voluto farlo un po' più grande. Il disegno è stato rifatto ora, nel 2023, perché quello di cui parla The Blue Devil nella sua recensione era davvero bruttino... questo invece mi piace molto di più!  :D
  
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