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Autore: Lory221B    17/06/2017    6 recensioni
Una misteriosa sparizione costringe Sherlock Holmes ad indagare sotto le mentite spoglie di baby-sitter a casa del ricco vedovo John Watson. Riuscirà a tenere a bada la piccola Rosie, carpire la fiducia di John e dei suoi amici e tutto soltanto per risolvere il caso, senza farsi coinvolgere?
[johnlock!AU]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il detective bugiardo

Braccia incrociate e uno sguardo che tradiva un’evidente noia, Sherlock Holmes attendeva l’uscita da scuola della piccola Rosie. Il lungo cappotto e la sciarpa non bastavano per scaldarlo da quello che si stava rivelando essere il più freddo inverno degli ultimi anni e il cielo bianco sopra le loro teste lasciava presagire soltanto l’arrivo di una bella nevicata.

La perplessità nel ritrovarsi lì si fece sempre più prepotente in lui. La situazione era strana, molto strana, era già stato sotto copertura ma non gli era mai successo di dover fingere qualcosa di così lontano da sé stesso.

Trovarsi fuori da una scuola gli fece inevitabilmente ripensare agli anni delle elementari con non poca amarezza: ricordò tutte le volte che avrebbe voluto socializzare con i compagni di classe e quanto l’impresa si fosse rivelata impossibile. Al primo accenno da parte di un orgoglioso piccolo Sherlock, allo studio sul ciclo vitale dei bruchi che stava conducendo, i bambini scuotevano il capo e tornavano a parlare di calcio e action men. Peccato che i suoi compagni di classe non avessero potuto apprezzare la meraviglia di vedere il bruco che Sherlock "aveva adottatto” e filmato quotidianamente, trasformarsi in farfalla, ma avessero passato il tempo a deriderlo, chiamandolo stramboide.

Alcune madri dei compagni di classe di Rosie, intato, avevano più volte buttato l’occhio verso quell’individuo alto e misterioso; alcune confidavano si trattasse di un padre single di qualche nuovo bambino. Sherlock aveva notato che stava velocemente diventando oggetto di curiosità e attirare l’attenzione non era di certo tra i suoi progetti di consulente investigativo impegnato in un caso.

Una delle donne, la più coraggiosa o la più sfacciata, si staccò dal gruppetto diretta a passo spedito verso il detective. « Chiedo scusa, non credo ci abbiano presentati. Mi chiamo Janine, lei è ? »

« William Scott, sono il baby-sitter di Rosie Watson » rispose senza degnarla di uno sguardo.

« Oh, certo » commentò perplessa « Avevo dimenticato la scomparsa di Alice »

« La conosceva bene? » Chiese il detective, ora più interessato, sperando almeno  di rimediare qualche informazione.

« Scambiavamo qualche parola. Sembrava simpatica »

« Chissà come l’ha presa il povero marito » commentò Sherlock, con voce fintamente contrita.

« Secondo me non era poi così innamorata del futuro marito. E lei invece?  La sua fidanzata le lascia fare il baby-sitter? » chiese Janine, facendosi più vicino con l’evidente intento di flirtare.

« Fidanzata? Decisamente non è la mia area e poi, dovrei chiederle il permesso? E’ così che si comportano le fidanzate? » fece perplesso.

« Non la sua area, bene è stato un piacere » Rispose la donna delusa, prima di  congedarsi e correre dalla altre mamme comunicando, con tono di voce non propriamente vellutato, che dopotutto John Watson era gay come avevano sempre sospettato.

La chiassosa uscita da scuola degli studenti pose apparentemente fine ai commenti sul nuovo arrivato e Sherlock, con un sospiro di sollievo, si preparò a prendere il pesante zaino di Rosie per accompagnarla a casa.

« Ciao Rosie, andata  bene la giornata a scuola? » chiese in maniera piuttosto formale, come qualcuno che aveva letto un manuale di psicologia infantile, cosa che aveva effettivamente fatto per imparare velocemente a rapportarsi con una bambina di sei anni.

« Abbastanza, abbiamo fatto le prove per la recita di Natale »

«Interessante » rispose, cercando di esternare appunto un interesse per le attività della bambina, così come suggerito nel manuale.

« Il canto di Natale di Dickens. Noi delle classi prime facciamo solo ruoli di contorno, io faccio parte di un coro di orfani » fece Rosie, un po’ dispiaciuta per la piccola parte.

« E non è offensivo nei tuoi confronti? » sbottò il detective, dimenticando per un attimo che avrebbe dovuto usare “tatto” nel rapportarsi con una bambina orfana di madre.

« Perché? »

« Beh, perché tu… » “hai perso la madre” « ...mi sembri… più… brava » formulò a stento.

« Sei un tipo buffo, sai? » Rosie rise e seguì il baby-sitter nell’auto.

Il viaggio proseguì senza altri intoppi, Sherlock era riuscito a calarsi a modo suo nella parte di baby-sitter, intervallando inopportuni commenti sullo stato dell’educazione nelle scuole britanniche a disquisizioni su cartoni animati che aveva guardato nel week end per prepararsi all’incontro con Rosie. La bambina lo ascoltava, non riuscendo sempre a stare dietro alla raffica di parole che quel nuovo baby-sitter riusciva a pronunciare ma trovandolo un tipo talmente fuori dal comune e da tutti gli adulti che aveva incontrato da starle già più che simpatico.

A casa Watson li attendeva il pranzo già pronto e John, che aveva fatto pausa dal lavoro appositamente per pranzare con la figlia e controllare come se la stesse cavando il nuovo baby-sitter.  Quando entrarono in sala da pranzo, tuttavia, John sembrava più interessato al quotidiano che stava leggendo che al ritorno da scuola della figlia.

« Ciao papà » fece Rosie con voce offesa, saltando al collo del padre, fintamente infastidita dalla mancanza di attenzione. Era davvero un’ottima attrice, Sherlock ci aveva visto giusto sul fatto che era più brava di un’orfana di contorno nella recita scolastica.

« Scusate, ero distratto da questo articolo. Di nuovo quel Sherlock Holmes sul giornale » commentò, ripiegando con cura il quotidiano. Se avesse alzato lo sguardo avrebbe notato la colorazione improvvisamente più bianca del suo baby-sitter, che sentitosi nominare nella sua vera identità si era irrigidito, prima di rilassarsi ricordando che non aveva motivo di pensare che John lo avesse scoperto, non sembrava così acuto.

« Chiedo scusa? » commentò Sherlock, prendendo posto a tavola.

« Papà ha una cotta per un detective » rispose Rosie, ridendo mentre addentava un pezzo di pane.

« Io non ho una cotta » sottolineò John, arrossendo leggermente « Seguo la cronaca e questo Sherlock Holmes è spesso citato. Nessuna foto però » commentò, leggermene deluso.

« Aiuta la polizia, è un investigatore privato » aggiunse Rosie, credendo che Sherlock avesse bisogno di una spiegazione, ma l’unica costa che stava pensando era di correggere detective con “Consulente investigativo”.

« Se è un investigatore è il motivo per cui non ci sono foto, necessita l’anonimato » rispose Sherlock guadagnandosi un  « Lo credo anch’io » di John, piuttosto meditabondo, come se stesse meditando di setacciare internet alla ricerca di una foto.

« Sherlock Holmes ha un sito, papà una volta gli ha scritto » intervenne nuovamente Rosie e John cominciò a chiedersi perché fosse diventata così chiacchierona tutto d’un tratto o perché lui si sentisse così giudicato da William, che conosceva da nemmeno un giorno.

« Solo per chiedergli cosa ne pensasse di quello strano annuncio su una lega dei capelli rossi(1) » bofonchiò John, tuffandosi immediatamente nel suo piatto di pasta per evitare altre domande sul punto.

Oh, eri tu” riuscì soltanto a pensare Sherlock, non nascondendo un sorrisetto compiaciuto, quel caso era stato davvero bizzarro e aveva anche ringraziato il misterioso utente “the man” che lo aveva stuzzicato al punto da indagare.

Rosie emise uno strano verso prima di buttare giù il boccone che aveva in bocca e esporre la sua idea « Potresti andare da lui e inventarti un caso, così lo conosceresti »

« Non credo abbia tempo per cose del genere »

« Potresti raccontargli di Alice » aggiunse Rosie.

In quello strano ping - pong tra padre e figlia, Sherlock aveva completamente dimenticato perché si trovasse a quella tavola con loro. Non era stato invitato, si era infiltrato per un caso e finalmente ne stavano parlando.

« Che tipo era Alice? » chiese il detective, cercando di farla sembrare una domanda normale ed innocente.

« Secondo me non si è suicidata » rispose Rosie che ogni minuto che passava dimostrava una maturità che Sherlock non credeva di riscontrare in una bambina di sei anni.

« Come fai a dirlo? » le parole uscirono dalla bocca del detective senza pensare fosse una domanda inopportuna.

«Era felice, le persone felici non hanno motivo di uccidersi » rispose la bambina con aria saggia, come se avesse meditato molto sul punto e fosse giunta a quella conclusione. John ne fu costernato, non aveva capito che la figlia aveva preferito una versione alternativa della realtà ma la cosa non avrebbe dovuto sorprenderlo, aveva molta fantasia.  La signora Hudson lo aveva rimproverato per aver raccontato a Rosie la verità nuda e cruda ma John già si sentiva  in colpa per non averle detto esattamente come era morta la madre, non volve aggiungere altre bugie.

John prese un respiro e cercò nuovamente di spiegare la vicenda a Rosie  « A volte la felicità è solo esteriore, tesoro. Sembrava felice e nessuno poteva immaginare quanto soffrisse »

« Come te? » chiese Rosie preoccupata, spiazzando entrambi i presenti.

« Io… io sono felice » fece il padre e fortunatamente la signora Hudson entrò nella sala da pranzo proprio in quel momento mettendo fine al discorso  « Smettetela con questi argomenti così macabri. Alice era una ragazza meravigliosa ».


**** * ****

Nel pomeriggio Sherlock scoprì quanto potesse essere complicato far fare i compiti a una bambina che avrebbe preferito mille volte disegnare o giocare con i Lego piuttosto che stare seduta a risolvere operazioni di matematica, fatto che il detective non poteva che condividere, non era facile nemmeno per lui stare fermo sulla sedia.

Dopo trenta minuti Sherlock si alzò e iniziò a passeggiare per il soggiorno, prima che gli venisse l’insana voglia di telefonare a qualcuno perché gli portasse una sigaretta « Alice stava seduta mentre tu facevi i compiti? »

« Beh, sì » fece la bambina, osservandolo « Hai un disturbo da deficit dell’attenzione o iperattività? »

« Scusa? » chiese spiazzato dal linguaggio così tecnico di quella bambina.

« Un mio compagno di classe ha entrambi, la maestra lo ha legato alla sedia una volta. Poi è venuto fuori che aveva questa sindrome» rispose facendo spallucce.

« Ha tutta la mia comprensione » commentò Sherlock, prima di guardare Rosie che lo fissava cercando di trattenere una risata e scoppiarono entrambi a ridere.

Si sentì strano, molto strano. Gli sembrò come se quei muscoli facciali non fossero stati usati da tanto tempo. Di solito sorrideva per la felicità di un nuovo caso, per qualche interessante distrazione, mentre non era sicuro di quando fosse stata l’ultima volta che aveva riso davvero con qualcuno.

Finiti i compiti finalmente Rosie poté dedicarsi al disegno, attività che Sherlock scoprì essere tra le preferite della bambina e aveva di positivo che poteva sbizzarrirsi nella sua camera mentre il detective si prendeva una pausa dall’attività di baby-sitter, che gli stava impegnando parecchie, inutilizzate, funzioni cerebrali: ricordarsi di usare il tatto, ricordarsi di sorridere, ricordarsi che aveva sei anni e non poteva parlarle come ad un adulto… Sherlock di solito era abituato a esprimersi a monosillabi o iniziare lunghe spiegazioni che soltanto l’ispettore Lestrade aveva la pazienza di ascoltare, non si impegnava mai a modulare a lungo le sue esternazioni.

Scese in cucina dove la signora Hudson stava già preparando la cena. Fece qualche passo per la stanza, prendendo in mano oggetti a caso in attesa di poter chiedere alla governante finalmente qualcosa su Alice. La donna era un po’ stranita dal nuovo arrivato, sentiva che c’era qualcosa di particolare in lui ma non riusciva a comprendere cosa. Forse già il fatto che un impettito ma stravagante uomo avesse deciso di fare il baby-sitter era  una cosa piuttosto strana per lei.

Sherlock posò il timer a forma di mela che aveva trovato sul tavolo e si preparò ad un approccio con la governante che intento continuava imperterrita a controllare la cottura del pollo.

« Lavora qui da tanto tempo? » iniziò morbido.

« Sì, prima lavoravo per i genitori di John. »

Sherlock strinse le labbra, annuendo all’informazione inutile.

« Giovanotto, vuoi chiedermi qualcosa? » lo spiazzò lei, con un tono molto simile a una madre più che a una governante.

« Stavo pensando a quel discorso di pranzo. Alice, lei la conosceva bene? »

« Abbastanza, era una ragazza molto impetuosa, come ero io da giovane » fece strizzando l’occhio « Molto diversa dalla sorella, una ragazza fin troppo posata per essere americana. Alice era uno spirito libero »

« Da come la descrive non sembra una ragazza che tenterebbe il suicidio » constatò lui, ritenendo sempre meno probabile l’ipotesi formulata dalla polizia.

 La donna lo guardò perplesso « Beh non lo so, mi sento quasi in colpa a non aver dato peso a quello che era successo la mattina del giorno in cui è sparita. Eravamo andate in Chiesa per verificare gli ultimi dettagli sugli addobbi. Quando siamo uscite ho notato una strana espressione in Alice, come se avesse visto qualcosa che l’aveva spaventata, non saprei direi »

« Ne avete parlato? » fece lui, trattenendo una sorriso nell’ottenere finalmente qualcosa di utile per il caso.

« No, poi siamo state distratte da altro »

« E il futuro marito che tipo era? » incalzò Sherlock, senza rendersi conto che si era avvicinato e stava tenendo un ritmo nelle domande più da interrogatorio che da amichevole conversazione.

« Perché tutte queste domande? » chiese la governante, congelando l’espressione interessata di Sherlock.

« Niente, ero solo curioso » rispose, sparendo quasi subito dalla cucina sbuffando, perché era chiaro che l’unico modo che aveva per scoprire qualcosa sul marito era andare a parlare col gruppetto delle mamme pettegole il giorno dopo.

La cena fu più silenziosa del pranzo o almeno a Sherlock parve silenziosa, in realtà Rosie chiacchierò a lungo dell’imminente recita scolastica e solo quando si sentì chiamato in causa si rese conto che aveva ignorato completamente ogni singola parola che John e Rosie avevano pronunciato.

« William, mi hai sentito? » fece la bambina scuotendo il capo e sussurrando al padre « deficit dell’attenzione » guadagnandosi un’occhiataccia di John che non sapeva più come contenere la sfacciataggine della figlia.

« Scusate mi ero distratto »

« Rosie voleva sapere se ci sarai alla sua recita di sabato » fece John, sorridendo.

« Oh, il coro degli orfani »

« Il canto di Natale » lo corresse la bambina.

Sherlock non sapeva davvero cosa rispondere, per sabato avrebbe sicuramente risolto il caso, sei giorni erano anche troppi per scoprire se la ragazza si era davvero suicidata, era stata uccisa o era scomparsa per altri motivi, fatto su cui puntava. Abbozzò un sì, sentendosi stranamente in colpa.

***** *****

Dopo aver messo a dormire la figlia, John raggiunse Sherlock che seduto davanti al caminetto stava leggendo uno dei libri del misterioso scrittore Arthur Conan Hamish. Dalla lettura delle prime pagine fu certo che il libro che aveva in mano era stato scritto dal suo provvisorio datore di lavoro. Il protagonista era un medico che nel tempo libero aiutava un amico poliziotto a risolvere strani casi in cui rimaneva coinvolto perché riguardavano i suoi pazienti o i colleghi. C’era la voglia di avventura e c’era quella sorta di lealtà e romanticismo che circondava John Watson.

Sherlock chiuse il libro all’arrivo dell’autore in persona, non smettendo di chiedersi quanti altri misteri nascondesse l’apparente ordinario John Watson.

« Sempre interessato a quei libri? »

« Rosie mi ha fatto capire che l’autore sarebbe stato felice se li avessi letti » commentò con un sorrisetto che suscitò in John una risata sconsolata  « Rosie, Rosie. Quando diventerà adolescente sarà ingestibile »

« E’ molto intelligente » commentò soltanto Sherlock.

« Già, ha preso molto dalla madre »

Sherlock si sporse leggermente, per vedere meglio John in quella penombra, con soltanto le fiamme del camino e un abatjour ad illuminarli.

« Non ti manca, vero? »

« Come dici? »

« In casa ci sono delle foto di Mary assieme alla figlia, nessuna da sola o con te. Se ti mancasse ci sarebbero delle foto di voi due, o almeno qualche bel primo piano, oppure non ci sarebbero foto per non doverti ricordare costantemente di lei. Invece solo foto con Rosie, non ti manca ma temi possa mancare a Rosie o vuoi comunque che lei si ricordi della madre »

John aprì la bocca per ribattere, qualcun altro lo avrebbe insultato o licenziato, ma non lui « Sai, sei stupefacente ma al contempo rischi che qualcuno ti prenda a pugni »

« E’ già successo. Più di una volta » rispose e John per la prima volta vide una leggera crepa nella personalità così imperscrutabile del nuovo ospite. Se fin dal primo incontro gli era sembrato poco socievole, ora aveva la certezza che era un solitario ma non del tutto per sua scelta.

John si abbandonò sullo schienale, come a cercare di visualizzare quella che era stata la sua vita un secolo prima « L’amore era scemato, avevo scoperto che mi aveva mentito su molte cose e non ero riuscito a superarlo. Le hanno sparato qui, in casa nostra. I giornali hanno parlato di furto ma la vicenda era un po’ più complessa »

« Non l’hai perdonata? Doveva essere una bugia molto grave » chiese Sherlock, sentendosi quasi in colpa, dopotutto anche lui stava mentendo.

« Lo era, immagina che una persona menta su tutto il suo passato, su quello che è… »

Per la prima volta da quando si era buttato in quella avventura, Sherlock aveva cominciato a pensare alle conseguenze delle sue azioni. Cosa avrebbero detto John e Rosie quando avrebbe rivelato che non era un baby-sitter? Cercò di visualizzare la scena e concluse che si sarebbero fatti una risata, in fin dei conti era già stupito che lo volessero come tata e oltretutto erano fan del vero Sherlock Holmes. Non lo avrebbero odiato, si ripeté più volte mentalmente.

« Magari questa persona ha una buona ragione per mentire  » buttò lì Sherlock, pensando più a se stesso che a una persona immaginaria.

« Mi sono ritrovato sposato con una persona che non conoscevo, tu come la prenderesti? » rispose John, ma senza rancore, più con l’atteggiamento di qualcuno che ormai aveva accettato il fatto ma non intendeva ripetere l’esperienza.

« Non lo so, io non sono sposato » "se non con il mio lavoro".

« Già, beh è una sensazione molto spiacevole quando vieni tradito così. Mi sta capitando anche alla casa editrice »

« Oh, hai una fidanzata sul lavoro? » fece Sherlock, stupito di non averlo dedotto.

«No, ho un dipendente che sta passando informazioni alla concorrenza, ma non riesco a capire chi sia » rispose stiracchiandosi sulla poltrona.

La rivelazione di un possibile caso portò nuovo entusiasmo nel detective che smise di pensare a tutte le bugie che stava raccontando  « Se ti va, potrei aiutarti. Sono molto deduttivo, potrei accompagnarti al lavoro dopo aver lasciato Rosie a scuola e fare qualche domanda »

John sorrise, aveva pensato di approfittare del problema per chiedere aiuto al famoso Sherlock Holmes tramite il sito ma William era lì, era reale, non una figura leggendaria di cui non conosceva nemmeno il volto e si era limitato ad un “grazie” quando gli aveva scritto della lega dei capelli rossi.

« Ve bene William dalle mille risorse, domani verrai al lavoro con me »

**** * *****

(1) Sono in vena di citazioni canoniche in questa storia, così dopo “uno studio in rosso” vi buttò lì anche “La lega dei capelli rossi”. Alice viene da un altro racconto ma come direbbe River Song “SPOILER”.

Angolo autrice:
Ciao a tutti e grazie di aver letto/recensito/inserito in qualche categoria. Spero vi piacciano gli sviluppi, un abbraccio!!!

   
 
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