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Autore: SunHunter    17/06/2017    10 recensioni
[Storia ad OC. Scadenza iscrizioni 26 Giugno]
Dal prologo
« Nessuna possibilità che si unisca a noi?» domandò Tom per evitare di chiederle di Abraxas. Sapeva già che la Black era troppo nobile per poter aderire al suo gruppo. Era un peccato essendo una strega di straordinaria fattura, ma i Black avevano più orgoglio che buonsenso. Il solo motto bastava a confermarlo.
« Noi? Non far finta che ci sia un noi. Ci sei tu e poi ci sono loro,» esclamò diplomatica, abbandonando il cucchiaio e osservandolo con una serietà disarmante. Artemis lo conosceva meglio di chiunque altro a Hogwarts, era il suo braccio destro e Tom a volte si stupiva della condiscendenza che gli dimostrava anche quando non concordava con lui. Era capace di sfidarlo mentre lo rispettava e Tom non poteva evitare di ammirarla per quello spirito indomito e alto, totalmente votato al proprio obiettivo.
« E tu?»
« Io sono soltanto una storica,» mormorò suadente, posando i gomiti sul tavolino e sporgendosi verso di lui in una posa cospiratoria che trovò quasi divertente, « E tu conosci i versi del mio artista. Chiunque può far parte della Storia, ma soltanto i grandi possono scriverla.»
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Abraxas Malfoy, Alphard Black, Maghi fanfiction interattive, Tom O. Riddle, Walburga Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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I Cavalieri di Valpurga
 
Your life bleeds like the red I wore
On my lips as skin turned pale

Take this breath
For the lives we waste
For the hollow souls we own
Give me hope
For a restless heart
Where we'll go no one will follow, close

Black is the colour of my true love's heart, Neverending White Lights



Il tanfo dell'acqua ristagnante gli colpì le narici, facendogli arricciare il naso in una smorfia involontaria. Quel liquido torbido gli arrivava alle caviglie, bagnandogli l'orlo della divisa scolastica, ma non se curava. Il fastidio non era nulla in confronto all'adrenalina che gli cantava nel sangue antico e prezioso, potente.
Era a casa finalmente. Era nel luogo a lui destinato di diritto, nell'unico posto in cui poteva esprimere se stesso al meglio delle proprie possibilità magiche.
La sala della Camera era immensa, quasi infinita grazie al sapiente gioco della prospettiva, e illuminata a stento da fuochi greci verdi e sbiaditi. Era trascorso troppo tempo dall'ultima volta in cui un erede di Salazar si era introdotto in quei luoghi e la Camera s'era assopita come la sua Guardiana in una morte apparente.
S'era lasciato guidare dagli altri quattro sensi, la bacchetta di tasso riposta nella tasca della divisa. Soltanto uno sciocco avrebbe osato fare un incantesimo in quelle sacre sale, rischiando di incorrere nella furia della sua custode.
Doveva attendere. Doveva permettere che essa lo riconoscesse come suo figlio ed erede.
Avanzò sul pavimento di marmo nero e ossidiana, venato di ocra e d'argento, tra le colonne tortili come serpenti che s'intrecciavano sino al soffitto.
Funghi e alghe avevano sopraffatto la nobiltà dell'ambiente che aveva ceduto all'incuria del tempo tiranno. Strinse i pugni e digrignò i denti, accelerando il passo verso la statua di marmo candido, non potendo sopportare che la sua famiglia fosse caduta tanto in basso da permettere quello scempio.
Era tempo di risvegliare la Guardiana, il Basilisco possente, l'ultimo dono di Salazar.
Era tempo di riprendersi la propria eredità.


A risvegliarlo da quelle fantasticherie fu un tocco timoroso alla porta, un cenno etereo cui rispose con un grugnito poco elegante, chiudendo il libro di Difesa e posandolo sul comodino di compensato tarmato.
Non sfoggiava mai la propria galanteria in Orfanotrofio, quel luogo maledetto in cui aveva trascorso la sua ultima estate. Sarebbe stata sprecata tra quelle mura sudice, con quelle personcine sciocche e inutili che s'affannavano come formiche a condurre vite prive di senso.
Chiunque si trovasse oltre la soglia dovette accettare il rumore contrariato come un segno di benvenuto poiché aprì la porta. Tuttavia non varcò la soglia, forse timorosa che Tom avesse trasformato il pavimento polveroso in lava fumante. Sorrise derisorio per quel pensiero sfuggente. Avrebbe volentieri raso al suolo quel tugurio se non fosse stato tanto cauto e paziente.
Jane, una delle domestiche più giovani, era una donna bassa e tarchiata, che aveva trent'anni ma ne dimostrava cinquanta, invecchiata prima del tempo, grigia come il resto dell'ambiente che li circondava, dalle divise dei bambini al porridge stantio. Forse da ragazza poteva anche essere stata graziosa, con quei capelli biondi e cotonati e i grandi occhi castani, ma l'Orfanotrofio l'aveva resa pallida e appassita, come una rosa potata prima del tempo.
« È arrivata questa per te,» squittì acuta con il suo classico accento dello Yorkshire, un tono che gli fece assottigliare gli occhi per il fastidio. Si domandò con pigro interesse se la signora Cole fosse stata troppo ubriaca di gin per consegnargliela di persona. Di solito nessuna delle cameriere si avvicinava a lui né, tantomeno, gli altri orfani. Aveva istillato nei loro cuori un sano terrore già dai primi anni dell'infanzia, prima che quel gioco gli venisse a noia.
Tom non si disturbò a ringraziarla né a rivolgerle un cenno, cosa che Jane dovette aspettarsi perché, dopo aver posato fulminea la lettera ai piedi del letto, era scattata verso la porta e se l'era chiusa alle spalle.
Esisteva una sola persona al mondo che avrebbe preferito inviargli una lettera tramite posta babbana anziché affidarla a un gufo e Tom fu pervaso da un senso di febbrile euforia nell'afferrare la missiva, quasi artigliandola con le lunghe dita pallide e affusolate.
La pergamena era impregnata del suo profumo, una fragranza delicata al sapore di liquirizia e biancospino con un vago sentore di magnolia.
Poteva quasi immaginare la sua voce piena e squillante, una carezza di velluto come il miagolio di una gatta soddisfatta e venerata, un'antica divinità egizia indolente ed eterna.
La calligrafia arzigogolata era inconfondibile con quelle consonanti aguzze e quelle vocali piene, quei tratti marcati come se avesse avuto un conto in sospeso con la carta.


 
Incontriamoci al Parlour.
A.H.D.

Alquanto deludente a prima vista, ma, conoscendo la circospezione della ragazza, non poteva aspettarsi di più.
Era tipico di Artemis sporcare un'intera pergamena per un messaggio conciso, lei che, da Purosangue di ottima famiglia, aveva sempre vissuto nell'agiatezza, incurante delle difficoltà date dalla miseria.
Si domandò cosa avesse potuto trovare di così prezioso da richiedere la sua presenza, considerato che si sarebbero incontrati il giorno dopo sull'Espresso per Hogwarts.
Doveva avere tra le mani un tomo di inestimabile valore per disturbarlo e, inoltre, si ricordò che non avrebbe dovuto affatto essere a Londra.
Scattò in piedi con un balzo, i piedi nudi contro le piastrelle gelide e l'orlo dei pantaloni grigi che sfiorava le caviglie ossute. Indossò i mocassini in un istante e si cambiò la camicia, afferrandone una dal baule già pronto. Non si sarebbe mostrato al Mondo Magico con quella patetica maglia da Orfanotrofio babbano. Posò il libro di Difesa sugli altri ordinatamente riposti nella parte sinistra della valigia e si premurò di posare il biglietto di Artemis sul comodino, accanto alla candela consumata.
Si assicurò la bacchetta alla cintura, nascondendola con l'orlo della camicia bianca e si passò la mancina tra i corti capelli scuri per ravvivarli dopo una mattinata trascorsa a ripassare il programma dell'anno precedente.
Non ebbe neanche bisogno di chiudere la porta a chiave. Nessuno si sarebbe mai avventurato nel suo regno in miniatura. Scese le scale con calma raggelante, godendosi l'ondata di timore che permeava gli sciocchi abitanti di quel luogo repellente. Si scostavano come se potesse ucciderli con lo sguardo. La piccola Amy squittì come un topolino braccato quando lo notò per poi precipitarsi in camera sua.
Dovette reprimere un sorriso dinanzi a quelle assurdità prima di immergersi in caldo pomeriggio estivo e lasciarsi quel grigiore alle spalle.
Le strade di Londra erano caotiche e pregne di una nebbia soffusa e polverosa, come un vecchio libro sfogliato di rado, ma i visi erano preoccupati, atterriti dalla guerra. Poteva notare i militari armati che scrutavano il cielo, in attesa degli aerei tedeschi. Tre anni prima Londra era stata bombardata dalla Luftwaffe, ma i veri nemici si celavano dietro le armate di Grindelwald, in piena ascesa politica. Era peculiare la coincidenza che il Mondo Magico fosse in guerra mentre l'Europa si macchiava di sangue babbano.
Se fosse stato Grindelwald a sfruttare gli sconvolgimenti babbani o se fosse avvenuto il contrario, Tom non avrebbe saputo giudicarlo, ma non poteva negare che fosse un accadimento non privo di fascino.
Mentre camminava svelto tra le strade di Londra verso il Paiolo Magico, Tom ripensava a ciò che Artemis gli aveva raccontato del mago tedesco, piccole confessioni che la giovane gli concedeva di rado e controvoglia, gli occhi velati di malinconia e le mani strette a pugno, le unghie che segnavano la carne tenera come mezzelune ferine.
Grindelwald poteva essere il suo più utile alleato o il più mortifero tra i suoi nemici, ma una cosa era certa: se Silente non l'avesse affrontato e sconfitto, sarebbe toccato a Tom strappargli lo scettro del potere e del terrore.
Attraversò il Paiolo scansando i pochi avventori e ignorando la voce di un cameriere, isolandosi dalle ciarle inutili di quei biechi e abietti uomini di poco conto.
Il Parlour altro non era che la gelateria migliore di Diagon Alley, situata tra una libreria d'usato e un vecchio negozio di musica. I tavolini esterni, di ferro battuto e intarsiato con ghirigori arzigogolati, erano vuoti se non per uno, all'estrema destra, in cui una ragazza faceva bella mostra di sé, fasciata da un abito da strega blu topazio che le accarezzava il corpo non ancora sbocciato come una seconda pelle, sfiorandone le forme sinuose. Sulla scollatura a barca brillava un ciondolo di ematite, l'unico ornamento che s'era concessa.
Artemis Delacroix era più affascinante che avvenente, una volpe dal manto ramato e dagli occhi acuti, dalla pelle d'alabastro e il collo da cigno, sottile. Dava l'impressione che potesse essere spezzato con una lieve pressione del polso, qualcosa a cui Tom aveva pensato spesso nei primi tempi della loro conoscenza.
La sua amicizia s'era rivelata utile, essendo una delle poche ragazze che non era assolutamente interessata alle fatue romanticherie. Ciò a cui Artemis mirava era il potere della conoscenza pura e illimitata, qualcosa che Tom poteva comprendere e anche apprezzare.
Si stava gustando una coppa di gelato con eleganza studiata, il cucchiaio che fendeva quella semiliquida mollezza alle nocciole con la stessa cura di un coltello che affondava nella carne burrosa di un prigioniero, lo sguardo di un azzurro slavato e gelido che si perdeva nella contemplazione del nulla intorno a lei. Tom non aveva bisogno di utilizzare la Legilimanzia per scoprire a cosa la sua compagna di Casa stesse davvero pensando mentre tamburellava il piede destro, coperto da uno stivaletto di pelle di drago, contro la gamba del tavolo.
Tom scivolò nella sedia dinanzi alla sua e Artemis sollevò lo sguardo su di lui, senza neanche sobbalzare, come se avesse percepito la sua presenza da quanto aveva messo piede a Diagon Alley. Si limitò a sistemarsi l'acconciatura fulva, appuntandosi un ferrettino nello chignon elegante e morbido.
« Sei lento, Riddle. Il tuo gelato si è quasi sciolto,» cinguettò la giovane Serpeverde, rivolgendogli un sorriso scintillante e furbo con quelle labbra truccate di rosso che avrebbero fatto capitolare mille e più uomini, ma non lui.
Gli aveva ordinato una coppa alla menta piperita, guarnita con una tempesta di cioccolato fondente. Tom la osservò disgustato. Detestava i dolci e Artemis lo sapeva bene. Una volta aveva persino scherzato dicendo che era segno della sua infinita malvagità.
« Cosa nascondi?» le domandò, facendo evanescere la coppa con un tocco di bacchetta, senza neanche sillabare l'incanto. Artemis non diede cenno d'essere impressionata da quella magia di livello superiore a quello che avrebbero dovuto aver acquisito a quel punto della loro formazione scolastica. In fondo ella stessa era una strega di straordinario calibro, sebbene solo in alcuni campi.
« Un ricettario,» annunciò con falsa innocenza, sbattendo le lunghe ciglia scure, un'ingenuità smentita dal sorriso da Goblin che gli rifilò di sottecchi, mostrando le perle bianche dei denti piccoli, leggermente macchiati di rossetto, « Il titolo è banale, ma il contenuto è tres charmant,» soggiunse zelante, porgendogli il libro. Quando conversava nella sua lingua madre, le vocali divenivano più dolci e sembrava quasi che cantasse un'antica nenia da druida. L'inglese era tentennante in lei, le vibranti troppo marcate, ma a Tom non dispiaceva. Smorzava l'aura di grazia che sembrava avvolgerla come un manto.
Il ragazzo inarcò le folte sopracciglia scure e le rivolse un mezzo sorriso saccente, gli occhi accesi di divertimento.
« Non credevo ti avessero trasformato in una donna di casa. Tua zia ne sarà orgogliosa,» scherzò caustico, abbassando poi lo sguardo verso il libro dalla dura copertina di cuoio invecchiato e sfilacciato, dalle pagine fragili e sottili. Il titolo Artes Vetitae svettava in caratteri d'oro zecchino. In effetti era alquanto mediocre.
« Non nominare quella vecchia Banshee. Davvero, Tom, a volte non mi sovviene come possa essere stata imparentata con mia madre,» borbottò, sventolando la mancina e rabbuiandosi di colpo, un broncio infantile ad arcuarle le labbra e gli occhi velati di rabbia. Che Artemis detestasse sua zia con tutto il cuore era un argomento che Tom aveva ascoltato mille volte. La ragazza non poteva evitare di paragonarla a sua madre, che per lei era sempre stata un modello, e il sedicenne lo reputava sciocco e insensato quanto deleterio.
« Eri a Londra in questi giorni,» esclamò per scacciare quell'argomento inutile dalla loro conversazione. Tom non amava perdersi in sciocchezze e neanche Artemis che gli scoccò un'occhiata grata quasi imbarazzante.
« Da Walburga,» gli confermò, annuendo appena, riprendendo a mangiucchiare il gelato, « Rintracciare tomi pericolosi nello Wiltshire sarebbe stato alquanto difficile e tu sai quanto adori la sua compagnia. È terribile,» aggiunse per poi abbandonarsi a una risata divertita e cristallina che fece voltare ben più di passante. Artemis era una di quelle ragazze che sapevano di brillare e non avevano neanche bisogno di vantarsene. Walburga Black, che condivideva la sua stessa natura, era la sua più cara amica nonostante le liti furiose tra i corridoi e gli scherzi crudeli.
« Nessuna possibilità che si unisca a noi?» domandò Tom per evitare di chiederle di Abraxas. Sapeva già che la Black era troppo nobile per poter aderire al suo gruppo. Era un peccato essendo una strega di straordinaria fattura, ma i Black avevano più orgoglio che buonsenso. Il solo motto bastava a confermarlo.
« Noi? Non far finta che ci sia un noi. Ci sei tu e poi ci sono loro,» esclamò diplomatica, abbandonando il cucchiaio e osservandolo con una serietà disarmante. Artemis lo conosceva meglio di chiunque altro a Hogwarts, era il suo braccio destro e Tom a volte si stupiva della condiscendenza che gli dimostrava anche quando non concordava con lui. Era capace di sfidarlo mentre lo rispettava e Tom non poteva evitare di ammirarla per quello spirito indomito e alto, totalmente votato al proprio obiettivo.
« E tu?»
« Io sono soltanto una storica,» mormorò suadente, posando i gomiti sul tavolino e sporgendosi verso di lui in una posa cospiratoria che trovò quasi divertente, « E tu conosci i versi del mio artista. Chiunque può far parte della Storia, ma soltanto i grandi possono scriverla.»


 
*******


Grimmauld Place era immersa nella luce tenue di un tramonto distratto, sbiadito e immerso nella nebbia e nei fumi nocivi della City. I lunghi corridoi erano ammantati di oscurità e si potevano percepire i passi laboriosi e ossequianti degli elfi domestici, intenti a preparare la cena.
Nelle sue stanze signorili, tappezzate di smeraldo e d'argento, la maggiore dei tre rampolli, la splendida Walburga, vergava con attenzione meticolosa la propria firma, vezzeggiando il cognome tanto amato con un sorriso soddisfatto ad arcuarle le labbra carnose.
I Black erano sempre i vincitori.
Aveva premuto da anni affinché lo studio dell'Alchimia tornasse in auge tra le mura del castello inglese e il preside Dippet l'aveva finalmente concesso. A un solo anno dall'apertura della Camera dei Segreti era un risultato insperato quanto benaccetto.
Gli occhi grigi brillavano di divertita soddisfazione mentre apponeva la ceralacca con un gesto signorile, le candide braccia dalle vene bluastre in rilievo fasciate da un abito color pervinca che ben si armonizzava con i capelli biondi, sciolti come onde sulle spalle strette.
Avrebbe condiviso la lieta notizia con Artemis, ma la sua amica e rivale s'era eclissata quella mattina dopo colazione, cianciando allegramente di libri proibiti e di vecchi debiti da saldare.
Walburga aveva rinunciato sin da subito a domandarle dove si recasse a quell'ora, mentre i militari babbani pattugliavano le strade. Non era da Artemis svelare le proprie carte e non aveva alcun desiderio di udire i suoi enigmi pronunciati con un guizzo brillante e malizioso ad illuminarle gli occhi chiari.
Inoltre non era neanche certa di volerlo sapere davvero. In fondo l'unico che Artemis potesse voler incontrare a Londra era Tom Riddle e la sua amica sapeva che lei non avrebbe di certo approvato.
Tom Riddle era pericoloso come un serpente e altrettanto avvenente, un gioco di chiari e scuri che attirava come avrebbe potuto fare un ragno con degli sciocchi insetti. Si mostrava affabile, persuasivo, mentre con la diligenza e la pazienza di un giocatore di scacchi tesseva la propria tela di intrighi e inganni. Era talmente capace da far credere alle proprie vittime di aver desiderato sin dall'inizio qualcosa che avrebbe favorito soltanto lui. Una maledizione Imperius scagliata di continuo senza neanche brandire la bacchetta.
Walburga, seppur l'ammirasse per la scaltrezza, era abbastanza accorta da non frequentarlo più del necessario e non comprendeva il desiderio di morte che sembrava animare la sua migliore amica. Artemis s'era gettata in quel calderone a braccia aperte, senza neanche conoscere l'antidoto.
Affidò la lettera di ringraziamento al Preside a Lilith, la sua splendida civetta dagli occhi ambrati e acuti, prima di abbandonare le sue stanze e avventurarsi tra i corridoi della casa patronale.
I tacchi delle sue scarpe risuonavano come ticchettii d'orologio tra le mura antiche, destando quadri che rivolgevano sguardi orgogliosi alla primogenita di Pollux e Irma Black, la promessa di nobiltà impressa in ogni tratto del suo bel volto altero.
Grimmauld Place sembrava vuota, ma Walburga sapeva dove trovare suo fratello minore, l'unico che la occupava con lei in quei giorni.
Suo padre era sempre più impegnato al Ministero mentre seguiva febbrile, da Capo dell'Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, gli sconvolgimenti della guerra sul Continente. Sua madre e Cygnus erano ancora nel Somerset per mitigare la cattiva salute del minore.
Alphard oziava annoiato nella sala circolare giocando con l'anello di famiglia mentre leggeva distratto un tomo di Pozioni avanzate. Indossava una camicia inamidata e un paio di pantaloni neri dal taglio elegante, ma era a piedi scalzi e la leggera peluria scura che gli copriva le guance incavate era segno che non si fosse rasato da un paio di giorni. Un gesto di negligenza che Walburga riteneva di pessimo gusto. L'erede dei Black somigliava così tanto al loro padre Pollux, con quei capelli scuri e mossi e i tempestosi occhi grigi, da accendere d'orgoglio lo sguardo di tutti i familiari. Walburga, dal canto suo, disprezzava le debolezze del fratello, quel suo cuore troppo ingenuo e votato alla bontà che indeboliva il granito del loro retaggio.
Alphard sollevò lo sguardo interrogativo verso il gemello della sorella maggiore.
« Non è ancora tornata,» gli comunicò senza alcuna inflessione apparente nel tono aristocratico, accomodandosi sulla poltrona dinanzi alla sua dopo aver scelto un libro di Paracelsus, alquanto adatto alla notizia che portava.
Al annuì distratto, un vago dispiacere a macchiargli lo sguardo plumbeo, prima di tornare ai suoi intrugli. Che Al osservasse più del necessario la sua cara amica, Walburga l'aveva notato tempo prima e non poteva evitare di trovarlo patetico quanto spiritoso.
La giovane sorrise, lasciandosi sfuggire uno sbuffo caustico, rivolgendogli uno sguardo di superiorità neanche troppo velata. Suo fratello era uno sciocco sentimentale che non avrebbe mai imparato dai propri errori. Non sarebbe mai stato l'erede dei Black, quella era una promessa.
« Cosa c'è, Burga?» domandò Alphard non senza una certa galanteria neanche studiata. Nonostante le sue mancanze, Al rimaneva un Black. Sentire quel nomignolo le fece arricciare la punta del naso alla francese in una smorfia derisoria e crucciata insieme.
« Non sarà mai tua, sai?» esclamò suadente, osservandolo con tronfio trionfo, i denti candidi e piccoli che affondavano nel labbro inferiore.
« Forse,» le concesse lui con garbo compito, chiudendo il libro e posandolo sul tavolino di mogano, sorridendo appena come se avesse vinto ma non volesse vantarsene, « ma neanche tua.»







Angolo autrice
Ed eccomi approdare anche in questo splendido fandom. Ringrazio chiunque sia arrivato alla fine di questo prologo e spero vi sia piaciuto.
I Cavalieri di Valpurga sono stati i primi Mangiamorte, la cerchia di Tom Riddle quando era ancora a scuola. Questa storia vuole essere un piccolo excursus sulle prodezze del nostro cattivo preferito ai primi anni del suo potere. L'ultima frase di Artemis è un riferimento ad Oscar Wilde e Paracelsus è un noto alchimista.

 
  • La storia è ambientata negli anni '40, in un clima di guerra e terrore dilagante, quindi bisogna essere coerenti;
  • Non c'è un numero massimo di OC che potete inviarmi, ma potrebbe esserci una selezione;
  • Non accetto Mary Sue, Gary Stu, Lupi Mannari, Veela, Animagus, Banshee o qualsivoglia altro ibrido;
  • Accetto personaggi imparentati con i Canon, ma non fratelli o sorelle (nel senso che posso accettare dei Black, ma non se sono fratelli di Walburga, Alphard, Cygnus, Orion e Lucretia).
  • Tom non è disponibile per una relazione romantica. Tom non ama e non ha mai amato nessuno nella sua vita. Non è mai stato capace di provare dei sentimenti autentici e puri per qualcuno. Tuttavia posso accettare che intraprenda una relazione meramente carnale, sebbene l'idea non mi faccia impazzire;
  • Questa storia è un'interattiva e quindi non si può evanescere come una coppa di gelato alla menta. Posso comprendere che tutti noi abbiamo degli impegni, ma preferirei essere avvisata;
  • Bisogna inviare le schede esclusivamente per messaggio privato. Le recensioni sono per il capitolo e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate;
  • Per la questione dell'Alchimia accetterò studenti solo del sesto e del settimo anno. Per poter entrare bisogna avere un'alta media in Pozioni e Trasfigurazione, nonché una certa creatività e pazienza;
  • Per domande, dubbi e perplessità sono a completa disposizione;
  • I Cavalieri di Valpurga non erano dei sadici e quindi non accetterò questo tipo di personaggio. Vi rimando alle parole della Somma mamma Row per rinfrescarvi la memoria:
Col passare del tempo, raccolse attorno a sé un gruppo di amici zelanti; li definisco così per mancanza di una definizione migliore, anche se, come ho già accennato, Riddle non provava alcun affetto per loro. Questo gruppo esercitava una sorta di fascino oscuro all'interno del castello. Erano una compagnia eterogenea: un misto di deboli in cerca di protezione, ambiziosi in cerca di gloria condivisa, e di bruti che gravitavano attorno a un capo in grado di mostrare loro forme più sofisticate di crudeltà. In altre parole, erano i precursori dei Mangiamorte, e difatti alcuni di loro divennero i primi Mangiamorte, dopo aver lasciato Hogwarts.
Silente, Capitolo 17, Harry Potter e il Principe Mezzosangue.


Scheda


Nome:
Secondo nome*
Cognome:
Soprannome*:
Età:
Casa e anno:
Stato di Sangue:
Allineamento (Cavalieri di Valpurga)*:
Descrizione fisica:
Prestavolto:
Descrizione caratteriale e psicologica:
Famiglia e rapporto con essa:
Amicizie/inimicizie:
Ama/odia:
Orientamento sessuale e relazione ( accetterò prevalentemete lo het per via dell'epoca storica):
Bacchetta:
Patronus (e ricordo legato a esso):
Molliccio (paure/Fobie/Debolezze):
Amortentia:
Materie preferite:
Materie odiate:
Attività extrascolastiche (Quidditch, Club dei Duellanti, Lumaclub, Club degli Scacchi, Club delle Gobbiglie)*:
Animale*:
Altro (curiosità sul vostro OC):
Frase che lo caratterizza:





 
Tom Orvoloson Riddle, VI anno, Serpeverde, Prefetto, membro del Lumaclub e del Club degli Scacchi.

Power resides where men believe it resides. It's a trick. A shadow on the wall.
Game of Thrones
 
 
Artemis Hebe Delacroix, VI anno, Serpeverde, membro del Lumaclub e del Club di Astronomia.
Scopriamo un fascino nelle cose ripugnanti, ogni giorno d'un passo, nel fetore delle tenebre, scendiamo verso l'inferno, senza orrore.
Charles Baudelaire, I fiori del Male.



Walburga Cassiopeia Black, VI anno, Serpeverde, Prefetto, membro del Lumaclub.
Look like the innocent flower, but be the serpent under't!
William Shakespeare, Macbeth

Alphard Pollux Black, V anno, Serpeverde, Prefetto, membro del Lumaclub. Cacciatore.

I'm worse at what I do best
And for this gift I feel blessed

Nirvana, Smeel Like Teen Spirit





Abraxas Brutus Malfoy, VI anno, Serpeverde, membro del Lumaclub. Cercatore e Capitano.

È assurdo dividere la gente in buona o cattiva. La gente è affascinante o noiosa. Io mi schiero dalla parte affascinante.
Oscar Wilde


   
 
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