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Autore: Arya Tata Montrose    19/06/2017    3 recensioni
Il piccolo Hizashi tiene d'occhio il negozio di sua madre, quando un inaspettato cliente fa il suo ingresso.
Dal testo:
[...] «In cosa posso aiutarla?» chiese diligentemente.
L’uomo non rispose subito, perso ad osservarlo. Anche Zashi lo scrutò, notando via via sempre più dettagli con la propria immagine riflessa.
«Oh»[...]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanabi Hyuuga, Kiba Inuzuka, Neji Hyuuga, Nuovo Personaggio, Tenten | Coppie: Neji/TenTen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Welcome home

 



Un leggero venticello faceva frusciare le fronde verdi degli alberi, che riparavano il cortile del piccolo negozio dal bruciante bacio del sole estivo e offrivano ristoro dall’afa dell’estate della Terra del fuoco.

Le agili gambette del bambino altalenavano pimpanti, penzolando dallo sgabello troppo alto su cui era seduto, che però gli permetteva di stare comodamente dietro il bancone. Ogni tanto, la leggera corrente d’aria che passava per il locale, tra la porta d’ingresso e quella del retro, faceva tintinnare i fūrin, muovendogli i lunghi capelli castani. Gli finivano sugli occhi perla, gli solleticavano il naso e a volte, chissà come, se li trovava pure in bocca, ma non aveva mai pensato di tagliarli come gli altri bambini, e se li ravviava contento, con un gran sorriso. Quel giorno, d’altronde, era cominciato davvero bene, con la sua mamma che canticchiava allegra in giro per casa e poi per il negozio, nel mentre che sistemava scatole di nuova merce e smistava gli ordini dei vari clienti. Gli aveva pure promesso che nel pomeriggio si sarebbero allenati assieme in vista dell’Accademia e non vedeva l’ora di mostrarle  il lancio che zia Hanabi e zio Kiba l’avevano aiutato a perfezionare giusto il giorno prima.

Ora però, l’unica cosa su cui doveva concentrarsi era sorvegliare il negozio, in attesa che qualche collega degli zii e della mamma arrivasse a richiedere attrezzatura per qualche missione.
Dopo la guerra i rapporti tra le varie nazioni e villaggi si erano rinsaldati, ma non mancavano certo tensioni e briganti traditori che continuavano a perturbare il velo di pace che aveva ricoperto ogni cosa. I ninja, quindi, al contrario di ogni pronostico, avevano continuato a ricevere un buon carico di lavoro e ogni tanto persino Tenten ripartiva, lasciandolo alle cure dei nonni e degli zii. Ogni tanto faceva loro qualche domanda sul suo papà e tutti si erano sempre rivelati propensi a parlare di lui; lo facevano con ammirazione, rispetto che risuonava nelle voci, sporcate da una singola, impercettibile nota di malinconia. In particolare, Zio Naruto, che ridendo lo indicava come “il genio degli Hyuuga battuto dal sottoscritto”, ancora fiero per quella vecchia, sbiadita vittoria. E si perdeva poi a raccontare di missioni e altri piccoli momenti di quotidiana idiozia vissuti assieme.
Hizashi era quindi cresciuto sentendo parlare di suo padre come una persona ed uno shinobi meraviglioso e si era convinto – a ragione – che Neji Hyuuga fosse una sorta di leggenda. Pur non avendolo mai visto dal vivo, sapeva già di volergli un mondo di bene. Quando, molto tempo prima, aveva borbottato che secondo lui Neji avesse abbandonato la mamma, lei per prima e poi il resto della famiglia avevano provveduto a spiegargli che no, non era scappato e non li aveva nemmeno abbandonati: l’Hokage Kakashi gli aveva dato una missione importantissima che l’aveva costretto a stare lontano tutti quegli anni ed insieme a lui c’era l’alquanto, tristemente famoso Sasuke Uchiha, il marito di Sakura.
«Oh, allora è una cosa segreta!» aveva commentato, convinto, e da lì suo padre era tornato ad essere il suo più grande eroe.
 
Tenten gli passò accanto per prendere alcuni registri e, sorpassandolo di nuovo, gli scompigliò i capelli. Tornò nel magazzino con un gran sorriso.
«Ti manca mai?» le aveva chiesto Hanabi una sera, quando dopo una cena con Hizashi, Hiashi e le due figlie di quest’ultimo, erano sedute fuori, sull’engawa, affacciate sul giardino e sul cielo stellato con una fumante tazza di tè tra le mani.
Tenten non aveva rivolto lo sguardo a lei, piuttosto al bambino che riposava tranquillo con la testa sul suo grembo e gli aveva accarezzato la testa. «Sì, ma ogni tanto riceviamo delle lettere. E lo vedo ogni giorno.»
E il viso di Neji era andato sempre più a delinearsi nei tratti del figlio, seppure con maggiore morbidezza, dovuti alla fanciullezza o all’eredità della madre.
Il campanello sopra la porta tintinnò quando questa si aprì, annunciando un nuovo cliente e mettendo il piccolo sull’attenti. Sorrise cortese e gli diede il benvenuto nell’armeria Mitashi. «In cosa posso aiutarla?» chiese diligentemente.
L’uomo non rispose subito, perso ad osservarlo. Anche Zashi lo scrutò, notando via via sempre più dettagli con la propria immagine riflessa: aveva i capelli castani che ricadevano dolcemente sulle spalle e coprivano la fronte bendata e gli occhi color delle perle; portava uno yukata bianco, immacolato e una mano era saldamente stretta alla bisaccia che portava in spalla, seminascosta dalla mantella scura. A Zashi, il suo sguardo pareva così freddo eppure così intenso che ricordava di averlo visto in ben poche altre persone, altrettanto austere: la zia Hanabi ed un'altro che, fino a quel momento, aveva osservato solo attraverso il filtro di uno scatto.
 «Oh»
 
Le labbra del cliente presero la leggera curva di un sorriso e nei suoi occhi, Zashi trovò la conferma alla sua intuizione. Rimase immobile per qualche attimo, metabolizzando l’informazione appena elaborata: non poteva essere lui. Perché no? D’altronde, non è morto. Cioè, mamma mi ha raccontato che lo credevano morto, ma che poi è stato salvato da quella cosa che doveva mettere fine alla Guerra. Però non può essere lui, papà è in missione!
Fu la voce dell’uomo a scuoterlo dalla stasi in cui era caduto, trascinato dalla fune dei suoi pensieri.
«Ciao Hizashi»
 
La sua voce non era come aveva sempre immaginato potesse essere quella di suo padre: quella era più profonda, nonostante l’aspetto giovane e pulito che riportavano le foto. Quella reale, invece, era morbida, quasi bianca, e le parole sembravano acquisire corpo, profondità che, se pronunciate da una voce diversa, non avrebbero avuto.
 
Il fūrin sul retro emise qualche debole nota, unico rumore ad annunciare la nuova presenza nella stanza principale: Tenten non aveva mai perso il passo felpato caratterizzava ogni ninja – una delle prime cose che Zio Kiba gli aveva insegnato era a riconoscere i futuri colleghi dal passo: a meno di possedere l’udito degli Inuzuka, era praticamente impossibile avvertire il movimento di un ninja ben addestrato.
«Neji…» Fu un soffio.
 
Gli occhi di Neji si spostarono sulla donna appena apparsa dalla porticina: il viso leggermente più maturo, una traccia di rossetto, gli abiti in stile cinese, i famigliari, adorabili odango e i soliti, splendidi occhi marroni che avevano colorato le sue notti senza sogni. Nemmeno il sorriso caloroso che gli rivolse era cambiato dal giorno in cui era partito.
Lui lo ricambiò con un più contenuto, più consono alla sua incrollabile austerità, eppure così stonato su un viso che, di solito, ne presentava un minimo accenno. Felice, in quel momento, era dannatamente riduttivo.
 
Zashi sorrise di rimando, e, inconsapevole, spezzò d’allegria il gioco di sguardi in cui i suoi genitori si erano perduti. «Desidera, signore?»
I due, per un secondo, lo guardarono, interrogativi, lavorando alacremente per ristabilire il contatto con la realtà. Quando ci riuscirono, Tenten portò il suo sguardo su Neji, che non ebbe bisogno di ulteriori indicazioni: «Credo che comprerò la proprietaria, gentile commesso», stette al gioco.
«Oh! Guarda che la mamma costa un sacco di soldi!». Il bambino finse di inalberarsi, ostentando un’adorabile finto broncio, osservandoli. Poi, quasi a sorpresa, balzò giù dallo sgabello e corse incontro al padre appena ritrovato. Lui se lo tirò in braccio, facendosi abbracciare. La mamma aveva ragione: pareva di stringere un legno coperto di stoffa, sebbene più caldo e odoroso di ortensie e incenso, misto a quello più boschivo, nuovo ed intenso del cipresso. Tenten si unì all’abbraccio, inspirando a fondo quel profumo che non aveva mai dimenticato, sebbene ora fosse in parte obnubilato dal sempreverde.
Sulle guance dei due adulti, si delinearono ben presto le scie delle lacrime che, silenziose, andavano ad esprimere tutti quegli anni di nostalgia l’una dell’altro, resi tollerabili dalle rare lettere che si potevano scambiare.
 
Fecero appena in tempo a sciogliersi, quando udirono un animato battibecco proveniente dall'esterno avvicinarsi mano a mano.
La campanella annunciò che le voci erano proprio dirette in negozio e Neji e Tenten si allontanarono di un passo, mentre Hizashi si teneva ancora ben stretto al collo del padre. Calò un nuovo silenzio, in cui i due nuovi arrivati si fermarono e rivolsero la loro attenzione al dolce quadretto famigliare che ancora si delineava nella breve distanza tra le figure.
Dopodiché, Kiba riportò la sua attenzione ad Hanabi, ancora a bocca spalancata, puntando ai tre con il braccio teso e la mano aperta: «Beh? Che ti avevo detto?» sbottò. «E tu che continui ad avere delle riserve sul mio naso. ‘Non può essere l'odore di mio cugino, devi esserti confuso, stupido cane’», scimmiottò. «Riconosco che ora è un po’ più legnoso, ma mi ricordo bene di cosa odorano i miei amici, miss Elicriso, Iris e Mirto. Oh, sempre perfetto, vedo!» aggiunse, notando che la figura dello Hyuuga era, come sempre, immacolata: non l’ombra di terra sui suoi abiti, di capelli arruffati o di barba sul suo viso.
 
Neji sollevò un sopracciglio, scioccato dalla ritrovata irruenza cui si era disabituato con lo stretto contatto con l’Uchiha, ma fu comunque contento di vederli: non erano cambiati affatto e, con una leggera smorfia, si ricordò di un vecchio credito verso Hanabi. Non che gliene importasse davvero, ma avrebbe riscosso i suoi cinque yen solo per il gusto di ricordarle il suo scetticismo verso l’Inuzuka e il suo cinismo riguardo i rispettivi sentimenti.
 
L’unica cosa che Hanabi riuscì a dire, dopo un lungo silenzio, fu «Bentornato a casa, Neji–nii»
Poi corse ad abbracciarlo in un improvviso quanto inusuale moto di nostalgia mista ad affetto, affiancata poco dopo da Tenten e Kiba. Hizashi rise felice e si strinse ancora di più al papà.
 
«Mi sei mancato, amico.»
 
 
«Anche voi, tutti quanti.» Ora sono a casa.

 

 


Noticine dell'autrice
 

Salve a tutti!

Questa è una vecchia storiella scritta per un'amica e poi risistemata, a seguito di alcuni headcanon spiegati in una precedente storia, "L'esame del Genitore". In pratica:

  • Hizashi senior e Neji sono sopravvissuti grazie all'albero divino, che li ha inglobati e tenuti in vita 
  • Nel caso di Hizashi senior, l'albero ha trattenuto la sua anima e l'ha legata ad un corpo di Zetsu nel bozzolo
  • Neji è stato inviato in missione assieme a Sasuke e non ha ancora mai visto suo figlio. Decide di rientrare da suddetta missione il prima possibile, lasciando il resto in mano a Sasuke – io non so in cosa consista, dato che mi sono fermata al capitolo 700
  • Kiba e Hanabi stanno insieme – se non si fosse capito, preciso

Penso sia tutto qui. Presto revisionerò e pubblicherò la storia a cui questa ho detto essere collegata – cosa in realtà successa durante la revisione ma sorvoliamo.

Spero vi sia piaciuta ❤︎

Tata

 

   
 
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