La luce del mattino filtrava attraverso
le persiane, creando un fastidioso gioco di luci e ombre. Malia si
rigirò nel letto, sbuffò seccata e si
coprì la testa con il
cuscino. Era sudata e aveva le gambe incastrate tra le lenzuola, ma
non aveva voglia di alzarsi.
Era stata una notte turbolenta,
Stiles aveva risvegliato la bestia dal letargo. Per la prima volta
dopo tanto tempo Malia aveva desiderato qualcosa di diverso
dell'autodistruzione e il senso di colpa era tornato a stringerle lo
stomaco con cattiveria, ponendole così tante domande da non
permetterle di dormire.
Stava tradendo Isaac, il suo dannato
marito morto, stava tradendo quella tacita promessa fatta a
se
stessa dopo la sua morte. Perché Malia voleva Stiles, lo
voleva sul
serio, anche con quella maglietta assurda e le sue folli stranezze,
voleva il pacchetto completo.
L'aveva capito quando i loro
sguardi si erano incrociati, mentre lui indugiava avido sulle forme
del suo corpo. Aveva sentito il calore di quella scintilla lungo la
schiena.
E ora l'odiava per questo. Come aveva osato insinuarsi
nei suoi pensieri senza chiederle il permesso? Lei che aveva deciso
di chiudere il suo cuore e gettare via la chiave!
Il
telefono nel frattempo stava squillando senza sosta, si sporse dal
bordo del letto e lo afferrò in preda ai nervi.
Roteò gli occhi al
cielo dopo aver visto il nome sullo schermo.
«Che vuoi?» chiese
con tono esasperato.
«Ehi,
buongiorno! Dormito bene? Ho parlato con mamma, dice che ieri sera
sei entrata in casa da sola. Sei stata brava. E anche Stiles lo
è
stato, come lo trovi? Ti piace?» disse Allison, veloce come
una
mitraglietta.
«Oh,
Cristo santo! Possibile che non abbiate altro argomento di
conversazione?! E poi che significa se mi piace Stiles? Che vi siete
messi tutti in testa?»
«Cosa? Niente, niente, era solo per
sapere se...»
«Be',
fatti i cazzi tuoi!» abbaiò zittendola.
«Hai chiamato solo per
questo?»
«No,
volevo sapere se ti andava di venire da me. Scott resterà in
ufficio
fino a tardi e io ho organizzato un piccolo brunch con alcune
amiche».
«Un
brunch?» sospirò massaggiandosi gli occhi.
Odiava anche solo la
parola “brunch”, era una cosa da ricchi borghesi
che volevano
dimostrare agli altri di avere abbastanza soldi e tempo libero da
svegliarsi troppo tardi per la colazione. Le amiche di sua sorella
poi... stronze a cui mancava solo l'abilitazione ufficiale.
«Dai,
ti prego! Sarà divertente» la supplicò
Allison approfittando del
suo silenzio.
Malia sbuffò.
«E va bene, ma non mettermi in
mezzo, fingi che io non esista» disse alla fine.
Sua sorella
esultò ringraziandola e chiuse proprio mentre la figlia
iniziava a
piangere.
Aveva fatto la sua buona azione quotidiana, i tipi
strani che frequentavano il suo gruppo di supporto le avrebbero fatto
i complimenti. E poi avrebbero intonato una canzone tenendosi per
mano.
Guardò l'orologio sul comodino e si rese conto di essere
già in ritardo per i suoi allenamenti mattutini. Lo
psicologo
l'aveva posta di fronte a una scelta: attività fisica o
medicine. E
non era stato difficile scegliere.
Indossò la tuta e le scarpe da
corsa, perché anche far visita ai suoi ogni mattina per la
colazione
rientrava tra le condizioni per dire addio ai farmaci.
Era quasi
arrivata all'ingresso, quando vide in lontananza un sacco della
spazzatura con i piedi.
*
La
mattina dopo, che schifo la mattina dopo. La luce illumina ogni cosa
e i disastri della sera prima appaiono sciocchi e insignificanti e
allora ci si vergogna di se stessi e si pensa “mai
più”.
Stiles
si sentì uno schifo, si vergognò di se stesso e
disse “mai più”
all'immagine riflessa nello specchio, dove un tizio barbuto con un
taglio sul naso e uno zigomo livido lo osservava triste.
Nonostante
tutto voleva restare positivo e decise di ricominciare proprio dalla
finestra che non aveva ancora riparato. Suo padre gli aveva lasciato
tutto l'occorrente nel bagno, compreso il vetro nuovo, ma lui era
stato troppo occupato a farsi rovinare da quella Malia per
pensarci.
Malia. Era colpa sua, tutta colpa sua.
Scese
in cucina sperando che suo padre stesse ancora dormendo e invece lo
trovò lì, appoggiato al ripiano del lavello che
guardava fuori
dalla finestra; quando si accorse della sua presenza si
voltò e gli
tese un bicchierino di plastica. Il bicchierino di
plastica.
In altre occasioni avrebbe provato a spiegargli che
stava bene e non aveva bisogno di medicine, ma l'occhio nero e gonfio
di suo padre lo convinse del contrario. Gli si avvicinò e
guardò
anche lui fuori dalla finestra, il sole stava sorgendo e le pillole
scesero giù per la gola lasciandogli l'amaro in bocca e
nell'anima.
La felpa coperta di plastica scura era ancora sulla
sedia, dove l'aveva lasciata.
«Che hai intenzione di fare?»
disse Noah con voce roca, mentre Stiles la sostituiva al
maglione.
«Non voglio ingrassare» rispose con
semplicità, poi
uscì e lasciò che fossero i suoi piedi a guidarlo.
Aveva
macinato parecchi metri a testa bassa, ripetendosi
“excelsior” e
provando a cercare tutte le cose positive che quella giornata aveva
da offrire, quando si accorse di trovarsi su una via diversa dal
solito. Rallentò riconoscendo la casa di Malia.
Fissò il portoncino
verde della sua casetta: chissà se stava dormendo? Era
meglio
cambiare aria prima che...
«HEY!»
l'urlo gli fece saltare il cuore in gola e si ritrovò a
correre
inseguito proprio dall'ultima persona che avrebbe voluto vedere. Era
sbucata da dietro una siepe come se fosse lì ad aspettarlo.
«Oh!
Ma che cavolo fai?!» le gridò superandola.
«Che hai fatto alla
faccia?»
«Sollevavo dei pesi in palestra» aumentò
il passo, ma
lei continuò a seguirlo imperterrita.
«Mi
sembra una cazzata. Perché passi da casa mia? La nostra
conversazione di ieri sera ti ha turbato?»
A quelle parole
Stiles si voltò, senza smettere di correre.
«Hey
è il mio percorso, va bene? Sparisci».
«È
il mio quartiere, sei passato davanti casa mia»
rimarcò il fatto
che lui fosse tornato lì.
Doveva restare calmo, i medicinali
l'avrebbero aiutato e per un breve istante fu grato di averli presi.
Non voleva pensare più a quella sera e a ciò che
sarebbe potuto
cambiare dopo il rapporto dell'agente Whittemore. Cosa avrebbe
pensato Lydia leggendolo?
«Mi
piace correre da solo, capito?»
«Anche
a me!»
Aveva provato ad allontanarla con le buone ma lei non
voleva proprio saperne di lasciarlo in pace. Si fermò
voltandosi di
colpo e quasi Malia gli rovinò addosso. Indossava un
completo da
corsa aderente e portava una sottile fascia elastica per tenere
indietro i capelli. I capelli, quei capelli. Il loro aspetto era
soffice, Stiles avrebbe voluto affondarci le dita per saggiarne la
consistenza. E poi erano corti, così corti da lasciare
scoperto il
collo sottile. Era un suo punto debole, perché tutti si
concentravano a guardare il seno ma lui impazziva per il collo. E
quello di Malia era proprio un bel collo, desiderò di
poterlo
baciare e quel desiderio bruciante fece esplodere la rabbia che
cercava di reprimere.
«Hey! Mi piace correre da solo! La smetti?
Sto correndo!» le urlò contro.
«Anche
io!» rispose lei a tono.
«E perché non corri da un'altra parte?
Cazzo, ci sono milioni di strade per correre, che vuoi fare?»
«Mi
piace questa strada, questo è il mio quartiere»
disse allora Malia
facendo spallucce.
«Oh dai, per favore!» si mise le mani tra i
capelli, al massimo della frustrazione.
«Ma calmati pazzo!»
Stiles provò a ignorarla, fece alcuni respiri profondi e
sputò
la saliva in eccesso preparandosi alla maratona. Sorprendentemente
Malia lo imitò, sputando a sua volta, e ripartì
come se lui non
l'avesse scacciata via.
Da piccolo Stiles era una scheggia,
spesso si era ritrovato a dover correre per seminare i bulli che
volevano picchiarlo. La sua tattica era semplice, cambiava strada
così tante volte da confonderli.
Fece la stessa cosa per lasciare
indietro Malia e ad un certo punto si convinse di avercela fatta, era
stremato ma almeno poteva morire in santa pace sull'asfalto. E invece
Malia spuntò da dietro un angolo gridando di nuovo
“Hey!”.
Dannate gambe da gazzella... doveva passare ad argomentazioni
più
convincenti per levarsela dai piedi.
«Ma che cazzo! Sono
sposato!» gridò con le ultime energie che gli
erano rimaste.
«Lo
sono anch'io!»
«Ma
che cazzo dici? Tuo marito è morto!»
«Dov'è tua moglie?»
«Tu sei pazza!»
«Non sono io quello appena uscito da
quell'ospedale psichiatrico!»
«Non sono io la troiona!»
Ed
ecco che tutto il percorso per migliorare se stesso andava di nuovo a
puttane. Si voltò a guardarla e vide il suo sguardo ferito
mentre si
fermava. Si era arresa eppure si sentì un verme schifoso per
averla
insultata, così stavolta fu lui ad andarle incontro.
«Scusa,
scusami tanto, io non volevo...» disse e le mise una mano sul
braccio ma lei lo scansò.
C'era di nuovo il fuoco negli occhi di
Malia, divampava fino a perforare quelli di Stiles.
«Ero
una troiona ma non lo sono più! Ci sarà sempre
una parte di me che
è smandrappata e sudicia, ma questo mi piace, insieme alle
altre
parti di me stessa» gli diede un pugno sul petto che lo fece
arretrare «puoi dire la stessa cosa di te, fesso? Sai
perdonare? Sei
bravo in questo?» disse e tornò sui suoi passi,
lasciandolo da
solo.
*
«...e
quindi le ho detto 'Cara, se non sei capace cambia mestiere'. Avreste
dovuto vedere la sua faccia, sembrava sul punto di
esplodere!»
L'unica cosa che esplose furono le risatine controllate e cattive
delle amiche di Allison, dopo che lei finì di raccontare la
sua
entusiasmante avventura al centro commerciale e di come aveva
umiliato una povera commessa davanti al capo.
Gli occhi di Malia
fissavano il tetto da almeno mezz'ora. Avrebbe voluto tornare
indietro nel tempo e prendere a schiaffi se stessa prima di accettare
l'invito a quello stupido brunch di galline.
Le loro chiacchiere
vuote le davano l'orticaria e, come se non bastasse, a peggiorare la
situazione c'era l'ingombrante presenza di Lydia, la famigerata
moglie di Stiles.
Era così composta ed elegante, con i lisci
capelli rossi e la pelle diafana, sembrava che niente e nessuno
potesse scalfire la sua imperturbabile tranquillità. Persino
quando
mangiava, beveva il té o sorrideva non riusciva a
trasmettere
calore. Sembrava il prototipo della donna perfetta, ma in maniera
assolutamente inquietante.
Doveva averla guardata troppo a lungo
senza rendersene conto, perché d'un tratto si
girò verso di lei e
ricambiò lo sguardo, fissandola con i suoi grandi occhi
verdi.
«Allora Malia, tua sorella ci ha detto che ti stai allenando
per
una gara di ballo. Come procede?»
Malia mise da parte la brioche
che stava mangiando e si pulì le labbra con il dorso della
mano.
«Mmh, procede bene. Vedo che Ally vi tiene aggiornate su
tutto, spero che tenga per sé almeno lo storico dei suoi
movimenti
intestinali».
Lydia accennò un sorriso, mentre Allison e le sue
due “ancelle” la guardarono come si guardano i fari
di un tir che
arriva a tutta velocità.
«Sei
sempre così pungente?» le domandò la
bambola di porcellana.
«Solo
quando serve e con chi lo merita».
Lydia
si portò indietro i capelli, con un gesto all'apparenza
naturale e
spontaneo, tanto che Malia fu l'unica ad accorgersi del lieve tremore
delle sue mani.
«Scusa
se mi permetto di darti questo suggerimento, ma dovresti provare a
essere più gentile con gli altri. A volte una parola di
troppo può
fare la differenza» disse con tono di rimprovero ma senza
perdere la
calma.
Malia incrociò le braccia al petto pronta a ribattere, ma
la maschera di Lydia si stava sbriciolando e infatti
continuò a
incalzarla.
«Ho
saputo che ieri sera hai conosciuto mio marito e so anche che sei
stata crudele con lui».
«Ah sì? Adesso sarei io quella
crudele?»
Allison, seduta accanto a lei, le strinse un braccio
fino a farle male.
«Malia, basta così» le intimò
sottovoce.
Malia avrebbe voluto fermarsi, chiedere scusa e andare
via, lasciando Allison e le sue amiche in quel salotto a parlare di
quanto fosse difficile avere una sorella pazza. Stava già
vedendo la
scena nella sua testa, quando Lydia rincarò la dose.
«Mi ero
ripromessa di non toccare l'argomento, ma non posso farlo, è
più
forte di me» disse con tono lacrimevole.
Malia, ormai a corto di
pazienza, balzò in piedi liberandosi dalla stretta di sua
sorella.
«Si
può sapere di che diamine stai parlando?»
«Voglio che tu...»
fece una pausa e sospirò. «Io non... non voglio
che tu continui a
frequentare Stiles. La tua presenza evidentemente non gli fa bene,
è
dannosa».
Dannosa. L'aveva davvero definita dannosa?
«DANNOSA?!
Io sarei una presenza dannosa? Ti ricordo che hai
spedito tuo
marito in una clinica psichiatrica e che gli hai imposto un'ordinanza
restrittiva, lasciandolo affogare nella sua stessa merda! E no, non
dire un'altra parola, non voglio più ascoltarti!»
Afferrò
borsa e giacca e uscì di casa come una furia. Sentiva gli
angoli
degli occhi pizzicare, in preda a una rabbia cieca verso Allison,
Stiles, Lydia e verso se stessa. La sensazione di essere sola e
incompresa tornò prepotente a farsi strada tra le sue
emozioni, era
di nuovo sull'orlo del baratro e pensò a quanto fosse facile
tornarci e che forse non si era mai allontana davvero da lì.
Stava
soffrendo, ma non era abbastanza, voleva soffrire di più,
autodistruggersi finché di lei non sarebbe rimasto nulla se
non
cenere al vento. E lottava contro questa voglia dalla sera in cui un
poliziotto diverso da Isaac si era presentato alla sua porta.
Il
desiderio si fece così forte da mozzarle il respiro e fu
costretta a
fermarsi. Non si era accorta che qualcuno la stava seguendo e che la
pausa aveva dato a quella persona il margine necessario a
raggiungerla.
«Malia!»
boccheggiò Allison, mettendole una mano sulla spalla.
Entrambe
erano senza fiato per motivi diversi e la scena avrebbe potuto
sembrarle comica, se il senso di colpa non avesse già
divorato la
parte del suo cuore destinata alla gioia e alle risate.
«Malia,
ti prego lasciami spiegare» sfiatò rimettendosi in
posizione
eretta. «Non è colpa tua!»
«Senti, non m'interessa. Chiedi
scusa a quella stronza da parte mia, inventati quel che ti pare e
riprendi la tua riunione con le menti più geniali del
secolo, mi sta
bene così» alzò le mani in segno di
resa.
«E
invece dovrebbe interessarti! Perché mi dispiace, non ne
sapevo
niente, me l'ha detto poco fa Clarissa e allora ti sono subito corsa
dietro. In effetti speravo che rallentassi prima o poi, ma continuavi
a correre...»
«Clarissa? Una di quelle si chiama davvero
Clarissa?»
«Sì, perché? E comunque non ha
importanza!»
«Be',
è davvero un nome del cazzo. L'altra come si chiama?
Ermengarda?»
«Oh, Cristo! La vuoi piantare?! Stammi a sentire
piuttosto!»
«Va bene! Non ti scaldare tanto, sono pronta ad
ascoltare la verità rivelata da madama Clarissa».
Allison sbuffò
roteando gli occhi al cielo come faceva spesso Malia, era una cosa di
famiglia.
«Ieri sera Stiles ha avuto una crisi, subito dopo il
vostro incontro. Non si sa bene cosa sia successo, sappiamo solo che
il poliziotto che lo tiene d'occhio l'ha trovato a terra, in stato
confusionale dopo aver picchiato il padre, e che aveva ripreso a
farneticare su Parrish che sta manipolando Lydia. Insomma ha fatto
dieci passi indietro, tutti insieme... ma non è
assolutamente colpa
tua!» si affrettò ad aggiungere.
Difficile credere che non fosse
colpa sua, visto che l'ultima cosa di cui avevano parlato erano i
rispettivi matrimoni falliti.
«Malia,
ti prego di' qualcosa» disse Allison e per la prima volta le
sembrò
preoccupata.
Lei però non aveva nulla da dire.
«Mi dispiace,
sul serio non penso che sia colpa tua e...»
«Oddio, Allison...
L'hai ripetuto così tante volte che mi sto convincendo del
contrario!»
«No,
no! Anzi, senti perché non provi ad essergli
amica?»
La sola
idea la lasciò perplessa. Non aveva mai avuto un amico
maschio e, da
quando Isaac era morto, le veniva difficile anche solo pensare di
avere qualsiasi tipo di legame emotivo con qualcuno, figuriamoci un
uomo disturbato e sposato con Miss Replicante.
«Chi, io? Amica di
Stiles?»
«Sì, proprio tu. Io e la mamma pensiamo che
potreste
aiutarvi a vicenda».
«Mi
stai dicendo di aver organizzato quella cena per farci
conoscere?»
«No, quella è stata un caso, ma resta il fatto
che...»
«Va
bene» la interruppe. «Ci
penserò».
*
«Pare
che tu abbia avuto problemi ieri sera».
«Chiariamo una cosa
riguardo a ieri sera. Colpire mio padre è stato un errore e
detesto
me stesso per questo e detesto la mia malattia e voglio controllarla,
ma lui invece non ha avuto problemi a schiaffeggiarmi di brutto ieri
sera, cosa che io non ho ricambiato perché potevo ucciderlo
e non
l'ho fatto. Ha sessantacinque anni, come potrei pestarlo a
sangue?»
«Ha avuto paura per te, temeva che accadesse quello che
poi è successo, che perdessi il controllo».
«Sì,
ieri sera è stato un casino, d'accordo? Io credo che abbia
tentato
di fare del suo meglio».
«Stiles, devi avere una strategia, te
l'ho già detto. Devi riconoscere questi sentimenti quando ti
invadono, altrimenti sarai rispedito ad Eichen House, perciò
quando
li senti arrivare devi trovarti in un posto più tranquillo,
essere
in pace con te stesso in qualunque modo».
«Sì, più facile a
dirsi che a farsi».
«Non hai scelta. Excelsior!»
«Già,
excelsior... senti ho una lettera, voglio che tu la dia a
Lydia».
Quel giorno Stiles aveva anticipato la seduta di circa
due ore, aveva bisogno di parlare, aveva bisogno di spiegare cos'era
successo a qualcuno che avesse davvero voglia di sentire le sue
ragioni.
In poche parole, aveva bisogno di un tramite tra lui e
Lydia.
«No» disse Deaton perentorio.
«Perché?»
«Hai
un'ingiunzione restrittiva».
Stiles sbuffò seccato, incassando
la testa fra le spalle mentre sprofondava nella poltrona.
«A che
cavolo servi?»
«Perché hai avuto questa travolgente urgenza
di vedere quel video ieri sera?»
«Ah, non saprei. Perché sono
sposato e non vedo mia moglie da otto mesi e mezzo?»
«Forse
trovi che Malia sia una ragazza attraente, quindi hai pensato che se
vieni attratto da Malia comprometti in qualche modo la
possibilità
che Lydia torni da te».
«Niente male, dottor Freud! Ma non credo
che sbaglierò con Lydia, perché Malia
è una troia» disse sicuro
di sé. Deaton parve turbato da quell'affermazione.
«E perché è
una troia?»
«Dopo la cena da Scott ha detto, virgolette,
“Possiamo andare nella mia casetta e tu puoi scoparmi, basta
che
però spegniamo la luce”, chiuse virgolette. E
porta ancora la fede
nuziale, perciò in qualche modo è ancora fedele
al marito che è
morto».
«Magari ha solo bisogno di un amico e ha pensato che,
offrendoti del sesso, ti sarebbe stato più facile diventare
suo
amico».
«Lei dice che non è più una troia
ormai, però le
piace quella parte di se stessa, insieme a tutte le altre parti di se
stessa e io posso dire altrettanto?»
«Puoi?»
Stiles si
fermò per un attimo.
«Me lo stai chiedendo sul serio?»
«Sì»
ammise Deaton senza troppi giri di parole.
«Con tutti i miei
incasinamenti? Cos'è sei impazzito?»
«Stiles, sei tu a parlare
di risvolti positivi, ti sto solo restituendo le tue parole. I tuoi
incasinamenti - come li chiami tu – ti hanno reso
più felice e più
calmo, con una bellissima filosofia positiva che ti ha fatto uscire,
fare palestra e leggere libri».
«No, non i libri, quelli non
c'entrano».
«Hai detto che Lydia è amica di Scott, Allison e
Malia, perciò se diventi amico di Malia, Lydia
penserà che sei
carino, gentile, generoso, di gran cuore e altruista, che aiuti chi
ha bisogno e che, in poche parole, stai rifiorendo. Quindi, se
aiuterai Malia sarà un bene per te».
Stiles
pensò per un attimo, una breve frazione di secondo, che
quello fosse
tutto un complotto architettato da Parrish per spingerlo verso
un'altra donna, in modo da avere Lydia tutta per sé; ma poi
si
ricordò che quello era uno dei sintomi della sua malattia, o
forse
furono le medicine a ricordarglielo, fatto sta che qualche ora
più
tardi stava correndo sulla stessa strada e di quel pensiero non c'era
più traccia. Le parole di Deaton, invece, rimbombavano forte
e
chiaro e quasi si ritrovò a ripeterle tra i denti mentre si
avvicinava alla casa di Malia.
Era il 31 ottobre, i bambini del
quartiere indossavano maschere di Halloween e gridavano
“dolcetto o
scherzetto?” in anticipo rispetto alla tradizionale
processione
notturna.
Gli piaceva Halloween e gli piacevano le foglie colorate
che l'autunno faceva cadere dagli alberi. Sarebbe stato bello poter
correre nel bosco e sentirle scricchiolare sotto i piedi.
Era
ormai arrivato alla casa di Malia, fece un giro attorno a un albero e
guardò dietro la siepe, ma di lei non c'era traccia.
Scampato
pericolo, sorrise liberato da quel peso.
«HEY!»
E invece ecco
che la scena si ripeteva, il cuore che gli balzava fuori dal petto
per lo spavento e l'ansia di essere attratto da un'altra donna
diversa da sua moglie. Continuò a correre nella vana
speranza che
lei cambiasse strada, ma poteva quasi sentire il suo fiato sulla
nuca.
«Come fai a sapere quando corro?!»
«Volevo chiarire
una cosa. Voglio solo che siamo amici».
Le parole di Malia si
sovrapposero a quelle di Deaton e Stiles restò meravigliato
da
quella corrispondenza. In quel momento avrebbe stretto la mano al suo
dottore, facendogli i più sinceri complimenti per aver
azzeccato...
oppure era tutta opera di Parrish? No, no, excelsior!
«Hai
sentito cos'ho detto?» chiese Malia irritata.
«Perché mi devi
sempre complicare la vita?»
Stiles continuò a correre, perché
alla fine della strada c'era la soluzione a tutti i suoi
problemi.
«No, non ti sto complicando la vita!»
«Non so
come comportarmi con te quando fai lo stronzo» lei lo
seguì oltre
la fine del viale, ignara delle sue intenzioni.
Stiles si fermò
davanti all'insegna rossa, grande quasi quanto tutta la parete
esterna dell'edificio, Llanerch, ossia “radura”.
«Ceniamo in
questa tavola calda?» le chiese con il sorriso di chi ha
appena
avuto un'idea geniale.
Malia lo squadrò sospettosa, forse
aspettandosi che fosse tutto un scherzo, ma lui continuò a
insistere
con lo sguardo, senza abbassare il braccio con cui aveva indicato il
ristorante.
«Passa a prendermi alle 7:30» disse allora convinta
e scappò via.
Malia
odiava il football, quindi niente maglia di DeSean Jackson. Si
vestì
comunque nel modo più informale possibile: un paio di jeans,
una
maglietta, una felpa e la giacca.
Quello non era di certo un
appuntamento romantico, lui e Malia erano due amici che si vedevano
per un caffè a colazione. Solo che Stiles non ce l'avrebbe
mai fatta
ad attendere fino all'indomani mattina per incontrarla e mettere in
chiaro le cose e trovare uno spiraglio verso Lydia.
Arrivò
davanti al vialetto di casa sua alle 7:29 e Malia uscì prima
ancora
che lui potesse avvicinarsi al portone e suonare il campanello. Gli
andò incontro con andatura da felino, ma non come un gatto
in cerca
di coccole e moine. No, lei era più simile a uno dei grandi
felini
che si acquatta nell'erba alta per uccidere la propria
preda.
Indossava pantaloni di pelle nera, una maglia dello stesso
colore con le maniche di pizzo e un paio di stivali a tacco alto:
riusciva a essere sensuale e magnetica scoprendo pochissimi
centimetri di pelle.
I suoi genitori li osservavano attraverso le
tende e probabilmente Malia la prese come una sfida, perché
dopo
averli adocchiati gli si avvicinò a un palmo dal naso.
Stiles
deglutì, incapace di distogliere lo sguardo da quegli occhi
famelici.
«Buon Halloween» disse.
«Ciao» fu la semplice
risposta di Malia.
Camminarono uno di fianco a l'altra, lei stava
con le braccia conserte attenta a non andargli troppo vicino e lui
non poté che esserne felice. Una felicità
macchiata però da una
puntino di delusione.
Le aprì la porta del ristorante, un po'
perché gli venne naturale farlo, un po' perché
voleva essere
gentile e carino come gli aveva suggerito Deaton.
L'interno era
caldo e accogliente, la sala era addobbata per la festa. Un'anziana
cameriera vestita di rosso, con un grembiule a tema inferno, le corna
e un forcone li accompagnò a un tavolo accanto alla vetrata
che dava
sulla strada.
«Ecco qua» disse, mentre loro si
accomodavano.
«Grazie» si sforzò di rispondere Stiles.
La
cameriera posò sul tavolo il menù plastificato e
tirò fuori un
taccuino. Quello che sembrava un forcone giocattolo era in
realtà
una penna.
«Cosa vi porto?» gracchiò.
«Per me una scodella
di cereali» disse Stiles senza nemmeno aver guardato il
menù.
Malia, che invece lo stava leggendo, lo mise da parte e gli
riservò di nuovo quello sguardo.
«Tè» sorrise senza
gioia.
«Benissimo, arrivo subito» disse l'anziana e
sgambettò
in cucina.
Stiles e Malia restarono seduti con le mani sul tavolo
a guardarsi. Lui sentì l'impulso di stringere le mani di
Malia tra
le proprie, ma lo mise subito a tacere. Notò che indossava
ancora la
fede nuziale e la collana con la croce nera. Da quel poco che la
conosceva sapeva che la croce era una provocazione, perché
la
portava sempre a contatto con la pelle e la catenina era
così lunga
che il ciondolo spesso si inabissava nella piega tra i due seni.
Un
brivido gli corse lungo la schiena e Malia aggrottò la
fronte.
«Che
c'è?»
«Sei carina» disse con tono assolutamente
incolore.
«Grazie» rispose lei imitandolo.
La cameriera
arrivò e portò latte, cereali e il tè
per Malia.
Stiles verso i
cereali nella ciotola e poi il bicchiere di latte, Malia
seguì
l'operazione con sguardo attento, tanto da farlo sentire un po' a
disagio.
«Vuoi assaggiare?» chiese e lei senza farselo
ripetere
ne prese un cucchiaio.
«Perché hai ordinato i cereali?»
«Tu
perché hai ordinato il tè?»
«Perché tu hai ordinato i
cereali» disse con la bocca ancora piena.
«Li ho ordinati perché
non volevo ci fossero equivoci, non è un
appuntamento» spiegò con
calma.
«Può esserlo comunque, anche se ordini i
cereali».
«Non
è un appuntamento».
Malia alzò gli occhi al cielo e ne prese
un'altra cucchiaiata. Stiles allora si ricordò di dover
essere
carino e gentile, come un vero amico.
«Come... come va quella
cosa? Quella cosa del ballo?»
«Mmh, va bene. E la tua
ingiunzione restrittiva?»
«Non chiamerei “ingiunzione
restrittiva” la mia cosa, ma tornare con Lydia lo
è e sto andando
piuttosto bene, a parte un piccolo incidente nello studio del
dottore».
«E il cosiddetto incidente con i pesi».
«Già, è
stata una cosa con mio padre. Vorrei tanto poter spiegare tutto a
Lydia con una lettera, perché non è stato niente.
E potrei
spiegarle e farle sapere che davvero non sono fuori controllo e che
in realtà sto andando molto bene».
Malia ascoltò con interesse,
annuendo e stringendo le palpebre di tanto in tanto e a Stiles
sembrò
strano ma la cosa gli fece piacere, perché forse era vero
che lei
voleva essergli amica e lui in fondo aveva bisogno di un'amica.
«Io
posso dare una lettera a Lydia. A volte la vedo con mia
sorella».
Stiles sentì il cuore esplodere, molto più di
quando lo
sorprendeva a correre. Trattenne però ogni tipo di
entusiasmo,
restando con gli occhi fissi e puntati su di lei.
«Sarebbe una
cosa fantastica se tu potessi darle una lettera da parte
mia».
«Dovrei farlo di nascosto da Allison, lei non ci sta a
infrangere la legge, cosa che questa lettera comporterebbe».
«Ma
tu lo faresti?»
Non sapeva perché, ma entrambi avevano
abbassato la voce e si erano avvicinati.
«Dovrei andarci molto
cauta. Sono già ai ferri corti con la mia famiglia, dovresti
sapere
come ho perso il lavoro».
«Come hai perso il lavoro?»
«Facendo... facendo sesso con tutti quelli del mio
ufficio».
«Tutti quanti?»
«Ero molto depressa dopo la
morte di Isaac. Erano tante persone».
Malia non sembrava a
disagio, era come se gli stesse raccontando di un pomeriggio al lago,
ma lui non voleva essere maleducato.
«Non è necessario
parlarne».
«Ti ringrazio».
«E quanti erano?» chiese prima
ancora di rendersene conto.
«Undici».
«Wow. Prometto di non
parlarne più» disse, ma non passarono dieci
secondi che tornò alla
carica.
«Posso farti un'altra domanda? C'erano anche
donne?»
«Sì» disse Malia e i suoi occhi si
illuminarono di una luce
furbetta.
«Sul serio? E com'è stato?»
Lei si sporse ancora
più in avanti e la scollatura della camicetta si
aprì quasi del
tutto.
«Torrido» rispose e Stiles sentì il suo
respiro sul
viso.
«Cristo santo... era tipo donne più grandi, una
professoressa che voleva sedurti...?»
«Farmi sedere sulle sue
ginocchia e fare cose? Sì».
Si passò le mani sul viso per
riprendere il controllo di sé, si sentiva inebriato, quasi
ubriaco
di lei e dei pensieri che gli scatenava.
«Ti ha detto lei cosa
fare?»
«Esatto».
Stiles sospirò mordendosi le labbra.
«Oh,
mio Dio. Lydia odiava quando parlavo così, mi faceva sentire
un
pervertito. Meglio cambiare argomento».
«A me non dispiace».
«A te no, vero?»
Lo sguardo di Malia mutò, così come il
suo atteggiamento. Tornò a sedere composta e prese a girare
il
cucchiaino nella tazza di tè che si andava raffreddando.
«No.
Però poi sono iniziati i litigi nel parcheggio, a lavoro,
nel bagno,
dovunque. E il capo mi ha chiamata nel suo ufficio, dicendomi che la
colpa era mia, così l'ho accusato di molestie sessuali e
allora mi
hanno licenziata. Mi hanno mandata a casa e mi hanno messo sotto
farmaci».
Si era aperta a lui con sincerità, senza filtri, senza
maschere e malizia, solo Malia e i suoi problemi. Così
decise di
fare altrettanto, come fanno gli amici.
«Capisco. La canzone che
suonava mentre mia moglie e il mio collega erano sotto la
doccia...»
«Ne ho sentito parlare».
«Era quella del mio matrimonio,
“My Cherie Amour” di Stevie Wonder. Quando la sento
esco pazzo e
a volte la sento anche quando non la suonano. Così sono
sotto
farmaci e di questo mi vergogno».
Malia mise da parte il tè e
annuì comprensiva.
«Perciò ti capisco. Devo solo trovare una
strategia, ecco».
«Già, anche io».
Calò un silenzio
strano. Si guardarono negli occhi e Stiles sentì scattare un
click
nella testa, un click diverso da quelli che sentiva quando perdeva il
controllo: non era la rabbia l'emozione da contenere.
«Meglio
tornare alla lettera» disse distogliendo lo sguardo.
«Sì,
meglio tornare alla lettera» rispose Malia, guardando a sua
volta da
un'altra parte.
«Potresti dirlo a Lydia mentre Allison è in
bagno».
«Sì. Sì, potrebbe funzionare, mi
piace».
Stiles si
sentì così rincuorato all'idea di poter
comunicare con sua moglie
che sentì di non poter più aspettare.
«Oddio, devo andare
subito a scrivere la lettera» disse alzandosi.
«Cosa? Posso
almeno finire il mio tè?»
Malia non sembrava affatto contenta,
anzi era parecchio irritata, ma non riusciva a capire il
perché.
«Aspetta, come?» le chiese confuso. Le parole si
rincorrevano veloci nella sua testa e voleva andare a casa prima che
sfumassero perdendosi nel nulla.
«Il mio tè, posso finirlo?»
E fu in quel momento che ripenso al complotto di Parrish, ma non
era più Parrish ad averlo organizzato, adesso lui era stato
sostituito da Lydia e le motivazioni erano cambiate.
«Aspetta un
momento, Allison ha detto a Lydia della nostra cena? Perché
l'avrebbe fatto? Era un test?»
Malia non rispose, continuando a
guardarlo in cagnesco, ma lui interpretò quel silenzio come
un
sì.
Prese di nuovo posto davanti a lei, curioso di saperne di
più.
«Sì, ho avuto questa sensazione» disse
lei, evidentemente
seccata.
«Accidenti. Era un test! E come sono andato? Direi
piuttosto bene».
«Sì, ha detto che eri fico di base».
«Di
base? In qualche percentuale non ero fico?»
«No, ha detto che
eri fico, però sai...» disse vaga, lasciando la
frase a
metà.
Adesso era Stiles quello infastidito.
«No, non lo
so».
«Sì, insomma, come sei. Va bene,
rilassati» continuò e
più parlava più il suo tono gli ricordava quello
di dottori e
infermieri della clinica.
«In che senso come sono? Che vuoi
dire?» corrugò le sopracciglia.
«Be', un po' come sono
io».
Come lei? Stiles passò in rassegna quel che sapeva di
Malia, ossia un concentrato unico di tutto ciò che Lydia
odiava di
più e si sentì di nuovo mancare la terra sotto i
piedi.
«Cosa?!
Un po' come sei tu?! Spero che non abbia detto questo a
Lydia!»
Il
viso di Malia espresse tutta la tristezza e la delusione di cui era
capace.
«Perché?» gli chiese incredula.
«Perché è così,
non è giusto accomunare me e te... Insomma, è
sbagliato. E a Lydia
non piacerebbe, soprattutto dopo quello che mi hai
raccontato».
«Tu
credi che io sia più pazza di te».
A Stiles scappò un
sorrisetto nervoso.
«Dai, insomma... siamo diversi, ecco».
«Oh,
mio Dio! Cristo, così mi uccidi».
Malia reagì come se le
avessero detto che nei cereali c'erano insetti essiccati. Stiles era
sempre più confuso e non riusciva a nasconderlo,
né a captare
l'aria della tempesta di merda che stava per abbattersi sulla sua
testa.
Malia iniziò a parlare e ad ogni frase il suo tono di
alzava e i suoi occhi si dilatavano.
«Sai che ti dico?
Dimenticati la mia offerta di aiuto, scordatela questa idea del
cazzo. Perché devo essere stata cazzo pazza!
Perché io sono troppo
più pazza di te!!!»
«Abbassa la voce» disse Stiles, provando
a calmarla, ma senza risultato, Malia ormai stava urlando.
«IO
SONO SOLO UNA PAZZA TROIA CON IL MARITO MORTO! AHAHAH!» si
indicò
scoppiando in una risata sguaiata.
Tutti i clienti del ristorante
si voltarono a guardarli curiosi e
preoccupati.
«Malia...»
«Scordatelo!»
«Malia, zitta
cazzo!» alzò anche lui la voce.
«VAFFANCULO!» lei urlò ancora
più forte e con un solo gesto gettò a terra tutto
quel che si
trovava sul tavolo, mandando in frantumi tazze e bicchieri.
«Sta'
zitto tu, stronzo!» lo spinse via e poi prese la giacca e si
diresse
all'uscita tra gli applausi e le risate degli altri
commensali.
Stiles fece per seguirla ma tornò indietro a prendere
il portafoglio e sobbalzò quando lei sbatté i
diti medi alzati
contro la vetrata, con uno sguardo da vera pazza stampato sul
volto.
Fu costretto a pagare il conto in fretta e furia e poi si
lanciò all'inseguimento. Era un bene che lei avesse i tacchi
alti a
rallentarla, perché era così fuori di
sé che dubitava sarebbe
riuscito a raggiungerla senza perdere l'uso di un polmone.
«Hey!
Hey, fermati! Senti non ti trovo pazza, va bene?»
«Invece
sì!»
«Non è vero».
«Hai detto al tuo psichiatra che sei
una categoria di malattie mentali superiore, non è
così?»
«Non
è vero, calmati, per favore calmati!» la
afferrò per un braccio
per costringerla a fermarsi.
«Lasciami stare!» gli urlò in
faccia, divincolandosi dalla sua presa.
Erano arrivati di fronte a
un cinema e la gente in fila li guardava come i tizi nel locale.
«Mi
lasci spiegare un momento, per favore?!»
Malia si fermò, aveva
gli occhi umidi e si mordeva il labbro inferiore a sangue.
«Non
volevo che Lydia mi associasse a quel tipo di comportamento sessuale,
perché non l'ho mai fatto in vita mia, chiaro?»
«Magari non
avrai sperimentato le merdate che ho fatto, ma godevi nel sentirne
parlare, vero?» gli si avvicinò, aggrappandosi con
forza al collo
della sua maglietta, ormai prossima a una crisi di pianto.
«Tu
hai paura di essere vivo, tu hai paura di vivere. Tu sei un ipocrita,
un conformista e un bugiardo. Io mi sono aperta con te e tu mi hai
giudicato! Sei un grande stronzo!» lo strattonò.
«Malia scusa,
adesso calmati» le mise le mani attorno alle spalle per
confortarla.
«Non toccarmi! Levami le mani di dosso! MI STAI
MOLESTANDO! MI STA MOLESTANDO!»
«E sta zitta!» le urlò
allontanandola da sé.
La canzone aveva iniziato a suonare.
Intanto le persone si stava raggruppando attorno a loro e avevano
sentito ciò che aveva detto Malia.
Un tipo vestito da zombie gli
diede una piccola spinta.
«Ehi, amico rilassati» gli disse.
«Non
toccarmi» lo avvisò Stiles.
«Mi sta molestando!» continuò
Malia indicandolo.
«Dai, lasciala stare».
«MI STA
MOLESTANDO!» gridò lei più forte,
piegata in avanti.
«La vuoi
smettere?!»
Stiles commise l'errore di fare qualche passo nella
sua direzione, era stato un gesto istintivo, ma gli altri ragazzi lo
interpretarono come un nuovo tentativo di molestia e cominciarono ad
accalcarsi attorno a lui, a toccarlo e spingerlo.
«Vi prego, per
favore state indietro» disse, ma quelli non volevano
smetterla e nel
frattempo la canzone suonava così forte che quasi non
sentiva più
gli insulti che gli stavano rivolgendo.
L'auto della polizia
arrivò puntuale come sempre e Jackson lo raggiunse con la
solita
faccia nauseata.
«Che stai facendo? Hey, che stai facendo a
questi ragazzi?» gli afferrò i lembi della giacca.
«No, niente,
non sto facendo niente» disse e non si sentì mai
così umiliato in
vita sua come in quel momento. Jackson fiutò quella
sensazione - era
il suo lavoro farlo - e ci sguazzò felice.
«Fai il teppistello
ad Halloween? Vuoi tornare ad Eichen House?» disse in modo
che tutti
sentissero.
«No, io...» provò a difendersi, ma
Jackson lo
strattonava costringendolo a indietreggiare.
«Forza Stilinski,
che stai facendo? Stai supplicando di tornare in clinica, lo sai? Che
cosa ti prende? Guardati, fai schifo!»
Stiles strinse i pugni e
serrò la mascella, perché la musica era diventata
assordante e
avrebbe potuto tirare una testata su quella faccia di cazzo,
rompergli il naso e vedere il sangue scorrere.
«I ragazzi!»
disse allora Malia. «Sono stati i ragazzi, lui non ha fatto
niente.
Sono stati i ragazzi ad iniziare, hanno cominciato loro, lui non ha
fatto niente».
A quelle parole i suddetti ragazzi iniziarono a
protestare e Jackson, a malincuore, dovette lasciar andare Stiles per
mettere il gruppo a tacere e tranquillizzare gli animi.
Malia
approfittò del momento, prese Stiles da parte e
aprì uno dei suoi
pugni, intrecciando le dita alle sue.
«Hey, vieni qui. Insomma
che vuoi fare? Stammi a sentire, è una canzone. Vuoi passare
tutta
la vita ad averne paura? È una canzone, non farne un mostro.
Forza,
respira».
Stiles fece tre lunghi respiri profondi e chiuse gli
occhi, lasciandosi guidare dalla voce di Malia.
«Ecco, bravo
respira. Non c'è nessuna canzone, nessuna canzone sta
suonando in
questo momento».
La canzone stava sfumando e cessò del tutto
quando riaprì gli occhi e vide il suo volto.
«Mi dispiace,
scusami. Ho esagerato» disse lei sinceramente dispiaciuta.
«Scusami
tu» rispose a un soffio dalle sue labbra.
Jackson si mise tra
loro due e fece allontanare Malia.
«Ti sta dando fastidio?»
«No,
no era tutto uno scherzo!»
«La prego, non menta. C'è un ordine
restrittivo su di lui».
«No, non sto mentendo. Ho uno stupido
senso dell'umorismo».
«Ma... è una cosa che non si fa» rispose
Whittemore sbigottito.
«Be', ho sbracato! Che le posso dire? Mi
dispiace, va bene?»
Jackson però non stava più pensando a
Stiles.
«Tu sei la vedova di Isaac?»
«Sì, sono la pazza
vedova troia di Isaac. Un po' meno troia ultimamente» si
strinse
nelle spalle.
«Sei una ragazza strana. Ti offro qualcosa una
sera?» le chiese con un sorriso smagliante.
Malia non lo degnò
di una risposta, girò sui tacchi e andò via.
«Ma che ho detto
di male?»
«Non lo fa più ormai» disse Stiles.
Jackson tornò
allora a indossare la sua espressione di puro disgusto verso il mondo
e salì in macchina.
«Ci si vede Stilinski, non hai bisogno di un
passaggio vero?»
Non aspettò una risposta da parte di Stiles,
mise in moto e con una sgommata girò l'angolo.
«Che stronzo».
*
Malia
stava camminando a passo di carica verso casa, i piedi le facevano un
male cane, ma non erano niente in confronto al casino che aveva in
testa.
Si era pentita di aver fatto quella scenata e si era
sentita tremendamente in colpa quando quello stronzo di Jackson aveva
trattato Stiles come un bambino dell'asilo.
In effetti se
sentirsi in colpa fosse stato uno sport nazionale lei avrebbe vinto
tutti i trofei.
«Malia! Hey, Malia!»
Stiles l'aveva seguita
per accompagnarla a casa, ma lei non aveva voglia di affrontarlo o di
guardare in quei grandi occhi nocciola. Aveva smesso di farsi
illusioni da molto tempo e sapeva che tutto quell'interesse era nato
dalla sua proposta di consegnare una lettera a Lydia. Cos'altro
poteva volere? In fondo lui era come quelli che la usavano per
scopare e lei, al solito, si sentiva troppo sola per non
accettare.
«Mi dispiace di aver detto quelle cose» disse
affiancandola.
«Lo so, so che non le pensavi» gli rispose,
perché un po' sperava che fosse così.
«Infatti!» sorrise.
«So
che dici sempre stronzate che non pensi».
«Sempre!»
Erano
arrivati, in fondo al viale l'attendeva una notte solitaria piena di
incubi e lacrime.
Stiles le stava attaccato come un cucciolo
speranzoso di ricevere un croccantino e le venne spontaneo ridere di
quell'ingenuità così infantile.
«Tranquillo, gliela do la
lettera a Lydia» gli disse incamminandosi verso casa.
«Te ne
sono davvero grato, Malia».
«Lo so».
- - -
Angolo
autrice
Grazie per essere arrivati a leggere fin qui,
fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto lasciando una
piccola
recensione, ve ne sarei infinitamente grata.
Ah, e comunque
Clarissa è uno dei miei nomi preferiti da sempre xD