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Autore: Horror_Vacui    20/06/2017    1 recensioni
Stiles Stilinski ha perso tutto: la moglie, la casa e il lavoro. Torna così a vivere con suo padre, dopo aver passato otto mesi in un istituto psichiatrico poiché affetto da disturbo bipolare, emerso dopo aver sorpreso la moglie con un altro.
Stiles incontra Malia, una misteriosa e problematica giovane donna, che in seguito alla morte del marito si è data alla promiscuità. Malia si offre di aiutare Stiles a riconquistare la moglie consegnandole una lettera, ma solo se lui in cambio farà qualcosa di veramente importante per lei: partecipare a una gara di ballo.
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Stalia AU basato sull'omonimo film di David O'Russell.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allison Argent, Malia Hale, Sceriffo Stilinski, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 3. My Cherie Amour



La luce del mattino filtrava attraverso le persiane, creando un fastidioso gioco di luci e ombre. Malia si rigirò nel letto, sbuffò seccata e si coprì la testa con il cuscino. Era sudata e aveva le gambe incastrate tra le lenzuola, ma non aveva voglia di alzarsi.
Era stata una notte turbolenta, Stiles aveva risvegliato la bestia dal letargo. Per la prima volta dopo tanto tempo Malia aveva desiderato qualcosa di diverso dell'autodistruzione e il senso di colpa era tornato a stringerle lo stomaco con cattiveria, ponendole così tante domande da non permetterle di dormire.
Stava tradendo Isaac, il suo dannato marito morto, stava tradendo quella tacita promessa fatta a se stessa dopo la sua morte. Perché Malia voleva Stiles, lo voleva sul serio, anche con quella maglietta assurda e le sue folli stranezze, voleva il pacchetto completo.
L'aveva capito quando i loro sguardi si erano incrociati, mentre lui indugiava avido sulle forme del suo corpo. Aveva sentito il calore di quella scintilla lungo la schiena.
E ora l'odiava per questo. Come aveva osato insinuarsi nei suoi pensieri senza chiederle il permesso? Lei che aveva deciso di chiudere il suo cuore e gettare via la chiave!
Il telefono nel frattempo stava squillando senza sosta, si sporse dal bordo del letto e lo afferrò in preda ai nervi. Roteò gli occhi al cielo dopo aver visto il nome sullo schermo.
«Che vuoi?» chiese con tono esasperato.
«Ehi, buongiorno! Dormito bene? Ho parlato con mamma, dice che ieri sera sei entrata in casa da sola. Sei stata brava. E anche Stiles lo è stato, come lo trovi? Ti piace?» disse Allison, veloce come una mitraglietta.
«Oh, Cristo santo! Possibile che non abbiate altro argomento di conversazione?! E poi che significa se mi piace Stiles? Che vi siete messi tutti in testa?»
«Cosa? Niente, niente, era solo per sapere se...»
«Be', fatti i cazzi tuoi!» abbaiò zittendola. «Hai chiamato solo per questo?»
«No, volevo sapere se ti andava di venire da me. Scott resterà in ufficio fino a tardi e io ho organizzato un piccolo brunch con alcune amiche».
«Un brunch?» sospirò massaggiandosi gli occhi.
Odiava anche solo la parola “brunch”, era una cosa da ricchi borghesi che volevano dimostrare agli altri di avere abbastanza soldi e tempo libero da svegliarsi troppo tardi per la colazione. Le amiche di sua sorella poi... stronze a cui mancava solo l'abilitazione ufficiale.
«Dai, ti prego! Sarà divertente» la supplicò Allison approfittando del suo silenzio.
Malia sbuffò.
«E va bene, ma non mettermi in mezzo, fingi che io non esista» disse alla fine.
Sua sorella esultò ringraziandola e chiuse proprio mentre la figlia iniziava a piangere.
Aveva fatto la sua buona azione quotidiana, i tipi strani che frequentavano il suo gruppo di supporto le avrebbero fatto i complimenti. E poi avrebbero intonato una canzone tenendosi per mano.
Guardò l'orologio sul comodino e si rese conto di essere già in ritardo per i suoi allenamenti mattutini. Lo psicologo l'aveva posta di fronte a una scelta: attività fisica o medicine. E non era stato difficile scegliere.
Indossò la tuta e le scarpe da corsa, perché anche far visita ai suoi ogni mattina per la colazione rientrava tra le condizioni per dire addio ai farmaci.
Era quasi arrivata all'ingresso, quando vide in lontananza un sacco della spazzatura con i piedi.


*



La mattina dopo, che schifo la mattina dopo. La luce illumina ogni cosa e i disastri della sera prima appaiono sciocchi e insignificanti e allora ci si vergogna di se stessi e si pensa “mai più”.
Stiles si sentì uno schifo, si vergognò di se stesso e disse “mai più” all'immagine riflessa nello specchio, dove un tizio barbuto con un taglio sul naso e uno zigomo livido lo osservava triste.
Nonostante tutto voleva restare positivo e decise di ricominciare proprio dalla finestra che non aveva ancora riparato. Suo padre gli aveva lasciato tutto l'occorrente nel bagno, compreso il vetro nuovo, ma lui era stato troppo occupato a farsi rovinare da quella Malia per pensarci.
Malia. Era colpa sua, tutta colpa sua.
Scese in cucina sperando che suo padre stesse ancora dormendo e invece lo trovò lì, appoggiato al ripiano del lavello che guardava fuori dalla finestra; quando si accorse della sua presenza si voltò e gli tese un bicchierino di plastica. Il bicchierino di plastica.
In altre occasioni avrebbe provato a spiegargli che stava bene e non aveva bisogno di medicine, ma l'occhio nero e gonfio di suo padre lo convinse del contrario. Gli si avvicinò e guardò anche lui fuori dalla finestra, il sole stava sorgendo e le pillole scesero giù per la gola lasciandogli l'amaro in bocca e nell'anima.
La felpa coperta di plastica scura era ancora sulla sedia, dove l'aveva lasciata.
«Che hai intenzione di fare?» disse Noah con voce roca, mentre Stiles la sostituiva al maglione.
«Non voglio ingrassare» rispose con semplicità, poi uscì e lasciò che fossero i suoi piedi a guidarlo.
Aveva macinato parecchi metri a testa bassa, ripetendosi “excelsior” e provando a cercare tutte le cose positive che quella giornata aveva da offrire, quando si accorse di trovarsi su una via diversa dal solito. Rallentò riconoscendo la casa di Malia. Fissò il portoncino verde della sua casetta: chissà se stava dormendo? Era meglio cambiare aria prima che...
«HEY!» l'urlo gli fece saltare il cuore in gola e si ritrovò a correre inseguito proprio dall'ultima persona che avrebbe voluto vedere. Era sbucata da dietro una siepe come se fosse lì ad aspettarlo.
«Oh! Ma che cavolo fai?!» le gridò superandola.
«Che hai fatto alla faccia?»
«Sollevavo dei pesi in palestra» aumentò il passo, ma lei continuò a seguirlo imperterrita.
«Mi sembra una cazzata. Perché passi da casa mia? La nostra conversazione di ieri sera ti ha turbato?»
A quelle parole Stiles si voltò, senza smettere di correre.
«Hey è il mio percorso, va bene? Sparisci».
«È il mio quartiere, sei passato davanti casa mia» rimarcò il fatto che lui fosse tornato lì.
Doveva restare calmo, i medicinali l'avrebbero aiutato e per un breve istante fu grato di averli presi. Non voleva pensare più a quella sera e a ciò che sarebbe potuto cambiare dopo il rapporto dell'agente Whittemore. Cosa avrebbe pensato Lydia leggendolo?
«Mi piace correre da solo, capito?»
«Anche a me!»
Aveva provato ad allontanarla con le buone ma lei non voleva proprio saperne di lasciarlo in pace. Si fermò voltandosi di colpo e quasi Malia gli rovinò addosso. Indossava un completo da corsa aderente e portava una sottile fascia elastica per tenere indietro i capelli. I capelli, quei capelli. Il loro aspetto era soffice, Stiles avrebbe voluto affondarci le dita per saggiarne la consistenza. E poi erano corti, così corti da lasciare scoperto il collo sottile. Era un suo punto debole, perché tutti si concentravano a guardare il seno ma lui impazziva per il collo. E quello di Malia era proprio un bel collo, desiderò di poterlo baciare e quel desiderio bruciante fece esplodere la rabbia che cercava di reprimere.
«Hey! Mi piace correre da solo! La smetti? Sto correndo!» le urlò contro.
«Anche io!» rispose lei a tono.
«E perché non corri da un'altra parte? Cazzo, ci sono milioni di strade per correre, che vuoi fare?»
«Mi piace questa strada, questo è il mio quartiere» disse allora Malia facendo spallucce.
«Oh dai, per favore!» si mise le mani tra i capelli, al massimo della frustrazione.
«Ma calmati pazzo!»
Stiles provò a ignorarla, fece alcuni respiri profondi e sputò la saliva in eccesso preparandosi alla maratona. Sorprendentemente Malia lo imitò, sputando a sua volta, e ripartì come se lui non l'avesse scacciata via.
Da piccolo Stiles era una scheggia, spesso si era ritrovato a dover correre per seminare i bulli che volevano picchiarlo. La sua tattica era semplice, cambiava strada così tante volte da confonderli.
Fece la stessa cosa per lasciare indietro Malia e ad un certo punto si convinse di avercela fatta, era stremato ma almeno poteva morire in santa pace sull'asfalto. E invece Malia spuntò da dietro un angolo gridando di nuovo “Hey!”. Dannate gambe da gazzella... doveva passare ad argomentazioni più convincenti per levarsela dai piedi.
«Ma che cazzo! Sono sposato!» gridò con le ultime energie che gli erano rimaste.
«Lo sono anch'io!»
«Ma che cazzo dici? Tuo marito è morto!»
«Dov'è tua moglie?»
«Tu sei pazza!»
«Non sono io quello appena uscito da quell'ospedale psichiatrico!»
«Non sono io la troiona!»
Ed ecco che tutto il percorso per migliorare se stesso andava di nuovo a puttane. Si voltò a guardarla e vide il suo sguardo ferito mentre si fermava. Si era arresa eppure si sentì un verme schifoso per averla insultata, così stavolta fu lui ad andarle incontro.
«Scusa, scusami tanto, io non volevo...» disse e le mise una mano sul braccio ma lei lo scansò.
C'era di nuovo il fuoco negli occhi di Malia, divampava fino a perforare quelli di Stiles.
«Ero una troiona ma non lo sono più! Ci sarà sempre una parte di me che è smandrappata e sudicia, ma questo mi piace, insieme alle altre parti di me stessa» gli diede un pugno sul petto che lo fece arretrare «puoi dire la stessa cosa di te, fesso? Sai perdonare? Sei bravo in questo?» disse e tornò sui suoi passi, lasciandolo da solo.


*



«...e quindi le ho detto 'Cara, se non sei capace cambia mestiere'. Avreste dovuto vedere la sua faccia, sembrava sul punto di esplodere!»
L'unica cosa che esplose furono le risatine controllate e cattive delle amiche di Allison, dopo che lei finì di raccontare la sua entusiasmante avventura al centro commerciale e di come aveva umiliato una povera commessa davanti al capo.
Gli occhi di Malia fissavano il tetto da almeno mezz'ora. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e prendere a schiaffi se stessa prima di accettare l'invito a quello stupido brunch di galline.
Le loro chiacchiere vuote le davano l'orticaria e, come se non bastasse, a peggiorare la situazione c'era l'ingombrante presenza di Lydia, la famigerata moglie di Stiles.
Era così composta ed elegante, con i lisci capelli rossi e la pelle diafana, sembrava che niente e nessuno potesse scalfire la sua imperturbabile tranquillità. Persino quando mangiava, beveva il té o sorrideva non riusciva a trasmettere calore. Sembrava il prototipo della donna perfetta, ma in maniera assolutamente inquietante.
Doveva averla guardata troppo a lungo senza rendersene conto, perché d'un tratto si girò verso di lei e ricambiò lo sguardo, fissandola con i suoi grandi occhi verdi.
«Allora Malia, tua sorella ci ha detto che ti stai allenando per una gara di ballo. Come procede?»
Malia mise da parte la brioche che stava mangiando e si pulì le labbra con il dorso della mano.
«Mmh, procede bene. Vedo che Ally vi tiene aggiornate su tutto, spero che tenga per sé almeno lo storico dei suoi movimenti intestinali».
Lydia accennò un sorriso, mentre Allison e le sue due “ancelle” la guardarono come si guardano i fari di un tir che arriva a tutta velocità.
«Sei sempre così pungente?» le domandò la bambola di porcellana.
«Solo quando serve e con chi lo merita».
Lydia si portò indietro i capelli, con un gesto all'apparenza naturale e spontaneo, tanto che Malia fu l'unica ad accorgersi del lieve tremore delle sue mani.
«Scusa se mi permetto di darti questo suggerimento, ma dovresti provare a essere più gentile con gli altri. A volte una parola di troppo può fare la differenza» disse con tono di rimprovero ma senza perdere la calma.
Malia incrociò le braccia al petto pronta a ribattere, ma la maschera di Lydia si stava sbriciolando e infatti continuò a incalzarla.
«Ho saputo che ieri sera hai conosciuto mio marito e so anche che sei stata crudele con lui».
«Ah sì? Adesso sarei io quella crudele?»
Allison, seduta accanto a lei, le strinse un braccio fino a farle male.
«Malia, basta così» le intimò sottovoce.
Malia avrebbe voluto fermarsi, chiedere scusa e andare via, lasciando Allison e le sue amiche in quel salotto a parlare di quanto fosse difficile avere una sorella pazza. Stava già vedendo la scena nella sua testa, quando Lydia rincarò la dose.
«Mi ero ripromessa di non toccare l'argomento, ma non posso farlo, è più forte di me» disse con tono lacrimevole.
Malia, ormai a corto di pazienza, balzò in piedi liberandosi dalla stretta di sua sorella.
«Si può sapere di che diamine stai parlando?»
«Voglio che tu...» fece una pausa e sospirò. «Io non... non voglio che tu continui a frequentare Stiles. La tua presenza evidentemente non gli fa bene, è dannosa».
Dannosa. L'aveva davvero definita dannosa?
«DANNOSA?! Io sarei una presenza dannosa? Ti ricordo che hai spedito tuo marito in una clinica psichiatrica e che gli hai imposto un'ordinanza restrittiva, lasciandolo affogare nella sua stessa merda! E no, non dire un'altra parola, non voglio più ascoltarti!»
Afferrò borsa e giacca e uscì di casa come una furia. Sentiva gli angoli degli occhi pizzicare, in preda a una rabbia cieca verso Allison, Stiles, Lydia e verso se stessa. La sensazione di essere sola e incompresa tornò prepotente a farsi strada tra le sue emozioni, era di nuovo sull'orlo del baratro e pensò a quanto fosse facile tornarci e che forse non si era mai allontana davvero da lì.
Stava soffrendo, ma non era abbastanza, voleva soffrire di più, autodistruggersi finché di lei non sarebbe rimasto nulla se non cenere al vento. E lottava contro questa voglia dalla sera in cui un poliziotto diverso da Isaac si era presentato alla sua porta.
Il desiderio si fece così forte da mozzarle il respiro e fu costretta a fermarsi. Non si era accorta che qualcuno la stava seguendo e che la pausa aveva dato a quella persona il margine necessario a raggiungerla.
«Malia!» boccheggiò Allison, mettendole una mano sulla spalla.
Entrambe erano senza fiato per motivi diversi e la scena avrebbe potuto sembrarle comica, se il senso di colpa non avesse già divorato la parte del suo cuore destinata alla gioia e alle risate.
«Malia, ti prego lasciami spiegare» sfiatò rimettendosi in posizione eretta. «Non è colpa tua!»
«Senti, non m'interessa. Chiedi scusa a quella stronza da parte mia, inventati quel che ti pare e riprendi la tua riunione con le menti più geniali del secolo, mi sta bene così» alzò le mani in segno di resa.
«E invece dovrebbe interessarti! Perché mi dispiace, non ne sapevo niente, me l'ha detto poco fa Clarissa e allora ti sono subito corsa dietro. In effetti speravo che rallentassi prima o poi, ma continuavi a correre...»
«Clarissa? Una di quelle si chiama davvero Clarissa?»
«Sì, perché? E comunque non ha importanza!»
«Be', è davvero un nome del cazzo. L'altra come si chiama? Ermengarda?»
«Oh, Cristo! La vuoi piantare?! Stammi a sentire piuttosto!»
«Va bene! Non ti scaldare tanto, sono pronta ad ascoltare la verità rivelata da madama Clarissa».
Allison sbuffò roteando gli occhi al cielo come faceva spesso Malia, era una cosa di famiglia.
«Ieri sera Stiles ha avuto una crisi, subito dopo il vostro incontro. Non si sa bene cosa sia successo, sappiamo solo che il poliziotto che lo tiene d'occhio l'ha trovato a terra, in stato confusionale dopo aver picchiato il padre, e che aveva ripreso a farneticare su Parrish che sta manipolando Lydia. Insomma ha fatto dieci passi indietro, tutti insieme... ma non è assolutamente colpa tua!» si affrettò ad aggiungere.
Difficile credere che non fosse colpa sua, visto che l'ultima cosa di cui avevano parlato erano i rispettivi matrimoni falliti.
«Malia, ti prego di' qualcosa» disse Allison e per la prima volta le sembrò preoccupata.
Lei però non aveva nulla da dire.
«Mi dispiace, sul serio non penso che sia colpa tua e...»
«Oddio, Allison... L'hai ripetuto così tante volte che mi sto convincendo del contrario!»
«No, no! Anzi, senti perché non provi ad essergli amica?»
La sola idea la lasciò perplessa. Non aveva mai avuto un amico maschio e, da quando Isaac era morto, le veniva difficile anche solo pensare di avere qualsiasi tipo di legame emotivo con qualcuno, figuriamoci un uomo disturbato e sposato con Miss Replicante.
«Chi, io? Amica di Stiles?»
«Sì, proprio tu. Io e la mamma pensiamo che potreste aiutarvi a vicenda».
«Mi stai dicendo di aver organizzato quella cena per farci conoscere?»
«No, quella è stata un caso, ma resta il fatto che...»
«Va bene» la interruppe. «Ci penserò».



*



«Pare che tu abbia avuto problemi ieri sera».
«Chiariamo una cosa riguardo a ieri sera. Colpire mio padre è stato un errore e detesto me stesso per questo e detesto la mia malattia e voglio controllarla, ma lui invece non ha avuto problemi a schiaffeggiarmi di brutto ieri sera, cosa che io non ho ricambiato perché potevo ucciderlo e non l'ho fatto. Ha sessantacinque anni, come potrei pestarlo a sangue?»
«Ha avuto paura per te, temeva che accadesse quello che poi è successo, che perdessi il controllo».
«Sì, ieri sera è stato un casino, d'accordo? Io credo che abbia tentato di fare del suo meglio».
«Stiles, devi avere una strategia, te l'ho già detto. Devi riconoscere questi sentimenti quando ti invadono, altrimenti sarai rispedito ad Eichen House, perciò quando li senti arrivare devi trovarti in un posto più tranquillo, essere in pace con te stesso in qualunque modo».
«Sì, più facile a dirsi che a farsi».
«Non hai scelta. Excelsior!»
«Già, excelsior... senti ho una lettera, voglio che tu la dia a Lydia».
Quel giorno Stiles aveva anticipato la seduta di circa due ore, aveva bisogno di parlare, aveva bisogno di spiegare cos'era successo a qualcuno che avesse davvero voglia di sentire le sue ragioni.
In poche parole, aveva bisogno di un tramite tra lui e Lydia.
«No» disse Deaton perentorio.
«Perché?»
«Hai un'ingiunzione restrittiva».
Stiles sbuffò seccato, incassando la testa fra le spalle mentre sprofondava nella poltrona.
«A che cavolo servi?»
«Perché hai avuto questa travolgente urgenza di vedere quel video ieri sera?»
«Ah, non saprei. Perché sono sposato e non vedo mia moglie da otto mesi e mezzo?»
«Forse trovi che Malia sia una ragazza attraente, quindi hai pensato che se vieni attratto da Malia comprometti in qualche modo la possibilità che Lydia torni da te».
«Niente male, dottor Freud! Ma non credo che sbaglierò con Lydia, perché Malia è una troia» disse sicuro di sé. Deaton parve turbato da quell'affermazione.
«E perché è una troia?»
«Dopo la cena da Scott ha detto, virgolette, “Possiamo andare nella mia casetta e tu puoi scoparmi, basta che però spegniamo la luce”, chiuse virgolette. E porta ancora la fede nuziale, perciò in qualche modo è ancora fedele al marito che è morto».
«Magari ha solo bisogno di un amico e ha pensato che, offrendoti del sesso, ti sarebbe stato più facile diventare suo amico».
«Lei dice che non è più una troia ormai, però le piace quella parte di se stessa, insieme a tutte le altre parti di se stessa e io posso dire altrettanto?»
«Puoi?»
Stiles si fermò per un attimo.
«Me lo stai chiedendo sul serio?»
«Sì» ammise Deaton senza troppi giri di parole.
«Con tutti i miei incasinamenti? Cos'è sei impazzito?»
«Stiles, sei tu a parlare di risvolti positivi, ti sto solo restituendo le tue parole. I tuoi incasinamenti - come li chiami tu – ti hanno reso più felice e più calmo, con una bellissima filosofia positiva che ti ha fatto uscire, fare palestra e leggere libri».
«No, non i libri, quelli non c'entrano».
«Hai detto che Lydia è amica di Scott, Allison e Malia, perciò se diventi amico di Malia, Lydia penserà che sei carino, gentile, generoso, di gran cuore e altruista, che aiuti chi ha bisogno e che, in poche parole, stai rifiorendo. Quindi, se aiuterai Malia sarà un bene per te».
Stiles pensò per un attimo, una breve frazione di secondo, che quello fosse tutto un complotto architettato da Parrish per spingerlo verso un'altra donna, in modo da avere Lydia tutta per sé; ma poi si ricordò che quello era uno dei sintomi della sua malattia, o forse furono le medicine a ricordarglielo, fatto sta che qualche ora più tardi stava correndo sulla stessa strada e di quel pensiero non c'era più traccia. Le parole di Deaton, invece, rimbombavano forte e chiaro e quasi si ritrovò a ripeterle tra i denti mentre si avvicinava alla casa di Malia.
Era il 31 ottobre, i bambini del quartiere indossavano maschere di Halloween e gridavano “dolcetto o scherzetto?” in anticipo rispetto alla tradizionale processione notturna.
Gli piaceva Halloween e gli piacevano le foglie colorate che l'autunno faceva cadere dagli alberi. Sarebbe stato bello poter correre nel bosco e sentirle scricchiolare sotto i piedi.
Era ormai arrivato alla casa di Malia, fece un giro attorno a un albero e guardò dietro la siepe, ma di lei non c'era traccia. Scampato pericolo, sorrise liberato da quel peso.
«HEY!»
E invece ecco che la scena si ripeteva, il cuore che gli balzava fuori dal petto per lo spavento e l'ansia di essere attratto da un'altra donna diversa da sua moglie. Continuò a correre nella vana speranza che lei cambiasse strada, ma poteva quasi sentire il suo fiato sulla nuca.
«Come fai a sapere quando corro?!»
«Volevo chiarire una cosa. Voglio solo che siamo amici».
Le parole di Malia si sovrapposero a quelle di Deaton e Stiles restò meravigliato da quella corrispondenza. In quel momento avrebbe stretto la mano al suo dottore, facendogli i più sinceri complimenti per aver azzeccato... oppure era tutta opera di Parrish? No, no, excelsior!
«Hai sentito cos'ho detto?» chiese Malia irritata. «Perché mi devi sempre complicare la vita?»
Stiles continuò a correre, perché alla fine della strada c'era la soluzione a tutti i suoi problemi.
«No, non ti sto complicando la vita!»
«Non so come comportarmi con te quando fai lo stronzo» lei lo seguì oltre la fine del viale, ignara delle sue intenzioni.
Stiles si fermò davanti all'insegna rossa, grande quasi quanto tutta la parete esterna dell'edificio, Llanerch, ossia “radura”.
«Ceniamo in questa tavola calda?» le chiese con il sorriso di chi ha appena avuto un'idea geniale.
Malia lo squadrò sospettosa, forse aspettandosi che fosse tutto un scherzo, ma lui continuò a insistere con lo sguardo, senza abbassare il braccio con cui aveva indicato il ristorante.
«Passa a prendermi alle 7:30» disse allora convinta e scappò via.


Malia odiava il football, quindi niente maglia di DeSean Jackson. Si vestì comunque nel modo più informale possibile: un paio di jeans, una maglietta, una felpa e la giacca.
Quello non era di certo un appuntamento romantico, lui e Malia erano due amici che si vedevano per un caffè a colazione. Solo che Stiles non ce l'avrebbe mai fatta ad attendere fino all'indomani mattina per incontrarla e mettere in chiaro le cose e trovare uno spiraglio verso Lydia.
Arrivò davanti al vialetto di casa sua alle 7:29 e Malia uscì prima ancora che lui potesse avvicinarsi al portone e suonare il campanello. Gli andò incontro con andatura da felino, ma non come un gatto in cerca di coccole e moine. No, lei era più simile a uno dei grandi felini che si acquatta nell'erba alta per uccidere la propria preda.
Indossava pantaloni di pelle nera, una maglia dello stesso colore con le maniche di pizzo e un paio di stivali a tacco alto: riusciva a essere sensuale e magnetica scoprendo pochissimi centimetri di pelle.
I suoi genitori li osservavano attraverso le tende e probabilmente Malia la prese come una sfida, perché dopo averli adocchiati gli si avvicinò a un palmo dal naso.
Stiles deglutì, incapace di distogliere lo sguardo da quegli occhi famelici.
«Buon Halloween» disse.
«Ciao» fu la semplice risposta di Malia.
Camminarono uno di fianco a l'altra, lei stava con le braccia conserte attenta a non andargli troppo vicino e lui non poté che esserne felice. Una felicità macchiata però da una puntino di delusione.
Le aprì la porta del ristorante, un po' perché gli venne naturale farlo, un po' perché voleva essere gentile e carino come gli aveva suggerito Deaton.
L'interno era caldo e accogliente, la sala era addobbata per la festa. Un'anziana cameriera vestita di rosso, con un grembiule a tema inferno, le corna e un forcone li accompagnò a un tavolo accanto alla vetrata che dava sulla strada.
«Ecco qua» disse, mentre loro si accomodavano.
«Grazie» si sforzò di rispondere Stiles.
La cameriera posò sul tavolo il menù plastificato e tirò fuori un taccuino. Quello che sembrava un forcone giocattolo era in realtà una penna.
«Cosa vi porto?» gracchiò.
«Per me una scodella di cereali» disse Stiles senza nemmeno aver guardato il menù.
Malia, che invece lo stava leggendo, lo mise da parte e gli riservò di nuovo quello sguardo.
«Tè» sorrise senza gioia.
«Benissimo, arrivo subito» disse l'anziana e sgambettò in cucina.
Stiles e Malia restarono seduti con le mani sul tavolo a guardarsi. Lui sentì l'impulso di stringere le mani di Malia tra le proprie, ma lo mise subito a tacere. Notò che indossava ancora la fede nuziale e la collana con la croce nera. Da quel poco che la conosceva sapeva che la croce era una provocazione, perché la portava sempre a contatto con la pelle e la catenina era così lunga che il ciondolo spesso si inabissava nella piega tra i due seni.
Un brivido gli corse lungo la schiena e Malia aggrottò la fronte.
«Che c'è?»
«Sei carina» disse con tono assolutamente incolore.
«Grazie» rispose lei imitandolo.
La cameriera arrivò e portò latte, cereali e il tè per Malia.
Stiles verso i cereali nella ciotola e poi il bicchiere di latte, Malia seguì l'operazione con sguardo attento, tanto da farlo sentire un po' a disagio.
«Vuoi assaggiare?» chiese e lei senza farselo ripetere ne prese un cucchiaio.
«Perché hai ordinato i cereali?»
«Tu perché hai ordinato il tè?»
«Perché tu hai ordinato i cereali» disse con la bocca ancora piena.
«Li ho ordinati perché non volevo ci fossero equivoci, non è un appuntamento» spiegò con calma.
«Può esserlo comunque, anche se ordini i cereali».
«Non è un appuntamento».
Malia alzò gli occhi al cielo e ne prese un'altra cucchiaiata. Stiles allora si ricordò di dover essere carino e gentile, come un vero amico.
«Come... come va quella cosa? Quella cosa del ballo?»
«Mmh, va bene. E la tua ingiunzione restrittiva?»
«Non chiamerei “ingiunzione restrittiva” la mia cosa, ma tornare con Lydia lo è e sto andando piuttosto bene, a parte un piccolo incidente nello studio del dottore».
«E il cosiddetto incidente con i pesi».
«Già, è stata una cosa con mio padre. Vorrei tanto poter spiegare tutto a Lydia con una lettera, perché non è stato niente. E potrei spiegarle e farle sapere che davvero non sono fuori controllo e che in realtà sto andando molto bene».
Malia ascoltò con interesse, annuendo e stringendo le palpebre di tanto in tanto e a Stiles sembrò strano ma la cosa gli fece piacere, perché forse era vero che lei voleva essergli amica e lui in fondo aveva bisogno di un'amica.
«Io posso dare una lettera a Lydia. A volte la vedo con mia sorella».
Stiles sentì il cuore esplodere, molto più di quando lo sorprendeva a correre. Trattenne però ogni tipo di entusiasmo, restando con gli occhi fissi e puntati su di lei.
«Sarebbe una cosa fantastica se tu potessi darle una lettera da parte mia».
«Dovrei farlo di nascosto da Allison, lei non ci sta a infrangere la legge, cosa che questa lettera comporterebbe».
«Ma tu lo faresti?»
Non sapeva perché, ma entrambi avevano abbassato la voce e si erano avvicinati.
«Dovrei andarci molto cauta. Sono già ai ferri corti con la mia famiglia, dovresti sapere come ho perso il lavoro».
«Come hai perso il lavoro?»
«Facendo... facendo sesso con tutti quelli del mio ufficio».
«Tutti quanti?»
«Ero molto depressa dopo la morte di Isaac. Erano tante persone».
Malia non sembrava a disagio, era come se gli stesse raccontando di un pomeriggio al lago, ma lui non voleva essere maleducato.
«Non è necessario parlarne».
«Ti ringrazio».
«E quanti erano?» chiese prima ancora di rendersene conto.
«Undici».
«Wow. Prometto di non parlarne più» disse, ma non passarono dieci secondi che tornò alla carica.
«Posso farti un'altra domanda? C'erano anche donne?»
«Sì» disse Malia e i suoi occhi si illuminarono di una luce furbetta.
«Sul serio? E com'è stato?»
Lei si sporse ancora più in avanti e la scollatura della camicetta si aprì quasi del tutto.
«Torrido» rispose e Stiles sentì il suo respiro sul viso.
«Cristo santo... era tipo donne più grandi, una professoressa che voleva sedurti...?»
«Farmi sedere sulle sue ginocchia e fare cose? Sì».
Si passò le mani sul viso per riprendere il controllo di sé, si sentiva inebriato, quasi ubriaco di lei e dei pensieri che gli scatenava.
«Ti ha detto lei cosa fare?»
«Esatto».
Stiles sospirò mordendosi le labbra.
«Oh, mio Dio. Lydia odiava quando parlavo così, mi faceva sentire un pervertito. Meglio cambiare argomento».
«A me non dispiace».
«A te no, vero?»
Lo sguardo di Malia mutò, così come il suo atteggiamento. Tornò a sedere composta e prese a girare il cucchiaino nella tazza di tè che si andava raffreddando.
«No. Però poi sono iniziati i litigi nel parcheggio, a lavoro, nel bagno, dovunque. E il capo mi ha chiamata nel suo ufficio, dicendomi che la colpa era mia, così l'ho accusato di molestie sessuali e allora mi hanno licenziata. Mi hanno mandata a casa e mi hanno messo sotto farmaci».
Si era aperta a lui con sincerità, senza filtri, senza maschere e malizia, solo Malia e i suoi problemi. Così decise di fare altrettanto, come fanno gli amici.
«Capisco. La canzone che suonava mentre mia moglie e il mio collega erano sotto la doccia...»
«Ne ho sentito parlare».
«Era quella del mio matrimonio, “My Cherie Amour” di Stevie Wonder. Quando la sento esco pazzo e a volte la sento anche quando non la suonano. Così sono sotto farmaci e di questo mi vergogno».
Malia mise da parte il tè e annuì comprensiva.
«Perciò ti capisco. Devo solo trovare una strategia, ecco».
«Già, anche io».
Calò un silenzio strano. Si guardarono negli occhi e Stiles sentì scattare un click nella testa, un click diverso da quelli che sentiva quando perdeva il controllo: non era la rabbia l'emozione da contenere.
«Meglio tornare alla lettera» disse distogliendo lo sguardo.
«Sì, meglio tornare alla lettera» rispose Malia, guardando a sua volta da un'altra parte.
«Potresti dirlo a Lydia mentre Allison è in bagno».
«Sì. Sì, potrebbe funzionare, mi piace».
Stiles si sentì così rincuorato all'idea di poter comunicare con sua moglie che sentì di non poter più aspettare.
«Oddio, devo andare subito a scrivere la lettera» disse alzandosi.
«Cosa? Posso almeno finire il mio tè?»
Malia non sembrava affatto contenta, anzi era parecchio irritata, ma non riusciva a capire il perché.
«Aspetta, come?» le chiese confuso. Le parole si rincorrevano veloci nella sua testa e voleva andare a casa prima che sfumassero perdendosi nel nulla.
«Il mio tè, posso finirlo?»
E fu in quel momento che ripenso al complotto di Parrish, ma non era più Parrish ad averlo organizzato, adesso lui era stato sostituito da Lydia e le motivazioni erano cambiate.
«Aspetta un momento, Allison ha detto a Lydia della nostra cena? Perché l'avrebbe fatto? Era un test?»
Malia non rispose, continuando a guardarlo in cagnesco, ma lui interpretò quel silenzio come un sì.
Prese di nuovo posto davanti a lei, curioso di saperne di più.
«Sì, ho avuto questa sensazione» disse lei, evidentemente seccata.
«Accidenti. Era un test! E come sono andato? Direi piuttosto bene».
«Sì, ha detto che eri fico di base».
«Di base? In qualche percentuale non ero fico?»
«No, ha detto che eri fico, però sai...» disse vaga, lasciando la frase a metà.
Adesso era Stiles quello infastidito.
«No, non lo so».
«Sì, insomma, come sei. Va bene, rilassati» continuò e più parlava più il suo tono gli ricordava quello di dottori e infermieri della clinica.
«In che senso come sono? Che vuoi dire?» corrugò le sopracciglia.
«Be', un po' come sono io».
Come lei? Stiles passò in rassegna quel che sapeva di Malia, ossia un concentrato unico di tutto ciò che Lydia odiava di più e si sentì di nuovo mancare la terra sotto i piedi.
«Cosa?! Un po' come sei tu?! Spero che non abbia detto questo a Lydia!»
Il viso di Malia espresse tutta la tristezza e la delusione di cui era capace.
«Perché?» gli chiese incredula.
«Perché è così, non è giusto accomunare me e te... Insomma, è sbagliato. E a Lydia non piacerebbe, soprattutto dopo quello che mi hai raccontato».
«Tu credi che io sia più pazza di te».
A Stiles scappò un sorrisetto nervoso.
«Dai, insomma... siamo diversi, ecco».
«Oh, mio Dio! Cristo, così mi uccidi».
Malia reagì come se le avessero detto che nei cereali c'erano insetti essiccati. Stiles era sempre più confuso e non riusciva a nasconderlo, né a captare l'aria della tempesta di merda che stava per abbattersi sulla sua testa.
Malia iniziò a parlare e ad ogni frase il suo tono di alzava e i suoi occhi si dilatavano.
«Sai che ti dico? Dimenticati la mia offerta di aiuto, scordatela questa idea del cazzo. Perché devo essere stata cazzo pazza! Perché io sono troppo più pazza di te!!!»
«Abbassa la voce» disse Stiles, provando a calmarla, ma senza risultato, Malia ormai stava urlando.
«IO SONO SOLO UNA PAZZA TROIA CON IL MARITO MORTO! AHAHAH!» si indicò scoppiando in una risata sguaiata.
Tutti i clienti del ristorante si voltarono a guardarli curiosi e preoccupati.
«Malia...»
«Scordatelo!»
«Malia, zitta cazzo!» alzò anche lui la voce.
«VAFFANCULO!» lei urlò ancora più forte e con un solo gesto gettò a terra tutto quel che si trovava sul tavolo, mandando in frantumi tazze e bicchieri.
«Sta' zitto tu, stronzo!» lo spinse via e poi prese la giacca e si diresse all'uscita tra gli applausi e le risate degli altri commensali.
Stiles fece per seguirla ma tornò indietro a prendere il portafoglio e sobbalzò quando lei sbatté i diti medi alzati contro la vetrata, con uno sguardo da vera pazza stampato sul volto.
Fu costretto a pagare il conto in fretta e furia e poi si lanciò all'inseguimento. Era un bene che lei avesse i tacchi alti a rallentarla, perché era così fuori di sé che dubitava sarebbe riuscito a raggiungerla senza perdere l'uso di un polmone.
«Hey! Hey, fermati! Senti non ti trovo pazza, va bene?»
«Invece sì!»
«Non è vero».
«Hai detto al tuo psichiatra che sei una categoria di malattie mentali superiore, non è così?»
«Non è vero, calmati, per favore calmati!» la afferrò per un braccio per costringerla a fermarsi.
«Lasciami stare!» gli urlò in faccia, divincolandosi dalla sua presa.
Erano arrivati di fronte a un cinema e la gente in fila li guardava come i tizi nel locale.
«Mi lasci spiegare un momento, per favore?!»
Malia si fermò, aveva gli occhi umidi e si mordeva il labbro inferiore a sangue.
«Non volevo che Lydia mi associasse a quel tipo di comportamento sessuale, perché non l'ho mai fatto in vita mia, chiaro?»
«Magari non avrai sperimentato le merdate che ho fatto, ma godevi nel sentirne parlare, vero?» gli si avvicinò, aggrappandosi con forza al collo della sua maglietta, ormai prossima a una crisi di pianto.
«Tu hai paura di essere vivo, tu hai paura di vivere. Tu sei un ipocrita, un conformista e un bugiardo. Io mi sono aperta con te e tu mi hai giudicato! Sei un grande stronzo!» lo strattonò.
«Malia scusa, adesso calmati» le mise le mani attorno alle spalle per confortarla.
«Non toccarmi! Levami le mani di dosso! MI STAI MOLESTANDO! MI STA MOLESTANDO!»
«E sta zitta!» le urlò allontanandola da sé.
La canzone aveva iniziato a suonare.
Intanto le persone si stava raggruppando attorno a loro e avevano sentito ciò che aveva detto Malia.
Un tipo vestito da zombie gli diede una piccola spinta.
«Ehi, amico rilassati» gli disse.
«Non toccarmi» lo avvisò Stiles.
«Mi sta molestando!» continuò Malia indicandolo.
«Dai, lasciala stare».
«MI STA MOLESTANDO!» gridò lei più forte, piegata in avanti.
«La vuoi smettere?!»
Stiles commise l'errore di fare qualche passo nella sua direzione, era stato un gesto istintivo, ma gli altri ragazzi lo interpretarono come un nuovo tentativo di molestia e cominciarono ad accalcarsi attorno a lui, a toccarlo e spingerlo.
«Vi prego, per favore state indietro» disse, ma quelli non volevano smetterla e nel frattempo la canzone suonava così forte che quasi non sentiva più gli insulti che gli stavano rivolgendo.
L'auto della polizia arrivò puntuale come sempre e Jackson lo raggiunse con la solita faccia nauseata.
«Che stai facendo? Hey, che stai facendo a questi ragazzi?» gli afferrò i lembi della giacca.
«No, niente, non sto facendo niente» disse e non si sentì mai così umiliato in vita sua come in quel momento. Jackson fiutò quella sensazione - era il suo lavoro farlo - e ci sguazzò felice.
«Fai il teppistello ad Halloween? Vuoi tornare ad Eichen House?» disse in modo che tutti sentissero.
«No, io...» provò a difendersi, ma Jackson lo strattonava costringendolo a indietreggiare.
«Forza Stilinski, che stai facendo? Stai supplicando di tornare in clinica, lo sai? Che cosa ti prende? Guardati, fai schifo!»
Stiles strinse i pugni e serrò la mascella, perché la musica era diventata assordante e avrebbe potuto tirare una testata su quella faccia di cazzo, rompergli il naso e vedere il sangue scorrere.
«I ragazzi!» disse allora Malia. «Sono stati i ragazzi, lui non ha fatto niente. Sono stati i ragazzi ad iniziare, hanno cominciato loro, lui non ha fatto niente».
A quelle parole i suddetti ragazzi iniziarono a protestare e Jackson, a malincuore, dovette lasciar andare Stiles per mettere il gruppo a tacere e tranquillizzare gli animi.
Malia approfittò del momento, prese Stiles da parte e aprì uno dei suoi pugni, intrecciando le dita alle sue.
«Hey, vieni qui. Insomma che vuoi fare? Stammi a sentire, è una canzone. Vuoi passare tutta la vita ad averne paura? È una canzone, non farne un mostro. Forza, respira».
Stiles fece tre lunghi respiri profondi e chiuse gli occhi, lasciandosi guidare dalla voce di Malia.
«Ecco, bravo respira. Non c'è nessuna canzone, nessuna canzone sta suonando in questo momento».
La canzone stava sfumando e cessò del tutto quando riaprì gli occhi e vide il suo volto.
«Mi dispiace, scusami. Ho esagerato» disse lei sinceramente dispiaciuta.
«Scusami tu» rispose a un soffio dalle sue labbra.
Jackson si mise tra loro due e fece allontanare Malia.
«Ti sta dando fastidio?»
«No, no era tutto uno scherzo!»
«La prego, non menta. C'è un ordine restrittivo su di lui».
«No, non sto mentendo. Ho uno stupido senso dell'umorismo».
«Ma... è una cosa che non si fa» rispose Whittemore sbigottito.
«Be', ho sbracato! Che le posso dire? Mi dispiace, va bene?»
Jackson però non stava più pensando a Stiles.
«Tu sei la vedova di Isaac?»
«Sì, sono la pazza vedova troia di Isaac. Un po' meno troia ultimamente» si strinse nelle spalle.
«Sei una ragazza strana. Ti offro qualcosa una sera?» le chiese con un sorriso smagliante.
Malia non lo degnò di una risposta, girò sui tacchi e andò via.
«Ma che ho detto di male?»
«Non lo fa più ormai» disse Stiles.
Jackson tornò allora a indossare la sua espressione di puro disgusto verso il mondo e salì in macchina.
«Ci si vede Stilinski, non hai bisogno di un passaggio vero?»
Non aspettò una risposta da parte di Stiles, mise in moto e con una sgommata girò l'angolo.
«Che stronzo».



*


Malia stava camminando a passo di carica verso casa, i piedi le facevano un male cane, ma non erano niente in confronto al casino che aveva in testa.
Si era pentita di aver fatto quella scenata e si era sentita tremendamente in colpa quando quello stronzo di Jackson aveva trattato Stiles come un bambino dell'asilo.
In effetti se sentirsi in colpa fosse stato uno sport nazionale lei avrebbe vinto tutti i trofei.
«Malia! Hey, Malia!»
Stiles l'aveva seguita per accompagnarla a casa, ma lei non aveva voglia di affrontarlo o di guardare in quei grandi occhi nocciola. Aveva smesso di farsi illusioni da molto tempo e sapeva che tutto quell'interesse era nato dalla sua proposta di consegnare una lettera a Lydia. Cos'altro poteva volere? In fondo lui era come quelli che la usavano per scopare e lei, al solito, si sentiva troppo sola per non accettare.
«Mi dispiace di aver detto quelle cose» disse affiancandola.
«Lo so, so che non le pensavi» gli rispose, perché un po' sperava che fosse così.
«Infatti!» sorrise.
«So che dici sempre stronzate che non pensi».
«Sempre!»
Erano arrivati, in fondo al viale l'attendeva una notte solitaria piena di incubi e lacrime.
Stiles le stava attaccato come un cucciolo speranzoso di ricevere un croccantino e le venne spontaneo ridere di quell'ingenuità così infantile.
«Tranquillo, gliela do la lettera a Lydia» gli disse incamminandosi verso casa.
«Te ne sono davvero grato, Malia».
«Lo so».

- - -
Angolo autrice

Grazie per essere arrivati a leggere fin qui, fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto lasciando una piccola recensione, ve ne sarei infinitamente grata.

Ah, e comunque Clarissa è uno dei miei nomi preferiti da sempre xD

















   
 
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