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Autore: The Custodian ofthe Doors    23/06/2017    1 recensioni
Come si definisce l'importanza di un eroe? Le sue sole imprese possono dirci quanto esso sia stato grande?
Dalle azioni di un uomo si delinea il suo successo ed il ricordo che il mondo terrà di lui, le folli gesta di chi è stato designato come eroe ed è destinato all'immortalità.
Loro non sono altro che mezzi eroi invece, nessuno li ricorderà mai, non saranno i protagonisti di leggende fantastiche e racconti mozzafiato, nessuna canzone verrà composta e cantata alla vivace fiamma di un falò nelle notti stellate, nessun bambino desidererà mai esser come loro, ripercorrere i passi di chi ha lottato, ha sofferto ed è morto come semplice soldato senza poi ricevere la corona d'alloro.
Perché loro erano lì, ma questo non conta.
Loro erano solo Mezzi Eroi e sempre tali sarebbero rimasti.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Half Heroes


22. Octavian- Sangue annacquato.


Quando arrivò per la prima volta al Campo Giove sapeva già come comportarsi, sapeva già cosa aspettarsi. Lo avevano cresciuto per tutta la sua piccola e breve vita ripetendogli quanto fosse importante la Legione, quanto si dovesse impegnare, che grande onore fosse far parte di quel mondo, essere in quel posto che la sua famiglia si era guadagnata di diritto generazioni addietro quando nacque il loro illustre antenato figlio del dio del Sole, quando il sangue di Apollo si era mischiato al loro dando vita alla grande e facoltosa discendenza che ora formava le radici della sua famiglia.
Tenere alto l'onore, dimostrare chi era, diventare forte, importante, temuto e rispettato.
Ah, la facevano facile loro, c'erano già passati, avevano fatto il loro dovere e ora se ne stavano tranquilli nella loro casa a Nuova Roma a godersi la vita tranquilli, i ricordi degli anni passati sotto l'arme sbiaditi, cancellati, corretti e riscritti per diventare ciò che era giunto alle sue orecchie: gesta di gloria e sacrificio, di imprese formidabili e impossibili.
O meglio, impossibili per loro, ma del tutto all'ordine del giorno per i suoi compagni.
Quegli stupidi ed insulsi semidei che potevano vantarsi di discendere direttamente da un dio del Panteon, non come lui, non come la sua famiglia che doveva accontentarsi di quelle tracce scialbe ormai rimaste nelle loro vene mortali.
Se c'era una cosa che più di tutti Octavian aveva sempre invidiato di tutti i soldati della Legione, era il sangue. Non li capiva proprio, non riusciva ad immaginare come fosse poter dire che la propria madre o il proprio padre erano divinità, che erano Dèi.
Mio padre è un dio.
Cosa si prova a dirlo, eh? Che sapore ha la consapevolezza di esser nati da qualcosa di più grande di noi, d'incomprensibile per la stolta e piccola mente umana? Non lo sapeva e mai l'avrebbe saputo.
No, certo che no, lui dopotutto era solo un discendente un figlio di un figlio di un figlio di un dio, una catena che si perdeva nel passato e più anelli aggiungeva più diluiva quel magnifico e gigantesco potere che era l'Icore dorata che aveva dato la vita a quel suo trisavolo un secolo fa.
Si era comunque impegnato per arrivare dov'era ora, non era stato facile certo, aveva dovuto davvero sputare sangue per essere reputato al livello dei veri semidei, ma c'era da dire, da specificare con grandissima enfasi, che tanto sangue aveva versato lui, tanto ne aveva fatto sputare a quegli stolti idioti che pregavano mamma o papà di assisterli dall'Olimpo.
Il sangue, per Octavian, era sempre stato la cosa più affascinante del mondo, la più importante, la più ambita. Forse era per questo che aveva scelto quella specializzazione, quella disciplina che tutti tenevano in gran considerazione ma che nessuno voleva davvero raggiungere e far sua. Essere l'Augure della Legione era un onore, un titolo che ti elevava sopra i tuoi compagni, che ti metteva in condizione di discutere con il Senato, di influenzarlo, di guardare dritto negli occhi il Pretore e dirgli che era un grandissimo deficiente se pensava di andare in missione dopo quello che lui -lui e nessun altro- aveva visto in quelle viscere.
Oh, i racconti delle visioni mistiche degli Oracoli lo avevano da sempre colpito, da quando le Sibille avevano cominciato a scrivere i loro rotoli e tramandarli nel tempo, da quel momento per Octavian era cominciato il vero ed onorevole passato degli indovini. Altro che stupido oracolo di Delfi! Loro si limitavano a vedere ciò che sarebbe successo per grazia divina, era Apollo a mandargli quelle visioni, era il suo grande antenato a dar loro tutto quel potere. Le Sibille invece, gli Auguri, loro se lo prendevano quel potere, come solo un Romano poteva fare.
Forse era nata così la sua fissazione per i libri Sibillini, degli esseri mortali avevano avuto la forza ed il potere di trascrivere le verità del mondo, della vita, passato, presente, futuro, tutto in rotoli che anche gli uomini avrebbero potuto leggere. Avevano messo a portata di tutti un potere che solo gli Déi e i loro protetti potevano ostentare. Erano riuscite a vedere dove neanche i figli dei Titani erano riusciti. E lui ne era diventato semplicemente ossessionato.
Aprivano le loro prede, le loro vittime sacrificali e vi leggevano dentro le storie che le Moire avevano tessuto anni addietro attorno al filo della loro vita. Nel sangue che scorreva sull'altare vedevano l'orrore delle viscere e osservavano l'immutabile scorrere del tempo e degli eventi.
Un potere senza fine, un potere che non dipendeva dagli Déi così tanto quanto quello dell'Oracolo.
Questa era la sua idea, questa era la sua illusione.
Forse avrebbe dovuto capirlo all'ora, quando i suoi parenti avevano così palesemente depennato la verità del loro passato per riscriverlo con parole altisonanti che lo avevano illuso di poter essere all'altezza di chi viveva senza metà patrimonio genetico, di quegli inutili ragazzi che lo guardavano con palese indifferenza, con superiorità, perché loro erano figlio di Déi e lui no.
Quanto potesse bruciare quella semplice constatazione dei fatti, forse i suoi compagni non ne avevano idea, forse non si rendevano conto che con le loro parole stavano solo alimentando un fuoco nato dall'invidia e dal senso di inferiorità che da sempre aveva attanagliato il suo animo.
Il figlio di un dio non si sarebbe sentito inferiore a nessuno, l'inferiorità se la si prendeva da soli, concedendo agli altri di essere superiore a noi. Questo Octavian l'aveva imparato ben presto: se dai ad una persona la possibilità di innalzarsi sopra di te, questa la prenderà al volo. Ma se non gli concedi spazio di manovra non potrà sopraffarti. E se era vero che fisicamente non avrebbe mai potuto battere nessuno, verbalmente avrebbe piegato anche i mari e i cieli al suo volere, avrebbe piegato un dio, il suo di dio e si sarebbe preso la gloria che la sua famiglia si limitava ad inventare negli aneddoti raccontati ai raduni.
Se la forza bruta non lo avrebbe portato in alto, lo avrebbe fatto la sua voce: morbida come velluto, calda come i raggi del sole che diede i natali alla sua dinastia, la voce di un leader ferma e sicura, inflessibile e impossibile da contraddire, perché lui era l'Augure e solo lui sapeva ciò che gli Déi volevano. La voce di una sirena ammaliatrice che nascondeva il mortifero veleno della sua saliva, la lama tagliente della lingua, il sibilo inquietante e tormentato delle sue insinuazioni. Avrebbe raggiunto il potere come mai nessuno prima di lui e lo avrebbe fatto alle sue regole, solo le sue e al diavolo i semidei, gli avrebbe mostrato quanto valeva il loro sangue, quanto importasse per lui, come potesse distruggerli senza che questo restasse a macchiargli le mani a vita.
Le osservò attentamente, le sue mani, lunghe e affusolate, nodose ed eleganti, sarebbero state le mani perfette di un pianista, con le unghie corte curate e pulite, pulite come ora non lo erano. Una sottile linea rossa delimitava la parte bianca dell'unghia da quella rosea del carniccio, tra le mille linee labirintiche delle sue impronte digitali il filo rosso del sangue si spandeva mostrando il disegno che normalmente solo la vicinanza avrebbe rivelato, le nocche erano piene di goccioline, una più corposa e intraprendente delle altre era colata sul dorso sino ad arrivare al polso. Octavian fissava il pugnale che teneva ancora stretto nella mano, non quello rituale, un banalissimo pugnale da mischia ora ricoperto di una patina rossa, lucente e vagamente trasparente, poteva vedere il metallo dorato reso roseo dall'alone del fluido vitale, sporcatosi quando la lama era penetrata nella carne, intingendosi in ciò che per tutta la vita aveva e avrebbe diviso Octavian dai suoi commilitoni.
Sangue, solo e semplice sangue.
Soluzione di globuli rossi, piastrine, globuli bianchi, proteine, vitamine e cos'altro? Che altro c'era dentro quello stupido liquido che lo incriminava? Che lo rendeva diverso?
Sangue, solo semplice e stupido sangue.
Bellissimo ed affascinante come solo ciò che può dare la vita è. Una vita che però era stata comunque spezzata, nonostante la composizione semidivina di quel fluido.
Si, i geni degli Déi non avevano comunque salvato la sua vittima, non avevano comunque impedito alla lama di affondare e scendere sempre più all'interno di quel corpo, di raggiungere il centro nevralgico di quell'anima e di strapparla al mondo, alla vita.
Fissava incantato il pugnale sporco di sangue.
Quando era diventato Augure si era illuso che le sue vittime sarebbero state vere ed invece lo avevano confinato a distruggere stupidi peluches che non facevano altro che renderlo ancora più ridicolo e impotente agli occhi degli altri.
Ma, oh, glielo avrebbe fatto vedere lui, avrebbe dimostrato a tutti quegli sciocchi quanto potesse essere forte, terribile, potente ed intelligente un semplice discendente, come sarebbe stato in grado di piegare gli Déi, uno alla volta, al suo volere, come avrebbe convinto il Senato e i Pretori, come avrebbe portato dalla sua i Centurioni e tutti i soldati. Avrebbe raggiunto la vetta, sarebbe diventato il solo ed unico Cesare, proprio come aveva fatto millenni addietro quel semplice ma essenziale discendente di Venere, avrebbe comandato sopra tutti, sopra tutto.
Con quello stesso pugnale sporco di sangue, nel mezzo dei giochi e della confusione, carezzò la pelle pallida e delicata del suo braccio, una linea rossa e densa s'aprì sul bianco smorto del suo arto e colò veloce verso terra, macchiando i pantaloni mimetici ed i gambali metallici, senza che il dolore sfiorasse quella mente folle ma lucida.
Avvicinò il pugnale al taglio e li scrutò entrambi attentamente, come in tranche: Nulla. Non vi era nulla di diverso tra il suo sangue e quello di un semidio, non cambiava il colore, non cambiava la consistenza, il modo in cui si espandeva per il reticolato della sua epidermide o nel modo in cui la gravità lo spingeva verso il terreno. Nulla.
Nulla.
Strinse il pugno e tornò alla realtà: grida spaventate gli fecero capire che l'avevano trovato, il semidio a cui aveva gentilmente chiesto un po' di sangue per quel raffronto così essenziale per lui ora era riverso in una pozza rossa, attorniato dai suoi compagni che cercavano di capire cosa fosse successo, chi fosse stato così sciocco o sconsiderato da ferire mortalmente uno di loro.
Uno di loro. Semidei.
Oh, ma glielo avrebbe fatto vedere lui a quegli orgogliosi figli degli Déi, a quei fantocci senza anima, mossi dalle mani dei loro stessi genitori, gli avrebbe mostrato quanto l'Icore nel loro corpo non li avrebbe fatti resistere al suo potere, alla sua forza.
Avrebbe mostrato a tutti loro cosa sarebbe stato in grado di fare il dolore e la determinazione di un semplice discendente, quando quel sangue annacquato avrebbe distrutto, sottomesso e comandato, quello d'oro degli Déi.














Salve Lettore, mi prendo un piccolissimo spazio per informare, a chi la cosa potesse interessare, che i semidei Greci sono finiti e che da qui cominceranno i Romani, che in effetti son ben pochi, quindi credo proprio che la storia stia in fine giungendo al suo termine.
Grazie per aver letto e per l'attenzione.
Yo,
TcotD.

   
 
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