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Autore: _xharrysdimples    24/06/2017    1 recensioni
Alzi la mano e mi saluti debolmente con un cenno ed un sorriso spento, e quando sbatto le palpebre e riapro gli occhi non ci sei già più, sei svanito nei meandri di un pensiero che non è mai stato realtà, di un addio che non mi hai mai detto.
Ma continuo a rivederti così, con quel sorriso sulle labbra e una mano che mi saluta, mentre in lontananza dietro di te il treno già si sta facendo vicino. Voglio ricordare questo, di te, il sorriso.
Guardo il campo di girasoli che fa da sfondo alla vecchia stazione (...) Sono tutti girati nella mia direzione, quei girasoli, e sembra quasi mi scrutino con occhio severo e veglino su quei binari che sono stati la mia maledizione.
Ma poi capisco. Non sono girati verso di me, bensì verso di te.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ricordo, teneva la sigaretta accesa tra le labbra.
Era bellissimo.
Mi guardava, poi aspirava.
E ad ogni suo tiro, toglieva a me un po' di respiro.
Era appoggiato al muro, come per sfuggire all'inverno, con la mano sinistra in tasca; una nuvola usciva da quelle labbra screpolate, il respiro caldo abbracciava il fumo.
Espirava una dolce malinconia.
La luce sfocata di un cielo plumbeo, l'atmosfera soffusa.
Un vento gelido gli sfiorava le guance, guardò in alto, verso il cielo, gli zigomi alti, gli occhi semichiusi per proteggersi da una luce glaciale, le labbra fini accarezzavano la sigaretta come se avesse sorriso; osservando quell'aria uscire dai polmoni, che saliva sempre più in alto, fino a confondersi col cielo.
Era poesia.
Louis Tomlinson era poesia pura. E io lo conobbi così, addossato a quel muro mentre fumava quelle sue sigarette che tanto amava, con il gelo negli occhi e nel cielo sopra di noi. Quel gelo che non era in grado di mandar via.
Me lo ricordo bene quel giorno, quello che succede quando due facce si vedono per la prima volta e si guardano in quel modo, con quello stupore, quasi per capire se nell'altra possono trovare qualcosa da amare.
Quando ci si presenta e poi si fanno tutte quelle domande e si ascoltano tutte le risposte, ed è impossibile che sei qui, e che mi guardi così, che sei reale, e che il tempo è volato e devo andare ma domani si, se vuoi uscire con me magari ti darò la mano e tu in silenzio mi sceglierai perché ti sentirai al sicuro. Ma noi, noi non ce le siamo mai fatte tutte quelle domande, non le abbiamo mai ascoltate tutte le risposte: era già tutto dentro di noi dal primo momento in cui i nostri occhi si sono incrociati a quella fermata degli autobus che arrivavano sempre in ritardo.
O per lo meno questo è ciò di cui voglio convincermi, voglio convincermi che il suo addio fosse già stato scritto nei suoi occhi quel giorno, voglio credere di essermi finto analfabeta per non doverlo leggere.
Louis, Louis Tomlinson, mi disse con quella sua voce speciale mentre lasciava sfuggire dalle sue labbra una nuvola di fumo, e non mi tese la mano, perché a lui non importava.
Mi presentai e poi mi zittii ritraendo la mia e infilandomela in una tasca in modo goffo, non con la naturalezza con cui lui ci teneva la sua, lì che affondava nella stoffa dei suoi skinny neri che lasciavano ben poco all'immaginazione. Aveva qualcosa di speciale e non sapevo ancora cos'era; aveva anche qualcosa di caldo in quei suoi occhi così glaciali e accusatori.
E anche senza conoscerlo ancora, pensai che Louis Tomlinson era poesia.
Pioveva, il giorno in cui l'ho visto per la prima volta.
Non era lì per caso, stava aspettando. Cosa, non me lo disse mai.
E nemmeno io ero lì per caso: aspettavo. Cosa, non lo sapevo.
Cosa si può aspettare, ad una fermata fatiscente dell'autobus? Forse un autobus, o forse una svolta nella propria vita. Per questo motivo io ero lì, razionalmente per prendere il mezzo che mi portasse a casa, ma aspettavo in realtà ben altro, e con l'immaginazione fingevo che quell'autobus mi portasse lontano, in lande desolate nelle quali non avrei più dovuto confrontarmi con nessun essere umano.
Lui probabilmente aspettava una salvezza che non ricevette mai.
Guardava gli autobus che non erano i suoi fermarsi e ripartire come in un circolo infinito, mentre aspirava dalla sua sigaretta e ne premeva il mozzicone contro il muretto di pietra per spegnerlo, prima di accenderne un'altra subito dopo.
Non so quante sigarette fumò nel breve lasso di tempo in cui stetti con lui, ma mi parvero non finire mai. Ed ebbi l'impressione, radicata e profonda, che si volesse far del male.
Mi guardava di sottecchi, come fossi una minaccia da evitare, un pericolo, ma io gli sorrisi comunque, anche se i suoi occhi mi analizzavano da capo a piedi, severi.
Non capivo se mi stesse giudicando o se si rendesse solamente conto che ero diverso da lui, e ciò lo incuriosiva. Lui forse mi spaventava un po', a dirla tutta, con quello sguardo gelido e quell'espressione quasi cattiva.
Ebbi, non so dire se per fortuna o sfortuna, tempo e modo di capire che era solo la paura, a modificare i suoi lineamenti di per sé dolci.
Louis, era quell'amore che non avevi mai provato, che nessuno ti aveva mai dato, a farti sentire diverso. Erano i sabato sera che avevi passato in casa da solo mentre tutti uscivano a divertirsi. I Natali in cui a casa tua l'albero e le decorazioni non c'erano. I baci che ti eri perso per strada mentre i tuoi amici trovavano la loro prima cotta e ti lasciavano indietro, come se tu non avessi mai avuto importanza. Era tutta la mancanza e il dolore che ti avevano fatto provare, che si erano ammassati in un'enorme strato di paura e frustrazione, che ti incupivano lo sguardo e ti facevano sembrare cattivo. Non lo eri.
Sembrava tu stessi giudicando tutti, col tuo sguardo severo, ma in realtà giudicavi te stesso e prendevi coscienza delle cose che ti erano mancate trovandole negli altri.
E ciò non faceva che logorarti un po' di più ogni giorno, senza che nessuno se ne accorgesse.
Dopo che ci fummo presentati, solo perchè io insistetti nel voler sapere il suo nome, guardammo la gente andare e venire dalla fermata. C'era chi saliva negli autobus che si fermavano e chi scendeva, ma comunque fosse ognuno di loro aveva una meta, tranne forse noi due. Passarono delle ore e il sole tramontò lasciando spazio ad una fredda serata, prima che io scostassi la manica della mia giacca dall'orologio e guardassi l'ora, sospirando.
“Sono le nove e quaranta. L'ultimo autobus è passato dieci minuti fa.” dissi, alzando lo sguardo su di lui. Avevo completamente dimenticato che io in realtà lo avrei dovuto prendere, l'autobus per tornare a casa.
“Fantastico. Grazie.” gli uscì dalle labbra, mentre si infilava le mani in tasca e si girava per andarsene, tranquillo.
“Non aspettavi un autobus?” gli chiesi allora, per fermarlo, confuso.
“No.” non disse altro, non una parola, e nel giro di qualche confuso secondo era già sparito nella nebbia che era calata assieme alla notte.
Tornai a casa, a piedi, avvolto dal gelo e con la strana sensazione di aver raggiunto una qualche meta senza nemmeno averla cercata davvero.




Qualche mese dopo ero in piedi accanto a lui, di fronte ad un mare immenso.
L'aria fredda gli scompigliava i capelli e gli gelava il viso, mentre lui socchiudeva gli occhi per il leggero fastidio. Non era ancora la stagione giusta per andare alla spiaggia, ma aveva insistito tanto perchè lo portassi che mi ero trovato nella condizione di non essere in grado di dirgli di no.
Dopo avermi trovato così tante volte alla fermata degli autobus aveva capito che forse ero più simile a lui di quanto pensasse, così aveva fatto lo sforzo di iniziare a parlarmi, e forse gli era piaciuto.
A me, forse, era piaciuto il bacio che ci eravamo appena scambiati.
Ora però mi guardava con la sua consueta diffidenza, come se baciandolo gli avessi strappato via qualcosa che invece voleva conservare per sè. Io, comunque, non me ne pentivo.
Era tornato a guardare il mare, e credo che si stesse ponendo mille domande a cui non riusciva a trovare delle risposte convincenti.
Mi morsi le labbra e lo abbracciai da dietro, circondando il suo piccolo corpo con le braccia e tenendolo stretto perchè, ne ero sicuro, aveva paura di rompersi almeno quanta ne avevo io di vederlo andare in pezzi.
“Comunque questo non cambia niente.” disse allora, rompendo quel quieto silenzio che si era creato dopo che le nostre labbra si erano sfiorate, e sentii la sua voce quasi tremare per la paura di ciò che avevamo fatto. Fu la prima volta in cui capii che l'amore lo spaventava terribilmente perchè era qualcosa a lui sconosciuto.
Sorrisi appena e annuii, stringendolo più forte e dondolando appena sui piedi posando il viso contro l'incavo del suo collo.
“Va bene, non cambia niente.”
Non ci credeva nemmeno lui. In realtà voleva che cambiasse, voleva che finalmente qualcuno fosse arrivato per restare, non per illuderlo e poi lasciarlo solo.
Lui voleva che cambiasse, ma non aveva il coraggio di dirlo, né tantomeno di sperarlo davvero.
Le onde si infrangevano a riva silenziose, quasi per non disturbarci, mentre lo stringevo con più convinzione e sentivo il suo cuore battere ad un ritmo quasi allarmante. Era bello vedere che sortivo un qualche effetto su di lui, dopo essermi immaginato il suo cuore duro e freddo. Ho capito solo più tardi che lui era solo ciò che la gente aveva fatto di lui. Non era mai stato una causa, ma sempre e solo una conseguenza di ciò che gli altri gli avevano fatto, finchè non lo avevano reso freddo e duro. Perchè con il freddo, si sa, qualsiasi cosa è in grado di ghiacciarsi.




Due anni e centinaia di liti più tardi lui era diventato il mio tutto e io la sua – quasi – tranquillità.
Aveva delle necessità che non capii mai, o che forse, sbadatamente, finsi di non capire perché sapevo non sarei riuscito a soddisfarle, nonostante tutto. Aveva un carattere che talvolta era impossibile da sopportare, tant'è che avevo minacciarto di lasciarlo decine di volte quando lui si metteva ad urlare e a lanciarmi contro qualsiasi cosa si ritrovasse vicino mentre litigavamo.
Mi accusava di non capirlo, e non posso negare che fosse vero. Io lo accusavo di non amarmi, e lui mi rispondeva che non sapeva cosa fosse l'amore.
Il vero problema era che lui cercava qualcuno che gli desse tutto, mentre a me era rimasto ben poco da dar via. Anche se quel poco che avevo, glielo avrei concesso tutto, sempre.
Lui non sembrava vedere che c'era un mondo attorno a lui e che quel mondo scorreva. Era proprio come con quegli autobus che restava ad aspettare invano: loro si muovevano attorno a lui e continuavano la loro corsa che lui salisse o meno, ma era proprio lui, a restare inevitabilemente fermo. Provavo costantemente a farlo camminare al mio fianco, ma i suoi piedi restavano ancorati saldamente a terra, e sulle sue spalle si concentrava un peso così grande che, anche se lo avessi davvero voluto, sarei riuscito a portarne forse solo una minima parte.
Ho cercato di salvato in ogni modo mi fosse possibile, ma lui continuava ad aspettare qualcosa che io non avevo. Gli avrei dato tutto, ma quello che cercava forse non esisteva neppure, o forse più semplicemente non è riuscito a trovarlo in me.
Perché in quel mattino stranamente freddo di luglio ricevetti la notizia che nel mio cuore, forse, avevo sempre saputo avrei ricevuto.
Forse dal primo sguardo che ci eravamo scambiati, forse già allora nei suoi occhi c'era l'ombra di ciò che sarebbe accaduto, l'ombra della voce di sua madre, gli occhi di lei che mi guardavano con compassione, lucidi di dolore e di una tacita e definitiva rassegnazione.
Harry, lo ha fatto.
Non mi stupii. Credetti di morire di dolore, ma non riuscii a stupirmi. Sapevo sarebbe successo.
Sui giornali non dissero molto sulla faccenda. Ricordo vagamente l'articolo, lo lessi una sola volta e poi non volli rivederlo mai più. Diceva che aveva solo vent'anni. Che il suo corpo aveva causato solo qualche rallentamento, prima che i binari fossero ripuliti e rimessi in funzione. Prima che il treno da Londra a Brighton tornasse in funzione senza alcun problema o ritardo troppo sostanziale.
Sperava, forse, di bloccare una di quelle tante corse che sarebbero continuate anche senza di lui, ma non ci riuscì. Forse sperava che qualcuno lo fermasse, quando i binari l'hanno accolto e abbracciato, e lui si è steso in attesa. Straziante, dolorosa, infinita attesa. Penso così spesso che avrei voluto stendermi accanto a lui, e tenerlo tra le mie braccia mentre aspettavamo la fine insieme. E raccontargli una qualche storia, sussurrandogliela all'orecchio, magari quella dei fiori di loto, che vivono solo tre giorni ma in quei tre giorni danno sfoggio di tutto il loro splendore.
Un po' come ha fatto lui nella sua breve vita.
Voleva fermare e sconvolgere la corsa di qualcuno, ma non aveva mai capito di averlo già fatto con la mia. Ero deragliato, avevo distrutto i binari del mio io interiore, ero uscito da quella strada già tracciata e avevo percorso una via secondaria, che non era stata ancora asfaltata e che era quella che portava a lui. Io ho distrutto tutto per te, Louis, mentre tu distruggevi solo te stesso.
Nelle notti più fredde e cupe, quelle in cui piove forte come nel giorno in cui ti ho conosciuto, posso ancora sentirti che ti stringi contro di me nel grande letto vuoto, che mi abbracci da dietro e mi chiedi se sono sveglio, e se posso essere io ad abbracciarti, perché hai paura di qualcosa che non sai bene nemmeno tu cos'è. Quando mi volto il letto è vuoto, ci sono solo io, reduce di allucinazioni troppo reali per crederle davvero tali. Mi capita ancora di sentire il debole soffio del contatto delle tue dita su di me, ma quando apro gli occhi non ci sei, e mi chiedo se sto impazzendo o se la tua presenza era così forte da riuscire a rimbombare anche nell'eco dalla tua disperata assenza.
Riesco ancora a sentirti piangere, chiuso in bagno perché hai paura della vita, di un mondo che ti ha fatto del male; quando apro la porta mi trovo di fronte nient'altro che una stanza vuota, la tendina della doccia pende senza uno scopo, il tuo spazzolino è ancora nel bicchiere sul lavandino e tutte le tue cose sono ancora sulle stesse mensole e negli stessi cassetti.
Ogni volta che sento lo sferragliare di un treno ti penso, e quel rumore quasi si confonde nella mia con la tua risata, che mi gela il sangue ma mi dà anche un po' di respiro, perché non sai quanto mi manca sentirti ridere, anche se non lo facevi quasi mai.
Volevi che qualcuno si ricordasse di te, volevi cambiare il mondo, volevi far deragliare tutti i treni del pianeta e far capire alle persone come ci si sente quando fanno deragliare la tua vita.
Con me ci sei riuscito; d'ora in avanti sarò un treno senza una meta che avanza lungo una strada priva di binari, a ridosso di speranze e sogni che non potrò più realizzare ora che tu non ci sei più. Ogni tanto torno alla stazione dove hai fatto il tuo ultimo viaggo, mi siedo a terra e faccio finta di parlarti, e giuro, quasi posso vederti, steso sui binari che aspetti il tuo ultimo treno.
Mi sorridi appena, solo un po', giusto quel tanto che mi faccia capire che sai quello che fai. Mi guardi con occhi grandi di trepidazione, e non ti ho mai visto così felice se non in queste mie terribili e devastanti allucinazioni.
Ti rivedo sotto il plexiglass della vecchia fermata degli autobus che fumi e Louis, Louis Tomlinson, mi dici, e sei ancora bello come il sole, bello di quella bellezza che non potrà mai invecchiare. Ti ricorderò sempre con quel viso di bambino un po' cresciuto, e ogni volta che nella mia vita mi guarderò allo specchio e mi vedrò invecchiare penserò a te, che resterai bellissimo in eterno. Sei riuscito a sconfiggere il tempo, a sconfiggerci tutti e ad andartene. Volevi che qualcuno ti aspettasse, e ora mi trovi qui, ad aspettare il giorno in cui potrò vederti ancora una volta ed essere di nuovo ciò che eravamo assieme. Il terribile caos che eravamo noi due.
La tua meta era questa, e ora che l'hai quasi raggiunta sai che stai facendo la cosa giusta. Solo per te, ma stai facendo la cosa giusta.
Alzi la mano e mi saluti debolmente con un cenno ed un sorriso spento, e quando sbatto le palpebre e riapro gli occhi non ci sei già più, sei svanito nei meandri di un pensiero che non è mai stato realtà, di un addio che non mi hai mai detto.
Ma continuo a rivederti così, con quel sorriso sulle labbra e una mano che mi saluta, mentre in lontananza dietro di te il treno già si sta facendo vicino. Voglio ricordare questo, di te, il sorriso.
Guardo il campo di girasoli che fa da sfondo alla vecchia stazione e voglio credere che i brandelli del tuo corpo stiano facendo crescere bellissimi fiori, che tu stia donando nuova vita alle cose che hai lasciato in questo mondo quando hai deciso di andartene.
Sono tutti girati nella mia direzione, quei girasoli, e sembra quasi mi scrutino con occhio severo e veglino su quei binari che sono stati la mia maledizione.
Ma poi capisco. Non sono girati verso di me, bensì verso di te. Ti vedono anche loro, steso su quella ferraglia, con un ultimo sorriso sul viso, appena prima che esploda la morte. Hanno vegliato su di te mentre vivevi i tuoi ultimi istanti, e guardandoti, hanno capito quello che tu non hai capito mai.
Che vedevi solo buio attorno a te perché eri tu stesso la luce, e non eri in grado di vedere il tuo stesso riflesso. Anche se ho fatto del mio meglio perché lo vedessi nei miei occhi, non ci sono riuscito. E Louis, per questo ti chiuedo infinitamente scusa. Così posso solo immaginare che loro, avvolgendoti in quell'ultimo abbraccio che avrei voluto darti io, di chiedessero scusa e di dicessero addio da parte mia.
E ti guardavano, muti e attenti, perché si sa che i girasoli si voltano sempre nella direzione della luce.




ciao a tutti! spero che la storia vi sia piaciuta, fatemi sapere! :) nel caso voleste, potete seguirmi su wattpad, sono 'stylinsvoice'. A presto!
 
  
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