Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh! Arc-V
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Autore: Selena Leroy    29/06/2017    2 recensioni
Il progetto "Les Enfant Terrible" aveva uno scopo: dare alla luce una nuova generazione più consapevole, più capace e più ambiziosa della precedente. Non era rimasto molto, d'altronde, agli ultimi superstiti di un pianeta arso vivo dalla Peste, un nuovo morbo che infesta il pianeta uccidendo qualunque creatura esistente si trovi sul suo cammino.
Yuya Sakaki è una di queste speranze, cresciuta assieme al padre e alla medicina. Ha solo sedici anni, ma il suo quoziente intellettivo supera di gran lunga quello delle sue normali coetanee; con il suo amico di sempre, quel ragazzo di nome Yuto segretamente innamorato di lei, continua una battaglia che però sembra persa in partenza.
E la situazione, per lei, volgerà inaspettatamente verso il peggio; alla morte improvvisa del padre, le decisioni di un uomo mai visto né sentito e che risponde al nome di Leo Akaba, la porteranno via dal suo luogo natio, dai suoi affetti e dai suoi amici, e in quella solitudine imposta da estranei, nelle cui menti si cela un segreto dalle cupe ombre, tutto ciò che le rimane da fare è lottare, e continuare quella ricerca ora così preziosa. Se farlo o meno da sola, dipenderà solo da Reiji Akaba...
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Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akaba Reiji/ Declan Akaba, Yuto, Yuya Sakaki
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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I

l suo peregrinare all’interno della sua stessa dimora non aveva mai avuto una meta prestabilita, un obiettivo da raggiungere. La riservatezza con cui suo padre andava a ritagliarsi i suoi spazi comportava la totale ignoranza, da parte degli altri membri della sua famiglia, di qualunque luogo sicuro nel quale avere certezze e risposte. Era una ritrosia guadagnata con metodica lentezza; i secondi di silenzio si erano accumulati senza che qualcuno si accorgesse della sempre maggiore sottrazione, e si erano resi evidenti soltanto alla fine, quando di Leo Akaba non era rimasta che un’immagine sbiadita ravvivata solo da incostanti apparizioni aventi a sé del miracoloso. Il semplice fatto che Reira, anche se nel limbo del suo sonno, avesse avuto numerosi dubbi nell’identificare la voce del padre, rendeva palese quanto simile distanza si fosse ormai concretizzata in un’assenza cronica che metteva su due mondi paralleli il padre e il resto della sua famiglia, ormai disillusa di poterlo cambiare.

Ecco perché aveva continuato a cercarlo alla cieca. Ecco perché continuava imperterrito a scrutare le ombre in attesa di nuovi indizi. Ecco perché aveva disperato nella ricerca fino a giungere nella stanza di lei.

Quello che si presentò dinanzi ai suoi occhi lo inorridì al punto da tradire la sua presenza prima ancora che essa diventasse totalmente manifesta. Quell’uomo, apparso come il ritratto dell’indifferenza anche di fronte all’assurda decisione che aveva imposto sulla sua famiglia come una legge dettata da un monarca immune alla contraddizione, adesso era lì, a pochi passi dal letto di Yuya, il volto inespressivo a contemplare la figura rannicchiata che dormiva pesantemente tra le coperte inspessite e appesantite da un bisogno che appariva inopportuno. Il freddo era qualcosa di ormai totalmente dimentico, nella loro dimora, perché le perfette condizioni climatiche erano garantite non tanto per fornire ristoro agli abitanti quanto per permettere il totale controllo dell’aere circostante, una maniera sbrigativa per decontaminare tutto quanto potesse far nascere il pericolo di diffusione della peste. La tecnologia si era evoluta a livelli esponenziali proprio per garantire ogni necessario aiuto in merito a simili manifestazioni, e in simili pertugi difensivi appariva inusuale, se non proprio strano, quell’indifesa creatura tremante per il freddo, affaticata perfino dal semplice atto che le permetteva de respirare, incosciente eppure infelice di un qualche dolore che ne piagava il corpo. Aveva visto troppe morti, Reiji,  e poteva affermare con certezza che quella giovane non fosse affetta dalla Peste; esattamente come Himika, anche lui si limitò semplicemente a sciogliere ogni dubito in merito ad un aggravamento tanto catastrofico. Ma che la sua salute, una salute che la sua guancia ricordava eccessivamente vivace, adesso fosse così precaria e traballante, aveva dell’inspiegabile e dell’insolito.

Un insolito che, agli occhi indagatori di Reiji, vedevano un unico colpevole ed un unico testimone. Suo padre.

“Come mai tutta questa agitazione, Reiji? Se non ti sapessi a me affezionato, crederei quasi che tu non mi reputi all’altezza di concedermi a manifestazioni sentimentali!”

“Ma io posso essere entrambe le cose, padre: un figlio devoto e un assennato in dubbio sulla tua umanità”

All’inizio il germe del sospetto aveva dovuto la sua origine e la sua esistenza unicamente alla volontà di intravedere delle colpe lì dove la presenza di lei appariva meno richiesta. Odiare Yuya comportava il ricercare di un qualcosa, una qualsiasi clausola o anche un banalissimo appiglio di sciocche proporzioni che riuscisse a garantirgli la vittoria diplomatica e la scacciata definitiva dell’intrusa dalla loro dimora. Non vi erano altri intenti che lo spingessero a contrapporsi ad una ragazza che, nella concretezza dei fatti, non aveva fatto assolutamente nulla per rendersi detestabile ai suoi occhi, ma se anche giudicabile stupido nel suo intestardirsi di fronte a certezze che solo lui dichiarava sensate, Reiji aveva continuato per la sua strada senza dar retta alla coscienza che ne intimava l’immediato arresto delle intenzioni.

La madre aveva parlato di paura, quando aveva provato a ricercare quel senso che sfuggiva a quanti si ponevano le giuste domande, e nel suo pedissequo indagare si era spinta perfino a rievocare l’immagine di Ray, della sua unica e vera sorella, con l’orribile convinzione che, in Yuya, Reiji vedesse qualcosa che lo spingesse a respingere nuovo dolore. Nulla di più falso, perché sotto una simile prospettiva la lucidità era fine a se stessa, nel consacrare distanze nette mai ravvicinabili in un contesto che lo vedeva invischiato ad una realtà fin troppo evidente per ricercare sottintesi di qualunque sorta. Yuya non era Ray, e nemmeno le loro ombre sarebbero riuscite a sovrapporsi per creare le giuste illusioni. Il suo odio andava a concepirsi in dettagli di più infimo gusto, un egoismo che prevaricava oltre ogni più umana sollecitudine, e che semplicemente scrutava per ricercare ogni elemento estraneo come soggetto di possibili mali dal quale egli doveva difendersi. Non era la peste, ciò che Reiji temeva, la sua riflessività aveva ormai accettato l’impossibilità di una simile – e triste – condanna sulla testa della ragazza; per colui che viveva in un equilibrio precario, dettato da quotidiane tradizioni che ne concedevano il giusto riposo dopo sfibranti turni di lavoro, ogni qualunque vibrazione, anche la più lieve e la più sensibile, del suo microcosmo andava puntualmente indagato ed eliminato fino al ristabilirsi dell’ordine iniziale.

Yuya non era dunque il simbolo della peste, non era il simbolo dell’ignoto, ma l’emblema del caos che aveva destabilizzato tutto quelle impalcature di certezze che regolava il corso della sua vita. Aveva sicuramente avuto il suo riguardo quell’attaccamento che fin da subito Reira, schivo per natura, aveva mostrato per la giovane, e anche quell’insolito interesse che Himika solitamente negava agli estranei, ma la gelosia non era un tratto di rivelante consistenza, nel giovane scienziato, e anche al potere coercitivo che simile veleno deteneva, egli era solito tenersene alla larga semplicemente concentrando i suoi pensieri in ricordi che respiravano di legami più stabili e duraturi. Cosa che Yuya, in quel momento, non poteva assolutamente vantare.

In tutto questo appariva dunque incomprensibile anche per lui battagliare con il proprio padre in difesa di colei che avrebbe definito con nomee peggiori di quelle lecite pur di non avere il dispiacere di vederla. Nel suo raziocinio solitamente dominante, nessun gesto era in teoria passabile di un istinto incapace di essere spiegato, e nessuna azione veniva svolta se prima non vi era l’assoluta certezza che il dominio delle sue intenzioni fosse totalmente nelle sue mani. Eppure, quando egli l’aveva vista lì, inerme, sotto lo sguardo scrutatore del suo consanguineo, un qualcosa doveva essere scattato in lui, e uno di quei pensieri privi di calcolo si era fatto strada fino a realizzarsi in quella mano posata con noncuranza sulla spalla del padre, lo stritolare delle falangi a richiedere con insistenza un attenzione che riteneva obbligatoria e forzata, eppur tuttavia inevitabile.

“Se sei un figlio devoto, e su questo nutro dei seri dubbi, non dovresti essere qui a chiedermi cosa sto facendo. Dovresti dare per scontato che ciò che faccio è la cosa giusta”

“Ma così facendo mi adeguerei alla stregua degli stupidi, non trovi?”
L’assurda richiesta pretendeva di accettare l’imposizione senza alcuna obiezione che ne indagasse i giusti intenti. Anche Reiji era in grado di provare fiducia verso un determinato qualcosa, ma quel qualcosa doveva far riferimento a se stesso, e alla sua abilità nel giudicare correttamente quanto accadeva dinanzi ai suoi occhi, con la sicurezza di poter afferrare il frutto delle conseguenze senza alcuna remora a frenarlo in inutili indecisioni. Lo chiamavano testardo, ottuso, scettico e ironico, ma in simili appellativi non avevano mai provato a vedere quella determinazione che aveva permesso a Reiji di condurre uomini fidati a successi che mai qualcuno avrebbe potuto intuire all’apparenza dei suoi vent’anni.

Sì sentì preso in giro, in quel momento, vedendo riflesso il baluginio ironico che suo padre aveva nell’azzurro pallido delle sue iridi, senza alcuna paura di essere visto come il peggior burlone che la storia umana avesse da classificare, e proprio in risposta ad una simile sfida la sua mente fu immediatamente all’opera per rispondere con accortezza a una simile trappola di iniquo divertimento.

“Beh, immagino che, per un megalomane come te, tutti sono degli stupidi... è corretto?”

“No, figliolo. Ammetto che sono in pochi a godere della mia stima, ma nonostante tutto io non sono mai riuscito a negarti il rispetto che meriti.”
Leo Akaba non era fatto per scherzare, ed ai primi motteggi aveva immediatamente sostituito quell’atteggiamento altero che ne aveva delineato la leggenda di paladino della scienza. Ma questa sua serietà, incastonata in un viso severo capace di sorridere soltanto delle sue vittorie, adesso appariva ancor più fuoriposto per una simile dichiarazione, un’ammissione che Reiji aveva atteso per innumerevoli anni come la giusta ricompensa per i suoi immani sforzi. Adesso egli si presentava così, innocente in quella stima genuina riversata senza affetto, scrutando il ragazzo come un rigido insegnante mentre ammira con orgoglio colui che non aveva più nulla da imparare, e se in quel frangente la mente di Reiji non fosse stata un conciliabolo di sospetti e recriminazioni, tutti riportanti come destinatario proprio quell’uomo improvvisamente tanto diverso ai suoi occhi, l’incanto che si sarebbe generato avrebbe finalmente concesso ai due di abbattere quel solido muro interpostosi tra loro dopo lunghi silenzi e ferite inferte con noncuranza, liberi magari di esprimersi in quelle manifestazioni d’affetto che nella loro vita non avevano mai avuto il degno spazio di esistere. Sarebbe stato il degno epilogo della loro faida, l’atteso evento di coloro che attendevano l’avvio di una stretta collaborazione tra le due menti geniali, il momento di vera gioia che Himika Akaba e suo fratello Reira attendevano da un tempo che aveva cancellato le speranze.

Ma Leo Akaba aveva commesso un errore; il luogo era sbagliato, così come il momento, e quella dichiarazione crollò miserevolmente su stessa. Se la magia attendeva solo l’abbraccio promesso per realizzarsi, la figura rannicchiata e silenziosa di Yuya di fronte a loro imponeva, seppur simbolicamente, un tacito freno a verità ancora non affermate.

“Se davvero volevi darmi del rispetto, perché non mi hai detto di Yuya? Perché hai giocato anche carte false pur di tenerla stretta a te? E perché hai lasciato credere che ti fosse indifferente, quando adesso sei qui?”

“Dalle tue parole, sembra quasi che io abbia organizzato tutto per renderla congeniale ai miei piani” sussurrò Leo Akaba, improvvisamente stanco di un pensiero che gravava nella sua mente.

“Infatti io non dubito che Yusho Sakaki debba a te la sua dipartita”

Non vi era l’ombra del dubbio, all’interno di quella che appariva come una dichiarazione di guerra. Nessuna prova sembrava corroborare una tesi tanto strampalata, e invero la sicurezza di cui Reiji faceva sfoggio non era che una semplice maschera indossata per ingannare il proprio interlocutore. Ma quando ad una simile accusa il padre non mostrò il benché minimo segno di alterazione, quando egli gli rivolse quello sguardo freddo che dichiarava colpevolezza da ogni prospettiva, quando il suo semplice affermare divenne definitiva certezza, a Reiji poco mancò che cedessero le gambe. E sarebbe davvero caduto, se il suo indietreggiare non avesse trovato come ostacolo una delle pareti della stanza divenuta troppo piccola, troppo stretta, troppo claustrofobica. Troppo innocente per contenere una simile rivelazione.

Il suo teorizzare era dovuto al semplice sussurro di sospetti che comunque servivano solo per svilire l’immagine di suo padre. Che l’arrivo di Yuya avesse obbedito a coincidenze troppo calcolate per non avere un fondo di premeditazione era sicuramente vero, e il continuo indagare sugli spostamenti della giovane, soprattutto alla messa in allarme di Reira, ne diveniva una prova schiacciante e superante ogni ragionevole dubbio. Arrivare perfino a concepire l’idea che la morte dello scienziato fosse stata calcolata, una qualche manovra di cui Leo era perfettamente a conoscenza e che aveva lasciato al corso dei suoi eventi non sembrava inattuabile ma era stato questo il peggio a cui si fosse spinto di pensare. La denuncia fatta non parlava di colpe in primo piano, quanto piuttosto di un guardare senza agire per frenare l’inevitabile. Ma in quello sguardo Reiji aveva letto ben più di un semplice coinvolgimento, qualcosa di molto più profondo che di una banale informazione sfuggita a chissà quale principiante. Era lo sguardo imperante di chi ordina l’esecuzione quando la fine è ormai prossima, lo sguardo glaciale di chi osservava un’altra vita spegnersi. Era lo sguardo di chi aveva ordinato che una nuova vita raggiungesse i cieli

“Abbiamo già fatto molteplici sacrifici, per la salvezza dell’umanità” commentò Leo, sedendosi su una delle poche sedie messe a disposizione dallo scarno mobilio circostante “Io ne ho soltanto fatto uno in più degli altri!”
“Noi abbiamo sacrificato persone che comunque non avevano possibilità di salvezza! Non paragonarli al tuo gesto, perché se le nostre erano un’immolazione, il tuo è stato soltanto un assassinio!”
Era bastato ascoltare quella sfacciata dichiarazione per sentire la rabbia e lo sdegno far capolino in un cuore che, per quei miseri attimi, non aveva avuto il coraggio di provare nulla. Il semplice discorrere di una simile disgrazia al fianco di colei che più di tutti ne aveva da pagare lo scotto, poi, alzava quel tasso di rancore a livelli che il ragazzo non riusciva nemmeno più a controllare. Quell’autocontrollo che di solito manteneva decisi i suoi lineamenti adesso si era volatilizzato, e al suo svanire era rimasto solo uno sguardo lucido di furia omicida e una bocca deformata da una smorfia disgustata.

“Tu parli, Reiji, ma non sai nulla. Non sai quanto quell’uomo meritasse di morire” sussurrò Leo, guardandolo con uno sguardo che il giovane definì folle per la convinzione delle sue asserzioni.

“E da quando ti hanno eletto santo, padre? Credi forse che la tua vita sia stata così adamantina da permetterti un giudizio divino sugli altri?”
L’intollerabile veniva schernito dall’indifferenza con cui essa veniva ricevuta, le urla a farsi contrastare da sibili silenziosi imponenti una calma ormai inottenibile. Era come se qualcosa, dentro di lui, impedisse alla diga solitamente posta sulle sue emozioni di ricostruirsi, quasi il non accendersi di indignazione risultasse oltraggioso per colei che aveva perso suo padre senza una ragione a cui aggrapparsi che non fosse la giustizia divina.

“Sei ridicolo, Reiji. Ti comporti come uno sciocco, e per giunta per una mocciosa che hai palesemente detto di odiare”

“In questo momento, padre” e quel sussurrare apparve fin troppo simile al sibilo di un serpente per poterne equivocare la minaccia “credo di non odiare nessun altro all’infuori di te. E credimi, non hai idea di cosa tu abbia scatenato per generare in me una simile rabbia”

“E allora, figliolo, voglio porti un quesito, di modo che tu possa giudicare se sono davvero degno di questo simile odio” e si alzò, l’intimidazione da sempre insita nella sua figura a sovrastare quel figlio che, sebbene furente nei suoi confronti, non trovò abbastanza fiato per obiettare “Se tua sorella Ray fosse ancora viva, ma purtroppo malata di peste, e scoprissi che la signorina che stai tanto calorosamente difendendo fosse l’unico sacrificio richiesto per salvarla, allora cosa faresti? Chi sceglieresti, lei o tua sorella?”

 

***

 

E

isuke riposava tranquillo nel suo letto ospedaliero, il respiro regolare a far da eco ai frequenti bip che l’attrezzo elettrico al suo fianco emetteva in continuazione. La peste non si poteva chiamare sconfitta, il suo corpo si piagava ancora di cicatrici che forse non sarebbero mai scomparse, così come quel pallore cadaverico che ne denunciava la lotta compiuta con le divinità della morte giunte ad un passo dal riscattare la sua anima. Il suo guarire appariva però innegabile, l’occhio scrutatore di Reiji avrebbe distinto ogni miglioria dal lento appassire al quale ormai si era abituato stancamente.

“Avevo già contattato Roger per le funzioni funerarie...” sussurrò egli, quasi trasognato.

La risata di Leo – forse per la prima volta dall’inizio della loro discussione – non racchiudeva alcunché di ironico.

“Il tempo del dominio dei becchini è ormai concluso, figliolo. E tutto grazie al sangue di lei”

Il sangue. Non aveva seguito esattamente quanto dichiarato dal padre, ma l’unica cosa che aveva afferrato era stato il miracolo insito in quella ragazza ignara del suo dono, bontà mandata dagli dei per redimere gli umani rimasti vivi. Lui, lo scettico per natura, mai avrebbe concepito l’esistenza di volontà superiori, ma così gli era stato descritto l’avvento di Yuya nella parabola dei prodigi, perché una spiegazione scientifica che ne delineasse le ragioni sfuggiva perfino alla realtà di colui che l’aveva scoperta.

“Ma perché proprio lei? Come hai fatto a scoprirla?”

“Domanda lecita, figliolo, ma a cui non posso rispondere. Non al momento. Non adesso”
“Perché equivarrebbe ad ammettere il tuo omicidio?”

Leo guardò suo figlio negli occhi. No, lui non l’aveva perdonato, e non sembrava nemmeno voler accettare una simile spiegazione per iniziare a farlo. Reiji non era ancora pronto per la verità.

“Significherebbe non essere creduto. Ho bisogno di prove, di testimonianze che possano confermare la mia verità”

“Esiste una verità capace di giustificare l’omicidio?”
“No, ma esiste una che vede l’omicidio come necessario”

Leo sospirò, stanco di quel lungo discorso che non stava portando a niente.

Sapeva che un giorno quella conversazione avrebbe avuto la pretesa di manifestarsi, che agli atti avrebbero avuto seguito le spiegazioni, ma il tergiversare nel silenzio era stato troppo piacevole per concedersi a meditazioni che ne elaborassero la giusta dialettica atta ad applicarsi nel momento stabilito. Sapeva della testardaggine di lui, del suo scetticismo e delle sue future condanne, e una parte di lui aveva perfino sfiorato l’idea che il mistero era fatto per concedersi a silenzi arrivanti perfino a lui, a suo figlio, e che la gloria della salvezza avrebbe potuto risplendere solo su di lui e su nessun’altro. Ma erano pensieri egoistici durati la frazione di un secondo, momenti di istantanea follia conclusi con l’ammissione dell’irrealtà di simili circostanze.

No, Reiji aveva il diritto di conoscere la verità, di scoprire cosa si celasse davvero dietro la morte di sua sorella. Certo, il momento avrebbe dovuto avere prove più schiaccianti, certezze impossibili da scalfire, verità talmente inoppugnabili da ridurre al silenzio chi della contesa aveva fatto il suo pane quotidiano.

Ma andava bene così. L’inafferrabilità del futuro si dispiegava nell’impossibilità di prevederlo, di programmarlo e di predirlo. Il battito d’ali di una farfalla.

“Ascoltami bene, Reiji, perché a questo punto non possiamo più tornare indietro. So bene che tu disprezzi i miei metodi, ma a questo punto non possiamo far altro che collaborare”

“E in che cosa consisterebbe, questo aiuto?”
“Non ti pare ovvio?” Leo sorrise, una smorfia simile ad un ghigno vittorioso “A rendere la cura alla peste una verità su scala internazionale”

“E questo cosa comporterà, per Yuya?”
Che Reiji non fosse ancora dalla sua parte non era un mistero, lo si capiva da quell’ametista sospettosa che si rifletteva nei vetri a lui circostanzi, quegli stessi vetri che avevano accolto, precedentemente, la giovane contesa e le sue lacrime di gioia. Quello che più lasciava basito Leo, però, era quel protrarsi di una difesa oramai ritenuta esagerata, fuori da ogni schema atto a denigrare l’atto bassissimo – a detta sua – compiuto tempo addietro, incredibile da cercare proprio in colui che per primo ne avrebbe promosso la scacciata immediata dalla propria dimora se l’occasione si fosse presentata in modo favorevole.

“Pensi davvero che ti permetterò di usare quella ragazza come la boccetta di un medicinale?” Esclamò Reiji, sorpreso di leggere esitazione nello sguardo del padre “A che pro opporsi a progetti come quello de Les Enfant Terrible se poi ci comportiamo comunque da mostri?”

“Come ti ho già spiegato, il sacrificio è...”

“In questo momento, padre, credo che tu stia sacrificando la tua umanità!”

La porta trasparente fu spalancata di colpo, la violenza a nascondersi in mosse apparentemente controllate. Quel raziocinio prima sfuggito al suo comando adesso lottava prepotentemente per ritornare a galla, ma l’ostacolo non era il desiderio di Reiji di mostrarsi scostante quanto l’impeto delle sue emozioni ancora difficile da placare. E simile impresa appariva davvero ardua, se l’oggetto catalizzatore di ogni sua devastazione appariva proprio al suo fianco, libero di esprimere opinioni utili solo a mandarlo in bestia.

“Lasciami trovare una soluzione. Lascia che trovi qualcosa che non permetta a Yuya di scarnificarsi e di uccidersi”

“Una persona per il resto della popolazione. Cosa c’è da scegliere, Reiji?” Chiese allora Leo, esasperato da simili insistenze

“La terza opzione, padre. Io salverò entrambi. E la mia umanità sarà salva”

   
 
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