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Autore: sheswanderlust    12/06/2009    1 recensioni
Pairing Lauri/Ville.
Sei morto ascoltando la mia voce. Io non c'ero. Dovevo essere con te, dovevo urlarti di non farlo, di non farti ancora, di smetterla. Dovevo dirti che ti sarei stato accanto, che sarei morto per te, che avrei fatto qualunque cosa per tirarti fuori da quell'inferno. Avrei dimenticato tutti i miei problemi per te. E invece no. Ero a vivere il mio sogno, mentre tu vivevi il tuo incubo. E il requiem che ti ha accompagnato nel tuo ultimo incubo è stata la mia voce. Che avrebbe dovuto salvarti.
Genere: Malinconico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi | Personaggi: HIM, The Rasmus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Still Standing (...on the borderline?) - capitolo 4

How to save a life




P.O.V. LAURI



Sono in piedi davanti alla porta da mezz'ora ormai. Osservo ancora il legno massiccio e scuro che conosco fin troppo bene, la targhetta bianca e sgualcita sul campanello. Si può ancora leggere il tuo nome, scritto con un pennarello verde. Non lo voglio leggere.

Non so perchè sono qui. Quando qualche giorno fa Sarja è venuta a casa mia e mi ha dato il mazzo di chiavi ho sentito che sarei venuto, ma ho sentito anche che non avrei retto. Ho passato le dita sulla chiave rossa decine di volte, ricordando ogni istante che potesse esservi collegato, ogni istante che avevo dimenticato.

E ora sono qui. Ancora con la chiave tra le mani, davanti alla tua porta. Come tante altre volte. Solo che oggi so che nessuno mi aprirà. Quando ansimante ho raggiunto in pianerottolo ho fatto per suonare il campanello. Non mi sono ancora abituato a tutto questo.

Chiudo gli occhi per un attimo, poi esitante infilo la chiave nella toppa e giro. La porta si apre con uno scatto e mi chiedo per l'ultima volta come mai l'ho fatto.

Varco la soglia e mi richiudo la porta alle spalle. L'oscurità è opprimente. Con mano tremante cerco l'interruttore e accendo la luce. Sento formarsi un groppo in gola mentre osservo il salotto. Dicevi sempre che era piccolo, troppo piccolo. Ma quando lo dicevi avevi il sorriso sulle labbra, il sorriso di chi si accontenta senza problemi. E allora io esclamavo che a me piaceva così e mi lasciavo cadere sul divano, con in mano una bottiglia di birra o un nuovo cd o lo schizzo per il nostro prossimo graffito. Sorrido istintivamente a quel ricordo, sfioro la tela bianca che ricopre il divano e getto uno sguardo al panorama oltre la finestra. Il porto. Quante ore abbiamo passato seduti sul davanzale, con i capelli al vento e lo sguardo sul mare, con nelle orecchie solo il fischio dei gabbiani che al tramonto si lanciano sui pesci.

Sento il groppo in gola sempre più forte, ma non piango, non riesco a piangere. Cammino lentamente verso la cucina, passando il dito su ogni cosa, come se con questo semplice gesto potessi riportare la tua vita dentro di me.

Un ricordo mi fa fermare sulla soglia. Mi appoggio allo stipite, con gli occhi persi nei meandri della mia mente.

<< ... e quindi dobbiamo andare a registrare, in studio, noi! >> ero seduto sul piano della cucina, ti guardavo con gli occhi colmi di gioia. Non credo risplenderanno mai più di quell'emozione.

Tu ridacchiavi, eri felice per noi, per me, te lo si leggeva in faccia. <> avevi detto, avvicinandosi e fermandosi davanti a me. Mi avevi preso il mento in una mano e mi avevi guardato. <>

Io ti avevo sorriso e in quel momento mi ero detto che qualunque cosa fosse successa, non avrei lasciato che la nostra amicizia finisse.


Non sono riuscito a mantenere la promessa. E nonostante sia stato tu a compiere il gesto che ci ha allontanati, sono stato io a spingerti a farlo. Nemmeno la morte avrebbe dovuto rompere il nostro legame. Io ho lasciato che lo facesse. “C'è sempre un'altra scelta...” me lo ripetevi sempre, perchè non l'hai pensato anche quel giorno?

Mi volto, do le spalle alla cucina e a quel ricordo, cammino verso quella stanza in cui non vorrei andare, ma in cui devo andare. I battiti del mio cuore aumentano, aumenta la paura di vedermi sbattuta nuovamente in faccia la verità, aumenta la voglia di un tuo sguardo rassicurante,di un tuo abbraccio, di una tua mano a scompigliarmi i capelli.

Prendo un respiro tremante e spingo la porta della tua stanza. La sensazione che provo muovendo i primi passi all'interno è strana. Il resto della casa è vuoto, di quel vuoto opprimente e soffocante. Qui ti sento. Sento la tua presenza, il tuo profumo, la tua voce che si alza dai miei ricordi, sento la tua risata, le tue emozioni contrastanti, le emozioni in cui mi nascondevo e le emozioni che non sono riuscito a combattere per te. Ciò che non sento è il tuo abbraccio. Ciò che in questo momento desidero di più al mondo. Perchè tu non ci sei più. Nonostante le mie urla e i miei incubi, nonostante le mie lacrime, la mia disperazione, tu non ci sei più.

Ed è qui che è finito tutto; o cominciato, dipende dai punti di vista. Nella tua stanza, tra queste quattro mura che hanno sentito tutte le nostre parole, le nostre risate, i nostri progetti ... Avrei voluto una camera così, te lo dicevo sempre. Trasudava di indipendenza e per me che ancora vivevo con i genitori era la cosa più bella del mondo. Tu mi guardavi, sorridevi e mi spingevi sul letto. Poi ti voltavi e pescavi qualche cd dalla cassettiera. Me li mostravi e con la solita faccia mi chiedevi: “Quale metto?”.

Ridacchio, avvicinandomi al letto e non riuscendo a sedermici. Piano piano sento le lacrime premere per uscire. Lascio che mi bagnino le guance, mentre fisso il pavimento davanti a me. E' qui che è successo, è qui che ti hanno trovato. Overdose. Non era la prima volta e io non l'ho capito. Mi sono lasciato abbindolare dalle tue parole, dai tuoi “ho smesso con quella robaccia!”... non mi avresti mai mentito, se non per farmi stare meglio, per farmi sorridere, per non caricarmi di un ennesimo problema. E io ci credevo. Piangevo tra le tue braccia per Siiri che mi aveva lasciato, per il mio comportamento da bastardo, per i sensi di colpa che mi divoravano ogni secondo, per tutte le amicizie che avevo rovinato, per la band che non andava bene, per Janne che se ne voleva andare, per i miei complessi inutili ... tu mi abbracciavi e mi dicevi che sarebbe andato tutto bene. Perchè non mi hai detto che cosa ti stava succedendo? Perchè non mi hai urlato che i tuoi problemi erano peggiori dei miei? Perchè non hai lasciato che fossi io per una volta ad aiutarti? Perchè sei stato così maledettamente protettivo al punto di nascondere il tuo dolore per lenire il mio?

Le lacrime sgorgano ormai liberamente dai miei occhi quando mi ricordo delle parole di Sarja quando, saputa la notizia, ero corso a Helsinki nel bel mezzo del tour.

C'era lo stereo acceso quando l'hanno trovato” .

Mi avvicino allo stereo trascinando i piedi, colto da una sensazione orribile che mi stringe lo stomaco. Una pila di cd è appoggiata li accanto, tutto è come l'hai lasciato. Li sfioro, come a ritardare il mio prossimo gesto.

Alzo un dito tremante, premo un pulsante. Lo sportellino si apre e espelle un cd. Vorrei urlare quando lo riconosco, ma non riesco. Mi limito a fissarlo, prenderlo in una mano. Alcuni disegni astratti su sfondo bianco. Una scritta nera. Hellofatester. The Rasmus. Sto in silenzio qualche secondo, come a prepararmi all'esplosione. Non riesco a trattenermi. Lo lancio per terra, urlando e calciandolo ancora più lontano. Sbatte contro il muro e si rompe in qualche grosso pezzo. Le lacrime continuano a cadere, mentre scaravento tutti i cd, tutto ciò che trovo a terra, urlando, disperato. Sei morto ascoltando la mia voce. Io non c'ero. Dovevo essere con te, dovevo urlarti di non farlo, di non farti ancora, di smetterla. Dovevo dirti che ti sarei stato accanto, che sarei morto per te, che avrei fatto qualunque cosa per tirarti fuori da quell'inferno. Avrei dimenticato tutti i miei problemi per te. E invece no. Ero a vivere il mio sogno, mentre tu vivevi il tuo incubo. E il requiem che ti ha accompagnato nel tuo ultimo incubo è stata la mia voce. Che avrebbe dovuto salvarti. Quando riesco a fermarmi ho distrutto mezza stanza. I cd sono a terra, rotti, i pochi libri hanno le pagine strappate sul letto, un mobiletto è rovesciato e tutto il suo contenuto è uscito. C'è una foto, quella non si è strappata. Mi chino a raccoglierla. Siamo noi due. Sorridiamo, mi abbracci scompigliandomi i capelli e per un attimo sento le tue braccia avvolgermi la vita e le tue mani spettinarmi la chioma ora corvina. Ansimando e continuando a piangere mi lascio cadere a terra, contro un mobile.

Mi odio.

E ricordo una frase che ti avevo urlato un giorno, non so nemmeno per quale motivo, nè in quale circostanza.

Per te un milione di volte!”

E l'avrei fatto davvero. E se non me ne hai dato la possibilità è solo colpa mia.


Sono un fallito.






Grazie a Lucifers Claw per la recensione! ^-^

  
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