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Autore: Tec6    30/06/2017    0 recensioni
“Io sono Reman, un allenatore mediocre che cerca di vivere al giorno; mi è stato portato via tutto, i beni materiali, la mia vecchia vita e persino la mia dignità; ma per quanto possa essere ardua la mia vita, c’è una cosa che non potranno mai togliermi: la volontà… La volontà di sopravvivere!”
Questa è la prima storia che scrivo, quindi siate clementi. Comunque ogni critica è ben accetta, se costruttiva
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Avanzavo a fatica. Forse per il fatto che dovessi aiutare Yvonne a sorreggersi, la quale era stata ferita poco prima, o forse per il fatto che fossero ore che non mangiavo; comunque non ce la facevo più presto sarei crollato.
“Manca poco” disse Alvar, il quale, invece, stava aiutando il professor Platan a sorreggersi. L’avevamo recuperato alla fine, ma a caro prezzo.
Attraversammo un lungo corridoio. Mi sorpresi del fatto che non trovammo nessuna guardia. Forse non dando molta importanza a me e Yvonne non avevano dato l’allarme generale ma per Platan? Avrebbero dovuto essere a cercarlo ovunque.
“Siamo arrivati. Oltre questa porta c’è l’attico” disse Alvar. Ma una volta usciti riscontrammo qualche difficoltà.
Una difficoltà di nome Dutch. Quel maledetto bastardo continuava a perseguitarmi. Lo osservai un attimo. Era come al solito avvolto in quella giacca simile a un cappotto, sporca e logora che lo faceva sembrare più rozzo di quanto già non fosse. Il problema è che lasciava scoperte solo le mani e la testa, il che mi rendeva impossibile capire quanti pokemon e armi avesse con se.
Sghignazzò sadicamente, quasi spaventandomi. Quasi.
“Alvar, stupido traditore, pensavi davvero che non me ne fossi accorto che volevi fuggire?” disse. Yvonne reagì stranamente a sentire quel nome. Che lo conoscesse?
“Che io ricordi non sono mai stato realmente ai tuoi ordini” rispose.
“Ahahah! Guarda, mi piacerebbe stare qui a dibattere con te ma ho un vecchio, una mocciosa e un microbo da trucidare” disse con fare arrogante, come se il mondo appartenesse a lui.
“Vai Flygon” “Vai Pidgeot” dicemmo io e lui all’unisono mandando in campo i nostri rispettivi pokemon.
“Usa dragopulsar” “Usa eterelama” i due attacchi si scontrarono limitandosi ad alzare un grosso quantitativo di polvere. Dutch emise un ghigno sadico leccandosi le labbra. “Usa terrempesta” imperò. Il drago-libellula raccolse la polvere alzata dallo scontro dei nostri due attacchi e l’amplificò, per poi spargerla su tutto il campo di battaglia. Il problema di quella sabbia non era solo che rallentava i pokemon non di tipo terra bloccandone la visuale, poteva pure ferirli gravemente se esposti troppo a lungo.
“Sei nel mio mondo microbo” mi schernì. “Tsk” dissi mandando in campo Lapras. “Usa pioggiadanza” ordinai. La pioggia battente attenuò la tempesta di sabbia rendendola fango, tarpando letteralmente le ali al suo pokemon, e ora che era bloccato: “Geloraggio”. Un attacco preciso e dall’incredibile velocità, alla quale si aggiungeva il vantaggio di tipo. Flygon cedette andando ko.
“Alvar” lo chiamai “prepara il teletrasporto! Nel frattempo io lo tratterrò”
“Vai Manectric” Dutch schierò un altro dei suoi pokemon. “Usa tuono” imperò. Considerando l’ambiente piovoso l’attaccò risultò impossibile da schivare e mandò ko Lapras. Nonostante lo svantaggio decisi di dare il tutto per tutto.
“Pidgeot usa sdoppiatore” ordinai. Il volatile caricò il nemico ma non fu abbastanza veloce. “Manectric usa tuono” imperò in una risata folle. Risata che andò subito scemando. Pidgeot accusò il colpo ma anziché cedere continuò la sua carica centrando in pieno il nemico. I nostri pokemon crollarono all’unisono; nonostante si fosse evoluto da nemmeno una settimana si era già abituato alla nuova mole risultando fortissimo. “Quella terrempesta oltre a rallentare Pidgeot gli ha fornito una sorta di scudo dagli attacchi elettrici” gli spiegai con fare saccente “Lasciaci perdere e ti lascerò scappare con dignità”.
“Oh ma che gentile” disse con fare ancora più saccente “Ora!”. Al suo segnale cominciai a sentire un brivido, come se dell’acqua mi stesse strisciando sulla schiena. Ma notai che non c’era nulla. Nulla che fossi in grado di vedere. “Gengar usa stordiraggio” ordinò.
Tutto chiaro: aveva atteso il momento giusto per attaccarmi alle spalle e stordirmi. Vigliacco!
“Stupido moccioso” mi schernì “ti lasci sopraffare in questo modo. Deludente”.
Ancora. Ancora una volta mi ero lasciato sconfiggere da lui. Non contava niente il procedimento; contava il fatto che io ero alla sua mercé. L’attacco del suo pokemon mi aveva lasciato stordito, ero incapace di muovermi correttamente ma riuscivo ancora a parlare. “Sta zitto!” tuonai “voi del team Flare siete degli anarchici capaci solo di rapire scienziati e picchiare ragazzine. Esattamente perché poi?”.
Dutch scoppiò in una grassa e rozza risata. “Non sai niente. Me ne frego di ciò che vogliono fare. Sono disposti a pagare per i miei servigi e a me questo basta e avanza”.
Mi mancò un battito. Non sembrava nemmeno più un uomo, sembrava peggio che un animale. Un essere senza il minimo sentimento che si curava solo dei propri interessi. Non che fossi la persona più adatta per giudicarlo.
“Ora muori!” disse scaraventandomi a terra “Gengar usa palla ombra”. “Neropulsar” sentii una voce in lontananza, apparteneva a Yvonne “ottimo lavoro Greninja”. Ripresomi dallo stordimento potei realizzare quanto accaduto. Yvonne mi aveva protetto scaraventando Dutch e il suo pokemon lontano.
“Muoviti!” mi disse. La seguii ricongiungendomi con Alvar e il professor Platan. “Perfetto. Alakazam usa teletrasporto” ordinò Alvar. A quel punto mi sentii come se mi mancasse la terra sotto i piedi, come se mi stessi scomponendo. Infatti fu così, quasi un minuto dopo mi ritrovai in una foresta, la stessa che si trovava vicino a Romantopoli probabilmente. Mi girava la testa ma potei notare Yvonne e gli altri poco distanti da me. “Stai bene?” chiese Alvar. “Stiamo bene. Ma ora dobbiamo tornare a Luminopoli” dissi. “Pessima idea. Il team Flare andrà a cercarlo subito lì” mi corresse Alvar. “C’è un uomo a Luminopoli, che si da il caso che io conosca, ricco e influente. Essendo un filantropo odia a morte il team Flare. Potrà sicuramente nascondere il professor Platan” dissi. “Nascondere?!” il diretto interessato pronunciò questa parola con un certo disgusto. “Dopo quello che hanno fatto credi davvero che voglia starmene a guardare mentre…” fu interrotto dal sottoscritto. “Non ho fatto tutta questa fatica per lasciarla morire. Il team Flare se la catturerà non ci andrà piano. Sarà molto peggio”. Platan rimase zittito. Forse si era reso conto della situazione in cui si trovava, o forse era solo sorpreso da tanto cinismo. Yvonne notando la situazione intervenne. “Ascolti professore. Zatla non vorrebbe che lei si facesse uccidere, lo capisce vero?”. Platan sospirò ed emise un accenno di assenso.
Una volta incamminatoci, Yvonne mi prese da parte e mi disse: “Dovevi per forza essere così cinico!?”.  Sospirai. Il bue che da del cornuto all’asino come si sol dire. “Non m’importa se si sente male per Zatla, mi interessa solo portarlo al sicuro. Il resto è come fumo negli occhi” replicai. Sembrava che l’avessi solo fatta arrabbiare ulteriormente, infatti non si fece problemi a mollarmi uno schiaffo. Non fu tanto il dolore fisico a farmi tentennare, quanto più la sorpresa per quel gesto. La sua rabbia la faceva sembrare quasi umana ai miei occhi, uno di quei pochi momenti in cui esternava pienamente le sue emozioni . “Allora perché mi hai aiutato a salvarlo?” mi tuonò contro. “L’ho fatto per te. Perché sei simile a me in un certo senso” risposi.
Rimase in silenzio per un attimo, poi sospirò. “Non importa”. Quando si incamminò la osservai un attimo e le dissi: “Grazie per prima”. Si fermò un attimo, abbozzò un sorriso e proseguì.
 
“Quindi il team Flare si è impadronito della fabbrica di pokeball a Romantopoli e ha rapito il professor Platan come se nulla fosse?”. Sospirai. Parole sante le sue. Che razza di società era una che dava carta bianca a criminali del genere?! Ma la verità è che la giustizia in questa città, anzi in questa regione, era morta da tempo.
“Adesso che l’abbiamo recuperato abbiamo bisogno che lei lo tenga al sicuro” continuai. “Va bene. Ho paura di quello che potrebbero fare con le sue ricerche” rispose con fare freddo e calcolatore, tipico di lui. “Reman, volevo dirti che sono fiero di te”. Mi rincuorò molto sentirmelo dire, da lui poi. Posò lo sguardo su Yvonne, la quale per tutto il discorso se n’era rimasta in disparte senza fiatare. Ricambiò tale sguardo soffermandosi sul viso dell’uomo; i capelli e la barba erano tenuti in una maniera che definire elegante sarebbe stato un eufemismo ma la cosa che la colpì di più furono i suoi occhi, belli quanto profondi. “Yvonne giusto?” chiese, più per educazione che per curiosità. “Lei invece dev’essere Elisio, direttore dei laboratori Elisio e filantropo. Titolo altisonante” rispose con un atteggiamento così posato che se non fosse stato per gli abiti da viaggio, sarebbe sembrata una principessa; si vedeva che proveniva da una famiglia ricca.
“Vedo che è inutile fare le presentazioni. Spero che Reman non ti abbia dato problemi; sa essere così testardo a volte” disse con disinvoltura, quasi non fossi presente. “Lo so meglio di chiunque altro” rispose con nonchalance.
Imbarazzato provai a sviare il discorso. “Yvonne si sta facendo tardi, dobbiamo andare”. Salutammo educatamente il signor Elisio e ci apprestammo ad andare. Il suo ufficio si trovava al piano più alto dell’edificio quindi ci avremmo messo almeno dieci minuti a scendere. Una buona occasione per farle alcune domande. “Yvonne?”. Si voltò verso di me lasciando intendere che stesse ascoltando. “Tu conosci Alvar? Da come parlava sembrava conoscerti bene.” Le chiesi, lasciandola impreparata. “È una lunga storia. Quando vivevo nella reggia Aurea avevamo un maggiordomo che, oltre a lavorare, si prendeva cura di me: Alvar; come ti ho già detto, i miei genitori non avevano tempo per occuparsi di me. Mi ha insegnato molte cose sui pokemon, mi raccontava sempre delle storie sui suoi viaggi e io ne ero completamente rapita; volevo diventare un allenatrice così da poter viaggiare anch’io” e si fermò. “Cos’è andato storto?” chiesi schiettamente. Indugiò un attimo ma poi rispose: “Un giorno, per motivi allora sconosciuti, scomparì, cioè smise di esserci. Mio padre mi disse che era tornato a casa, che era andato a vivere lontano. Quante sciocchezze. Considerando quanto visto alla fabbrica e quanto raccontatomi da Alvar stesso è ovvio che fosse falso. Semplicemente l’ha venduto a Dutch per ripagare un debito, costringendolo a vivere come un rinnegato”. Considerato ciò, forse avrei dovuto scusarmi con lui per essere stato così brusco.
Pochi secondi dopo l’ascensore si fermò, così potemmo uscire dall’edificio. Alvar ci aveva procurato un appartamento che, considerato che si trattava di un luogo chiuso, lo si poteva definire una casa. Dire che era ristretto era dire poco dato che era già tanto che avessimo due stanze separate, ma era meglio che niente. Quella notte non dormii certo comodo, ma perlomeno non avevo bisogno di dormire con un occhio aperto. Non riuscendo ad addormentarmi ripensai a quello che avevo passato. In sette mesi ero passato da essere uno straccione ad essere un allenatore di pokemon, anche se per certi versi non c’è molta differenza. Sentii degli strani rumori provenire dall’altra stanza e mi alzai per verificare cosa fosse. Vidi Yvonne seduta sul suo letto che respirava affannosamente con gli occhi sgranati. “Era solo un sogno” disse. “Stai bene?” le chiesi. “La fabbrica… quello… il team Flare” tentennò per un attimo “non so perché ma continuo a provare paura”. Se fossi stato al suo posto avrei provato la stessa sensazione probabilmente. “Non preoccuparti, è tutto a posto” disse con fare rassicurante. Non ne ero molto convinto ma se davvero avesse avuto bisogno di qualcosa me lo avrebbe chiesto.
“Aspetta Reman” mi chiamò. Parli del diavolo… Mi voltai verso di lei. Yvonne rimase in silenzio per alcuni secondi come se le mancasse la voce, poi distolse lo sguardo e chiese: “Potresti… Potresti stare qui vicino a me”. Rimasi completamente spiazzato, non me lo sarei mai aspettato. “Stai vicino a me per favore”. Mi distesi vicino a lei, poi afferrò il mio braccio sinistro e lo tirò leggermente a se. La osservai un attimo: aveva un espressione così serena che sembrava un Angelo, tanto bello quanto abile. Mi ero quasi dimenticato del suo pessimo carattere. Ci addormentammo cullati ognuno dal calore scaturito dall’altro 
   
 
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