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Autore: eian    04/07/2017    1 recensioni
Un virus che colpisce i telepati, mortale per i vulcaniani, si sta diffondendo sul pianeta Cetacea e rischia di propagarsi per l'intero quadrante, con effetti devastanti. L'Enterprise del capitano Kirk deve indagare sulla possibile origine sintetica del virus e il suo legame con una sperduta località su Vulcano.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nuovo Personaggio, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qua, the show must go on, quindi cercherò di finire quest'opera colossale in cui mi sono imbarcata anni fa... ad ogni costo.
Buona lettura.

"- Jim… - le parole accarezzarono la sua mente come il vento del deserto  - Jim… Perdonami, T’hy’la – sussurrarono.
- Per cosa? – chiese Kirk
- Per quello che ti ho fatto, per quello che stavo per farti… ma soprattutto per quello che devo fare per salvarti da me stesso. Perdonami, se puoi ... "


Profezia
 
Spock avanzava tra gli assalti di quelle visioni con la forza d’urto di un incrociatore pesante klingon, opponendosi con la sua enorme energia e la durezza del suo katra ancestrale.
T’mar gli rimase dietro finchè raggiunsero la sorgente di quel caos, una sorgente piuttosto piccola in realtà.
McCoy.
L’essenza del dottore, una volta una splendida struttura a forma di uovo color avorio, dalle delicate venature bianco puro, era ridotta a ben misera cosa.
Una massa ristretta, come sgonfiata, leggermente pulsante, da cui proveniva un abisso di dolore e solitudine insopportabile; ad ogni pulsazione scaturivano ondate di quel veleno di esseri e visioni informi, ululanti di follia, da cui la scorza di Spock riusciva a difendere entrambi.
T’Mar credette di morire di dolore alla vista di quell’essere miserabile. Il suo cuore si spezzò e il suo controllo cedette, la sua struttura per un attimo perse coesione, spargendosi al suolo come un fiume di lacrime.
Leonard…
Spock non aveva più controllo sulle sue emozioni.
La visione del suo amico in quelle condizioni gli causò un dolore immenso, a cui nessuna logica mise un freno; si senti come rivoltare da dentro verso l’esterno, come se qualcosa premesse per uscire…
Urlò, un urlo prolungato e disumano, che per un attimo fermò persino il vortice infernale, lasciandolo tremante di rabbia.
- T’Mar, cerca di contattarlo. Se riusciamo a farci riconoscere smetterà di attaccarci come una minaccia. Io ti farò da scudo – disse con una ferocia nella voce del tutto assurda per lui.La struttura sparsa della donna lentamente si ricompose con un minimo di consistenza e con esitazione si avvicinò a quella povera massa pulsante che era stato il suo più grande amore.
Ripensò a Leonard, un medico eccezionale che lottava per salvare ogni vita con una feroce compassione,  senza risparmiarsi, e fece un passo avanti.
Ripensò a loro due, al loro incontro su Risa, alla prima volta che avevano fatto sesso, una sensazione assolutamente meravigliosa e imprevista.
Un altro passo.
Ripensò all’ultima volta che si erano visti, quando avevano fatto l’amore e il Legame si era teso così naturalmente tra loro, sottraendoli per sempre alla solitudine.
Si protese verso la massa biancastra e lentamente la toccò.
Fu doloroso, come una potente scossa elettrica, ma la struttura smise immediatamente di pulsare.
Spock continuava a frapporsi per proteggere la donna, mentre quella bolgia infernale gli si riversava addosso come un branco di lupi affamati.
La sua attuale struttura si stava rivelando estremamente resistente, come roccia forgiata nelle profondità del pianeta e temprata dai fuochi dell’Ade, ma questo non significava che lui non ne risentisse.
Ogni attacco era più violento del precedente e tutti erano dolorosi, estremamente dolorosi.
In realtà il vero limite era la quantità di ulteriore dolore che poteva sopportare, perché era ormai stremato.
Le connessioni interne, che ormai brillavano di rosso sangue ininterrottamente, erano sovraccariche e stava percependo i primi cedimenti. Come a confermare i suoi sospetti, sentì una fitta terribile e scoprì un piccolo vortice nero sulla propria superficie cristallina liscia. Come una carie.
Non si lasciò sfuggire un gemito e continuò a sostenere il peso dell’assalto senza cedere di un passo.
Si accorse di avere un ghigno stampato in faccia.
Quanto T’Mar entrò in contatto con l’alma di McCoy le visioni rallentarono fino a fermarsi del tutto ed il ciclone lentamente si dissolse.
La struttura parve riempirsi un po’, pur rimanendo spenta, e improvvisamente avvertirono la presenza di McCoy.
- T’Mar? sei davvero tu o solo un’altra allucinazione? -  chiese ancora confusa.
- Leonard, amore mio… sono io – la massa liquida gli si avvolse attorno,  in un caldo abbraccio totale.
- Dove siamo?  - Si chiese il medico guardandosi attorno – Una fusione mentale… e questo chi è?? –Chiese attonito di fronte all’aura
 giallo bruno splendente di bagliori rosso sangue.
- Leonard – disse quella, con calore – sono davvero felice di ritrovarti –
- Spock???? Ma che diamine… che ti è successo?? – chiese sconvolto il dottore.
 - E’ complicato. La versione psichica dei meccanismi di adattamento climatici vulcaniani -
- Vuoi dire come quella volta nell’arena del Pon Farr – chiese preoccupato.
- Esatto dottore – sogghignò quella strana versione del suo solitamente imperturbabile amico.
- E’ per questo che sei così… uh … affettuoso? – chiese ancora sospettoso.
 - Riscontro notevoli difficoltà a controllare le mie emozioni, sono decisamente più potenti del normale. E nemmeno desidero controllarle, onestamente –McCoy lo guardò sconcertato, e lentamente un sogghigno come quelle del suo amico gli incurvò le labbra.
- Mi ci potrei anche abituare sai? Un vulcaniano carino con me… Sembra rilassante, per una volta… -
- Non lasciarti ingannare, l’emozione predominante in questo stato non è certo l’affetto… è la ferocia, e quella non ti piacerebbe  - esclamò con voce dura  quello Spock.McCoy ritornò serio.
- Ricordo molto bene anche quell’aspetto… purtroppo –Per qualche istante si crogiolò nell’amore di T’Mar e nell’affetto del suo amico vulcaniano, seppure in quella versione così strana; dopo tutto l’inferno che aveva passato, ne sentiva la necessità impellente.
Il suo katra riprese un po’ di forma e qualche venatura bianca riemerse.
Dio, come era piacevole, come gli era mancato tutto ciò…
Un gemito lo riscosse, mentre la presenza di T’Mar si ritraeva su se stessa.
Un vortice nero si era aperto sulla superficie azzurrina.
- T’Mar – esclamò lui – no, ti prego, dimmi di no… -Lei lo guardò, gli strani occhi liquidi della sua presenza pieni di dolore che era già una conferma.
- Sei stata contagiata. Io ti ho contagiato – McCoy era sconvolto – dannazione, io sono un medico! dovrei curare questi problemi, non contagiare le persone che amo! – imprecò con violenza.
- Smettila, Leonard. E’ un rischio che io ho voluto correre… e lo rifarei. Ne è valsa la pena – la voce di lei come bollicine che lui adorava.Avrebbe potuto urlare di frustrazione, ma un pensiero lo colpì.
- Spock… anche tu sei a rischio! Devi interrompere la fusione immediatamente! – esclamò, volgendosi verso l’amico che si era stranamente seduto.
- Credo sia troppo tardi, dottore… - un piccolo maelstrom si apriva sull’aura color topazio, facendo pulsare ferocemente le venature color sangue.
- Oh, Spock… perché? – chiese il medico, comprendendo immediatamente – perché l’hai fatto? Non dovevi correre questo rischio… Spiegami la logica di questo atteggiamento – la sua tristezza si spandeva attorno come onde in un laghetto.
- Come puoi vedere, in questo momento non sono controllato dalla logica. Ma anche se fosse… Leonard, tu sei mio amico, tu e Jim siete le persone più importanti della mia esistenza. Jim ha riempito un grande vuoto nella mia vita, mi ha amato così come sono, nessuno l’aveva mai davvero fatto per me. Ma lui è Jim, per lui è normale essere così, accettare le infinite diversità degli altri.Ma tu… tu mi hai davvero cambiato. Il tuo continuo confronto con me, senza mai arrenderti, mi ha obbligato ad affrontare le contraddizioni che mi stavano lacerando, e spinto a diventare migliore. Posso dire che senza di te, non sarei la persona che sono, e che può amare Jim –
Per una volta il medico rimase senza parole, ma erano in una fusione mentale e Spock potè percepire chiaramente i sentimenti dell’amico. Il suo affetto lo scaldò, dandogli la forza di fare quello che doveva fare a quel punto.
- Ora devo andare – disse semplicemente.
- Andare? Ma … dove? Cosa intendi? Spock?-
- T’Mar, rimanete insieme, credo che questo possa stabilizzare la follia e gli altri sintomi per entrambi. Cercherò aiuto per te presso il monastero – disse, recuperando abbastanza controllo sul dolore da rialzarsi – non posso trascinarti fin là, in queste condizioni –Lei annuì, avendo già capito cosa sarebbe successo.
- Spock aspetta…  in che senso devi andartene? – chiese McCoy.
- Devo uscire dalla fusione e rialzare i miei schermi mentali per proteggere voi e Jim, sia psichicamente che fisicamente. –
- Fisicamente? Ma…-
- Leonard, tu hai visto di persona che cosa succede ad un vulcaniano senza il controllo della logica –McCoy deglutì al ricordo di cosa era successo solo poche settimane prima su Risa, quando Spock aveva perso il controllo per un brevissimo tempo, causando danni enormi al suo amato T’hy’la
- Aggiungi la follia indotta sui vulcaniani dalla malattia ed il rischio di contagiare Jim. Capisci che sia dal punto di vista logico che da quello emotivo, io devo allontanarmi.  Sento che il capitano si sta avvicinando alla mia posizione e non deve raggiungermi –McCoy annuì piano, controvoglia.
- E’ vero, voi siete sulla superficie, me ne ero dimenticato… mi avete raggiunto fin qui… Non smetterai mai di stupirmi, folletto dalle orecchie a punta! – McCoy si sentiva così riluttante a lasciar andare il suo amico - Abbi cura di te, ti prego. Tiraci fuori da questo maledetto casino – cercò di recuperare il suo miglior tono burbero delle brutte occasioni.
- Lo farò, o morirò tentando. T’Mar, prenditi cura di lui, ti prego. Addio, Leonard. E’ stato un onore ed un privilegio averti come amico –Con queste parole così insolitamente intense Spock uscì dalla fusione, lasciandoli immersi in un improvviso senso di vuoto.
 
Spock riprese coscienza del proprio corpo con un senso di nausea.
Era notte, le stelle a lui familiari brillavano come diamanti su una coltre di velluto nel cielo terso del suo pianeta.
Sentiva i suoi percorsi sinaptici destabilizzarsi mentre il prione interferiva con campo magnetico delle onde Theta legate alla telepatia. Stranamente, la condizione primordiale in cui si trovava in qualche modo sembrava contrastare lo shock della perdita di controllo sulle emozioni, dal momento che era già in uno stato emozionale.
In pratica, le emozioni lo stavano salvando dalla follia.
Si mise a ridere dell’ironia della sorte, una risata selvaggia che risuonò nel canyon di cristallo.
Tuttavia, sapeva che era solo una questione di tempo: l’effetto era rallentato, non fermato. Doveva allontanarsi da quel posto prima di diventare un pericolo per i suoi amici.
E per Jim, il quale  - lo sentiva chiaramente –  gli stava letteralmente correndo incontro. Questo non doveva accadere mentre si trovava in quelle condizioni: non aveva sufficiente controllo su se stesso.
Adagiò T’Mar al suolo in una posizione confortevole, accertandosi che l’emorragia si fosse fermata, e si alzò in piedi.
Sentì la presenza del suo compagno arrivare da una direzione e si avviò in quella opposta, alzando quel che restava delle sue barriere mentali.
 
Jim si era ritrovato a correre, spinto da un improvviso senso di urgenza, lasciando indietro lo stremato andoriano.
Spock… era lui, ne era certo, ma qualcosa  stava andando terribilmente storto.
Emozioni, emozioni intense filtravano come un colabrodo dal suo compagno vulcaniano, che si supponeva non dovesse nemmeno averne, o almeno tenerle inscatolate sotto la rigida disciplina della logica.
Girò attorno ad un cristallo alto due metri che spuntava dal terreno e lo vide.
- Spock! -Il vulcaniano si fermò e si voltò verso di lui.
Aveva un aspetto orribile, notò Kirk, il volto scavato dalla sofferenza, e gli occhi…
Quegli occhi…
Kirk li aveva già visti, e anche di recente, anche se aveva sperato di non rivederli mai più.
Un vulcaniano antico, uscito dall’alba dei tempi, violento ed emotivo.
Si fermò, esitante, il ricordo di ciò che era successo su Risa fin troppo vivido e doloroso.
- Jim – disse il vulcaniano, una voce diversa, profonda e arrochita – vattene –
- Spock… cosa ti succede? – si avvicinò di qualche passo.
- Non avvicinarti. Ti ho detto di andartene –E quella voce… conteneva una durezza, una ferocia che non poteva appartenere al suo algido, imperturbabile vulcaniano.
Un brivido lo attraversò.
- Spock… spiegami – si avvicinò ancora – Adesso, Spock. Parla – ordinò con voce autoritaria e irrigidendo il volto.
- Stavamo cercando te, supponendo che tu e il tuo rapitore vi steste dirigendo verso il monastero; ma T’Mar… è stata contagiata. L’ho aiutata a fermare le visioni di McCoy che la stavano aggredendo – indicò un anfratto nella roccia e solo allora Kirk si accorse della figura della donna sdraiata a terra, apparentemente addormentata.
- Perché la stavi lasciando sola? Perché non devo avvicinarmi? Ma soprattutto perché, in nome del cielo, ti stai schermando da me??? –Il Vulcaniano non rispose.
- Ti ho detto di andartene – sibilò invece, furioso – stupido umano, così fragile e testardo… vattene –A Kirk si gelò il sangue nelle vene.
- No Spock, non me ne andrò e lo sai – si avvicinò improvvisamente al vulcaniano, che rimase come paralizzato.Alzò una mano verso quel volto scavato, tentando di toccarlo, di raggiungerlo in qualche modo, dato che non aveva accesso alla sua essenza bloccata dietro gli scudi mentali. Odiava non sentirlo nella sua mente.
- Non toccarmi – quasi urlò il vulcaniano, senza però muoversi.La mano esitò un attimo, poi si posò sulla guancia del suo compagno.
Per un istante tutto restò immobile, come congelato nella fredda luce di T’Khut… poi il mondo si capovolse e l’umano si trovò trascinato sulla sabbia, bloccato dal suo compagno in una morsa ferrea.
- Stupido – sibilò quello, prima di baciarlo con violenza.La mente di Kirk venne improvvisamente sommersa dalla presenza psichica di Spock… ma era uno Spock diverso.
La sua aura non assomigliava affatto al caldo diamante che aveva imparato a conoscere... era invece giallo ambrato, liscia e ribollente di venature color sangue che guizzavano sotto la superficie. Ed era calda, troppo calda per un umano. Era così diversa da sembrare appartenente ad un’altra persona, e lui non era affatto sicuro di volere quello sconosciuto nella sua mente.
Questo Spock era emotivo, appassionato, duro… e feroce. Come una belva.
Invase la sua mente senza alcuna riserva, insinuandosi in ogni anfratto più recondito.
Era sconvolgente. Era doloroso. La sua mente bruciava al suo passaggio.
L’umano rispose al bacio ma cercò di opposi a quella invasione così massiccia.
Invano. Sapeva di non avere speranze.
“Spock, ti prego…” cercò di farlo ragionare “non così… fermati… che ti succede?”
“Tu sei mio, mio! – urlò nella sua mente il vulcaniano mentre gli passava la mano sul torace sotto la maglia.
Oh Dio, no… non di nuovo…
Chiuse gli occhi, rassegnandosi, cercando di spegnere la mente a quello che stava accadendo. In fondo, si rese conto, aveva sempre temuto che succedesse… Il fatto che amasse il suo compagno non lo rendeva meno terribile. Anzi.
L’invasione mentale era molto peggiore di quella fisica; dopotutto, il corpo era solo un corpo, di carne ed ossa… ma nella mente, nella sua mente era racchiusa la sua essenza, tutto ciò che faceva di lui James T. Kirk, e che proprio Spock la violasse in quel modo andava oltre la sua capacità di sopportazione.
Si costrinse a non reagire, sapendo che avrebbe solo peggiorato le cose, ma una lacrima capitolò fuori dalle palpebre chiuse, atterrando nella sabbia rossa che tanto odiava.
“T’hy’la… Amico mio, fratello, amante… non farmi… non farci questo…”  la supplica affiorò incontrollata nella sua mente, mentre gli sovveniva la poesia che Spock aveva declamato per lui su Risa.
Sentì la pressione sulla sua mente e sulla sua bocca ridursi, quelle labbra ammorbidirsi sulle sue in un bacio appassionato, ma non più brutale.
- Jim… - le parole accarezzarono la sua mente come il vento del deserto  - Jim… Perdonami, T’hy’la – sussurrarono.
- Per cosa? – chiese Kirk
- Per quello che ti ho fatto, per quello che stavo per farti… ma soprattutto per quello che devo fare per salvarti da me stesso. Perdonami, se puoi –
E si ritrasse. Si ritrasse dalla sua mente. Portando con se’ il loro Legame, spezzando ogni connessione che si era creata tra loro negli anni, il filo d’acciaio e oro che si era teso indistruttibile ad ogni altra avversità.
Kirk spalancò gli occhi. Non si aspettava quello… Tutto, ma non quello… Dio no, ti prego…
Non era un processo istantaneo, ma metodico, come estirpare ogni singola radice di un albero, radici ormai insinuate ovunque nella sua mente.
- No no NOOO – continuava a ripetere Kirk, ad implorare, ma non sapeva come fermarlo.Sentì qualcosa di caldo gocciolargli dalle orecchie, probabilmente sangue.
Kirk urlò, con la voce  e con la mente, urlò e urlò ancora, scosso da un’agonia insopportabile mentre il suo Compagno cancellava ogni traccia della loro identità unita, dividendo la sua anima in due e portandosene via una metà, la metà migliore.
Non sarebbe sopravvissuto, questa volta ne era certo. Non voleva sopravvivere.

“Quanto sangue
Quanto sangue sulle piane infuocate del Gol.
T’hy’la, dove sei? Amico, fratello, amante mio, dove sei?
Sento il Legame spezzato
Lasciarmi solo e nudo nel deserto di cristallo.
Ecco il tuo amato corpo,
coperto di sangue e di mosche
Ecco i tuoi amati occhi,
sbarrati nella morte…”
 
Brandelli del poema gli risuonavano nella mente, incoerenti e disconnessi.
“era una profezia” pensò “una profezia che continua ad avverarsi, scritta per noi fin dalla notte dei tempi…”
Fu l’ultimo pensiero prima che il buio lo inghiottisse misericordioso e l’oblio lo salvasse da quell’inferno, gli occhi sbarrati che ancora fissavano quelle gelide stelle indifferenti.
 
Shrak aveva sentito le urla dell’umano echeggiare nel canyon e nella sua mente, agghiaccianti.
Si era affrettato per quando il suo corpo esausto e disidratato agli aveva permesso e superato un grosso cristallo uno spettacolo tragico gli si era parato agli occhi.
A quanto pareva, era arrivato troppo tardi.
Vide per prima la donna, sdraiata in un anfratto con una fasciatura zuppa di sangue color cobalto. Era viva, constatò, ma debolissima e priva di sensi.
E poi vide le due figure al centro dello spiazzo.
L’umano giaceva al suolo a faccia in su, gli occhi vitrei fissi verso il cielo, sangue porpora che gocciolava lentamente dalle orecchie nella polvere mentre il vulcaniano era accasciato sopra di lui in una specie di abbraccio, come a proteggerlo. Invano, evidentemente.
Shrak tastò il collo dell’umano, avvertendo una flebile pulsazione ma niente altro: la presenza psichica dell’umano era totalmente azzerata; gli chiuse delicatamente gli occhi per proteggerli dal vento infuocato della Forgia.
Controllò il vulcaniano; anche lui era ancora vivo ma non appena lo sfiorò un caos di emozioni gli aggredì la mente come un branco di lupi affamati.
Si ritrasse immediatamente, avvertendo la minaccia del virus e di qualcos’altro, qualcosa che non aveva mai visto.
Un vulcaniano preda delle sue emozioni?
Era certo che fosse stato lui a ridurre il suo compagno umano in quelle condizioni, ma cosa poteva averlo spinto fino a quel limite? Fu lieto che fosse svenuto.
L’antenna bendata faceva un male cane, compromettendo il suo equilibrio motorio, ma curandolo l’umano lo aveva salvato dalla navetta, dove altrimenti sarebbe rimasto svenuto fino a morire per la fuoriuscita di radiazioni. Questo dopo che lui l’aveva sequestrato.
Il pelle-rosa non era stato tenuto a farlo, ma l’aveva fatto, mostrando di avere un alto senso dell’ onore.
Shrak poteva essere una canaglia quando il suo lavoro lo richiedeva, ma era un andoriano: onore e debiti avevano un valore altissimo per lui e non sarebbe vissuto in pace finchè non avesse ripagato questo umano.
Si avviò arrancando verso il monastero alla ricerca di aiuto, sperando di non arrivare troppo tardi.
  
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