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Autore: Bruna_mars    06/07/2017    1 recensioni
Ali ha bisogno di soldi per aiutare sua madre economicamente e fare da baby-sitter della piccola Sofi sembra la soluzione migliore, ma ogni cosa cambia vorticosamente, ora che l'affascinante ed intrigante fratello della bimba torna da Londra per un oscuro segreto che incombe dal suo passato. E così, tra un pomeriggio e l'altro, tra i due sembra nascere qualcosa, qualcosa che va al di là del tempo e dello spazio. Ma come c'è passato, così c'è futuro ed Alice non può che impegnarsi affichè il tutto vada a suo favore..
"Devi solo far finta di essere la mia ragazza. Posso pagarti quanto vuoi. Cento, duecento, trecento euro al giorno! Ne ho davvero bisogno. Ed anche tu."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2

 

I don’t trust your kiss

 

It’s easier to give a kiss that to forget it

 

È più facile dare un bacio che dimenticarlo

 

-Anonimo

 

La porta della mia stanza si apre lentamente e sento dei passi quieti ma sicuri irrompere. La finestra è aperta e lascia entrare una gentile aria che accarezza il mio corpo scoperto, considerato il pesante caldo che distrugge le nostre povere notti. Alzo lo sguardo e ciò che vedo non può che farmi piacere. Paolo è davanti a me, appena seduto sopra il letto, mentre le sue iridi sono incatenate alle mie, mentre il suo sorriso magnetico mi ha ormai fregata. Gli faccio spazio e si sdraia accanto a me. Indossa un paio di boxer neri ed una canottiera color grigio chiaro che lascia però in bella vista i suoi meravigliosi muscoli appena accennati. Mi piace. È bello, ha dei lineamenti che mi ricordano vagamente James Franco e, con questa impressione, lo abbraccio a me nel tepore della notte. Mentre la luna si affaccia dalla finestra per guardarci, lui si sporge e sfiora le mie labbra con quelle da me tanto agognate e così, un bacio casto e fedele si trasforma in qualcosa che va oltre il lecito ed il proibito. Il suo è un sapore buono ed adorabile, mentre stringo tra le mie mani i suoi capelli brizzolati, di quel colore più scuro della notte. Ricambia dolcemente, tenendomi tra le sue braccia ed accarezzandomi con una tenerezza tale mai raggiunta da nessuno, fino a questo momento. Sorrido, tra un bacio ed un altro, felice di un momento così intimo, così per noi. Ormai ansimanti, ci guardiamo per qualche secondo negli occhi e l’unica cosa che esce dalla sua bocca, con quelle labbra così delicate e graziose è un: “Che fai, non posi il phon per i capelli?”

Strabuzzo gli occhi e la sua figura svanisce, come anche il colore notturno penetrato dalla finestra illuminata dalla luna. Svanisce ogni sogno, ma non il ricordo e così, mi alzo rapidamente dal letto. Non riesco a credere di aver fatto un sogno del genere. Paolo. Quello stesso Paolo che ho sognato la notte scorsa. Il phon. Mi guardo intorno. Ho lasciato il phon proprio sul comodino accanto a me. Incredibile. Mi sfioro i capelli e sono terribilmente gonfi. Ieri sera, non ho avuto il coraggio di terminare la doccia iniziata e così sono andata a letto con i capelli bagnati. Sono senza speranze.

Trovo da qualche parte la mia dignità, mi vesto con il cambio che ho portato con me e vado in cucina. Tutti dormono, così decido di affogare alcuni sogni improponibili facendo il caffè. Lo lascio nella caffettiera, in modo che sia un po’ caldo quando lo berranno i padroni di casa. Prendo i biscotti dallo scaffale ed i cereali. Dal frigo, afferro il latte ed il succo. So che la piccola Sofia muore per il succo.

Così, mentre addento uno dei biscotti, sento la porta della cucina aprirsi. Spero vivamente che sia la signora Lucia o il signor Cosimo, ma niente di tutto ciò. Davanti a me, trovo la figura di Paolo. Occhiaie profonde, capelli disordinati ed occhi rossi dal sonno o da una canna. Quando lo vedo, in soli boxer, mi volto verso la cucina.

“Ops.” Dice lui e sento che in questo momento ha proprio quel sorrisino fastidioso che lo caratterizza. Mi porto la tazza di caffè alle labbra e continuo a riflettere nel mio silenzio.

“Allora, dormito bene?” Chiede lui. Annuisco, un po’ distratta e poi chiedo: “E tu?”

“Tutto bene. Certo, il letto è un po’ duro e troppo grande per una sola persona.”

Pronunciate quelle parole, mi strozzo con il sorso di caffè che sto mandando giù. Cosa caspita intende con queste parole? Paolo scoppia a ridere, divertito dalla mia reazione.

“Cosa c’è da ridere?” Esclamo io, evidentemente alterata dal suo modo di prendermi in giro. Mi volto verso di lui e punto ai suoi occhi. Scuote la testa: “Niente, sei divertente.”

“Cosa è divertente?” Chiedo, un po’ stizzita.

“Sei così pura.” Non so come, ma si trova ad appena qualche centimetro da me e mi sfiora delicatamente la gota destra. Mi volto di nuovo verso il lavello e mi scosto: “Non è una motivazione valida.”

“Non tutto ha una motivazione valida.”

“Invece sì.”

“Non credi, dunque, al mistero? Alla magia?” Chiede lui, in un soffio.

“Non credo in niente che non sia cosa reale. Dunque, no, non credo nella magia.”

“Ti ricrederai. Viviamo magia tutti i giorni. Io potrei dimostrartelo.”

Scoppio a ridere, anche se non so dove trovo questa sfacciataggine.

“Non ho tempo per queste sciocchezze.”

“Non lo sono.” Sussurra Paolo, mentre i suoi occhi sono vorticosamente su di me. Ho quasi paura di alzare lo sguardo dalla finestra per timore di dover trovare un motivo per non guardarlo. È un ragazzo bellissimo, ha dei capelli soffici ed un modo di fare davvero attraente, ma è assolutamente fuori dalla mia portata. Insomma, senza lavorare, guadagna al giorno ciò che io guadagno in due mesi.

Riesco a fuggire questa conversazione ambigua quando nella stanza entra la signora Lucia, avvolta in un’elegante vestaglia. Le rivolgo un sorriso intimidito, ma la sua attenzione ricade sul figlio: “Screanzato, abbiamo ospiti e te ne stai in cucina, senza maglia!”

“Mamma, ho ventisette anni, potrò fare un po’ come voglio?” Chiede Paolo esasperato. Io intanto, mi godo la scena di un sano litigio tra madre e figlio. Io e mamma non litighiamo mai, se non per cose tremendamente serie, come i pagamenti, le bollette e cose che riguardano i bambini.

“Ti ho detto di andarti a vestire. Sei sotto il mio tetto e fai come dico io.” Annuncia lei e Paolo si avvicina alla porta della cucina per uscire. Schiocca un bacio sulla guancia della madre e dopo, si volta verso di me. Non so se l’ho immaginato o meno, ma mi fa un occhiolino simpatico, si volta e se ne va, probabilmente nella sua stanza. Così, io e la signora Lucia rimaniamo sole.

“Sei stata un tesoro a preparare la colazione, davvero. Non dovevi.”

“Ma si figuri..” Le rispondo, sorridendole.

La piccola Sofia entra contenta e mi abbraccia: “Giorno, amica.”

“Giorno. Dai, mangia i biscotti. E lì c’è il succo.”

La bambina si siede e così, inizia a raccontare: “Sai, mamma, ieri sera, quando Paolo è rientrato..”

“.. Ha fatto rumore. E ci siamo svegliate.” Concludo io. Ho paura che la signora Lucia prenda male la cosa accaduta la sera prima e se la prenda con Paolo e poi con me.

Sofia mi guarda sconvolta: “Ma, in realtà, Ali..”

“Io ero ancora sveglia. Quindi, solo Sofia si è ufficialmente svegliata.” Spiego, mentre la signora Lucia mi guarda assolutamente coinvolta nel racconto. Si siede accanto alla figlia e le accarezza i capelli scuri.

“Beh, quel caprone di tuo fratello fa sempre troppo rumore.” Schiettamente, descrive suo figlio.

“E niente, alla fine siamo tornate a letto. Vero, Sofi?” Domando, cercando lo sguardo della bambina. Uno sguardo basta per convincerla a tacere. Dopo, scoppia a ridere.

“I tuoi capelli! Sono esilaranti!”

“Meglio che fai silenzio, Sofia Lucia. Sai bene che neanche i tuoi sono il massimo. Non commentare.” La sgrida la madre. Io faccio un piccolo sorriso e finisco di mangiare il mio biscotto.

Lucia, poi, dice: “Tesoro, hai bisogno di un passaggio a casa?”

“No, guardi, prendo i mezzi.” Mi dileguo. Non voglio approfittarne.

“Ma mi rifiuto! Ti accompagno io stessa.” Si propone.

“Ma no, davvero. Non voglio essere di disturbo.” Mi alzo da tavola. Ma, con grande fastidio, sento una persona quasi venirmi addosso: “La accompagno io.”

A parlare è stato Paolo. Mi giro verso di lui.

“Paolo, quando crescerai? Ti sembrava il caso di correre? E tu hai ben altro da fare qui, in città.” Ciò che percepisco è un segreto che viene custodito nell’occhiata ammonitrice della signora Trovati, nell’irrigidirsi di Paolo e nell’abbassare lo sguardo della piccola Sofi, che intanto fa finta di non stare nella stanza e di non conoscere ciò che la famiglia tiene tanto nascosto. In un primo momento, faccio finta di nulla, ma poi, infastidito, Paolo risponde alla provocazione della mamma e annuncia: “Posso fare benissimo entrambe le cose. Preparati, Alice, tra dieci minuti usciamo.”

 

**

 

In macchina, cala un silenzio totale. In radio gli DNCE suonano a volume altissimo, mentre io canticchio felice. Sono una band fantastica ed inoltre, c’è anche Joe Jonas, l’idolo della mia infanzia ed adolescenza. Muovo lentamente la testa, mentre la mia bocca parte e segue parola per parola la voce meravigliosa di Joe. Mentre canto beatamente, il signorino Trovati prende e cambia stazione radio. Mi giro a guardarlo, contrariata, e cambio ancora una volta. Per ripicca, lo fa anche lui e così, almeno quattro o cinque volte. Sospiro e mi rassegno.

“Sappi che lo faccio solamente perché la macchina è la mia.” Specifico.

“Ci mancherebbe, ti senti una roba inascoltabile.” Ridacchia lui.

“Come, scusa? E questa la chiami musica?” Domando sconvolta, mentre suonano le note di un cantante abbastanza sconosciuto. Paolo inarca le sopracciglia e si volta per qualche secondo verso di me, prima di riprendere la guida: “Beh, certo. Joe Jonas è davvero un mito, no?”

Noto l’ironia nella sua voce e dico: “Almeno qualcuno lo conosce.”

“Non bisogna esser conosciuti per far musica buona.” Commenta, un po’ toccato nel profondo. Ridacchio: “Sei uno di quelli?”

“No.” Risponde, fieramente. Scuoto la testa, disperata, e guardo fuori dal finestrino. Il viaggio procede tranquillamente, anche se il traffico ha peggiorato ogni cosa. Mamma mi chiama e, appena rispondo, dico: “Siamo imbottigliati nel traffico.”

“Siamo? Tu e chi?”

“Niente, poi ti spiego. Comunque, sei ancora a casa?”

“Appena uscita. Marta dormiva ancora e Lisa è andata a fare la spesa. Oggi ci sei, a casa?”
“Appena arrivo vado a fare la spesa ad Angela e poi ci sono per tutto il pomeriggio. Ma solo oggi. Domani, Liana mi ha chiesto di tenerle il neonato.”

“Che patatino che è! Bene, io devo entrare. A dopo, amore.”

“Ciao.” Riattacco e Paolo mi guarda interessato: “Quante cose che fai.”

Scoppio a ridere, alzando le spalle: “Niente di che. Lavoretti qua e là nell’attesa di uno fisso.”

Mi giro di poco e mi chiede: “Non ti basta il nostro?”

Mentre me lo chiede, le sue iridi assumono una sorta di consapevolezza che non lascerà più il suo volto. Ha la fronte corrucciata ed osserva un punto davanti a sé. I suoi capelli mossi ricadono dolcemente fino a poco prima la fine del collo e vengono continuamente spostati dalla piacevole aria che arriva grazie ai finestrini abbassati. Evito di rispondere alla sua domanda, non voglio che mi compatisca e non voglio che mi faccia altre domande del genere. Credo che lo capisca e così, mentre il traffico ci impedisce di proseguire, mi annuncia: “Senti, devo fare un salto dalle tue parti, non è che verresti con me? Poi, ti riporto subito a casa.”

La sua richiesta mi disturba un po’ e mi sconvolge, ma le sue iridi così preziose mi portano ad annuire senza dover aggiungere niente di più. E così, con un mezzo sorriso sulle labbra, mi giro, vergognosa, verso il mio finestrino e nel silenzio, la macchina procede.

 

**

 

Il luogo dove arriviamo è un bar che si trova a qualche isolato da casa mia. Ogni tanto, ci vengo insieme alla mia cara amica Giada, ma non sempre posso permettermi di spendere soldi così, dunque preferisco fare colazione a casa o, in caso, cucinarci qualcosa di buono. La macchina si ferma all’improvviso, parcheggia e quando spegne il motore, quasi sembra supplicarmi.

“Senti, adesso mi devi fare un enorme favore. Devi solo reggermi il gioco, okay? Annuisci a tutto quello che io dico e fa finta che sia tutto vero. Chiaro?”

“E’ un rapimento?” Domando, divertita.

“No, forse peggio.” Sulle sue labbra si dipinge un disegno malefico e la sua solita occhiata magnetica torna all’attacco.

Scendiamo dalla macchina. Quando ci troviamo davanti al bar, afferra la mia mano, il che mi lascia senza parole. Non faccio in tempo a replicare, perché Paolo apre la porta e mi trascina dentro con sé. L’ambiente è carino e pieno di gente, pronta alla prima colazione. Mi tira con sé e ci sediamo ad un tavolino appartato.

“Mi spieghi cosa succede?” Chiedo, alterata. Non voglio essere osservata o turbata in nessun modo.

“Senti, reggi il gioco. Per poco, okay?”

Non ho occasione di rispondere, visto che accanto a noi, appare una ragazza alta, con i capelli biondi, lunghi fino al sedere e due occhi scuri. È molto truccata ed ha un fisico da paura. Ecco il motivo di tutto questo.

“Ma guarda chi si vede! Polino. Con chi siamo, qui?” Mi chiede, sorridente.

“Mi chiamo Alice.”

“Alice.. mh, Alice, la nuova preda.” Poi scoppia a ridere. Paolo le lancia un’occhiata severa: “Non metterla in imbarazzo.”

“E lei lo sa?” Questa volta, la ragazza alta e carina si rivolge interamente al giovane davanti a me.

“Allora, ordiniamo.”

Paolo la ignora e così, ordina un cappuccino ed un cornetto. Ma abbiamo appena fatto colazione!

“E tu?” Chiede la donna, amareggiata.

“Nulla.” Bisbiglio. Quella se ne va ed io domando, a bassa voce: “E quello?”

“Quello cosa?” Fa anche finta di nulla.

“Quello. La devi far ingelosire?”

“Sei sulla strada sbagliata. Anzi, quando torna, dille che stiamo insieme da un anno.”

“Un anno?”

Annuisce. Prende la mano che ho poggiato sul tavolo e mi tira a sé: “Scusami.”

E dopo questo mi bacia. All’inizio non realizzo, ma poi noto che le sue labbra morbide sfiorano le mie in una danza lenta e desiderosa. Ricambio, anche se un primo impulso mi dice di scostarmi e di andarmene da qui. Ma poi la sua lingua, umida e dolce al punto giusto, apre le porte della mia bocca e così non riesco a dire di no. Il bacio si fa profondo, anche se la posizione è molto scomoda. Paolo stringe la mano che ha nella sua e continua indisturbato. Forse, il bacio più bello di sempre. Ma non gli risparmieranno un bello schiaffo appena fuori di qui.

“Devi fingerti la mia ragazza.” Mi sussurra sulle labbra, poco prima di ricominciare a baciarmi con trasporto. Sono troppo confusa per mettere fine al nostro bacio, dunque cerco di ignorare le sue parole e far finta che non siano mai state pronunciate.

  
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