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Autore: Ibuki Satsuki    07/07/2017    4 recensioni
«Non hai proprio niente da fare, di sabato pomeriggio? Ce l’avrai, qualcun altro da importunare?» Gli domandò, in un sibilo. Lo vide stringersi nelle spalle, con nonchalance.
«Sì» annuì. «Te» aggiunse poi, guardandola arrossire ancora di più. Quello spettacolo gli stava piacendo fin troppo. Se non avesse iniziato a fare qualsiasi altra cosa, l’avrebbe presto acchiappata per i fianchi per baciarla. Lì davanti a tutti.
«Prima o poi, ti metterò le mani addosso» mormorò la mora, con un perfetto timbro da serial killer e l’espressione omicida. Si chinò a raccogliere lo skate nuovo di zecca che Adrien avesse depositato in terra, sollevandolo e rigirandoselo fra le mani. Tuttavia, quella battuta non fece altro che aumentare il divertimento che il biondo stesse ricavando, dall’intera faccenda.
«Non vedo l’ora» commentò lui, giocherellando col piercing al labbro.
[bands!AU | university!AU | punk!Adrien | skater!Marinette | humans!Tikki/Plagg]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Black Flag






 
❚❚⟲ Def Leppard Pour Some Sugar On Me
«Lookin' like a tramp, like a video vamp
Demolition woman, can I be your man
?
»


 



 

«Yo!»
Adrien sollevò di scatto il capo, focalizzando il suo unico amico universitario. Sorrise, alzando una mano a mezz’aria, in un cenno di saluto. Nino Lahiffe lo raggiunse, con il suo solito portamento rilassato. Aveva tagliato i capelli, accorciando i suoi riccioli castani in una pettinatura corta e molto più ordinata, risaltando il suo incarnato bronzeo, baciato dal sole. Nonostante il suo ultimo viaggio negli States, egli non era cambiato per niente. Esibiva ancora i suoi cappellini della Vans e le pesanti cuffie wireless alle orecchie, che portava appese al collo nei tempi morti. Effettivamente, qualsiasi occasione in cui egli non ascoltasse la sua preziosa musica, gli appariva come una pausa un po’ vuota. La quale veniva solitamente riempita dalle parole di docenti o amici, esorcizzando il silenzio.
Quei due ragazzi, a causa della convivenza scolastica prolungata, avevano finito per somigliarsi. Avevano entrambi la concezione che il tempo non esistesse, troppo presi dai loro rispettivi mondi privati, per far veramente caso a quel che accadesse sulla terra. A ventiquattro primavere e parecchi soggiorni Erasmus sulle spalle, Nino era al penultimo anno del corso quinquennale di filosofia. Il plesso universitario di entrambi racchiudeva, al suo interno, una moltitudine così vasta di indirizzi da permettere, a studenti di discipline differenti, d’incontrarsi e chiacchierare nell’ampio giardino. Infatti, Adrien era segnato alla prima annualità di lingue, un percorso di studi completamente diverso da quello del suo amico. E riuscivano comunque a vedersi e a seguire almeno una lezione insieme. Anche se, il biondo fosse dell’idea di essersi voluto iscrivere lì per dare una piccola soddisfazione a suo padre, più che per suo vero interesse personale. Le ore di traduzione inglese lo annoiavano, poiché egli era già ad un livello piuttosto avanzato. Tanto, da potersi permettere di prendere i compiti a casa decisamente più alla leggera di quanto avrebbe dovuto. E presenziando con frequenza sicuramente minore alle lezioni. D’altro canto, il corso di cinese gli dava molto più filo da torcere, costringendolo a riflettere più duramente sulla forma ed il significato degli ideogrammi. Egli avrebbe volentieri voluto essere uno studente modello, sul serio. Aveva dei propositi talmente buoni, da essere ottimi. Tuttavia, appena sentiva il suo cellulare vibrare per segnalare un nuovo messaggio in arrivo da uno dei suoi migliori amici e compagni della band, lo studio slittava di gran carriera. Facendo un risibilissimo capitombolo dalla piramide delle priorità, volando dal primo posto all’ultimo. Finendo addirittura dopo a “cambiare la lettiera al gatto”, occupazione che al ragazzo repellesse più di ogni altra. E così, si dimenticava. Perché lui era fatto in quel modo. Era mortalmente distratto, teneva troppo alla musica per concentrarsi davvero su qualsiasi altra attività. Ecco perché ricordarsi di presenziare alla lezione di letteratura inglese, di mercoledì pomeriggio, fosse un’idea talmente fallace, nella sua mente, da non crucciarsi minimamente di alcun ipotetico ritardo. E Nino, che seguiva lo stesso corso per accumulare crediti extra sul suo piano di studi, se la rideva. Sorrideva ogni qual volta lo vedesse arrivare in università, con quella postura fiera e diritta, abbigliato di nero da capo a piedi, tanto imponente da spiccare a chilometri di distanza.
«E anche oggi, welcome to the black parade» lo accolse il più grande, con il suo accento di Montmartre, protendendo la mano per una fraterna stretta, con tanto di spallata finale. Glielo diceva sempre, ma Adrien non se la prendeva mai. Adorava i My Chemical Romance. E quella, per lui, era la cosa più vicina ad un complimento che potesse sperare di udire, dalle labbra del suo amico. Si sfilò un’auricolare sola, giocherellandoci.
«Sono in ritardo?» Chiese, per il solo piacere di sentire il verso sarcastico che Nino lasciò andare, precedendolo dentro e lasciando la porta aperta per lui.
«Come sempre» commentò l’altro, mentre si avviavano entrambi verso l’aula. «In tutta onestà, mi sorprenderei se ti vedessi arrivare in orario. Allora, capirei che qualcosa non sta andando bene, nella tua vita» gli disse, scompigliandogli le morbide ciocche dorate con le dita, guardandolo arricciare il naso in silenzio. Il chiacchiericcio sommesso degli studenti nei corridoi accompagnò il suono ovattato dei loro passi sulla moquette, mentre avanzavano con due differenti espressioni sui volti. Una, di placida e calma tranquillità. L’altra, d’infastidita seccatura. Appena giunsero nei pressi della classe, Adrien si sporse verso la maniglia della porta, tirandola verso di sé. E volle tornare immediatamente indietro.
«Cristo» commentò, iniziando a detestare il suo essere un ritardatario cronico. L’aula era piena. Quasi straripava. Non ci sarebbe stato verso di trovare un posto libero, in nessuna delle gradinate. Gli unici spazi utilizzabili, erano quelli al di sotto degli appendiabiti, parecchio scomodi e anche poco funzionali per l’acustica.
«Ho capito, provvedo» annunciò Nino, volgendosi immediatamente, senza neanche prendersi la briga di osservare con i propri occhi. Il più giovane lo seguì, aiutandolo a prelevare una sedia dalla classe accanto, miracolosamente vuota a quell’ora. Si sistemarono proprio dietro l’ultima gradinata di banchi, guardando con odio feroce i posti inutilizzati ma occupati da alcuni zaini e cappotti. Sul banco, alla seduta proprio di fronte alla sua, giaceva perfino uno skateboard. Il che, fece affacciare la sinuosa figuretta di Coccinella, alla mente di Adrien. Ma scacciò l’immagine, scuotendo la testa. In quel momento, voleva semplicemente sfogare la sua frustrazione per il ritardo contro quegli studenti abominevoli che tenevano le sedie occupate, per potersi fare comodamente gli affari propri mentre il docente era ancora via.
«Che cazzo, mi verrebbe voglia di sedermi al posto loro. Tanto per fargli un torto» commentò il biondo, allungando un piede fino al limitare della gradinata di fronte a sé, con astio. Nino scosse la testa.
«Lascia fare, amico» gli suggerì, posandogli gentilmente una mano sul braccio. «Il grande universo li ripagherà, non darti pene inutili» enunciò, facendo scoppiare il suo amico a ridere, attirandosi le occhiate sorprese di qualche paia di studenti nei loro pressi; evidentemente colpiti dall’idea che l’emo della classe potesse essere in grado di farsi tutte quelle risate, per qualsiasi motivo.
«Attento a non farmi divertire troppo, potrei far emozionare l’uditorio» prese in giro il suo amico, scatenando un nuovo accesso di risa. «Le mie ammiratrici potrebbero diventare più delle tue».
«Eh già, caro mio. I miei giorni di libertinaggio sono finiti. Si da’ il caso che io sia felicemente fidanzato con Alya Césaire da ben quattro anni» ribatté, sorridendo. Il biondo gli ammiccò, seducente.
«Onesto» ammise. «Perché Nino Lahiffe è un bravo ragazzo» precisò e l’altro annuì.
«Sacrosanto, amico, sacrosanto» convenne.
In quel momento, videro la porta aprirsi e il docente di letteratura inglese quasi lanciarsi verso la cattedra. Scese le gradinate trafelato, agitando la cartellina per effetto degli sbalzi, tentando inutilmente di sfilarsi la sciarpetta leggera dal collo. Iniziò a scusarsi, esibendo il suo accento irlandese con ostentazione, facendo venire nuovamente da ridere a Nino.
«Come faccio a prenderlo sul serio, se parla così? Finirò per commuovermi, credendo di essere finito in qualche serie tv di Netflix» bisbigliò all’orecchio del più giovane, vedendolo annuire. Poi, proprio un istante prima che la porta si richiudesse, comparve un nuovo gruppetto di studenti, dietro di essa.
Adrien li contò. Quattro. Proprio come i posti liberi dinanzi a sé. Così, dovevano essere loro, i soggetti da maledire con un’occhiataccia. Fra l’altro, i bicchierini di caffè fumante che stringevano fra le dita sembravano confermare la sua teoria. Erano divisi in coppie, sebbene fossero tre ragazze e un ragazzo. Il più alto della compagnia si era appena chinato verso la giovane seduta all’estremità della bancata, chiedendole di farli passare. La ringraziò con un sorriso, attento a non rovesciare la bevanda su se stesso e il banco. Il biondo li vide scivolare dinanzi a sé, coprendogli completamente la visuale. Li osservò bene, processando ogni dettaglio. Il tipo che si era seduto per primo, aveva dei capelli piuttosto corti, tinti in un’aggressiva sfumatura di rosso. Sarebbe stato impossibile non notarlo, tant’era, che egli si chiese come mai si fosse accorto solo allora, della sua presenza. Continuò ad osservarlo: indossava una giacchetta stile college, abbinandola ad un’anonima maglietta nera e un paio di jeans. Adrien pensò di non averlo mai visto prima, in giro per l’università. Era anche vero che lui frequentasse molto poco quell’ambiente, c’era da ammetterlo. Tuttavia, si sarebbe sicuramente ricordato di un soggetto tanto singolare.
Passò oltre con lo sguardo, appuntandolo sulla sua amica. E sollevò immediatamente un sopracciglio. Perché quella ragazza era vestita esattamente come Coccinella. Riconobbe le pesanti cuffie appese al collo, la camicia a pois, il liso jeans. Perfino la sfumatura dei capelli, un corvino tanto intenso da digradare nel blu, gli pareva la stessa. Il biondo si raddrizzò sulla sedia, dimenticandosi perfino di rivolgere un’occhiata alle altre ragazze che li avevano accompagnati. Era troppo impegnato a fissare le spalle strette e fasciate nella flanella in fantasia a pallini rossi e neri, per far caso a qualsiasi altro stimolo esterno. Poi, la vide prendere lo skate e volgersi sulla sedia, intenta a lasciarlo per terra, dietro di sé. Proprio dove lui aveva poggiato il piede. Infatti, la mora lanciò un’occhiata stranita alla lustra Dr. Martens, comodamente appoggiata nel punto in cui lei avrebbe voluto depositare la tavoletta. Quindi, masticando la sua gomma, risalì sulla gamba, fino ad incontrare lo sguardo lievemente interdetto di Adrien. Il quale proprio non poteva credere a quel che gli stesse accadendo dinanzi.
La tipa dalla pelle eburnea era proprio Coccinella. E il suo, era il volto più bello sul quale il biondo avesse mai avuto il piacere di posare lo sguardo. Gli ricordava i dipinti di quelle dee greche che a suo cugino piacevano tanto, da bravo amante dell’arte quale era. Il viso della skater era perfino più delicato di quello di Felicia, la sorella del suo migliore amico. La quale sembrava la personificazione di una ninfa marina. Il ragazzo sentiva che avrebbe volentieri speso l’intera mattinata a contemplarla in silenzio, ripercorrendo quei tratti come se ogni occhiata fosse la prima. Un eterno jamais-vu. Un continuo cammino col fiato sospeso, volto ad ammirare il meraviglioso panorama umano che avesse di fronte. Tuttavia, appena la giovane dinanzi a lui scoppiò la grossa bolla che avesse gonfiato con la gomma da masticare, Adrien si riebbe. Riemergendo dalla trance di estasi mistica in cui un volto simile l’avesse spedito. E si ritrovò ad affrontare un’occhiata talmente neutra, da percepirla ostile.
«Spostati» gli mormorò Coccinella, facendo un cenno verso il suo piede.
«No» sorrise il biondo, distendendosi comodamente anche con l’altra scarpa, occupando ulteriore spazio. Quel gesto ebbe il potere di far sollevare un sopracciglio alla ragazza, che gli riservò uno sguardo seccato.
«Mi stai facendo perdere tempo» commentò quindi. Ma quello si stava divertendo troppo, a farla innervosire, per potersi concedere il lusso di essere cortese. Proprio come si fosse aspettato. Erano talmente differenti, da essere già entrati in contrasto ai primi secondi d’interazione.
«Non è un mio problema, milady» ribatté Adrien, con un sorrisetto indisponente, sistemandosi meglio sulla sedia. Allora, Coccinella gli lanciò un’occhiata di puro odio e fece per dire qualcosa, ma il suo amico dai capelli colorati si voltò di tre quarti, dandole una gomitata nel costato.
«Ehi, Marinette!» La richiamò, con un sussurro. «La pianti di litigare con le matricole? Non sto capendo un accidenti, per colpa tua» la rimproverò.
«Ma…» provò a giustificarsi, senza successo. Il ragazzo si era già voltato, sporgendosi lievemente in avanti per riuscire a captare qualche parola in più dalle labbra del docente. Dunque, la mora si risolse a sospirare, affranta, per poi allungarsi verso destra, depositando la tavoletta lontano dal piede del biondo. Fece anche un po’ di fatica a tendersi tanto, lasciandosi perfino sfuggire lo skate di mano. Che atterò con un breve e chiarissimo tonfo sul pavimento, risuonando perfettamente nel silenzio di tomba della classe. Perfino il docente s’interruppe un istante, processando quel suono molesto. E Coccinella si nascose sulla schiena del suo amico, con un’espressione turbata in volto, augurandosi di non venire scoperta. Strinse le palpebre e trattenne il respiro, desiderando di essere invisibile. Due, tre secondi trascorsero, in religioso silenzio. Poi, qualcuno tossì, rompendo l’incantesimo. Passato il momento di shock collettivo, ella tirò un sospiro di sollievo. Si rilassò nello stesso momento in cui il professore riprese a blaterare sul contesto storico in cui “Il Mercante di Venezia” shakespeariano fosse calato. Scena che fece ridacchiare silenziosamente Adrien, cercando di dissimulare e abbassando lo sguardo. Azione che però non fosse sfuggita alla giovane.
«Non finisce qui» sibilò lei, sporgendosi indietro e guardandolo con evidente astio. Il biondo si morse il labbro inferiore, divertito.
«Me lo auguro, principessa» commentò, guardandola volgersi e prendere finalmente appunti. E così, Coccinella seguiva il suo stesso corso di letteratura inglese su Shakespeare. Inoltre, aveva perfino scoperto come si chiamasse. “Marinette”. Una rapida battaglia della lingua contro i denti, ritmica come la batteria di una band prog rock. Ecco cosa sarebbe occorso, per chiamarla per nome.
Adrien aveva sempre avuto un debole per i tratti del volto finemente cesellati, per quell’armonia artistica quasi neoclassica che aleggiava su certi visi femminili. Quella giovane seduta davanti a sé, gli aveva fatto venire in mente le principesse dell’epoca arturiana. Una perfezione coì regale, da appartenere solamente alla prima famiglia baciata dagli dei. Osservò quella capigliatura color tenebra, cosparsa di fili di cielo notturno schiariti dal sole, domandandosi che sapore potesse mai avere la sua pelle. E a quale suono corrispondesse la sua voce. Sarebbe stato un tono profondo e corposo come quello di Janice Joplin, o una sfumatura più alta come per Steve Nicks? Una ginocchiata di Nino lo distrasse dalle sue fantasticherie, costringendolo a guardare il pezzo di carta che gli fece passare sotto gli occhi.

 

“La smetti di provarci con quelle che ti rifiutano? La tizia, lì, sarebbe più contenta di leggersi l’opera omnia di Shakespeare, piuttosto che prendere un caffè con te”.

 

Adrien lanciò un’occhiata di divertita incredulità al suo amico, che la ricambiò con un’espressione di studiata neutralità, facendo finta di nulla. Allora, il biondo si apprestò a scrivere una risposta, pescando il proprio astuccio dallo zaino e rovistandovi dentro, alla ricerca di una matita.

 

“Stavo semplicemente reclamando lo spazio che mi spettava, proprio come lei aveva fatto con il suo stramaledetto posto a sedere”.
 

Appena ebbe finito di scrivere, lo passò al castano. Che lo lesse e poi si produsse in un verso di puro sarcasmo, scuotendo la testa.

 

“E hai sempre quell’espressione da rimorchio, quando amministri la tua -del tutto ingiustificata- giustizia privata?”

 

«Ma che cazzo dici?» Chiese Adrien in un mormorio, dando una gomitata all’altro.
«Amico, stavi per miagolare solamente avendola guardata in faccia» ribatté, con lo stesso tono e un’occhiata eloquente. «Impara un po’ di autocontrollo. Non hai più sedici anni».
A quelle parole, il biondo spalancò gli occhi e arrossì di colpo. Era stato così evidente? Eppure, non gli era sembrato di aver compiuto gesti tanto eclatanti, per manifestare il suo apprezzamento. Tuttavia, Nino se n’era comunque accorto. Insinuando il tarlo dell’insicurezza nella sua coscienza. Era veramente così facile, riuscire a leggere i pensieri che si agitassero nella sua mente?



 



 


✿ Ibuki's little letter: finalmente si sono incontrati! Che ve ne pare? Personalmente, mi sono divertita (mi sto tutt'ora divertendo) un sacco a scrivere le loro interazioni! Sappiate che, da questo momento in poi, la storia prenderà una parte molto più attiva, visto che i due precedenti capitoli sono stati piuttosto lenti e descrittivi! Sto notando che le mie canzoni-citazioni hanno risvegliato il vostro interesse per i Queen, ne sono molto felice! Qualsiasi cosa sia rock e provenga da decenni ormai passati, è buona e giusta (anche qualche artista contemporaneo, però, non va gettato via)!
Non mi resta quindi che leggere i vostri pareri sul fatidico incontro e, perché no, anche cosa penserete accadrà da qui in poi! Posso farvi un piccolissimo spoiler: ci sarà un sacco di drama. Ma non la roba lacrimosa che sono ahimé abituata a scrivere, vi parlo del drama trash, quello da serie tv alla Shonda Rhymes, con un pizzico di umorismo alla 2 Broke Girls... poi lo vedrete!
Colgo l'occasione per ringraziarvi un sacco, per tutto il calore che state donando a Black Flag, l'attenzione e le recensioni (credetemi, per me vuol dire tantissimo che apprezziate questa storia, con i suoi pro e contro)! Un grazie anche a chi ha inserito BF negli elenchi e anche ai lettori silenziosi, voglio bene anche a voi, sappiatelo! E con questo, vi auguro un bel fine settimana, possibilmente al fresco e non come me, a studiare con cinquanta gradi e un ventilatore affannato.
Alla prossima!

 

   
 
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