Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh! Arc-V
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Autore: Selena Leroy    11/07/2017    2 recensioni
Il progetto "Les Enfant Terrible" aveva uno scopo: dare alla luce una nuova generazione più consapevole, più capace e più ambiziosa della precedente. Non era rimasto molto, d'altronde, agli ultimi superstiti di un pianeta arso vivo dalla Peste, un nuovo morbo che infesta il pianeta uccidendo qualunque creatura esistente si trovi sul suo cammino.
Yuya Sakaki è una di queste speranze, cresciuta assieme al padre e alla medicina. Ha solo sedici anni, ma il suo quoziente intellettivo supera di gran lunga quello delle sue normali coetanee; con il suo amico di sempre, quel ragazzo di nome Yuto segretamente innamorato di lei, continua una battaglia che però sembra persa in partenza.
E la situazione, per lei, volgerà inaspettatamente verso il peggio; alla morte improvvisa del padre, le decisioni di un uomo mai visto né sentito e che risponde al nome di Leo Akaba, la porteranno via dal suo luogo natio, dai suoi affetti e dai suoi amici, e in quella solitudine imposta da estranei, nelle cui menti si cela un segreto dalle cupe ombre, tutto ciò che le rimane da fare è lottare, e continuare quella ricerca ora così preziosa. Se farlo o meno da sola, dipenderà solo da Reiji Akaba...
[Pendulumshipping]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akaba Reiji/ Declan Akaba, Yuto, Yuya Sakaki
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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N

el notturno di un sole spento, il cremisi si amalgamava al grigio circostante di un aere mortuario, e al miraggio di un sorriso lontano eoni dalle sue labbra ora livide si contrapponeva l’indifferenza di un destino che oramai non le apparteneva più.

“Mio padre ti ha mentito, per tutto questo tempo”

Era stata la sentenza definitiva che aveva posto fine a tutte le sue illusioni, cancellava con rabbia soporifera tutte le elucubrazioni che facevano perno su una persona infelice e desiderosa unicamente di un giusto riscatto che lo rialzasse dal baratro di vuoto lasciatoli dall’assenza della figlia ormai morta. Yuya Sakaki non avrebbe mai pensato all’inarrestabilità di un processo irreversibile avente lei come centro indiscusso di inimmaginabile interesse, ma al bieco sospirare di una storia avente dell’incredibile solo per il semplice concepirla oltre schemi privi di una base di logica, non vi era null’altro che le desse la speranza di un crudele scherzo architettato da colui che non aveva mai fatto remora a nascondere il profondo disprezzo che gli suscitava la presenza di lei.

Alle sue spalle, chiuso in un ermetico silenzio che attendeva solo il benestare della ragazza per potersi concedere a nuove parole, Reiji Akaba assisteva impotente al suo disfarsi di una fiducia da lei largamente concessa a tutti coloro che si erano resi artefici di quel sordo dolore covato al preannunciarsi della falsità dei sorrisi elargiti senza rispetto; benché la sua mente suggerisse giustificazioni che ne mitigassero la severità del suo maledire, egli non prestava fede se non ad un suo ordine o a un suo volere.

Riacquistare quel sudato controllo di se aveva richiesto lunghe camminate e corridoi infiniti in cui l’unico sguardo richiesto doveva essere solo quello delle telecamere lasciate accese per la discrezione di abitanti ormai in fibrillazione per ogni azione nefasta compibile dall’uomo, eppure ancora arrancava all’adempimento di quello stoicismo che avrebbe dovuto renderne i lineamenti impassibili e indecifrabili. Se la ragazza seduta sul letto avesse votato il suo sguardo non al cupo spettacolo di una città fantasma ma a lui e al suo viso, ne avrebbe colto palpitazioni che le iridi ametiste speravano di nascondere all’ombra della luce soffusa lasciata dalla disattivazione di qualunque strumento potesse andare a rompere quel guscio di malinconia nel quale la ragazza si era rinchiusa.

Poteva sembrare ridicolo quel suo premurarsi di un sentimento che qualche ora prima avrebbe tranquillamente lasciato a covare nell’oblio dei suoi pensieri, ma dalle rivelazioni del padre si era aperta nel suo cuore una breccia, un piccolo spiraglio alimentante una nuova gamma di sentimenti che convergevano su di lei e che condannavano ogni altra sua sferzata velenosa che non si reggesse su giuste basi di razionale convinzione. Non c’entrava nulla la pietà sulla sua condizione di orfana, né tantomeno una qualche forma di negligenza in colpe di cui comunque egli era all’oscuro; si trattava soltanto di verità e di nuove prospettive, e l’essere trascinato a forza anche laddove il disinteresse prima convergeva sovrano  nei suoi pensieri. Perché se un tempo per lui Yuya non era che la rappresentazione di un’ingiustizia perpetrata al suo diritto di esprimere la propria diretta e onesta opinione, adesso era l’immagine simbolo di un delitto che lui comunque non aveva avuto il coraggio di confessare, la voce resa debole al momento di una confidenza che sfiorava il ridicolo per quel suo desiderio di non infierire ulteriormente laddove già altre verità scarnificavano la sua anima. Concepirsi come la vittima sacrificale per un progetto di cui ignorava la grandezza e la portata non doveva averla fatta soffrire così come la serie di bugie realizzate al solo scopo di mettere a tacere ogni qualunque domanda la sua intelligenza aveva da porre. Intelligenza... un qualcosa che suo padre aveva insultato continuando ad ingannarla con scuse banali e sorrisi tirati, senza contare le numerose dichiarazioni di cui lui ignorava la natura, ma di cui non dubitava l’efficacia atta a prendere a se una fiducia immeritata.

“Ma funzionerà? La cura, intendo”

All’incredulo stupore apparso nelle iridi magenta, totalmente incapaci di comprendere cosa appieno la ragazza avesse in mente, si contrappose lo sguardo spento di una giovane oramai arresa all’evidente, vacuo nel suo evitare qualunque luce ne evidenziasse il suo dilaniarsi interiore e il dolore di ferite ancora sanguinanti. Voltatasi verso di lui, tentava disperatamente di nascondere quanto si celava nel suo cuore con quella stessa espressione indecifrabile di cui tante volte Reiji aveva usufruito fino a farla diventare un mantra giornaliero.

“Funzionerà certamente... fino al momento in cui tu non morirai” rispose il ragazzo, sussurrando le sue parole a denti stretti “E quando questo avverrà, potrai andartene tranquillamente dicendo di aver curato... quanti? Forse un centinaio di persone, non di più. Lo stress che verrebbe a richiedere ogni parcellizzazione di sangue non ti darebbe più tempo di quanto ce ne servirebbe per guarire tutta la popolazione”

E l’ultima risposta apparve così irata, così rancorosa agli occhi della giovane, che Reiji vi vide per un attimo la paura nascosta dietro lo stupore. O forse erano entrambi sentimenti concreti, ma talmente mescolati da non discernere quale dei due avesse il desiderio di prevalere su di lei. Cosa l’avesse stupita, dato che lei era una scienziata di prim’ordine, era però una domanda che il ragazzo vide senza trovare una risposta degna di quei pochi secondi di attenzione che egli vi attribuì. Problemi di più primaria importanza andavano a richiedere la sua attenzione, e fra questi anche il baluardo che egli voleva ergere a protezione di qualunque tentazione si ponesse alla ragazza per concepirsi come agnello sacrificale per la salvezza dell’uomo.

Perché Reiji non stava affatto scherzando, nell’ipotizzare della sua morte. Non parlava per crudeltà, e di certo non per concedersi al lusso dell’ignominia del dolore perpetrato sugli altri, ma per la semplice convinzione che le sue parole avrebbero corrisposto ad un finale definitivo a cui suo padre desiderava giungere.

Leo Akaba non era un difensore della giustizia, come molti media lo avevano descritto, né un lavoratore indefesso che lottava strenuamente per la salvezza dell’umanità. Il suo agire era segnato unicamente dalla vendetta, da quel desiderio di rivalsa segnato dall’impotenza che aveva accolto il volto cinereo della sua giovane sorella spirata ad un’età troppo tenera per non averne da compiangere le mille esperienza a cui ella aveva dovuto rinunciare. Non si trattava, dunque, che di ottenere la possibilità di dichiarare la sua vittoria, sventolare al genere umano la sua cura e affermare la sua supremazia di fronte ad un nemico che lo aveva sconfitto ma non ucciso. Era una battaglia, e a vincerla era colui che moriva per primo. Una volta ottenuta la cura per se e per la sua famiglia, all’uomo non sarebbe importato se il resto della popolazione fosse andato a marcire all’inferno, magari con l’uccisione di colei che si garantiva come salvatrice dell’intero genere umano sulla via dell’estinzione, ma avrebbe soltanto goduto dei piaceri della vittoria che quella vendetta a lungo agognata aveva saputo offrirgli. La morte non era un nemico ugualmente raggiungibile, ma forse anche egli sarebbe divenuto un nuovo ostacolo da affrontare, una volta raggiunto il suo primario obiettivo. Ogni azione di quell’uomo si svolgeva nella determinazione di riabbracciare sua figlia Ray.

“Potrà sembrarti assurdo, quello che ti chiedo, soprattutto giunti a questo punto... ma vorrei che tu ti fidassi di me” Dio solo poteva sapere quanto fosse imbarazzante, per Reiji, confidare nella speranza altrui, ma in quel momento aveva bisogno di quella ragazza e della sua assennatezza, e l’unico mezzo con cui ottenerla era proprio chiederle quanto si era appena spezzato.

“E cosa potresti fare, rispetto a Leo Akaba?”

“Isolare quanto ti rende immune alla Peste, tanto per iniziare” rispose l’uomo, con tranquillità “Comprendere ciò che ti rende speciale rispetto a me o a chiunque altro non possa diventare un antidoto alla Peste”

“E quante persone moriranno, mentre farai i tuoi esperimenti?”
Lo sguardo adesso risoluto della ragazza apparve quasi fuori luogo, in quel frangente carico di mistica rivelazione. Non era una luce benigna, quella che bagnava il vermiglio enigmatico delle sue splendide iridi; essa riluceva di una follia che Reiji non sbagliò a identificare come disinteresse per la sua vita. Un ragionare nato dall’assurda convinzione che ella valesse mille volte meno di un numero imprecisato di morti gravanti sulla sua coscienza. Un modo di ragionare che l’uomo non aveva alcuna intenzione di accettare.

“Coloro che erano in procinto di morire sono stati già curati con il tuo sangue” fu la brusca risposta, dimentica di una calma che egli non aveva alcun modo di fingere “E quanti si apprestano a raggiungere lo stadio conclusivo della malattia sono stati messa sotto stretta osservazione, in maniera tale da rallentare il decorso del morbo”

“E quanto conti di riuscire a finire le tue ricerche?” continuò, incessante, la ragazza, quasi non calcolando le reazioni del suo interlocutore, che di sicuro avrebbero preteso un incalzare più morbido e, soprattutto, meno impulsivo “Se ti ci volessero mesi, o addirittura anni, tu come pensi...”

“Allora è questo che vuoi!?”
Fu l’esplodere di un’emotività fin troppo repressa, e il suo boato si espanse nello spazio di quella stanza al pari del fragore di una folgore accecante.

“L’altro giorno, al laboratorio, quando ho ordinato di continuare gli esperimenti su quel morituro... mi hai guardata come se fossi feccia della peggior specie. Per questo voglio sapere se sei davvero convinta di sapere quello che mi stai chiedendo!”
Doveva essere lui quella feccia umana solo per appagare il suo istinto di distruzione rivolto nei richiami di se stessa? Era questa la domanda che incorreva incessantemente nella mente del ragazzo, mentre osservava con furia colei che non sapeva più come giudicare. La sua indifferenza, quella vergognosa rassegnazione ad un destino che altri avrebbero evitato con decisione appariva come la più insensata delle fermezze, la più assurda delle convinzioni, la più cieca delle scelte offerte dal suo futuro, e se chiunque avesse compreso il suo desiderio semplicemente aggrappandosi al suo infelice passato e al vuoto che ormai altre mani le avevano creato attorno, per lui non vi era alcuna giustificazione che portasse al concepimento di un simile desiderio. Non era egoistica risoluzione, la sua, né l’incapacità di accogliere una prospettiva che non fosse quella che la natura gli offriva; la vita aveva per lui assunto il significato di un bene inestimabile quando questa si era resa rara e ricercata, e ad ogni ansito percepito, ad ogni flebile sussulto emanato dai morituri che aveva visto condannati da un destino atroce, il suo cuore andava inevitabilmente al pensiero che proprio lui, alla fine, aveva da ringraziare il caso, la fisica, la fortuna, una qualunque divinità, quel qualsiasi cosa che gli aveva permesso di evitare la malattia per uscirne indenne. Amava la vita, e la stringeva a sé nel desiderio di poterle regalare il rimedio miracoloso ne potesse concedere giusto ristoro. Ecco perché non poteva accettare che, proprio dinanzi ai suoi occhi, qualcuno la gettasse al vento senza alcuna esitazione. Per lui, quell’insana volontà realizzata dalla ragazza appariva come un bieco insulto a quanti non avevano avuto la sua stessa fortuna di scegliere il proprio destino.

“Non sarò il mostro che libererà la tua coscienza da tutto ciò che non vuoi vedere” fu il suo ultimo commento, prima di dirigersi verso la porta “Collaborerai, ma alle mie regole, e solo al tributo che io pretenderò. Autodistruggerti non è un opzione che ti concedo”

E l’occhiata penetrante che le lanciò fu l’ultima cosa che la ragazza vide prima che le porte della stanza si chiudessero dietro di lui.

 

***

N

 

on mi sembra un’impresa così ardua come la dipingi. Grazie alla peste, qui abbiamo tutti i macchinari che ci servono per analizzare ogni particolarità del sangue, fosse anche presa da una miserrima goccia ”

Crow Hogan sarebbe apparso, agli occhi degli estranei, come uno sciatto teppista appena scampato da una retata della polizia, sorpreso magari nell’atto illecito di chi lascia l’estro creativo lì dove la legge non lo consente, eppure il suo quoziente intellettivo e la sua sagacia erano di tale livello e di tale nomea da garantirsi il sicuro appoggio di un uomo scettico come Reiji Akaba, il quale aveva realizzato la propria squadra seguendo rigidi dettami di natura ignota a chiunque, Hogan in primis.

Il camice da laboratorio, trasandato in quelle pieghe che reclamavano una cura più decorosa, pendeva su un fisico asciutto e muscoloso grazie alle ingenti boccette che le tasche – sempre giudicate troppo piccole e poco capienti – sembravano pronte a far trasbordare verso l’esterno, quasi come bocche voraci troppo ricolme del cibo appena ingurgitato. In quelle, numerosi campioni appena prelevati dai pazienti che aveva in cura attendevano con ansia l’esito dei riscontri appena effettuati, il tutto giocato su un ruolo di prospettive che metteva l’unico paziente sano in corrispondenza di una nomea infinita di futuri cadaveri.

“Forse all’apparenza può sembrarti una cosa banale, ma se nemmeno mio padre è riuscito a svolgere questa impresa, sono pronto a considerarla di una difficoltà eccessiva per chiunque. Me compreso”
L’occhio vigile di Akaba scrutava ansioso i dati appena stampati che Shun, appena giunto nel suo studio, aveva consegnato con apparente noncuranza. Lo sguardo vigile del moro, nascosto dietro lenti appena inforcate per non affaticare ulteriormente gli occhi ormai gravati da eccessiva sonnolenza e dalle gravi esposizioni laddove la retina si dimostrava debole e prossima a crollare, non si accinsero nemmeno a valutare quanto consegnato, l’attenzione spostata sulla cura all’equilibrio precario che Crow esercitava sulla sedia dello studio ormai conquistata come sua personale pedana di sfida alla gravità; dall’accezione lievemente aggressiva della bocca egli sembrava quanto mai scocciato da quella volgare mancanza di decoro anche a fronte di coloro che avrebbero dovuto essere suoi superiori, e sebbene egli giudicasse veramente una persona dal suo comportamento – aveva visto scienziati più in gamba con atteggiamenti peggiori -  rimaneva universale che un dato importante, per un laboratorio, era proprio l’ordine meticoloso e la cura verso ogni particolare e dettaglio; quel suo atteggiarsi a ragazzo perduto portava inevitabilmente lo scienziato a porsi dei dubbi sulla sua efficienza e sulla sua bravura, nonostante la fiducia di Reiji Akaba a porre un freno alle sue domande, perchè non era mai esistita al mondo una persona capace di inculcare, nella mente del ragazzo, un’idea che la sua mente non potesse verificare prima di una decisiva conferma, e al suo sguardo attento quell’apparente teppista era ancora sotto stretta sorveglianza, lo sguardo penetrante a indagare con eccessiva attenzione qualunque informazione potesse essergli utile a farsi un quadro dettagliato ma soprattutto scevro da qualunque condizionamento esterno ne mettesse in dubbio la fiducia che egli voleva concedere incondizionatamente ai suoi colleghi.

“Sai chi ho visto, poco prima di entrare qui?” chiese dopo un po’ lo stesso Shun, sedutosi in maniera composta sulla poltrona poco lontana dalla scrivania, l’angolo prediletto di Akaba in quel momento lasciato incustodito “Quel pavone impettito di Roger”

Le carte furono di colpo gettate sulla scrivania, le mani a stringere convulsamente i bordi oramai spiegazzati. Le iridi magenta scrutavano stupefatti lo sguardo serio di Shun, quasi quel suo indagare ossessivo potesse mettere in discussione un affermazione che comunque, una parte della sua mente, sapeva di dover dare per sicura. Mai Kurosaki era capace di parlare senza la possibilità di dir del vero della sua ragione – uno dei motivi per cui l’uomo aveva sempre potuto contare sul suo appoggio – eppure forte fu il desiderio di vederlo in quel momento ridere, strizzare forte gli occhi e lasciarsi colpire da una risata contagiosa, con le parole burlone che lo deridevano per aver davvero dato peso ad una simile sciocchezza.

“Roger? E chi diavolo sarebbe?”

Crow Hogan era nuovo, all’interno del laboratorio di ricerca, e la sua presenza aveva rappresentato l’eccezione di fronte alla regola silenziosa che impediva ad ogni dipendente di avere contatti fisici con gente al di fuori del maniero di vetro nel quale erano stati ormai rinchiusi. La sua domanda, dunque, apparve a entrambi concretamente giustificata, sebbene lo sguardo torvo che gli rivolsero entrambi sembrava suggerire l’esatto contrario. Reiji nemmeno si prese la briga di concedergli una risposta degna di questo nome: lasciate le carte tanto attese sulla scrivania, ormai quasi illeggibili in quelle incrinature che rendevano l’inchiostro scosceso e slabbrato, si diresse di filato verso la porta, e con un gesto deciso la spalancò per dirigersi verso una nuova meta a lui sconosciuta.

Jean Michel Roger

Crow, che ancora guardava il punto dal quale il suo datore di lavoro aveva appena fatto perdere le tracce di se, quasi come richiamato da un qualche incantesimo ne imponesse la presenza altrove, sussultò alla voce di Shun, ora impegnato a scrivere qualcosa al cellulare che solitamente prendeva in mano per controllare quanto avevano da rettificare gli uomini alle sue strette dipendenze.

“Sai perché non lo conosci? Perché quell’uomo è niente popò di meno che la spalla destra di Leo Akaba... una sorta di viceré che giustifica le numerose assenze del capo

“Capisco... ma perché Reiji era così nero?”

Il giovane sul divano sorrise, quasi divertito dall’ingenuità dimostrata in quel frangente – ingenuità che gli comportò un punto a sfavore nella scala dell’arguzia che il giovane stava mentalmente compilando.

“Perché significa che il signor Leo Akaba potrebbe non voler giocare alle regole stabilite dal figlio... e mettere voce la dove dovrebbe solo stare zitto”

La vibrazione del cellulare pose termine ad un ulteriore commento che avrebbe compromesso ancora di più l’immagine creatasi a poco a poco nella mente riguardante il suo nuovo assistente. Sbloccando lo schermo, apparvero sul display due messaggi, due piccoli testi cifrati che, se scoperti, gli avrebbero comportato il licenziamento in tronco e ogni sfiducia possibile da parte di chiunque avesse posto le proprie speranze in lui; eppure simili rischi non si erano mai posti come freno tra lui e quella che era l’unica amicizia rimastagli in un mondo fatto di sole tenebre e morte, e lui si sentiva pronto ad affrontare qualunque minaccia pure se il mondo avesse deciso di ritorcerglisi contro in una serie di sfortunate rivelazioni.

Sorrise, quando ebbe concluso la sua lettura, e seppe in quel momento che i suoi sotterfugi avrebbero presto portato a nuovi sviluppi e a  nuove sfide.

‘Arriverò non appena possibile – Yuto’

   
 
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