Serie TV > Braccialetti rossi
Segui la storia  |       
Autore: Civaghina    11/07/2017    3 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Venerdì, 17 agosto 2012

Sono qui da più di un mese ormai, ma la sveglia presto è proprio una di quelle cose a cui non riesco ad abituarmi.

Ok, Ester non entra urlando come fa Ulisse e non tira su le veneziane di botto come fa Laura, ma il risultato non cambia: sono solo le sette ed io vorrei dormire almeno altre tre ore.

Ieri sera, tra l'altro, io e Matteo siamo rimasti svegli fino all'una passata, continuando le nostre esilaranti sfide alla Play usando solo la mano sinistra e mangiando i biscotti di Asia (solo io, in realtà, perché lui ha detto di averne già mangiati abbastanza e non vuole ingrassare).

"Buongiorno ragazzi!" ci saluta Ester mentre tira su anche la veneziana della seconda finestra.

"Vai prima da lui, così io dormo ancora" brontolo indicando Matteo e coprendomi con il lenzuolo fin sopra la testa.

"Grazie tante per la cortesia, Mister Sorriso! Ma ti lascio volentieri il posto!" ribatte lui a voce troppo alta per quest'ora del mattino.

"Mettetevi d'accordo" ride Ester. "Facciamo testa o croce?"

"Facciamo che torni tra due ore?!" esclamo io scoprendomi il viso e sfoderando il mio sorriso ammaliatore.

"Certo re Leone, a sua disposizione! Dai, vado prima da Matteo che devo solo misurargli la febbre. Con te la faccenda è un po' più lunga!"

"Ecco, ti pareva!" si lamenta Matteo.

"Di che ti lamenti?! Farei cambio volentieri con te, per la mia faccenda un po' più lunga!"

"Oh, sentite!" sbotta Ester. "Facciamo che siccome ho due termometri, vi provate subito la febbre tutti e due!" decide alla fine, porgendo i termometri a entrambi.

"36 e mezzo" annuncio io quando me lo tolgo.

"37 e due. Ti ho battuto" dice Matteo qualche secondo dopo.

"Ah, questi sono i casi in cui perdo volentieri!" ribatto mentre Ester mi avvolge il braccio col manicotto per misurare la pressione.

"Non ricominciate per favore... Bene, la pressione è tornata normale."

"Lo dico sempre io, che non so che mi tenete qua a fare!"

"Non saprei proprio" ride Ester reggendomi il gioco, mentre mi sente il polso. "Bisognerebbe chiederlo alla Lisandri."

"Tanto la Strega mica te la dice la verità!"

"E quale sarebbe la verità?"

"Che mi tiene qua per bellezza!"

"Oh! Ecco svelato il mistero, allora! Su, bellezza, vediamo come va la gamba"; io mi scopro dal lenzuolo ed Ester comincia ad esaminarmi la gamba, dicendo subito che è tutto a posto e chiedendomi se avverto ancora la sensazione di calore di ieri.

"No, no... E' passata."

"Bene, adesso do un'occhiata all'incisione e ti rifaccio la medicazione" dice indossando i guanti. "Ok?"

Ed io sbianco.

Mi ricordo le medicazioni della ferita dopo la biopsia e non sono state per nulla delle belle esperienze.

"Ok..." rispondo deglutendo.

"Non ti faccio male, promesso."

"Lo dici per dire! Guarda che mi ricordo benissimo le medicazioni alla gamba!"

"Ma Leo, questa qua è un'incisione da due punti, non è paragonabile. Stai tranquillo".

Decido di fidarmi, o almeno di provarci, e scosto leggermente il camice, stando bene attento a non scoprire troppo.

"Bisogna che scopri un po' di più" mi dice Ester, ma io non sono per niente dell'idea e rimango fermo, così ci pensa lei.

"Ehi!" protesto tenendo fermo il camice per assicurarmi che non si veda niente di quello che non si deve vedere.

Lei sorride divertita: "Sei ancora abbastanza coperto, non ti preoccupare!" esclama mentre mi toglie la benda adesiva e la butta nell'apposito cestino che c'è nel carrello. "E comunque non hai niente che io non abbia già visto, te lo assicuro!" aggiunge mentre Matteo se la ride.

"Beh, per me puoi anche vedere uomini nudi tutti i giorni, ma io sono piuttosto riservato!" ribatto.

"La ferita è pulita. È ancora un po' gonfia e arrossata, ma è normale".

Ester butta via anche i guanti e ne indossa un altro paio, poi comincia a passare sopra la ferita col cotone imbevuto di fisiologica e, con mio sollievo, non mi fa per niente male. Tampona, asciuga e mi mette una nuova benda adesiva.

"Abbiamo finito?" le domando mettendomi seduto.

"Quasi. Oggi è giorno di prelievo, ti ricordi?"

"E che palle! E' veramente lunga questa faccenda!" sbuffo mentre lei si cambia di nuovo i guanti e prepara l'occorrente per il prelievo. "E ora che ci penso, vorrai anche la mia pipì, no?!"

"Sì."

"E' proprio venerdì 17!".


"Non sono più obbligato a stare a letto, vero?" domando ad Ester, di ritorno dal bagno, dandole il contenitore con la mia pipì.

"No, però evita di affaticarti. Non andartene troppo in giro. E aspetta prima la Lisandri."

"Va bene..." sospiro io. "Senti ma... come faccio a non fare bagnare la benda mentre faccio la doccia?"

"Meglio se non fai la doccia per qualche giorno. Lavati a pezzi."

"Ok..." dico contrariato scrollando le spalle. "Ma almeno posso rimettermi mutande e pantaloni?"

"Sì, puoi."

"Oh! Almeno questo!"

"Ci tieni proprio alla tua privacy, Mister Sorriso!" esclama Matteo ridendo. "Hai qualcosa da nascondere?"

"Sì che ho qualcosa da nascondere, magari tu no e quindi non ti creerebbe problemi andartene in giro con tutto al vento!" lo rimbecco io.

Ester scuote la testa sorridendo e si avvia verso la porta con il carrello, poi si ferma e si gira di nuovo verso di noi: "Comunque, Leo, guarda che il catetere dopo la biopsia te l'ho tolto io!"

"Eh? Che catetere?!"

"Indovina!" sorride strizzandomi un occhio prima di andarsene, mentre Matteo sghignazza senza ritegno.

Ok, questa fa parte di quelle verità che avrei preferito non sapere.


La Lisandri, oggi, arriva insieme al dottor Abele e nel vederlo vado in agitazione perché penso subito che abbia visto qualcosa che non va nell'arteriografia e che l'operazione debba essere rimandata.

È vero che sono terrorizzato dall'idea di essere operato tra soli tre giorni, ma so benissimo che prima si fa, meglio è; prima tirano via il tumore, prima potrò sconfiggere la Bestia e lasciarmela alle spalle; quindi, nonostante la paura, spero davvero che lui non sia qui per dirmi questo.

No, non è qui per dirmi questo.

Non è nemmeno qui per me, a dire il vero: è venuto per visitare Matteo; si limita a dirmi che dall'arteriografia non è emerso niente e che per quanto lo riguarda l'intervento rimane in programma per lunedì mattina, salvo diverse disposizioni dell'anestesista, e poi va ad occuparsi di Riccioli d'oro, mentre la Lisandri si ferma da me: "Allora Leo, come ti senti?"

"Nessun sintomo da dichiarare" rispondo sorridendo tra me e me, ricordandomi di quella volta che le ho risposto così, un paio di giorni dopo che avevamo discusso perché mi ero allenato senza permesso e mi era venuta la febbre.

Lei pare non ricordarsi di questo particolare, o forse fa di proposito finta di niente: "Vedo che stai andando bene" dice scorrendo attentamente la mia cartella clinica. "Direi che arriverai all'intervento nelle migliori condizioni possibili, il che è senz'altro positivo".

Mi toccherei le palle se potessi, ma dato che non mi sembra il caso mi limito a fare le corna con le dita: "Ah! È meglio se non lo dice! Quando l'ha detto prima della chemio, dopo è successo di tutto!"

"Su, Leo! Non sarai mica superstizioso?!"

"No, ma è meglio non sfidare la sorte, anche perché ultimamente non è stata molto generosa con me, le pare?!".

Sì, le pare: lo capisco dal fatto che non riesce a sostenere il mio sguardo; ma, ovviamente, fa finta di niente e cambia argomento: "Com'è andata l'arteriografia?"

"Bene. Ha sentito il dottor Abele, no?"

"Non intendevo il risultato, Leo, lo sai. Com'è andato l'esame? Mi era parso che ti preoccupasse."

"A me?!" esclamo ostentando quanta più sicurezza possibile. "Assolutamente no" aggiungo sfregandomi un occhio.

"Sarà..." dice lei con un sorrisetto. "Comunque mi hanno detto che sei stato molto coraggioso".

Davvero?

Addirittura molto coraggioso?!

Ad essere onesto non è questa l'impressione che ho avuto di me stesso mentre desideravo che ci fosse la mamma, dicevo parolacce e stritolavo il bordo del lettino.

"E chi gliel'avrebbe detto? Mr Simpatia?"

"Il dottor Alfredi. Ma chi sarebbe Mr Simpatia?".

Ah! Se l'ha detto il dottor Alfredi allora sono stato coraggioso veramente: lui dice sempre la verità, d'altronde, no?!

"Lasci perdere!" rispondo agitando in aria la mano. "L'infermiere che c'era lì con me e Alfredi."

"Non ti era simpatico?"

"Per niente."

"Beh, non è che adesso tutti gli infermieri sono tenuti ad essere simpatici...! L'importante è che svolgano bene il loro lavoro."

"Vabbè, lasciamo stare. Piuttosto, posso andarmene un po' in giro, oggi?"

"Solo se non ti stanchi troppo. È meglio tenere la gamba a riposo fino a domani. Non girovagare per tutto l'ospedale! E non andare fino agli Ulivoni!"

"Comandi!" esclamo facendo il saluto militare con la mano.

"Guarda che dico sul serio, eh Leo?!"

"Sì, sì, va bene, non mi stanco. Mi dà il Permesso del sole, almeno?!"

"Permesso del sole? Di cosa stai parlando?"

"Voglio andarmene sul terrazzo ad abbronzarmi un po'!"

"Ah, hai scoperto il terrazzo? Siamo a posto adesso! Che non ti salti in mente di andare a giocare a basket!"

"Voglio solo starmene un po' al sole, giuro!"

"Massimo fino alle undici. Dopo c'è troppo caldo".

Sono da poco passate le dieci: ho un'ora a disposizione; sì, direi che mi può bastare.

"Posso portare anche Riccioli d'oro con me?" le domando mentre lei mi guarda divertita.

"Riccioli d'oro?"

"Sì!" sorrido indicando Matteo col pollice.

"Ah... non so... dottor Abele, lei che dice?".

La Lisandri e il dottor Abele si consultano mentre Matteo mi guarda perplesso cercando di capire di cosa stiano parlando ed io gli faccio cenno con la mano di aspettare.

Circa un minuto dopo arriva la risposta: permesso accordato!


"Ma dov'è che stiamo andando?" mi domanda Matteo seguendomi verso gli ascensori che portano al terrazzo.

"Aspetta, sempre a far domande tu!" esclamo fermandomi davanti alle macchinette e prendendo una Coca. "Tu vuoi qualcosa?"

"Sì, ma devo tornare in camera a prendere le monete."

"Ma va! Dopo che ho sbafato tutta la tua razione di gelato, ieri sera! Offro io!"

Lui ride: "Grazie allora!"

"Cosa vuoi?"

"Un tè alla pesca."

"Tieni, andiamo" dico porgendogli la lattina e andando agli ascensori, mentre lui continua a tempestarmi di domande che rimangono senza risposta.

"Che figata!" esclama quando, una volta arrivati, spalanco il portone.

"Già! Devo ringraziare Ulisse per questo posto! Anche se forse l'avrei scoperto lo stesso, prima o poi!"

"Facciamo due tiri?" propone Matteo osservando il canestro da basket.

"Non pensarci nemmeno!" rispondo io prendendo una sedia e avvicinandola al muretto. "Che se sudo e disgraziatamente mi viene la febbre, la Strega chi la sente! E poi ti vorrei proprio vedere a lanciare con un braccio solo!".

Lui ride e mette una sedia vicino alla mia: "Potresti usare un braccio solo anche tu!"

"Ah, guarda! Già sono una pippa con due, figuriamoci con uno! E poi, davvero, tu non conosci bene la Strega!"

"La Strega sarebbe la dottoressa Lisandri?"

"Sì, proprio lei. Se mi faccio venire la febbre adesso mi tiene rinchiuso in camera come minimo per un mese!".

E all'improvviso mi viene in mente che da lunedì non sarà affatto facile andarmene in giro, dopo che mi avranno aperto a metà la gamba dal ginocchio alla caviglia.

Non sono pronto.

Lo so che ho detto che prima si fa, meglio è, e continuo a pensarlo, ma non sono pronto lo stesso.

Aldilà della paura per l'operazione in sé che in qualche modo la posso affrontare, consolato dal fatto che comunque dormirò e che poi sarò rincoglionito per tutto il giorno, è per il dopo che non sono pronto.

Non sono pronto all'immobilità, alla sedia a rotelle, al gesso, al deambulatore, alla riabilitazione, alle stampelle, a tutto il tempo che ci vorrà prima di ricominciare a camminare con le mie gambe.

"Che ti ha detto il dottor Abele?" domando a Matteo per distogliermi dai miei pensieri.

"Che tutto sta precedendo per il meglio" mi risponde lui giocando con la linguetta della lattina. "Se non mi torna su la febbre domenica mi dimettono."

"Oh! Beato te...!".

Sono invidioso.

Lo ammetto.

Rosico.

Lui è qui da quattro giorni e tra due se ne va; e, anche se dovrà faticare un po', tornerà alla sua vita, al suo tennis, al suo ultimo anno di scuola, dai suoi amici, dalle ragazze da cui scappa dopo un paio di settimane e dai suoi genitori che sembrano usciti da una rivista.

Io sono qui da quaranta giorni e non ho idea di quando potrò andarmene; e, a dire il vero, non so nemmeno se riuscirò a tornare alla mia vita.

Mamma non me la ridà indietro nessuno.

Papà... chi lo sa.

La storia con Giulia... lo spero.

I miei amici... credo di sì.

La pallanuoto... non si sa quando.

Alla fine, le mie uniche certezze sono Asia e la scuola.

Quando tornerò, loro ci saranno ancora.

Se tornerò.

"E tu? Non sai ancora quando ti dimetteranno?"

"No..."

"Ma lunedì ti operano, giusto?"

"Sì."

"E dopo... tutto andrà a posto, no? Ti tolgono il tumore e..."

"Mi tolgono anche mezza tibia e me la rimpiazzano con una protesi fatta in titanio e con l'osso di un morto."

"Serio?!" mi domanda Matteo con la faccia sconcertata.

"Serissimo."

"Non ti invidio per niente, Mister Sorriso!"

"Io a te un po' sì, Riccioli d'oro". Matteo è visibilmente in imbarazzo, come al solito quando io lancio una delle mie frecciate; mi affretto a rimediare sdrammatizzando: "Ma mica per i tuoi capelli, eh?! I miei erano molto più belli di quei riccioli da angioletto del presepe che ti ritrovi tu!" esclamo indicandoli.

"Ah, davvero?! Perché, com'erano i tuoi capelli?" mi chiede sorridendo.

Potrei fargli vedere una delle foto che ho nel cellulare ma non ne ho voglia, soprattutto perché non ho voglia di vederla io. È una cosa che mi fa ancora male.

"Erano come la criniera di un corvo" rispondo sorridendo tra me e me, mentre guardo l'orizzonte.

"Come, scusa?!" esclama lui divertito e curioso.

"Tanti, mossi... e neri. Neri come le piume di un corvo."

"Ma prima hai detto criniera..."

"Sì, lo so."

"Ti sei sbagliato?"

"No."

"E allora? Che volevi dire?"

"Niente, lascia stare".

Sorrido ancora, a me stesso, all'orizzonte lontano e a lei.

Le piacevano tanto i miei capelli.

Le piaceva tanto accarezzarli, passarci le mani, scompigliarli.

Il mio Leone con la criniera da corvo.

Mi sembra quasi di sentire la sua voce.

E sorrido.

Sorrido ancora.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Braccialetti rossi / Vai alla pagina dell'autore: Civaghina