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Autore: Ilenia_Pedrali    13/07/2017    1 recensioni
2199 giorni rappresentano il periodo che Clarke e Bellamy hanno vissuto senza saper l'uno le sorti dell'altro. Riusciranno a ritrovarsi? Fanfiction che inizia dopo il finale della 4 stagione di the 100 e assolutamente #Bellarke!
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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8.
 
Dopo il Praimfaya: giorno 730

 
 
 
CLARKE

 
Si sveglia di soprassalto, annaspando alla ricerca di aria, improvvisamente seduta sul suo giaciglio. Il buio del bunker la avvolge come i suoi incubi. È duro, freddo ed opprimente e le sta togliendo ogni possibilità di luce.

Cerca di dare un ritmo al suo respiro, ogni movimento del diaframma controllato per riconquistare la padronanza del proprio corpo.

Sempre lo stesso incubo, da quasi un anno. Sogna i suoi amici, senza di lei; sogna che la dimenticheranno. Sogna di rimanere da sola per sempre.

“Clarke, calmati, va tutto bene”.

Va meglio.

Strano riuscire a calmarsi immaginando la voce profonda e rassicurante di Bellamy. Ma, fondamentalmente, non è una sorpresa.

Si sdraia nuovamente, incrociando le braccia dietro la testa. Guarda il soffitto come se potesse raggiungere lo spazio solo con lo sguardo.

Due anni da sola sulla Terra e nessun cenno di vita dallo spazio o dal bunker. Ogni giorno sembrava sia migliore che peggiore del precedente. Era riuscita nell’impresa di coltivarsi del cibo tramite il cibo delle scatolette, ottenere acqua potabile modificando l’acqua raccolta al di fuori del bunker, viveva con ciò che poteva e con il massimo delle sue forze. Gli appunti di Becca erano ormai i suoi appunti, i libri scientifici i suoi migliori amici.

Dopo un anno e duecentocinquanta giorni, era finalmente riuscita a mettere piede sulla Terra. Il monitor aveva indicato un prezioso 70% dopo mesi e mesi in cui i valori erano risultati sballati e Clarke aveva osato. Ogni passo verso l’uscita era stato una lotta interiore: uscire? Non uscire? Rischiare?

Aveva rischiato. E aveva vissuto.

L’aria le aveva fatto sanguinare il naso non appena aveva sferzato il suo casco protettivo. Il sole l’aveva quasi accecata e le si erano piegate le ginocchia.

11 secondi.

Ecco il tempo che aveva speso sulla Terra la prima volta.

Poi, piano piano, sempre di più. Un minuto, cinque minuti, un quarto d’ora, un’ora intera.

Ora riusciva a stare fuori ben cinque ore senza sentirsi male. Ci voleva tempo, e lei ne aveva da vendere. A volte raccoglieva dell’acqua in un fiume vicino per poi modificarla in laboratorio, a volte afferrava dei ciuffi verdi dal terreno in cui un tempo cresceva erba, a volte osservava il cielo con le lacrime agli occhi e soffriva la solitudine e l’incertezza.

Non sapere era la parte peggiore.

Era difficile, specialmente di notte. Di giorno si teneva impegnata studiando qualsiasi cosa possibile, ma di notte la solitudine le graffiava il petto come una rosa ricolma di spine. Allora aveva imparato a calmare il respiro e a concentrarsi su pensieri felici o speranzosi.

La speranza era la sua ancora, la teneva in vita e la infiammava come un incendio.

“Coraggio Clarke, altri tre anni e poi rivedrai tutti. Devi sopravvivere per rivederli tutti”

Ed ecco che prendeva le uniche due cose in grado di proteggerla dal dolore: il disegno e la radiolina. Tracciava linee, contorni, paesaggi, sogni ed emozioni. Finn, Raven, Octavia, Kane… aveva disegnato tutti.

Ma non poteva mentire a sé stessa, non più. Sfumando quegli occhi scuri, il volto di Bellamy prendeva forma non solo su quel foglio, ma anche nel suo cuore.

“Devo sopravvivere per rivedere Bellamy”

Allora prendeva la radiolina e indirizzava la parabola.
 
 
 


 
BELLAMY
 
 
«Clarke, sono io. Sono passati 730 giorni dal Praimfaya»

Una pausa.

«Principessa, ho un posto solo mio qui sull’Arca. Ogni giorno vengo qui e guardo la Terra, sperando di cogliere qualsiasi segno di vita che mi faccia pensare che tu sia sopravvissuta e che possiamo rivederci. Ogni fibra del mio essere aspetta solo di vedere qualcosa, sa che potresti avercela fatta. Ma… così non riesco più ad andare avanti. Più il tempo passa e più mi rendo conto che le mie sono solo speranze vane e dolorose. Speranze che mi tengono sveglio la notte e che mi stanno divorando, giorno dopo giorno. Non riesco a dormire da due anni, mangio come un lattante, non ho più le forze. Ti ho tradito, Clarke. Ho tradito la tua memoria. Mi avevi detto di seguire la testa ma ho seguito il mio cuore. Mi sono lasciato andare e non sono riuscito a fare ciò che mi hai chiesto. Ho fallito. Ti prego, Clarke, perdonami. Scusami se ho lasciato che il mio cuore spezzato prendesse il sopravvento e distogliesse l’attenzione dal fare ciò che mi hai chiesto, di essere un vero leader. Ho fatto troppi errori nella mia vita, ma questo è il peggiore di tutti. Ti ho lasciata andare e con te anche la mia promessa»

Una lacrima gli scende sulla guancia.

L’ultima.

«Devo lasciarti andare, Clarke. Devo andare avanti. Non posso più vivere con questa disperazione, mi sta trascinando nella pazzia. A volte penso che mi ucciderà continuare a credere che tu sia viva, continuare a sperare. Ho sempre sperato, ma ora devo guardare avanti. Devo essere un leader migliore, quello che tu hai sempre sostenuto che fossi. Quello che ti ho promesso sarei diventato. Ti prego, perdonami»

Si asciuga gli occhi, deve farlo per lei.

«Ti amo, Principessa. Questo nessuno potrà mai cambiarlo. Ma non posso disonorare la tua memoria e lasciarmi sopraffare dal dolore. Devo usare il cervello e mettere in pausa il cuore. Devo essere il leader che tu speravi che fossi. E per farlo, devo lasciarti andare. Ti prego, perdonami. E perdonami per non aver mai avuto il coraggio di riconoscere i miei sentimenti, per non averti mai detto ciò che ho sempre provato per te, per non aver dato una chance a noi due quando avrei potuto farlo. Non averti potuta amare quanto volessi è il mio rimpianto più grande. Addio, Clarke. Ti amerò per sempre»

Appoggia la piccola radio in un’incavatura vicino al suo oblò. Le mani che tremano mentre ripone quell’oggetto e le speranze che esso rappresenta.

Ma non può fare altrimenti.

Per la sua negligenza e per il suo dolore, Emori aveva rischiato di morire.

E lui aveva delle responsabilità.

Sopravvivere voleva dire riconoscere il sacrificio di Clarke, riconoscere il suo coraggio e la sua volontà. Voleva dire lasciarla andare per fare ciò che lei gli aveva chiesto.

Getta un ultimo sguardo al suo oblò.

Poi esce chiudendo la porta.





























Ciao a tutti!
Eccomi qua con il nuovo capitolo! Spero non sia stato una delusione, è sicuramente diverso dai precedenti, specialmente in vista delle novità che arriveranno :)
Vi auguro buona lettura e grazie a chi vorrà lasciarmi una recensione!
Vi abbraccio,
Ile
   
 
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