Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |      
Autore: Marianna 73    14/07/2017    21 recensioni
Un what if collocato più avanti nel tempo e lontano dalla Francia, con una notte di lucciole a riportare a galla ricordi lontani.
Questa storia partecipa al LOVE DAY III.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
OMNIA VINCIT AMOR

Portoferraio 13 luglio 1799
 
Sono centinaia, migliaia…
Si muovono armoniose e lievi nell’aria ancora calda di sole e danzano il loro canto alla vita, inconsapevoli di tutto, tanto leggiadre da parere insolenti, ebbre  come sono degli aromi di rosmarino e lavanda che impregnano l’aria e del rumore lontano della risacca.
Qualcuna si spinge anche nella veranda, e mi sfiora impalpabile la mano, attirata forse dal debole chiarore della lucerna posta sul tavolino di pietra, poi si allontana in volute eleganti, per nulla infastidita dal gesto un poco brusco con cui spengo la fiamma e mi alzo dalla poltroncina in vimini per spingermi fino al primo gradino, il volto proteso verso l’oscurità  profumata di pini e ginestre.
Voglio guardarle, godermi il loro pulsare opalescente e abbandonarmi ai ricordi che esso risveglia nel profondo della mia anima.
Lucciole. Migliaia di lucciole, come dieci anni fa.
Migliaia di minuscole lanterne impazzite che erano diventate milioni, trasformate in riflessi d’oro e d’argento dalle acque perdute di un fiume che non vedo scorrere da anni ma di cui conservo, nei recessi più nascosti del cuore, il frangersi sommesso, ricordo prezioso, insieme alle lucciole, del momento in cui la mia vita è cambiata.
Lucciole … 
Lucciole che furono candele e velo di sposa, addobbi lucenti tra le foglie del tempio in cui consacrarci l’un l’altra, testimoni mute e gioiose di un amore che ormai non potevo più negare o nascondere. 
Lucciole che mi hanno guidato verso il tuo bisogno di me, verso una via calda e sicura, verso una scelta che avevo inseguito a lungo e cercato lontano ma che era sempre stata a un passo da me.
Le ricordo tremule e ammiccanti nel verde profondo del tuo sguardo, quando hai compreso ciò  che stava per accadere.
Ne ricordo una, più intraprendente e sfrontata di tutte le altre, avventurarsi sul velluto scuro dei tuoi capelli, quando mi hai condotta alle tue labbra.
Ho sempre pensato a quella luce dorata seminascosta dai tuoi riccioli come all’ultima immagine della mia vita di soldato.
Un istante dopo la tua bocca mi ha guidata alla rinascita.
Ricordo ogni cosa di quella notte, sai? Ricordo l’incanto e la magia della tua voce, il tremore delle tue dita impigliate nei miei capelli, l’afrore sconosciuto e famigliare della tua pelle, la mia paura e la tua, di fronte alla brama potente dei nostri corpi.
Ma soprattutto ricordo ciò che ho provato e lo stupore infinito con cui ho accolto quella sensazione: rammento il brivido che mi ha percorsa e mi ha spinto a stringerti forte e a chiamarti, a cercare il tuo sguardo nel momento preciso in cui il tuo corpo si è fuso con il mio.
“Voglio vivere, André.” questo mi ha gridato ogni frammento della mia anima e questo ho provato a dirti, invocando il tuo nome, finché  il piacere non mi ha sopraffatta e la mia voce si è persa in un singulto affogato nella tua pelle.
Volevo vivere, ne ero sicura.
Volevo vivere e ridere e amare.
Le tue mani mi percorrevano ed io, per la prima volta, sentivo di vivere davvero, fino in fondo, senza più  vincoli o finzioni o rinunce. 
Volevo vivere. L’ho pensato ancora e ancora sopraffatta dalla purezza dei tuoi gemiti, mentre mi raggiungevi in quel paradiso tutto nostro, colmo di erba secca e baluginii iridescenti.
L’ho pensato mentre ti carezzavo piano i capelli, intimidita da quel mio nuovo ruolo di donna, quando più tardi il sonno ti ha sorpreso tra le mie braccia.
 E l’ho pensato il giorno dopo, la decisione di unirci al popolo in rivolta già presa ed i cavalli già lanciati in una corsa sfrenata, di fronte al bivio per Parigi.
Qualcosa di molto simile ad una morsa gelida mi ha afferrato sino a soffocarmi ed ho sentito con una chiarezza inverosimile ma innegabile che qualcosa di terribile sarebbe successa se avessimo imboccato quella strada.
Ed è stata quella volontà che non sapevo di possedere a impormi di tirare le briglie per fermare Cesar e obbligarti a fare lo stesso per poi chiederti, gli occhi bagnati di un pianto liberatorio, di condurmi lontano, e di aiutarmi a vivere.
Ricordo il tuo viso, come lo avessi qui davanti a me in questo momento e quello che mi hanno detto i tuoi gesti.
Non hai pronunciato una sola parola, ti sei limitato a scendere da cavallo per poi aiutarmi a fare lo stesso e stringermi forte, una mano aperta e caldissima sula mia schiena, e l’altra, dolce come quella di una madre, a carezzarmi piano i capelli.
Ti ho detto tutto, tra i singhiozzi: che ero malata e che sapevo dei tuoi problemi di vista, che mi sentivo una stupida per non aver scoperto prima il mio amore per te, infinito e puro come le stelle che stavano lealmente svanendo, e una vigliacca, perché ora che lo avevo scoperto non avevo nemmeno avuto la forza di nasconderti le mie pene ma te le avevo rovesciate addosso, come la più pavida delle creature.
Che avrei tanto voluto fare qualcosa per la nuova Francia che sapevo tu desideravi contribuire a far nascere ma che questo mio desiderio impallidiva fino a scomparire di fronte alla voglia di vivere al tuo fianco l’amore che avevo scoperto in ogni fibra del mio essere, mentre divenivo donna tra le tue braccia.
Che avevo paura.
Paura di aver consumato la mia vita, e la tua, a inseguire una chimera, a impedirmi di vedere ciò che andava visto, e vissuto, anni prima.
Paura di averti rubato il tempo migliore, paura che una remota parte di te, non mi avrebbe mai perdonata per questo.
Rammento il calore del tuo petto nei minuti in cui ho atteso le tue parole, lo stesso che ho ritrovato ogni notte da allora.
“Non avere più paura,” mi hai detto, nel rosa luminoso dell’alba che si levava alle tue spalle. Poi hai preso la mia mano e l’hai portata alle labbra. “Ora siamo in due …”
Non l’hai più lasciata, quella mano.
L’hai tenuta stretta a te, sempre, passo dopo passo, decisione dopo decisione, lacrima dopo lacrima. 
Non sono stati anni facili.
La mia malattia da provare a combattere, la decisione di sparire senza lasciare tracce, l’addio alla nostra terra, amatissima e martoriata, il vagabondare da un posto all’altro, senza più legami e con l’inconfessabile paura di non avere un futuro a tormentarci il cuore.
Non so se ce l’avrei fatta senza di te.
L’ho pensato tre anni fa, quando siamo approdati in quest’isola salmastra e lussureggiante e, guardando il tuo viso illuminarsi mentre osservavi le creste rosse e scoscese stagliate nel cobalto del cielo, finalmente ho compreso che avevamo trovato il nostro posto.
E lo penso ancora, ogni volta che ti guardo, ancora così bello malgrado i fili d’argento che illuminano la tua chioma e così gentile, così infinitamente premuroso, così mio da sciogliermi il cuore.

“Sono bellissime" la tua voce e le tue braccia che mi cingono la vita mi fanno sobbalzare. Ero talmente assorta nei miei pensieri da non averti sentito arrivare.
“Sì, hai ragione,” sospiro abbandonando il capo sulla tua spalla “Sono bellissime"
Rimaniamo in silenzio per qualche istante, rapiti dalla magia che quella luce viva e danzante risveglia nei nostri cuori, poi avverto la tua voce, tanto vicina al mio orecchio da farmi sobbalzare di nuovo. “Sembravi così  lontana un attimo fa...” mi doni un bacio appena sotto l’orecchio e mi strappi un sorriso che diventa un brivido fugace. “ A cosa pensavi?” 
Ero lontana, André, vorrei dirti, tanto lontana. Perché ho rivissuto per un momento ciò  che era la mia vita prima che io mi permettessi di amarti.
Ero affacciata sul vuoto, sul buio, sul silenzio freddo della solitudine e del rimpianto. Ma è stato un attimo, davvero … un attimo soltanto.
“Pensavo alla nostra prima notte d’amore” rispondo, voltandomi nel tuo abbraccio e cercando le tue labbra per un altro bacio lieve.
Mi accorgo di arrossire, di fronte al sorriso sornione che mi regali, un sopracciglio sollevato su uno sguardo colmo di passione. Devo fare uno sforzo per non cedere all’invito delle tue labbra e continuare a parlare.  “Pensavo che mi hai salvata …”
Sento la tua stretta farsi più salda e le tue labbra sfiorare le mie.
“Ti sbagli Oscar” mi rispondi, l’espressione sfrontata di poco fa divenuta forza e calore. E amore.
“Non sono stato io a salvarti.” Mi baci ancora, con una devozione e una tenerezza che mi colmano gli occhi di lacrime.
“Ricordi qual’era la mia frase preferita, quando studiavamo il latino con Monsieur Beaufort?” mi chiedi, senza allontanare il tuo viso dal mio. Sorrido sulle tue labbra e annuisco piano. “Certo che me la ricordo. Omnia vincit amor…” sussurro. 
Annuisci anche tu, e una lucciola birichina si insinua tra i tuoi riccioli, proprio come allora.
E di nuovo, come dieci anni fa mi conduci alle tue labbra, ed alla vita che sanno donarmi ogni volta.
“… et nos cedamus amori …” sussurri. “È  stato l’amore a salvarti, Oscar. Ci ha salvati entrambi.”



Un abbraccio caloroso ed un grazie sincero a chi è giunto fin qui. 
Monica.



   
 
Leggi le 21 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: Marianna 73